Sotto avversa stella

di TeddySoyaMonkey
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 Terra promessa
 

 
 

E così anche il sole muore.
Non lo aveva mai immaginato, Cato.
Certo, il sole tramontava ogni sera, ma quello era un arrivederci e mai un addio. Questo, però succedeva in uno ieri tanto vicino da essere sfiorato ma abbastanza lontano da iniziare a sfumare.
Perché i ricordi sfumano sempre, alla fine. Sfumano ed è impossibile che tornino nitidi.
I ricordi… Cato un tempo ne aveva tanti, ma ora se n’erano andati, come i granelli di sabbia che scendono da una clessidra. Ovviamente, però, la sua clessidra non sarebbe mai stata capovolta, perché il suo non era un ciclo, non più.
Era una fine.
Da quanto fosse morto non lo sapeva. Un secolo, in quel buio, in quel nulla poteva durare lo spazio di un secondo. Non che gli importasse.
Bizzarro come il tempo smetta di perdere importanza, quando la tua esistenza non è più governata da esso.
Un tempo aveva creduto che morire non sarebbe stata la fine della sua esistenza. Un tempo, aveva creduto questo.
Una risata amara gli avrebbe scosso la bocca, se ne avesse avuta ancora una; erano state solo bugie. Tutte bugie. Nient’altro che bugie.
Il nulla, ecco cos’era la morte. Stare nel nulla, essere il nulla. Dondolare costantemente sulla soglia dell’essere e del non essere, combattendo con unghie e denti che non esistevano più per ricordare com’era far parte di qualcosa.
Cato avrebbe venduto l’anima per ricordare la fatica di una corsa, il dolore di una ferita potenzialmente mortale, il sapore dello sciroppo per la tosse o qualsiasi altra cosa. Ma non era sicuro di avercela un’anima.
E poi, comunque, la sua non sarebbe valsa poi molto, dato tutto quello che aveva fatto.
Se esisteva un Karma, un destino- ma Cato ne dubitava- quel nulla era la sua giusta punizione.
Aveva ucciso, aveva ferito, aveva privato il mondo di vite che avrebbero fatto qualcosa di piccolo, o forse di grande, nessuno l’avrebbe mai saputo.
Il nulla, soffocante e opprimente che era diventato, era la giusta punizione.
Non ricordava, Cato, se mai avesse fatto qualcosa di buono. Non ricordava nulla. Sapeva solo di essere niente e se ne chiedeva il perché con tutta l’immensa forza che si era costruito durante gli anni della sua vita e che, con la morte, aveva perso per sempre.
Non c’era carne, non c’erano ossa, non c’era paura né umiliazione. C’era solo una domanda: perché?
Niente e nessuno gli diede risposta, perché in quel nulla niente e nessuno esisteva.
Non c’era luce od ombra, non c’era pace o dolore, non c’era bene o male, giusto o sbagliato, nero o bianco, non c’era…
Clove.
Una parola, un suono. Qualcosa dimenticato da tempo, qualcosa che ormai nemmeno si sognava di sperare. Eppure era lì.
Il nulla assunse il colore di quel suono, con tutto il dolore, l’amore che la cosa comportava.
E se fino ad un eterno secondo prima Cato aveva pensato di meritarsi quel nulla peggiore dell’inferno, ora che quel nome era presente il nulla si fece paradiso.
No, davvero Cato non poteva essere degno di un ricordo simile.
 
Angolo di Ted:
Questo capitolo necessita spiegazioni.
Non l’ho scritto perché tutto ad un tratto ho voluto dare una svolta sdolcinata alla storia, ma perché mi sembrava d’obbligo spiegare la mote e cosa significa per me.
L’ultima frase della storia non vuol dire che Cato non può essere degno della memoria di Clove, no, ma non può essere degno di quello che rievoca: ovvero l’amore, nella contorta sfumatura che è l’amore tra Cato e Clove.
Il titolo, Terra Promessa, rappresenta il desiderio di Cato di un ricordo. E la beatitudine nel capire che, una volta che gli si è presentato, quel ricordo è l’amore che provava per Clove.
Questo, in sintesi, è quello che ho voluto comunicare.
Non mangiatemi.
Ted.
Ps. Mi scuso per non aver aggiornato ma non avevo ispirazione per questa storia e solo questa sera mi sono sentita nel clima giusto per scrivere.
 
 
 





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