My last thought goes always to you

di Hilary Anne Carstairs
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Quando fui colpito dalla spada un dolore lacerante passo attraverso il mio corpo, perché ero stato cosi stupido da andare con Valentine? Perché stavo facendo quella fine a causa sua?
Non riuscivo a darmi una risposta nemmeno allora, nemmeno mentre il mio cuore stava cedendo. Ed io ero sicuro che il mio cuore stava cedendo. Ero uno shadowhunter, un cacciatore. Ero stato addestrato a sapere cosa mi capitava in qualunque momento, specialmente durante la battaglia, ed il colpo che mi era stato inferto al cuore era troppo forte perché non mi fosse fatale.
Caddi in ginocchio tenendomi una mano sul petto cercando di tenere la ferita chiusa.
In quell’istante rividi tutto come l’avevo vissuto.
Ero piccolo, molto piccolo, quello era il mio primo ricordo, era ancora vivo mio nonno Owen, non l’avevo conosciuto cosi bene, quando ero piccolo aveva perso la vita.
Mi guardavano tutti con un sorriso sul volto, mio padre e mia madre mi tenevano in braccio e lui con voce felice ed uno sguardo radioso guardo gli altri parenti ed annuncio il mio nome
« Vi presento nostro figlio, il suo nome è Stephen. Stephen Herondale. »
Un vortice di colori ed ero un bambino, fra le mani avevo la foto di una coppia con due bambini in braccio. Lui aveva gli occhi azzurri come i miei, mentre la donna che gli stava accanto e guardava lui e i due bambini con uno sguardo pieno d’amore li aveva grigi come le nubi che incontrano le montagne, sicuramente lei era la moglie e i due bambini erano i loro figli.
Lei con stupendi occhi azzurri e capelli castani identici a quelli della madre, lui con i capelli neri come quelli del padre e occhi di un bellissimo ma particolorassimo colore dorato.  A pensarci ora quegli  occhi sono dello stesso colore di quelli di Celine.
Mio padre si era avvicinato a me e mi aveva raccontato che quelli raffigurati nella foto erano suo nonno James e sua sorella Lucie insieme ai loro genitori, William e Theresa Herondale.
William… William era anche il mio secondo nome, doveva essere stato un grande uomo perché mio padre e mia madre decidessero di darmi il suo nome.
Ed eccomi in un nuovo momento, ero nella mia stanza nella casa di famiglia nello Yorkshire, dovevo avere poco più di nove anni in quel momento, era il funerale di mio nonno Owen, indossavo gli abiti bianchi del lutto e non riuscivo a fare altro che piangere. Era sempre stato uno dei miei punti di riferimento il nonno però poi era morto.
Quel giorno ero rimasto davanti al laghetto che solo quella volta era vuoto, nessun’anatra cercava di prenderne possesso. Una donna castana si era avvicinata a me e con le lacrime agli occhi mi aveva donato un pugnale con le mie iniziali e dopo avermi dato un bacio sulla fronte se n’era andate.
Mia nonna, Tessa. Lei è l’unica ad essere ancora invita.
Tutto si arrotolò come per creare un’altra scena, qualcuno mi chiamava dicendomi di aspettare, mi voltai per vedere chi fosse e lei per poco non mi cadde addosso, bellissima come era sempre stata.
Il suo viso era circondato da un mare di ciocche ondulate, ma nonostante ciò riuscivo sempre a guardarla negli occhi, in quegli occhi che amavo cosi tanto.
Gli occhi della mia Amatis.
Quante volte avevo immaginato un futuro per noi? Avevo immaginato che saremmo stati insieme per sempre e che avremmo avuto tre bellissimi bambini che avrebbero  ereditato la sua straordinaria bellezza.
Quando lei aveva accettato di sposarmi per me era stato un sogno, avevo creduto che tutti i miei sogni si sarebbero avverati.
Fu in quel momento che la mente mi riportò al nostro matrimonio, lei ed il suo abito dorato mi avevano quasi fatto collassare la prima volta che l’avevo  vista nella sala degli accordi.
Ma purtroppo non era andata come io desideravo, non per colpa sua. Per colpa mia, per colpa della mia vigliaccheria.
Mi si affollarono nella mente i ricordi del circolo, veloci e dolorosi. Tutti i miei errori venivano a vendicarsi tornando proprio nei miei ultimi istanti.
Scivolai su un fianco e caddi steso a terra con tutti gli altri che si muovevano verso di me.
Ma io non riuscivo a vederli, vedevo Celine, mio padre, mia madre, la mia Amatis.
Sarebbero rimasti distrutti dalla mia morte. Tutti quanti.
Celine.. Mio figlio.
Mio figlio.
Lui doveva sopravvivere, Amatis gli avrebbe dato la lettera che gli avevo scritto.
Speravo solo che lui non sarebbe diventato come me, che avrebbe pensato ad essere felice invece che ad accontentare gente come Valentine.
E in quell’ultimo istante fu proprio lui che vidi, o meglio fu un ragazzo giovane, biondo con occhi di quello straordinario colore dorato che aveva James Herondale.
Mi sorrideva spavaldo, con quel tipico comportamento degli Herondale.
Con quella visione negli occhi morii. Infondo non fu una morte cosi triste.  Avevo potuto vedere lui.
Apro gli occhi lasciandomi scivolare addosso i ricordi della mia morte.
Se c’è una cosa che ho imparato è che ricordare è soltanto doloroso.
Sono passati quasi diciotto anni da quando sono morto ormai, e infondo qualche lato positivo nella mia situazione c’è, puoi ritrovare le persone care morte e puoi controllare che quelle ancora in vita stiano bene.
Attorno a me c’è l’intera mia famiglia, Celine è appoggiata alla mia spalla mentre le accarezzo con dolcezza la testa. Siamo tutti concentrati a guardare la stessa persona. L’unica che infondo ci accomuna tutti.
Nonostante tutto so che un giorno lo riabbraccerò e spero che lui mi accetterà come suo padre, anche se capirei se non lo facesse.
Voglio solo che sappia che io sono fiero di lui.
Perché infondo mio figlio è diventato esattamente il tipo d’uomo che io sarei voluto essere.
E vi ringrazio ogni giorno Robert e Maryse per esservi  occupati di lui.
Io e Celine faremo  lo stesso con Max, finché non lo riabbraccerete voi lo cureremo come se fosse nostro figlio.




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