ASUKA E SHINJI
LONDRA 2025
Era una fredda giornata
invernale, il cielo era nuvoloso e ogni tanto si sentiva da lontano il rombo di
un tuono. L’umidità era tale che le strade, i marciapiedi e i palazzi erano
bagnati come se avesse piovuto.
Shinji e Asuka erano nel loro
appartamento. La ragazza stava allattando un bambino e nello stesso tempo
controllava davanti ad uno specchio un abito corto in due pezzi di colore rosso.
Shinji invece stava decidendo tra
vari sparititi quale avrebbe suonato: era indeciso tra Verdi e Bach.
Il loro appartamento era arredato
in modo molto semplice e insieme raffinato. C'erano molti quadri appesi alle
pareti, mentre sui mobili erano posate molte foto in una cornice d'argento. E
tutte quelle foto riportavano lo stesso soggetto: mostravano Shinji e Asuka in
abiti nuziali davanti ad una chiesa, sia da soli che circondati da una piccola
folla festante, tra i quali si riconoscevano anche Misato, Kaji, Ritsuko e altri
volti amici.
Il giorno del loro matrimonio, il
primo dei due giorni più importanti della loro vita.
Mentre controllava uno dopo
l'altro gli spartiti, Shinji disse rivolto alla moglie: “Asuka, scusa se te lo
dico, ma non credo che dovresti indossare un abito del genere per il tuo
appuntamento”.
“E perché scusa?”
“Beh” Shinji sorrise “il tuo
corpo è stupendo, ma se gli lasci vedere troppo a quello, la parte te la darà
senza preoccuparsi di capire se sei veramente in grado di recitare. E tu hai
detto di voler diventare attrice grazie al tuo talento e non solo per la tua
bellezza”.
“Mmm, dimmi una cosa: non è che
sei geloso?” gli domandò Asuka sorridendo maliziosa.
“Ma che stai dicendo?!” Shinji
arrossì.
“Ah ah, sei diventato rosso. Ma
non preoccuparti, sono abituata a sentirmi gli sguardi degli uomini addosso e
riesco a capire quando credono in me e quando invece mi considerano la classica
oca che sperano di portare a letto per poi scaricarla il giorno dopo. D'altronde
ho già fatto l'esperienza in passato. Ormai ho deciso comunque, indosserò
quest'abito”.
“Già, lo so che tu vuoi indossare
di tutto” rispose Shinji, che in quel momento si ricordò per questo particolare
anche il giorno della nascita del bambino, il loro bambino. Leonard.
Allora però non sapevano se
sarebbe stato un maschio o una femmina, Asuka e Shinji decisero di mantenere la
sorpresa e scelsero i nomi: Leonard se maschio, Sarah se femmina.
Shinji quel giorno era andato ad
un audizione del grande concertista Nicholas Luther perché sperava di poter
parlare con lui in modo che gli desse consigli su come entrare nel mondo della
musica classica. Shinji in realtà avrebbe preferito partire da zero, fare la
gavetta, ma con un figlio/a in arrivo e Asuka impossibilitata a trovarsi un
lavoro a causa della gravidanza, toccava a lui trovare i soldi per mandare
avanti la famiglia.
“Ecco una delle responsabilità
tipiche dei mariti” pensava il ragazzo, in attesa di entrare nel camerino del
maestro Luther conclusa l’audizione.
Asuka era rimasta a casa, con lei
c’era la signora Nancy Aret, una vispa e allegra donna di sessant’anni che
abitava nell’appartamento di fronte al loro e si era offerta di accudire la
futura mamma quando non c’era Shinji.
La signora Nancy era simpatica e
anche generosa. Infatti non pretese un soldo da loro. Shinji gliene aveva
offerti per ripagarla del disturbo (contando pure il fatto che Asuka, con il suo
caratteraccio, voleva essere indipendente a tutti i costi e quindi sbrigare
faccende domestiche, andare in giro a far compere, ecc, quando mancava poco al
parto. Probabilmente era un modo per scaricare la tensione, e a volte era
davvero insopportabile), ma la signora non ne volle sapere. “Siete troppo
simpatici” rispondeva Nancy. Aveva stupito Shinji e Asuka per la sua generosità
disinteressata, cosa rara ormai.
Comunque il giorno del colloquio
con il maestro Luther era arrivato, Shinji era molto emozionato, però pensava
sempre ad Asuka, soprattutto adesso che mancavano pochi giorni al parto. Lui
sarebbe voluto restare sempre con la moglie in questo periodo, ma Asuka non
voleva essere un peso per la carriera del marito e quindi gli disse, anzi gli
ordinò di andare da Luther quel giorno. Se succedeva qualcosa, cellulare a
portata di mano.
“Signor Ikari” lo chiamò un
inserviente “il maestro Luther la può ricevere”.
“A-ah si, grazie” rispose Shinji
che si avviò verso il suo camerino.
Quando entrò vide Luther che si
stava sistemando il soprabito davanti ad un grande specchio, seduto su uno
sgabello girevole. Luther era davvero imponente, doveva essere alto quasi un
metro e novanta, l’aspetto austero, i capelli castani, gli occhi azzurri e la
carnagione lattea. Caratteristiche tipicamente britanniche. Aveva fama di uomo
severo e insieme giusto.
Shinji si sentì un nano vicino a
lui.
Luther si voltò e gli disse:
“Venga pure giovanotto. Si sieda qui” e gli indicò una sedia in legno vicino a
lui.
Shinji titubante si sedette e
attese che il maestro iniziasse la discussione.
“Allora giovanotto. Se non
sbaglio lei mi aveva contattato per avere consigli sul modo giusto di muoversi
nel mondo della musica classica, giusto?”
“Ehm, s-si”.
“Uhm, non mi sembra molto sicuro
di se. Questo è male sa? Se non si riesce a vincere la timidezza, quando si sale
sul palco, non si potrà mai trasmettere la propria energia vitale alla musica”.
“Come scusi?”
“Si ragazzo. Quando stai suonando
qualcosa, devi trasmettere la tua energia vitale, la tua forza interiore nella
musica che scaturisce direttamente o indirettamente da te. Solo cosi la renderai
trascinante, viva e non un mera accozzaglia di suoni, come fanno alcuni
concertisti moderni che si definiscono maestri e vengono cosi definiti dai
cosiddetti critici. Sordi che giudicano altri sordi”.
Nel dire queste cose Luther
sembrava essersi eccitato, ora dava del tu a Shinji, le sue parole avevano
svelato la grande passione per la musica che lo aveva reso famoso.
“Capisco…” annuì Shinji.
“Bene. Ma devi sapere che questo
discorso è inutile se tu non hai veramente talento. Se non sei in grado di saper
suonare veramente, non ci sarà consiglio al mondo in grado di aiutarti. Perciò,
fammi sentire cosa sai fare”.
Detto questo si alzò e prese da
un armadio dietro di lui un violoncello, porgendolo a Shinji che lo fissava
stupito.
“Nella tua telefonata avevi detto
di essere un violoncellista no? Forza, un brano a scelta”.
Shinji lo fissava stupito, era
evidente che Luther aveva già previsto tutto e probabilmente quella di Shinji
non era la prima volta che un giovane esordiente andava da lui.
Shinji si fece coraggio, prese lo
strumento e attaccò la prima parte del “Flauto Magico” di Mozart.
Cercò di suonarla il meglio
possibile, mentre il maestro Luther ascoltava con espressione impenetrabile, gli
occhi chiusi, impossibile capire se approvasse o no la prestazione di Shinji.
Dopo qualche minuto gli fece
cenno di smettere, Shinji cessò la musica e rimase fermo come un sasso, in
attesa del giudizio del maestro.
Luther tenne gli occhi chiusi
ancora per qualche momento come se riflettesse, poi li aprì e disse: “Sarò
sincero con te ragazzo. Per la maggior parte del tempo, hai suonato in modo
orribile. La tua musica andava bene tecnicamente, ma era priva di anima”.
Nel sentire questo Shinji si
sentì sprofondare, e pensava soprattutto alla delusione che avrebbe arrecato ad
Asuka quando le avrebbe detto di aver fallito.
“Però” continuò Luther “c’è stato
un momento in cui mi sei piaciuto davvero molto, hai reso la musica viva”.
“Davvero?” Il viso di Shinji si
illuminò.
“Si, non montarti troppo la testa
comunque. E’ ancora da stabilire se è stato vero talento o solo un caso. Ma la
speranza esiste, senza dubbio. Ora…”
Squillò il cellulare di Shinji,
il ragazzo si scusò col maestro e rispose: “Pronto? Oh, è lei signora Nancy.
Cosa succ…”
Shinji si bloccò, Luther fissò
incuriosito l’espressione del ragazzo, in cui si mescolavano stupore,
agitazione, paura e gioia.
“Ma perché me l’ha detto solo
adesso? Capisco. Si, vengo subito”.
Shinji sembrava sul punto di
scoppiare per l’emozione: “M-maestro, mi perdoni, s-sono mortificato, ma ecco…”
“E’ successo qualcosa?”
“E’… è mia moglie, s-sta per
partorire, è già all’ospedale e… e…” Shinji si agitava sulla sedia come se fosse
seduto su delle spine.
“Non preoccuparti” lo
tranquillizzò il maestro sorridendo per la prima volta “vai pure da lei. So
quanto è importante la famiglia. Ci vediamo qui dopodomani alle sei, d’accordo?”
“Oh si, la ringrazio
infinitamente” rispose Shinji alzandosi.
“Figurati. Fai i miei auguri alla
neo-mamma”.
“Senz’altro” Shinji schizzò fuori
dal camerino e corse in strada per prendere un taxi.
Lo trovò subito, si infilò dentro
e disse all’autista: “Presto, all’ospedale di St. Mary. E’ un emergenza!”
“Subito signore” rispose
l’autista partendo.
Shinji fremeva sul sedile del
taxi, avrebbe voluto avere la capacità di teletrasportarsi per andare
immediatamente da sua moglie Asuka.
Le doglie erano arrivate una
mezz’ora fa, Asuka era stata subito accompagnata dalla signora Nancy
all’ospedale situato li vicino (uno dei motivi per cui avevano scelto quell’appartamento),
ma Shinji fu avvertito solo allora perché Nancy non riusciva a prendere la
linea.
Ora però il grande momento era
arrivato e Shinji non poteva mancare, anche perché, conoscendo Asuka, lo avrebbe
sicuramente voluto al suo fianco.
“Ma quanto ci mette insomma!”
gridò Shinji all’autista. Certo il ragazzo non era un tipo scorbutico, anzi, ma
l’agitazione lo dominava.
“Mi dispiace signore, ma siamo
finiti in un ingorgo” rispose l’autista.
“Maledizione!” disse Shinji, che
diede una decina di sterline all’autista, scese dal taxi e si avviò a piedi di
corsa.
L’ospedale distava solo uno o due
isolati, ne poteva quasi intravedere il tetto.
Shinji corse lungo il
marciapiede, evitando per un pelo le persone che camminavano. Però andò a
sbattere contro un uomo che portava delle buste mandandogliele per aria. Shinji
non si fermò, gli disse solo: “Mi scusi” senza voltarsi, mentre quello gli
lanciava imprecazioni in inglese.
Ad un tratto vide che il
marciapiede era bloccato da un incidente, un auto finita contro un lampione per
colpa del classico ubriacone. Era la causa del ingorgo. Di li non si passava.
Shinji non si perse d’animo,
corse in mezzo alla strada e cominciò a saltare sopra i cofani delle macchine
tutte affiancate tra loro.
Shinji riuscì cosi a raggiungere
l’altro marciapiede, oltrepassò il luogo dell’incidente, e tornò al marciapiede
di prima di nuovo passando sopra le macchine. Sia la prima che la seconda volta,
il passaggio di Shinji fu accompagnato da un coro di insulti in inglese.
Finalmente raggiunse l’ospedale
ed entrò, andò alla reception e si precipitò davanti ad un infermiera dietro il
bancone: “Mi scusi…” iniziò Shinji, ma l’infermiera gli fece cenno di attendere
perché stava parlando al telefono.
Shinji aspettava tambureggiando
con le mani impazientemente sul bancone e riprendeva fiato dopo quella corsa.
Quando l’infermiera attaccò il
telefono, disse: “Desidera?”.
“Una ragazza… si chiama Asuka
Soryu Ikari… è stata ricoverata una quarantina di minuti fa… doveva partorire”.
“Ora controllo” rispose
l’infermiera mettendo mano ad un computer.
“Signor Ikari. Finalmente” lo
chiamò una voce femminile alle sue spalle. Lui si voltò e vide la signora Nancy.
“Signora Nancy. E’ lei” rispose
il ragazzo andandole incontro.
La signora Nancy era bassa di
statura, ma aveva una faccia larga e piacevole, e un bel sorriso.
“Un maledetto ingorgo stradale mi
ha rallentato. Dov’è Asuka?”
“Al piano di sopra. Ora che è
arrivato potremo finalmente procedere”.
“Perché? Le è successo qualcosa?”
chiese Shinji allarmandosi.
“No… è che… credo sia meglio che
guardi con i suoi occhi” e si avviarono verso l’ascensore con passo affrettato.
Nel corridoio antistante la sala
parto, c’era un putiferio, un gruppo di medici e infermieri erano intenti a
bloccare una paziente piuttosto turbolenta. Asuka naturalmente.
“Per piacere signora Ikari. Si
calmi e ci lasci procedere” la implorò un dottore.
“No” gridò furente la ragazza
“senza Shinji io non mi muovo da qui. Ho bisogno di lui”.
“Ma ormai nascerà tra poco…”
“Non cosi presto. Me lo sento.
Posso aspettare altri cinque minuti che arrivi Shinji”.
Asuka indossava un camice bianco,
era sdraiata su una barella, ma con un braccio si teneva con forza alla maniglia
di una porta. E calciava chi cercava di allontanarla. Shinji aveva ragione,
Asuka non voleva partorire senza essere assistita da lui.
Shinji uscì dall’ascensore e
assistette allibito a quella scena.
Subito intervenne: “Asuka sono
qui!”.
“Shinji, sei arrivato!” disse la
ragazza contentissima e lasciando finalmente la maniglia di quella porta.
I due ragazzi si abbracciarono,
mentre il dottore sollevato disse: “Bene, la sala parto è pronta. Faremo subito
l’anestesia”.
“Anestesia? Vuole fare il
cesareo?” chiese perplessa la ragazza.
“Si. Cosa c’è che non va?”
chiesero insieme Shinji e il medico.
“Niente cesareo. Voglio il parto
alla vecchia maniera”.
“Cosa? Ma Asuka, che dici?”
“Senti, io voglio fare l’attrice,
lo sai, e se mi fanno il cesareo mi ritroverò un orribile cicatrice sulla
pancia, e dovrò per forza indossare solo abiti che coprano tutto. Per me sarebbe
un handicap, perciò parto naturale”.
Shinji sapeva che Asuka teneva a
questo bambino quanto lui, e che se avesse molto insistito l’avrebbe convinta.
Ma in fondo l’importante era che il bambino o la bambina nascesse. Non importa
come. E poi Asuka era una donna forte.
“Va bene. Procediamo” disse
Shinji al dottore.
“D’accordo. Facciamola finita”
rispose il medico.
Tutti entrarono nella sala parto,
a Shinji fu dato un camice da ospedale, guanti e una mascherina.
La signora Nancy rimase fuori.
Arrivato a questo punto Shinji
aveva difficoltà a ricordare, perché i ricordi di quei momenti erano molto
confusi. Tanta era l’agitazione di quegli attimi e talmente era concentrato sul
figlio che doveva nascere, che per tutto il tempo il ragazzo rimase in una
specie di stasi. Ricordava bene però Asuka che gli stringeva fortissimo la
mano, diceva di continuo il nome del marito per darsi coraggio, e infine il
dottore che, dopo aver reciso il cordone ombelicale e averlo lavato, dava il
bambino in braccio a sua madre, avvolto in una coperta blu, dicendo:
“Congratulazioni. E’ uno bellissimo maschietto”.
Asuka lo prese in braccio, lo
guardava come se fosse un tesoro per lei. E lo era.
Anche Shinji lo guardava, e
cominciò a piangere per l’emozione.
Era diventato padre. Proprio lui,
il piccolo e timido Shinji Ikari era diventato padre. Era un uomo adesso. E
sperava tanto di diventare, sia come genitore che come uomo, migliore di suo
padre Gendo.
“Perché piangi stupido?” domandò
Asuka sempre cullando il bambino. Ma anche lei piangeva per la gioia.
Non c’era niente di più bello del
diventare genitori. Quale responsabilità certo, ma anche quale felicità.
“Visto che è un maschio, allora
lo chiameremo Leonard. Va bene?” chiese commosso Shinji alla moglie.
“Certo. Leonard, il nostro
bambino”.
I due si baciarono.
Questo accadeva due mesi fa.
Ed era stato questo il secondo
dei giorni più importanti per loro.
Ma ora, nel giro di due mesi
appena, era tutto cambiato. L'audizione di Shinji avvenuta il giorno successivo
al parto era andata benissimo, Luther gli aveva permesso di partecipare ad un
concerto all'opera di Londra, dove Shinji, nonostante l'emozione, aveva suonato
in maniera sublime l'Inno alla Gioia di Beethoven. Aveva ottenuto ben venti
minuti di applausi, e tra il pubblico c'erano anche Misato e Ritsuko con i loro
mariti Rioji e Koshiro e i suoi vecchi amici Toji e Kensuke con le rispettive
consorti. Anche i tre operatori Hyuga, Ibuki e Aoba, questi ultimi due sposati,
erano presenti.
Tutti entusiasti per lui.
Quel concerto aprì a Shinji le
porte del successo nel mondo della musica classica, ma anche ad Asuka le cose
andavano bene per il suo desiderio di fare l'attrice. Dopo aver dato uno
schiaffone di quelli titanici al primo produttore che la ricevette, appunto
perché la considerava la classica oca da portare a letto e scaricare il giorno
dopo, Asuka accettò l'offerta di una giovane produttrice indipendente di girare
una economica commedia dark. La quale si rivelò a sorpresa un successo clamoroso
in Inghilterra. In pochissimo tempo Asuka divenne una delle attrici emergenti
più richieste, nei successivi incontri con i produttori era lei a dettare le
condizioni, dimostrando di avere un ottimo senso per gli affari e di saper fare
scelte oculate.
Entrambi i ragazzi avevano
raggiunto i loro obiettivi, ma l'obbiettivo per loro più importante era quello
di riuscire a diventare una famiglia.
E anche in questo erano riusciti.
Soprattutto in questo.
FINE
|