Il dolore diventa scenografia

di Valerie Clark
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Il dolore diventa scenografia

 
‘Qualche anno fa, in una notte fredda, sotto una finestra da cui non si vedeva la luna, c’era una ragazza, una ragazza che piangeva, piangeva a dirotto, una ragazza che voleva morire.
Una ragazza che si nascondeva.
Che si odiava,
che si detestava.
Una ragazza il cui corpo, la cui pelle, il cui sangue, non aveva più la forza di andare avanti.’
 
Questo corpo violentato, torturato, martoriato, da me, da altri, da tutti.
Questo corpo tanto odiato, tanto maltrattato. Questo corpo di cui tutti si appropriano, che tutti vogliono. Tutti tranne me forse.
Questo corpo che ho fatto di tutto per distruggere.
Il corpo è la prima cosa di cui abbiamo proprietà, la prima cosa veramente nostra, la prima cosa che ci appartiene davvero. Possiamo amarlo, odiarlo, distruggerlo, volergli bene.
Io, di bene, ne ho sempre voluto tanto, a tutti, a me no. A me mai.
La gente lo voleva, lo desiderava, il mio corpo e se l’è preso, ed ora non appartengo più a nessuno, nemmeno a me stessa. Allora ho fatto di tutto per ucciderlo, questo corpo di cui tutti si erano appropriati senza chiedere il permesso.
Il mio corpo ora è grasso perché è pieno di odio, dell’odio di tutti.
Ogni notte mi chiudo in bagno e piango per quanto mi odio, ogni mattina un nuovo livido, ogni giorno un nuovo taglio sui polsi, finché il dolore diventa scenografia.
Mi odio così tanto da non fare neanche lo sforzo di ricordare come è successo; una mattina mi sono svegliata e sanguinavo. Ogni notte questa memoria infetta torna a torturarmi. Poi ho continuato; un taglio per me, un taglio per quello che non sono, uno per quello che vorrei essere, uno per chi mi ferisce, uno per chi mi vuole bene.
E poi mi graffio.
Mi graffio e sento il mio corpo, la mia pelle, le mie vene, il mio sangue, sciogliersi sotto le unghie.
Mi graffio e sento che vado in pezzi.
Mi graffio e continuo.
Mi taglio e continuo.
Sento il mio corpo aprirsi e le viscere venire fuori, e per un momento va meglio.
Ma quand’è, corpo, che va meglio sul serio? Quand’è che va meglio per sempre, per davvero?
Ho qui questi ricordi e non so che farmene.
Ho qui questi ricordi e continuo a chiedermi quando, quando, quando tutto questo dolore mi sarà utile, quando potrò dire ‘è finita’. Quando?
È una brutta cosa, la memoria infetta, che riporta alla mente ricordi che uccidono.
 
Ma quando il dolore non sarà più scenografia, quando questo fuoco sarà vomitato fuori dalle viscere della vendetta contro se stessi, quando tutto andrà veramente meglio, quando del corpo importerà a chi lo possiede, e non agli altri; quando la notte che è diventata un giorno solitario finirà, all’alba, al primo sole della primavera, quando ci renderemo conto che è un pezzo di carne e nulla più, e non lo si può torturare, quando non farà più male, sarà allora, sarà lì che mi troverai, corpo, ad aspettare, a ricominciare. 




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