Capitolo Uno
Mingherlino.
Imberbe. Vagamente
saccente.
Per
quanto si sforzasse – sempre
mai troppo, comunque – Seeley Booth non riusciva a prenderlo
su serio.
Lance
Sweets abbozzò un sorriso
sghembo: - Lei cosa ne pensa, agente Booth?-.
Seeley
abbandonò bruscamente i
suoi pensieri: il ragazzino, quella specie di strizzacervelli di otto
anni, gli
aveva appena fatto una domanda.
-
Come?- borbottò.
-
Cosa ne pensa del punto di
vista della dottoressa Brennan?- disse Sweets, senza smettere di
sorridere.
Booth
capì di essersi perso
qualcosa. Forse un po’ più di qualcosa.
Lanciò un’occhiata supplice a lei, che se ne stava
seduta poco lontana.
Lei,
Temperance Brennan, gli
lanciò un’occhiataccia e non aprì
bocca. Nessun suggerimento, quindi. Booth
sospirò, e tornò a concentrarsi sul viso insulso
di Sweets:
-
Temo di aver perso un … pezzo
della conversazione-.
-
La sua partner sostiene che la
superiorità del sesso femminile arriverà a un
punto tale da rendere inutile
l’accoppiamento tra sessi-.
-
Non … non credo di aver capito
bene-.
-
Sostiene che la riproduzione
umana sarà esclusivamente nelle mani delle donne, Booth.
Nessun bisogno di
maschi. Nessun bisogno di sperma, di accoppiamento-.
Seeley
lanciò un’occhiata
sbalordita a Bones.
Lei
fece le spallucce: - E’ mera
speculazione antropologica, Booth. Ipotesi. Azzardi di previsioni sulla
base di
fatti empirici-.
Lui
scosse la testa, cercando di
non ridere: - E’ ridicolo-.
-
E’ scientificamente ipotizzabile-
replicò lei, sostenendo il suo sguardo.
-
Ridicolo. Come puoi dire cose
simili? Non è possibile, non funziona così-.
-
Non ora, lo so anch’io. Però
potrebbe essere una possibilità. Evoluzione, Booth. Gli
esseri umani sono
cambiati in modi assolutamente imprevedibili, nella corso della loro
storia
evolutiva-.
-
E immagino sia un teoria che ti
affascina, vero, Bones?-.
-
Bè, direi di sì-.
-
Certo, normale che ti
affascini. Zero sesso. Zero coinvolgimenti psicologici. Il maschio
destinato
all’estinzione!-.
-
Non ho detto questo, Booth, e
non c’è alcun bisogno di essere sarcastici-.
-
Non sono sarcastico, dico solo
che è assurdo-.
-
E’ sarcasmo. Hai detto che mi affascina
l’assenza di sesso e di maschi-.
-
Non proprio-.
-
Hai detto così. Ha detto così,
vero, Sweets?-.
-
Adesso non facciamo come a
scuola, per favore …- sbuffò Seeley.
-
D’accordo, basta!-.
La
voce di Sweets sovrastò le
loro.
Silenzio.
Lo
psichiatra li fissò per
qualche istante, la mano alzata in segno di pausa. Booth si
lasciò andare
contro lo schienale, cercando d’ignorare lo sguardo scocciato
di Bones. Lanciò
un’occhiata pigra all’orologio: tra poco avrebbero
potuto sloggiare,
finalmente.
Sweets
prese a battere le mani,
annuendo compiaciuto: - Ottimo, bravi. Avete tirato fuori tutta la
tensione!-.
Temperance
non sorrideva: - E le
sembra molto … molto terapeutico?-.
-Ma
certo!-.
Booth
sbuffò ancora.
Gli
occhi di Sweets si fecero
meditabondi e si fissarono sul suo viso: - Problemi, agente Booth?-.
Lui
sollevò le mani e fece segno
di no.
Non
aveva voglia di discutere:
dopotutto, ancora dieci minuti e sarebbero stati fuori dallo studio di
quel
ragazzino.
Lei
era bella, molto bella.
Seeley
Booth si ricordava di
averlo sempre pensato, fin dal loro primo incontro.
Zigomi
alti, occhi chiari, labbra
scolpite: era bella, Temperance Brennan, e lui non aveva potuto non
notarlo. E
adesso, adesso che dopo la storia del vischio si era fatto tutto
più
complicato, la percezione della vicinanza di lei si era fatta
più acuta,
pulsante: Booth la sentiva a pochi centrimenti, e quelle manciate
d’aria che
separavano i loro corpi – imbrigliati nelle cinture di
sicurezza – erano
niente.
Booth
strinse forte le mani sul
volante e tentò di concentrarsi sulla strada di fronte.
-
Abbiamo bisticciato, prima?-
mormorò Bones, guardandolo con la coda dell’occhio.
Aveva
un gomito appoggiato alla
portiera, un berretto grigio calcato sulla testa, l’aria
pensierosa.
Bella
come sempre.
-
Un bisticcio antropologico,
direi. Quindi non un vero bisticcio- replicò Booth.
Lei
sembrò esitare: - Sai,
nonostante quello che hai detto prima … A me mancarebbe il
sesso. E molto-.
Fissa la strada, fissa la strada.
Seeley
si costrinse a non
guardare Bones. Che cosa avrebbe dovuto risponderle?
Borbottò un banalissimo
“bene”.
Ma
Temperance non sembrava aver
intenzione di esaurire lì il discorso:
-
… il sesso è sesso, e per
quanto le mie ipotesi siano almeno lontanamente presumibili mi
dispiacerebbe
molto non poterlo fare più-.
-
Ho capito, Bones-.
-
Ti dà fastidio che parliamo di
sesso?-.
-
Tu stai parlando di sesso. Io guido
e guardo la strada-.
-
Allora potresti dire qualcosa
anche tu e guardare me, ogni tanto-.
Guardare me.
Booth
strinse ancora il volante:
- Non ho niente da dire-.
-
Booth, non puoi non avere
niente da dire!-.
-
E invece sì, va bene?-.
Temperance
tacque e si girò verso
il finestrino.
Lo
odiava, quando faceva così.
Quando
non faceva lo spiritoso,
il malizioso, il rompiscatole.
Non
l’avrebbe mai ammesso, ma era
quello il Booth che preferiva. Non quello pensieroso e zitto, non
quello che
era diventato dopo il bacio sotto il vischio: scostante, lontano.
Temperance
Brennan gli lanciò un’occhiata veloce, e
d’un tratto fu per l’ennesima volta
consapevole che senza di lui non ce l’avrebbe mai fatta.
L’imbarazzo era
diventato palpabile, tra loro, dopo quello stupido bacio sotto il
vischio, e
questo le faceva un’immensa paura.
Così
come la terrorizzava il
martellante ricordo del calore delle labbra di lui: un ricordo che non
avrebbe
dovuto esserci.
Non
così chiaro, almeno.
Non
così intenso.
Rimasero
in silenzio per un po’.
Le
strade di Washington erano ancora
ingombre di neve, e quei primi giorni di gennaio erano stati davvero
rigidi.
Booth guidava veloce, incurante del ghiaccio che copriva
l’asfalto, gli occhi
fissi davanti a sé e la mente persa nei suoi pensieri.
Pensava a Bones, a
quello che avrebbe dovuto provare, a quello che non
avrebbe dovuto provare. Al fatto che Sweets, più che
sciogliere
la tensione, sembrava stringere sempre di più i nodi che li
legavano e allo
stesso tempo li dividevano.
Sesso,
religione, scienza: Booth
sapeva di essere lontano mille anni luce da Bones su mille cose, ma
conosceva
la donna che divideva con lui le sue giornate quasi meglio di se stesso.
E
mentre Seeley Booth rimuginava
per conto suo, Temperance Brennan lo studiava dall’altro lato
della macchina,
seguendo il suo profilo scolpito, le spalle larghe, gli occhi
pensierosi.
Cos’era Booth, per lei? Non un fratello. Un amico, forse. Non
un semplice
collega.
Un
amico, allora, ma il ricordo
del calore delle sue labbra c’era ancora, vivido e pulsante.
Poi
accadde tutto molto
rapidamente.
Nessuno
dei due ebbe il tempo di
pensare, di accorgersi di nulla.
Un
fuoristrada nero piombò
addosso alla macchina, speronandola dal lato del guidatore.
Seeley
Booth cercò di rimanere
aggrappato al volante, mentre Bones urlava qualcosa, qualcosa che non
riusciva
a capire, e il fuoristrada gli arrivò addosso di nuovo, e il
fragore fu forte,
il muro troppo vicino per essere evitato, i riflessi lenti, il dolore
al fianco
sinistro intollerabile.
Uno
schianto, poi nulla.
Quando
Temperance Brennan riaprì
gli occhi, non era più seduta sul sedile della macchina, ma
sdraiata
sull’asfalto.
Cercò
di rialzarsi, a fatica, vedendo
a pochi passi di distanza l’auto accartocciata.
Non
ebbe il tempo di fare nulla,
di pensare a nulla.
Una
voce risuonò alle sue spalle:
-
Non si muova, cara dottoressa,
o il nostro Booth si ritroverà con una pallottola piantata
nel cervello-.
Brennan
si voltò lentamente e
vide Booth in piedi, una maschera di sangue al posto del viso e una
pistola
puntata alla tempia.
Gli
occhi di lui, affogati nel
dolore, le dissero di non fare niente.
Poi
la dottoressa Temperance
Brennan vide chi aveva parlato, chi stringeva il calcio della pistola.
E
non volle crederci.
Poi
qualcuno la tramortì.
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