Salve a tutti cari lettori!!!!
Perdonatemi il madornale ritarno con cui aggiorno ma,oltre all'università e ad altri
impegni, questi ultimi capitoli non sono stati affatto facili da sfornare! Eccoci comunque qui, questa storia è giunta
ad una conclusione e una lacrimuccia scende, soprattutto perchè ormai sono
quasi due anni che vi lavoro. Volevo ringraziare tutti coloro che mi hanno
supportato, la mia sister Sax, Joliet, JakeandElwood, tutti coloro che leggono,
che recensiscono, che recensiranno. Un grazie in particolare a questo cult
movie che accompagna la mia vita, a Dan Aykroyd e John Belushi semplicemente
per aver dato vita a questa meraviglia su pellicola, alla grande famiglia della
blues brothers tribùte band che mi infonde energia ad ogni loro concerto!
30. Un posto riservato ad un cappello nero e
a degli occhiali scuri
Attimi,
suoni cullati dal vento ed ombre posate sul muro.
Un
carillon risuonava nella piccola stanza dalle pareti bianche, con una piccola
culla al centro; la finestra aperta, faceva passare il vento che suonava la sua
melodia con esso, mentre i raggi del sole accarezzavano la giostrina
proiettandola sul muro.
Suoni
che sfumarono quando la brezza di fine febbraio cessò; suoni che sfumarono, il
bimbo sarebbe dovuto nascere attorno al 20 di marzo e già sembrava che Chicago
lo richiamasse, già sembrava che Chicago volesse conoscere quel nuovo Blues che
sarebbe arrivato in città.
Da
quando Jake se ne era andato le giornate non erano più le stesse, ogni membro
della vecchia banda si era rifatto una vita, quasi tutti avevano lavori
rispettabilmente allegri, dico quasi perchè Faboulous, non aveva un lavoro così
felice, lavorando come becchino, io avevo il mio posto fisso al bar ed Elwood
lavorava come meccanico in un'autofficina di Calumet City. Ci si ritrovava a
suonare ogni tanto, durante qualche weekend, suonando al mio pub o in altri
locali dove la nostra fama, nonostante il tempo passato, era ancora grande. La
blues brothers band era ancora viva in città.
Da
quando Jake se ne era andato era passato quasi un anno, ancora faticavamo a
crederlo possibile, ma quando ti ritrovavi di fronte una fredda lapide grigio
scura tornavi a fare i conti con la realtà, anche se le parlavi come se davanti
avessi lui in carne ed ossa.
Da
quando Jake se ne era andato, la nostra visita al cimitero era un fattore
quotidiano e non poteva essere altrimenti.
Da
quando Jake se ne era andato, la vita era un pò meno movimentata, io ed Elwood
abitavamo nel mio vecchio appartamento e gli avevamo dato una sistemata, dato
il nuovo arrivo nel mio grembo. Stavamo per diventare genitori, un'emozione
indescrivibile quando ne venimmo a conoscenza. Una famiglia nostra, una
famiglia vera e propria, due canaglie che avevano vissuto una vita di alti e
bassi, tra marachelle e galera, due orfani che ora divenivano mamma e papà. Era
un arrivo inaspettato quello di quel piccolo blues, un punto di partenza per un
nuovo inizio, nuovi sorrisi in quel mese di Marzo per noi così nero da quel
fatidico giorno.
Famiglia,
dei tre anni vissuti con i miei genitori ho sempre avuto ricordi vaghi, se non
alcuni sorrisi che mi riportavano alla mente piccole cose quotidiane, piccoli
ricordi lontani. Famiglia, un termine che, sia a me che ad El, ha sempre fatto
riflettere. Due orfani come noi sarebbero stati in grado di affrontare
l'avventura dell'essere genitori? Cosa fare, come agire, ci si riuscirà? Riflessioni, pensieri e domande che sparirono
quando la notizia ci avvolse, quando la felicità ci avvolse, quando tutto
divenne reale.
Il
grembo che cresceva di giorno in giorno, di mese in mese, era la risposta a
tutte quelle domande che ci eravamo poste, perchè non è importante chi sei, la
vita che hai fatto, il tempo passato o il tempo presente, un bambino è una
nuova partenza, una nuova vita che si unisce alla tua, alla nostra, perchè
tutti possono dare vita ad una famiglia e noi l'avevamo già fatto, anche se in
maniera un pò diversa: eravamo famiglia quando c'era Jake, quando eravamo
all'orfanotrofio, con la banda, tanti piccoli rami legati ad un tronco che ora
generava una nuova strada, un nuovo ramoscello da accudire e stavolta con le
nostre sole forze.
Era
una giornata in cui il freddo la faceva da padrone nonostante l'inverno fosse
giunto quasi al suo termine, ma nessuna condizione ambientale ci avrebbe
fermato nell'andare a salutare il nostro fratellone. Era passato quasi un anno
da quel giorno in cui tutto era precipitato nell'oblio ma, anche se ora
aspettavo un bimbo, avevamo entrambi un lavoro ed un bell'appartamentino, le
cose non erano poi così cambiate e quella divisa che era un pò come la nostra
seconda pelle era ancora parte del nostro abbigliamento quotidiano, per Elwood
soprattutto, perchè lui non aveva problemi di pupo in pancia, anche se aveva
messo su qualche chilo.
Il
silenzio del viale alberato del cimitero accompagnò i nostri passi, mano nella
mano, fino al luogo di sepoltura di Jake. Una lapide grigio scura ad
attenderci, un cappello nero posato sopra ad un angolo di essa, qualcuno lo
aveva lasciato in ricordo. Sorrisi lievi scambiati tra noi, prima di iniziare
quel dialogo quotidiano con un fratello ormai lontano, ma mai così tanto
vicino.
-
Un cappello nero a dimostrare la tua presenza - commentai accarezzando
quell'indumento, come se fosse stato davvero il suo - un gesto da parte della
tua Chicago, che dedica ogni nota di blues suonata per le strade a te -.
-
Già, manchi davvero a tutti, bello! - soggiunse Elwood, passandomi le braccia
attorno alla vita e accarezzando lento il grembo - Tanto che la città sembra
impaziente di vedere zompettare il tuo omonimo per le sue vie - aveva sempre un
tono di rammarico quando parlava con il fratello tramite quella fredda lapide,
un tono che di giorno in giorno diveniva però più saldo, più sicuro.
-
Non potevamo non chiamarlo come te, alla fine, scalcia che è una meraviglia e
se va avanti così, credo proprio ricalcherà le orme dello zio su un campo da football - ammisi a
mia volta, accarezzando le mani di El sul mio ventre, sorridendo a quel nome
inciso sulla pietra fredda.
-
Jake Junior Blues, un JJB proprio come lo zio e so che ti stai chiedendo il
perchè di quel junior, ma credo che tu sappia già la risposta... Di boss ce ne
è uno e non si nasce Joliet Jake tutti i giorni - qualche tempo prima un'uscita
come quella Elwood non l'avrebbe mai fatta, l'avrebbe dovuta meditare, avrebbe
avuto bisogno dei suoi tempi ed ora, invece, eccoci qui, nero su bianco, a
parlare con un fratello scomparso si, ma sempre presente; a parlare con lui
come se stessimo vivendo le nostre vecchie e classiche discussioni, le nostre
vecchie e classiche chiacchierate davanti ad un pranzo, ricordi che vivevano
ogni giorno.
-
Io qui ti saluto fratellone, tu ed Elwood avete bisogno di scambiare le vostre
quotidiane chiacchiere da uomini e il pupetto ha iniziato a scalciare, fai il
bravo ai piani alti, mi raccomando - feci il segno della croce e lasciai un
bacio sulla mano, prima di posarla sulla lapide in segno di saluto - ti aspetto
in macchina, signor B - sussurrai poi ad El, lasciandogli un leggero, ma
sentito, bacio sulle labbra prima che potesse obbiettare e mi avviai verso
l'uscita.
Il
freddo iniziava a farsi sempre più pungente e con il bimbo che scalciava non
era bene stare troppo in piedi, ma non lasciai Elwood da solo con Jake per
questo, i due fratelli avevano bisogno di parlarsi da soli, in privato ed il
vento mi ringraziò, accompagnandomi alla bluesmobile avvolta in un abbraccio
fraterno.
********
Guardai
Ziggie incamminarsi per quel viale alberato percorso insieme poco prima e
sospirai, ma aveva ragione, quello era il tempo per la chiacchierata tra soli
uomini, tra fratelli e avevo una cosa importante da comunicare a Jake, un
pensiero che aveva atteso troppo tempo prima di divenire decisione.
-
Ancora qualche settimana e diventerò papà, ci credi? Una canaglia, un
quarantenne plurirecidivo che terrà in mano un frugoletto, che diventerà
genitore, un ruolo che non ha mai conosciuto durante la sua vita - presi fiato
e mi appoggiai con la schiena all'albero poco dietro di me - io ancora non ci
credo, è solo guardando Ziggie e il suo ventre che cresce di giorno in giorno
che me ne capacito - non era facile trovare le parole adatte, era uno sfogo
quello, era quanto non avrei detto a nessun'altro all'infuori di lui, erano le
parole di un uomo che stava affrontando un nuovo inizio. - Sai... non ho mai
creduto nel fattore famiglia, conosci meglio di me le volte che hanno tentato
di addottarmi e il risultato fallimentare di queste e i vari perchè... Ciò che
si avvicinava di più a quest'idea eravate tu, Curtis, la Pinguina, la Banda e
Zig... Ed è in questi ricordi, in questi attimi vissuti con Ziggie da quando
sono uscito di galera, nel semplice gesto di venire qui tutti i giorni, nel
semplice gesto di sistemare casa, di comprare un lettino per il bimbo, che
risiedono i mattoni per creare quanto non ho mai avuto e conosciuto... Lo so
come la pensi, bello! E' come se la tua voce risuonasse nel dirmi che devo
riflettere, che quanto sto per dirti è un vincolo che reclude la libertà, ma
penso che saresti d'accordo con me nel sostenere che nulla è peggio del
carcere... Nulla è peggio dello stare lontano da un fratello con il quale avevi
discusso... Nulla è peggio dello stare lontano dalla tua donna per anni... E
quando esci da quella realtà, il mondo ti viene incontro con tutte le mancanze...
Conosci bene anche tutta la storia con Ziggie, il nostro distacco, le nostre
riprese, basi che si sono saldate nel corso del tempo e che ora vorrei
crescessero di più: un bimbo, una casa... Una moglie - feci una pausa di
silenzio, piuttosto lunga. Avevo bisogno che quelle parole uscissero fuori, un
riscontro con Jake e una presa di coscienza - Si, bello! Hai capito bene... Mi
sposo! - gli comunicai con un leggero sorriso, staccandomi dal tronco dietro di
me e posando su quella fredda lapide una mano, come se quella fosse la spalla,
che stringevo per incoraggiarlo, un saluto giornaliero prima di voltare le
spalle. Mi fermai, però, dopo pochi passi, voltandomi di nuovo verso di lui e
verso quel copricapo in nero all'angolo - Dimenticavo... Il posto del testimone
è riservato ad un cappello nero e a degli occhiali scuri, che tanto ci mancano,
ma che non sono mai stati così vicini -.