thisfairitaleisradioactivenow
Questa
è una storia originale. E' vietato ogni tentativo di copia. Spero vi piaccia.
THIS FAIRYTALE IS RADIOACTIVE NOW.
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1.
Once upon a time.
Il
cielo era coperto da un fitto strato di nebbia grigia. La fredda
coltre si estendeva fino al confine, sparendo oltre la linea
dell'orizzonte. L'aria era fredda, e fra poco sarebbe arrivata la
neve. Nei giorni precedenti aveva nevicato talmente tanto da coprire
per intero i grandi alberi della foresta. Oramai niente si
distingueva più.
Camminavo
a passo rapido, e il rumore delle suole su quel miscuglio di ghiaccio
e nevischio provocava un crepitio quasi rilassante. Non c'era altro
suono, in quel momento. Tutto taceva. Anche il mio cuore, che per un
attimo aveva smesso di tenere quel ritmo accelerato che oramai avevo
imparato a riconoscere. Una tachicardia fisiologica iniziata dal
momento in cui tutto era finito.
L'aria
calda che oltrepassava coraggiosamente le mie labbra si bloccava a
metà strada, sfumando in una nuvoletta di vapore bianco.
Non
so quanti gradi facessero, ma strinsi a me il mantello e coprii i
capelli con il cappuccio, pregando che gli stivali di pelle
riuscissero a reggere il freddo e che i piedi non mi si staccassero
da un momento all'altro.
Oramai
mancava poco alla meta. La prima di una lunga serie, ma sempre un
punto di arrivo.
I
grandi occhialoni da aviatore mi stringevano la fronte, quel tanto
che bastava per rimanere in bilico sulla testa. Mai avrei pensato di
indossare una roba simile, ma in situazioni di emergenza si poteva
arrivare a tutto: e quando sarebbe arrivata la tempesta di neve, ne
avrei avuto bisogno. Non andavo fiera di me stessa per averli rubati,
ma in quel momento erano un bene primario per una viaggiatrice. In
quel mondo non c'erano stagioni, né il sole splendeva alto
nel cielo
portando gioia e serenità a tutti. Erano tutte stronzate.
Ora
tutto era cambiato.
«
Ehi, ragazzina. Quanto tempo è passato... ».
Mi
voltai, vedendo dietro di me solo la distesa di neve bianca. Il
silenzio invase di nuovo l'aria intorno. Tenni stretta la lancia
nella mano destra, e la lama affilata brillò sotto la luce
del cielo
plumbeo.
Sapevo
difendermi, oramai: non ero più la timida ragazzina con il
vestitino
a fiori e il cestino di primizie, che vagava ingenuamente tra i
boschi. Un fiocco di neve mi sfiorò il viso e cadde sugli
aderenti
pantaloni in pelle, finendo dentro gli stivali. Guardai in alto, ma
dal cielo non arrivava nulla. Mi accorsi che si trattava di un grumo
di nevischio residuo, caduto accidentalmente dall'albero sopra di me.
«
Dannazione. » imprecai, stringendo i denti. E a quel punto mi
scappò
una risatina. « Devi smetterla di farmi queste improvvisate.
».
Nella
mia testa già si confondevano le decine di alternative per
fuggire
da quella situazione spiacevole, nel caso in cui si fosse rivelata
pericolosa: avevo un coltello all'altezza della coscia, tenuto
stretto da una fascia elastica. La lancia era affilata. Nella sacca
che portavo a tracolla c'erano altre utilità, ma ci avrei
messo del
tempo per tirarle fuori. Ma adesso sapevo di non dovermi preoccupare,
nonostante lo spavento iniziale.
«
Lo sai che sono fatto così. » proseguì
la voce, che ora si
distingueva chiaramente dietro di me. Mi voltai.
«
L'apocalisse non ti ha cambiato di una virgola, Peter. »
mormorai, e
lui si fermò finalmente a terra.
«
Scusa. Per la neve, intendo. » disse, posando i piedi sulla
coltre
bianca. Sapevo che era stato lui.
Lo
guardai a fondo, cercando in lui un minimo segno di stanchezza. Ma la
sua espressione era la stessa di quando giocava con le sirene, o si
beffava dei pirati. Un eterno bambino, ma con gli occhi profondi e
consapevoli di un adulto.
Forse
il cambiamento maggiore era stato quello: nonostante tutto, anche lui
era cresciuto un po'.
«
Begli occhiali. » continuai, notando gli occhialoni da
aviatore
simili ai miei, proprio sopra al cappello verde smeraldo.
«
Regalo dei bimbi sperduti. Non chiedermi dove li hanno trovati.
»
mormorò, guardando l'orizzonte.
«
Che ci fai nel mio bosco, Peter? Ci deve essere un motivo, suppongo.
» tagliai corto io, sapendo che non poteva essere
lì per caso. Da
quanto sapevo uno dei bimbi sperduti era gravemente ammalato per via
delle radiazioni, e la sua attenzione era concentrata interamente
verso di lui.
«
Il tuo bosco?
» ripeté lui,
portando le braccia sui fianchi. « da quando in qua si fanno
queste
divisioni? ».
«
Ci sono sempre state. »
«
Non ora. ».
Non
riuscii a rispondere, perciò lo lasciai nel silenzio: aveva
maledettamente ragione. In tutta quella confusione, e con tutti quei
cambiamenti, cosa importava fare distinzioni?
Il
mondo delle Favole era un vero disastro.
«
In che stato è l'Isola ?
» chiesi, cambiando argomento. Speravo si trovasse in
condizioni
migliori rispetto al mio bosco, in cui imperava quel fastidioso
Inverno nucleare da cui non riuscivo ad uscire. Peter poteva volare,
e informarmi di ciò che succedeva all'esterno. Lo vidi fare
una
smorfia.
«
Uno schifo. Le sirene non si vedono da giorni, e questo inizia a
preoccuparmi. E gli indiani si stanno decimando. » rispose
lui,
massaggiandosi le tempie. « Sto andando alla ricerca di una
cura per
Pennino, non voglio che ne muoia un altro. ». Si
alzò in volo, e le
sue orme rimasero impresse nella neve candida.
Sussultai
appena. Guardai in alto, verso di lui, che mi lanciò uno
sguardo
ruvido, scalfito nella roccia. Era davvero cresciuto.
«
L'hai più trovata, la tua ombra? » mormorai,
sapendo di toccare un
tasto dolente. Lui sorrise, amareggiato.
«
Lo sai benissimo, Red. » aggiunse poi, guardando l'orizzonte.
«
l'ombra se n'è andata con lei.
».
Ogni
volta finivamo a parlare di quello. Lo stesso discorso sempre e
ancora e ancora.
«
Non puoi saperlo. Non puoi sapere se è morta davvero.
» ribattei,
stringendo la lancia con forza.
«
Chi, la mia ombra? »
«
No. Sto parlando di Wendy, Peter. E lo sai benissimo. » dissi
con
decisione, guardandolo dritto negli occhi.
Il
dolore si fece vivido nei suoi occhi. « Ognuno di noi ha
perso
qualcosa, Red. E io sono sicuro di averla persa per sempre. ».
Volò
più in alto, fino a raggiungere la cima degli alberi.
« Fai
attenzione, e rimani viva! » gridò, sparendo nel
cielo grigio.
Osservai
le sue impronte impresse sulla neve: Peter aveva perso l'amore, la
gioia. In poche parole, la sua umanità. Per questo la sua
ombra era
sparita, finita chissà dove. Ma mi rifiutavo di credere che
Wendy
fosse morta. Mi rifiutavo e forse questa negazione era sbagliata.
Ma
in fondo aveva ragione, ognuno di noi aveva perso qualcosa in quella
battaglia che era solo all'inizio.
Guardai
il braccio libero, piegando le dita della mano. Sentivo i meccanismi
elettronici sotto la pelle, le valvole e i congegni attivarsi per far
muovere il polso e i polpastrelli.
Avevo
un braccio meccanico perché il mio era stato strappato via
da un
lupo, pochi minuti dopo il mio risveglio. E ancora non riuscivo ad
abituarmici del tutto.
«
Cominciavo a preoccuparmi. » sibilò una voce alle
mie spalle,
sinuosa e calda. Mi voltai.
«
Scusa il ritardo. » mormorai, sorridendo al mio
interlocutore. Lui
avanzò verso di me a passo lento, provocando quel crepitio
che calmò
i battiti sordi del mio cuore.
Ma
in fondo di ritardi, lui, se ne intendeva.
Le
lunghe gambe bianche si uniformavano alla tinta chiara del paesaggio,
contrastando con il panciotto color petrolio e il grande orologio
d'oro che spuntava dalla tasca.
«
E' un piacere rivederti, Red. » rispose lui, sistemandosi i
tondi
occhialetti dalle lenti colorate sul naso rosa.
«
Il piacere è tutto mio, Bianconiglio. ».
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