Disclaimer: i personaggi utilizzati sono copyright delle Clamp, ed io
li utilizzo non per scopo di lucro, ma per puro diletto di fic-writer. E sto
seriamente pensando di abolire i disclaimer dalla mia prossima fic perché mi
scoccio a riscriverli. XP
Note: che dire se non che mi sento in colpa a scrivere oneshot
un giorno sì e l’altro pure? XD Più che altro, a tediare le persone
pubblicando, se scrivessi e basta il massimo sarebbero le lamentele del mio
piccolo, adorato portatile °-° Scherzi a parte, sono in crisi esistenziale fra
scuola, palestra, lavoro, patente, scrittura e altre 300 cose ma in tutto
questo ho anche trovato la voglia di scrivere in 2 ore questa cosa. Il cui
pairing mi è sconosciuto (sempre ammesso che ci sia). Quindi, non posso far
altro che augurarvi buona lettura ^^
Goodnight
«Goodnight, sleep tight,
no more tears.
Goodnight morning, I’ll be there,
And when we say “goodnight”,
Dry your eyes.»
(Buonanotte,
dormi bene,
niente
più lacrime.
Buonanotte
mattina, io sarò lì,
e
quando diciamo “buonanotte”,
asciugati
gli occhi.)
Fay sorride sempre, è sempre allegro, con quel suo tono
che sembra ispirare ottimismo in qualsiasi momento della giornata, in qualsiasi
situazione, anche la più disperata.
Fay ha moltissimi sorrisi diversi, ne ha quasi uno per
ogni persona che conosce o ha conosciuto: sorride per Sakura, dolcemente,
perché lei è davvero una brava ragazza e ha sofferto, soffre troppo, per l’età
che ha. Senza tanti ricordi, specie quelli della persona per lei più
importante. Per lei, gentile con tutti, per lei che ha un cuore così puro, Fay
sorride dolcemente, come un fratello maggiore farebbe con l’amata sorellina,
che vuole proteggere ad ogni costo.
Sorrideva per Shaoran, come si sorride ad un allievo a cui
si sta insegnando, con il divertimento e le risate, i sorrisi e le parole
gentili, che non ci si deve mai arrendere, specialmente se si combatte per le
persone care. Poi Acid Tokyo, e Shaoran non è stato più lui, non quello con cui
aveva viaggiato, non quello un po’ imbranato ma così coraggioso e affezionato
alla principessina, che a volte peccava di irresponsabilità. Eppure, Fay non ha
smesso di sorridergli, ha solo cambiato il modo di farlo: ora lo fa
tristemente. Lo fa con una nota di scherno nell’incurvarsi delle labbra
sottili.
Ma non schernisce Shaoran.
Schernisce sé stesso.
Ed ora c’è l’altro “Shaoran”: lo sa che soffre, che sta
male perché è “l’altro”, non quello che con loro ha diviso tutto; ne ha
l’aspetto, ne possiede i ricordi, eppure… eppure “Shaoran” sembra ripetersi
ogni momento che lui non è quello giusto. Per questo gli sorride, anche se in
maniera leggermente tirata, sebbene non si noti.
Si fida di lui.
Sa che anche lui vuole molto bene a Sakura-chan.
Solo che ancora non riesce a dimenticare quegli stessi
occhi che lo guardano freddamente, quella stessa mano che lo minaccia e poi lo
colpisce, quella voce che da gentile ed impacciata si è trasformata in un
attimo in una così fredda e carica di risentimento – o era decisione? – che se
anche Fay vuole fidarsi e ha cancellato qualsiasi sospetto, il suo corpo ancora
non l’ha fatto.
Il suo occhio, che non vede, ancora non riesce a
dimenticare.
Eppure, malgrado le ferite lui sorride, anche per Mokona:
per tranquillizzarla, per assicurarle che sta bene, non ha bisogno di aiuto e
non c’è da preoccuparsi. Lui è forte, quindi se anche qualcosa andasse storto,
se anche ci fosse uno solo degli avvenimenti – previsti o meno – che dovesse
sfuggire di mano, lui starebbe bene. Ma Mokona lo fissa comunque preoccupata, a
volte. Per questo Fay le sorride rassicurante.
E poi c’è lui, Kurogane.
A lui ha sempre sorriso per nascondere un animo che il
ninja aveva subito di mostrato di riuscire a scorgere un po’ troppo facilmente
per i gusti del mago.
Più che sorridere, in effetti, Fay ha sempre riso: dei
nomignoli che gli propinava, delle reazioni del guerriero, del suo broncio e
della sua rabbia, del suo essere seccato e sì, alcune volte, quando accadeva,
ha riso del suo imbarazzo. Non è mai stata una questione di antipatia verso di
lui, che lo spingeva a deridere il ninja.
Era solo invidia.
Perché Kurogane mostra subito i suoi sentimenti anche se
tace, nasconde bene le cose importanti, ma la rabbia, la seccatura, l’imbarazzo
glielo si legge subito in faccia: lui, Fay, nasconde invece ogni emozione. Se è
triste sorride, così pensano che sia di buon umore. Se è arrabbiato sorride,
perché così Sakura e gli altri non chiederanno cos’ha che non va,
innervosendolo.
Ma anche nel caso in cui fosse nervoso, gli basta
sorridere, e loro penseranno che va tutto bene.
Però Fay le cose importanti non le sa nascondere, il fatto
che Mokona gli chieda sempre più spesso come sta, il fatto che Kurogane capisca
sempre tutto di lui ne sono una prova.
Fay invidia il ninja, perché riesce in quello per cui lui
si impegna tanto, con scarsi risultati.
Nessuno, a parte lui ha mai messo in dubbio l’autenticità
del sorriso del mago.
Ma Fay è stanco, di sorridere, di fingere che va tutto
bene.
Vuole solo rilassarsi, abbassare la maschera, per un
attimo.
E piangere.
Piangere.
Piangere fino a non poterne più, fino a che non avrà
esaurito le lacrime, fino a che… non sarà completamente vuoto. Così, quando
indosserà di nuovo la maschera, tutti i sentimenti che l’hanno resa pesante non
ci saranno più. E sarà più semplice, di sicuro.
Solo che una volta che avrà iniziato a piangere, e che le
lacrime cadranno silenziose lungo la guancia liscia dalla pelle chiara… chi lo
fermerà? Chi gli impedirà di continuare anche se ci saranno Sakura e Shaoran,
oppure Mokona, o magari… o magari Kurogane?
Fay lo sa, che una volta iniziato non si fermerebbe fino
alla fine, però stasera può permetterselo. Chi se ne importa, se per una notte
piange? Se per una sola notte, al buio, nascosto anche alla luna fuori dalla
finestra si sente triste? Nessuno.
A nessuno importa, quindi perché no?
«Ohi.»
Kurogane lo chiama? Eppure era sicuro di aver chiuso
quella stupida porta della sala della locanda in cui si sono fermati, prima di
continuare la ricerca delle piume di Sakura. Già, la principessa. Chissà quando
uscirà da quello stato in cui è caduta, chissà quanto resisterà il corpo senza
l’anima, chissà… chissà se sta bene…
«Ehi, ce l’ho con te.» ripete il ninja.
E Fay sospira… perché non se ne va, almeno per una volta
in cui vuole starsene da solo?
«Il ragazzino dorme di là, insieme alla polpettina.»
Bene, prendiamone atto. Ora, Kurogane, potresti
gentilmente toglierti dalle scatole?
«Mh. Kuro-tan è proprio nato per fare il papà.» tenta la
battuta, ma proprio non gli esce il tono solito con cui lo prende in giro su
quell’argomento.
«Non mi risulta che un padre si perda uno dei figli per
strada.»
Ma sì, rigiriamo il coltello nella piaga, tanto siamo
d’umore stasera, no?
«Né che se ne stia a guardare mentre l’altro esce fuori di
senno e ferisce il figlio più grande.»
«Kuro-pon… io sono la mamma.»
«No, tu sei il fratello maggiore, io sono vedovo.»
«Ah-ah, non è molto carino come modo per dire che non sono
il tuo tipo.»
«Sto solo dicendo che non puoi fare la mamma se sei ad un
livello di immaturità troppo vicino a quello dei presunti figli.» commenta il
ninja. E chissà cos’è, che scatta nella mente di Fay.
«Oh certo, io sono davvero immaturo, Kurogane.» inizia, e
l’utilizzo del nome è il brutto segno che dovrebbe preannunciare la tempesta
«io sono quello che non va bene, vero?! Sono quello con i comportamenti
stupidi, quello che sorride e basta, quello che cerca di nascondere il proprio
passato senza evitare che un ficcanaso che proviene da uno stupido mondo di cui
avrei preferito non conoscere nemmeno l’esistenza faccia di tutto per
scoprirlo! Sono io, l’immaturo, Kurogane? Sono io che metto il muso per degli
stupidi nomignoli? Sono io che gioco con la vita degli altri? Io che mi metto
in mezzo ad affari che non mi riguardano? Io che salvo le persone che desiderano
morire?!»
Ansima, dopo lo sfogo.
Per questo Fay odia piangere e far calare la maschera…
perché la parte peggiore di lui, in un modo o nell’altro, finisce sempre per
venire a galla. Contro chiunque, anche chi non lo meriterebbe, o almeno non
fino in fondo.
Eppure, in un certo senso, è come se si calmasse, se non
sentisse nulla.
Come il “razza di imbecille” che Kurogane urla appena lui
si interrompe, come il ceffone che il ninja gli molla un attimo dopo. Benché la
guancia si sia arrossata, benché la testa si sia voltata di lato a seguito di
quello schiaffo, è come se ogni rumore ed ogni sensazione fossero attutiti.
«Ma si può sapere… tu cosa vuoi da me?» domanda, con un
filo di voce, senza alzare lo sguardo sul moro.
Nessuna risposta, nessun rimprovero.
Kurogane, le vedi? Riesci a vedere le lacrime di Yuui?
«Che la piantassi di comportarti da idiota. Ma a quanto
pare, sto chiedendo troppo.»
Fay ridacchia, come ad Acid Tokyo; una risatina nervosa,
che nasconde tante cose, eppure appare semplicemente vuota di qualsiasi
sentimento.
«Va all’inferno.» sussurra appena, ma in quel silenzio è
impossibile non essere uditi, lì dove ogni sussurro sembra un urlo.
«Ci stiamo già, se non te ne fossi accorto.»
Sgrana gli occhi, Fay, alzando la testa a quelle parole:
forse aveva sperato di essere stato l’unico a considerare quel viaggio un
inferno, o chissà, a considerare tale la propria esistenza almeno negli ultimi
anni. Forse, sperava di essere smentito, prima o poi.
Forse… forse sperava di esserci arrivato da solo e di
marcirci da solo, senza di loro.
«E se anche fosse, mentre piangi non sei proprio
convincente, mago.»
Ah, se ne è accorto. E figurarsi se, per una volta, lo
chiama con il suo nome.
Suo.
Gli viene quasi da ridere, a pensare una cosa simile.
Io lo so, perché non lo chiami per nome, Kurogane. Però
Yuui non lo sa, non lo capisce. Eppure te ne sei accorto, vero? Che è ora che
qualcuno smetta di pronunciare il nome “Fay”.
«Se hai finito, se ora sei soddisfatto di avermi visto in
questo stato… puoi andartene, no, Kurogane?»
«Se pensi che il mio maggior passatempo sia stressarti
l’esistenza, ti avviso che mi stai confondendo con il tuo modo di fare.»
Fay non risponde, si limita a spostare lo sguardo fuori
dalla finestra, anche se nell’oscurità non distingue nulla che possa distrarlo
da quella situazione. Se l’era ripromesso sul corpo di suo fratello, mentre
Ashura-ou gli tendeva la mano, con il sorriso sulle labbra.
Niente più lacrime.
Lo aveva promesso per suo fratello, perché era importante
che non si distraesse, che impiegasse tutte le sue energie per esaudire il
proprio desidero e riportare in vita Fay, quello vero. Lo avrebbe abbracciato,
appena Fay avrebbe aperto gli occhi, sì.
E gli avrebbe chiesto scusa per avergli “rubato” il nome.
Gli avrebbe detto che gli voleva tanto, tanto bene e che
così era stato per tutto il viaggio; nessuno aveva preso il suo posto! Né
Sakura, né Shaoran, né il ninja.
Nessuno, nessuno era più importante del suo fratellino.
E poi… poi si sarebbe scusato, per averlo lasciato tanto
tempo da solo, per averlo fatto soffrire e per tante altre cose che, se le
avesse elencate, di certo avrebbe passato molto tempo a parlare. E, alla fine,
se Fay lo avesse perdonato, gli avrebbe chiesto di pronunciare il suo nome,
quello vero.
Yuui.
Non voleva che nessun’altro, prima di suo fratello, lo
pronunciasse rivolgendosi a lui. Solo Ashura-ou poteva farlo, per ricordargli
la sua colpa, per ricordargli chi era e di quante cose dovesse vergognarsi.
«Dovresti dormire. Non eravate tu e il moccioso a voler
cominciare presto le ricerche della piuma, domani mattina?»
«Mh. Forse starei già dormendo, se qualcuno non mi tenesse
sveglio parlando.»
«Sì, e come minimo avresti detto “buonanotte” domani
mattina…»
Fay sospira, stanco: sposta lo sguardo dalla finestra,
voltandosi verso il letto. Si sdraierà, mettendosi sotto le coperte, sperando
che il ninja faccia lo stesso, lasciandolo nuovamente solo con i suoi pensieri.
Fa tutto con movimenti abbastanza veloci, quasi avesse fretta, le lacrime
scomparse.
Kurogane ne segue i gesti con lo sguardo, senza dire
nulla, fino a che il mago sembra davvero deciso a mettersi sotto le coperte e
dormire.
«Ehi.» lo richiama e lo sbuffo del biondino è più che
comprensibile. Il ninja, tuttavia, sembra non badarci, limitandosi ad
avvicinarsi al letto a sua volta, lo sguardo carminio su di lui, mentre tira su
la manica fino all’avambraccio, tendendolo poi davanti a sé e al biondo:
«Muoviti» dice, ma stavolta Fay non ha bisogno di fingere, perché davvero non
capisce.
«Pensi che sia così stupido da non essermi accorto che
dalla dimensione di quell’Eagle non mi ti sei praticamente avvicinato quasi
mai? Muoviti.» spiega, ripetendo quello che ha tutta l’aria di essere un
ordine.
Il mago sospira, non anche quello, non ora che i suoi
nervi sono seriamente instabili.
«Kurogane, senti…»
«Non voglio sentire scuse, né ripetermi una quarta volta.
Muoviti.»
«Fa come ti pare!» sbotta, sotto voce e stavolta
inudibile, senza bisogno di fare troppi passi per avvicinarsi al moro. Lo
sguardo va sul braccio, la pelle più scura della propria in bella vista e
calda, sotto la quale avverte il sangue pulsare nelle vene: la propria mano va
attorno al polso del ninja, il volto si china in avanti mentre il braccio viene
avvicinato, fino a che le labbra non possono sfiorarlo. Lo sguardo si svuota
appena, quasi come quello di Shaoran prima di colpire il mago stesso.
Le labbra a contatto con l’avambraccio si schiudono,
lasciando poco dopo che i denti affondino nella carne, liberi di trarne poi il
sangue necessario: avido e al tempo stesso disgustato, Fay ne beve, eppure
vorrebbe poterlo sputare senza rischiare un collasso entro due giorni al
massimo. Quando si rende conto che è abbastanza, almeno per qualche giorno, si
stacca lentamente, la lingua che passa sulla ferita inferta con i propri denti,
in un gesto meccanico per ripulirla dal sangue. Solo poi, alza lo sguardo su
Kurogane, il viso poco distante da quello del ninja.
«Contento?» mormora, vista la scarsa distanza, fissandolo
quasi arrogante.
«Ora dormi.» risponde semplicemente l’altro, quasi
spingendolo verso il materasso, come un papà che controlla che il figlio vada a
dormire una volta per tutte.
«Sì, sì. Buonanotte, papà.» ironizza il biondo, di pessimo
umore, come lo era stato nella stessa circostanza tempo addietro, costretto a
quel tipo di nutrimento e a quel modo di nutrirsi.
«Mh.» si limita a rispondere Kurogane, avvicinandosi alla
porta «E piantala di frignare. È una mia scelta, e dei tuoi sensi di colpa non
abbiamo bisogno.» aggiunge, prima di uscire.
Il mago è sorpreso.
Ha smesso di piangere prima, lo sa, ne è certo.
Yuui…non ti eri accorto di stare piangendo, con lui?
«Because
we say “goodnight”,
and
now goodbye.
We say
“goodnight”,
And
now, “Goodbye”.»
(Perché diciamo “buonanotte”,
e ora arrivederci.
Diciamo “buonanotte”,
ed ora, “addio”*)
Non fatica a prendere sonno, no, come accade spesso dopo
un pianto che ha prosciugato, insieme alle lacrime, anche le energie. Basta
chiudere l’occhio che ancora vede e poco dopo sprofonda in un buio in cui non
ci sono rumori, non ci sono persone, non c’è nulla.
Nemmeno le paure.
Nemmeno i sensi di colpa.
Eppure ha il sonno agitato, Fay, continua a muoversi nel
letto, rigirandosi sotto le lenzuola, corrugando di tanto in tanto la fronte,
come se qualcosa gli stesse dando fastidio, non permettendogli di riposare a
dovere o, se non altro, come vorrebbe.
«Yuui?»
È un impressione vero? Non c’è nessuno che potrebbe
chiamarlo così, nessuno a parte Ashura-ou, che però è morto, che ha permesso
che Kurogane a Shaoran vedessero, che…
«…Yuui?»
Fay, hai mai sognato di sognare?
«Mh?»
«Yuui, sei sveglio?»
«Chi sei?»
«Mpf, non è carino da parte tua chiederlo… non credi,
fratellino?»
E sgrana gli occhi, Fay, quando alzando lo sguardo gli
sembra di guardarsi allo specchio, anche se si tratterebbe di uno specchio che
riflette immagini di un passato abbastanza lontano quanto vivido nella sua
mente. Un Fay bambino, questo riesce a vedere il mago. Con i capelli corti come
i suoi, biondi come i suoi, gli occhi azzurri come i suoi sono stati un tempo…
eppure sa che non è lui. Quello non è Yuui. Quello è solo…
«Fay…?»
«Sì.»
«Non può essere…»
«Ma è così. Forse vuoi dire che non è reale, Yuui.»
«Si tratta di un sogno? O di un incubo? O è un’altra
maledizione che non sapevo di portarmi dietro?!» sbotta, nel panico.
«Sì, è un sogno. E sì, forse per te può essere un
incubo. Ma no, non è una maledizione.»
Fa qualche passo avanti, Fay, cerca di avvicinarsi a quel
bambino, che per contro non si allontana anzi, resta immobile per agevolare i
movimenti di quel sé stesso adulto, che una volta che si ritrova ad appena un
paio di passi da lui si piega sulle gambe per arrivare alla sua altezza, come
ogni adulto fa con i bambini.
Lo fissa a lungo, l’espressione che è misto di troppi
sentimenti: incredulità, paura, gioia, tristezza, affetto, odio. Perché Fay è
sempre stato tutte queste cose, da quando è morto.
Paura dei propri peccati e delle proprie colpe, un ricordo
felice a cui aggrapparsi e al tempo stesso uno immensamente triste tanto da
distruggerti l’anima; è stata la persona più amata per il mago, eppure lo
odiava, lo ha sempre odiato per averlo lasciato da solo, anche se non è stata
colpa sua, anche se Yuui sa che potendo Fay sarebbe voluto restare lì con lui.
E l’odio per Fay, che è sempre stato sua colpa e peccato, è anche l’odio verso
sé stesso, così debole, da aver costantemente avuto bisogno di legami, malgrado
avesse giurato a sé stesso, che non ne avrebbe più avuti.
«Perché… ti vedo?»
«Perché siamo in un sogno. Yuui…non puoi più farti
chiamare in quel modo.»
«Cosa…?»
«Yuui… tu non sei me.»
«Ma ormai il mio nome è Fay.»
«Fratellino, il tuo nome è sempre stato Yuui e
continuerà ad esserlo. Non puoi fingerti qualcun altro, i tuoi compagni di
viaggio hanno bisogno di te e tu di loro. Ti vogliono bene, Yuui…»
«Ma io non voglio altri legami.»
«Ma li hai già.»
«Li cancellerò, non ne ho bisogno.»
«Yuui…»
Mormora, e la piccola mano si posa sul volto del fratello,
che sembra così diverso eppure così uguale a quando lo ha visto l’ultima volta.
È la mano di un bambino quella che permette un contatto fra loro, eppure sembra
tante altre cose: perdono, rassicurazione, comprensione.
«Tu non hai colpe. Non ne hai, Yuui. Sono felice che
hai cercato di riportarmi in vita, ma i defunti non tornano indietro,
fratellino.»
E piange, Fay. No, non Fay, Yuui.
«Mi dispiace Fay, mi…»
«Non deve. Hai fatto del tuo meglio, ti sei impegnato
tanto e io ti ho visto. Tutto, tutto il tempo. Ti guardavo e ti chiamavo,
speravo tanto che quelle persone vedessero che il mio fratellino poteva sorridere
veramente, come quando lo hai fatto con Ashura-ou, tanto tempo fa. Sakura è
buona e gentile, non le bene, Yuui?»
«Io… io l’ho ferita, Fay.»
«La maledizione l’ha fatto. E Shaoran, e Mokona? A loro
non vuoi bene? Non vuoi proteggerli?»
«Sì, ma… non sono stato capace nemmeno di proteggere te,
come posso…?»
«E Kurogane?»
«…»
«A lui vuoi bene, Yuui? Non vuoi restare insieme a
tutti loro, e trovare le piume di Sakura?»
È tempo di scegliere, Yuui, adesso è davvero tempo di
farlo: decidi se quello che vuoi è restare lì, con il fratello che tanto ami e
per il quale ti sei imbarcato in questo viaggio a discapito di tutto, persino
del dolore, o se vale la pena provare ad aspettare un altro po’, provare ad
andare avanti nella realtà in cui Fay non esiste più, se non nei tuoi ricordi e
nel tuo cuore.
«Sì. Voglio che… Sakura-chan si svegli e stia bene.»
mormora, e forse solo loro due sanno quanta fatica gli è costata.
«Allora ti devi svegliare, Yuui. In questo sogno, non
possiamo restare in due.»
«Perché?» domanda. Malgrado tutto, una seconda separazione
è qualcosa che non riesce a sopportare, non di nuovo.
E il Fay bambino, il fratello che l’ha perdonato, che gli
sta sorridendo come faceva una volta a Celes, quando ancora potevano stare
insieme, prima della prigionia, dei cadaveri, della maledizione, annuisce.
«Perché è il tuo desiderio. Buonanotte, Yuui…»
«Fay! Fay!» chiama Mokona, l’espressione preoccupata: il
mago non si sveglia, anche se lo stanno chiamando da tanto. Accanto a lei,
quando apre gli occhi, riconosce l’espressione preoccupata di “Shaoran” e
quella apparentemente neutra di Kurogane. Sbatte un paio di volte la palpebra
che non è coperta dalla benda nera.
«Mh? Mokona…?»
«Fay!» esclama di nuovo la creatura, buttandosi sul
biondino senza grandi conseguenze viste le dimensioni, mentre “Shaoran” tira un
sospiro di sollievo, sorridendogli appena, la preoccupazione che va scemando
nello sguardo. Il mago alza lo sguardo, incontrando quello di Kurogane, che non
dice nulla, né sembra dare segni di alcun tipo.
«No, Mokona.» mormora il biondo, scostandola gentilmente
da sé ed osservandone l’espressione confusa. Le sorride appena, di un sorriso
gentile e triste, e per la prima volta non fa nulla per nasconderlo o
camuffarlo. La mente va al proprio sogno, a quel “buonanotte” detto prima di
lasciare che si svegliasse, volontariamente o meno; ma in fondo va bene, no?
«Buonanotte…» sussurra appena, ma nel silenzio creatosi
finisce comunque per risultare ugualmente udibile. Sente il ninja sbuffare
prima di aprire bocca: «Lo dicevo io che avresti finito con il dire buonanotte
di mattina. Sei uscito di senno, mago?» sbotta, nel suo modo di mostrare la
preoccupazione, decisamente un modo tutto suo.
«Kuro-rin era preoccupato!» esclama gioviale, e finalmente
sembra tornare tutto alla loro normalità, con il ninja che lo scruta
tentando in tutti i modi di incenerirlo con lo sguardo, urlando: «Kurogane,
Kurogane, mago idiota!» correggendo il modo di chiamarlo con cui il biondo
sembra divertirsi così tanto. Lui lo fissa, un sorrisetto sulle labbra: «Yuui.»
dice, ma tutti e tre non sembrano capire, non solo il ninja.
«Non mi chiamo “mago”, e non mi chiamo “Fay”.» dice, una
pausa che si concede, perché sembra estremamente faticoso dirlo ad alta voce,
quando il desiderio di raggiungere suo fratello in quel sogno è ancora vivido:
«Yuui. È questo… il mio nome.»
***
Lasciano la locanda, il padrone che sorride gioviale verso
i tre, mentre Mokona saltella prendendo posto sulla spalla di Kurogane, che
sembra ormai essersi rassegnato ad averla lì. “Shaoran” fa un lieve inchino,
educato e onesto proprio come l’altro, che ora si trova in chissà quale mondo.
Kurogane, invece, si limita ad un silenzioso cenno del capo, prima di uscire.
Yuui, invece, indugia.
Sono davvero così diversi, i due Shaoran che hanno
viaggiato con lui?
Ci pensa un attimo, osservando il ragazzo di spalle che si
sta rivolgendo al ninja: no, forse non lo sono davvero. E, in fondo, non ha poi
davvero importanza se Kurogane riesce in quello che lui non sa fare poi così
bene a dispetto delle apparenze, né se riesce a notare ogni suo stato d’animo,
qualunque esso sia; non fa nulla se “Shaoran” si è unito dopo che l’altro se
n’è andato, perché è sempre lui, sempre qualcuno che vuole proteggere Sakura,
che vuole trovarne le piume per poterle restituire i ricordi.
«Mekyo!» sente esclamare Mokona che, un attimo dopo, è
sulla sua spalla e sta frugando nel cappuccio del mantello del biondo, almeno
apparentemente. Poco dopo si volta verso il ninja e il ragazzino, e non si sa
come, è una delle piume quella che stringe fra le mani: «Yuui aveva la piuma
nel cappuccio!» esclama come se fosse stato il posto più ovvio in cui cercare.
«Che cosa?!» esclama invece Kurogane, a metà fra
l’interdetto e l’istinto omicida almeno verso uno dei due: deve solo
scegliere chi preferisce uccidere prima, in fondo.
Yuui e Mokona si guardano, un sorrisetto complice prima di
cominciare a scappare in due direzioni diverse, obbligando il ninja ad una
scelta: «Shiro Manju vieni immediatamente qui!» sbotta, optando per Mokona come
primo bersaglio. Dunque il biondo può anche fermarsi ad affiancare Shaoran,
prima di cominciare a camminare con il ragazzo, senza fretta, dietro i due che
invece stanno solo facendo un gran casino per la strada del paese, alla fin
fine.
Le parole di Fay, in quel sogno, non le potrà dimenticare.
Di aver avuto la possibilità di restare con lui, e di
averla rifiutata, è una cosa che non può e non vuole assolutamente rimuovere
dai propri ricordi; eppure non ha rimpianti. Si dice che a volte, “buonanotte”
è un modo per dire “arrivederci”, un saluto che allontana le persone, mentre
l’oscurità cala su tutte le città, di tutti i mondi, silenziosa compagna della
luna e delle stelle.
Ma la mattina, si incontreranno di nuovo, e Yuui sa che
prima o poi rincontrerà suo fratello. O si sarebbero detti addio, giusto?
Fay osserva la compagnia allontanarsi, un lieve sorriso,
felice di aver restituito la piuma al suo proprietario o a chi potrà
consegnargliela. È felice della scelta del fratello, va bene così.
Sa che è stato giusto avergli sussurrato un semplice
“buonanotte”, perché se lo avesse salutato in maniera più brusca, o più
insicura, di certo Yuui non sarebbe più andato via, e questo lui non poteva
permetterlo: delle persone vogliono bene a suo fratello e ne hanno bisogno,
perché Fay lo sa che se si sono incontrate non è né per via della maledizione,
né per via di una coincidenza. Perché quella donna che ogni tanto lo va a
trovare nei sogni, per non farlo sentire solo, lo ha sempre detto che le coincidenze
non esistono.
Alza una delle piccole mani per salutare il fratello,
anche se sa di non poter essere visto.
«Buonanotte…»
Perché Fay lo sa che ora sta scomparendo per non apparire
più per molto, molto tempo.
Perché a volte, un “buonanotte” non è un “arrivederci”.
Perché a volte, se ami davvero qualcuno non importa quanto
vuoi che rimanga al tuo fianco, devi lasciarlo andare.
A volte, bisogno mentire.
«Addio, Yuui.»