A place in the world.
«Ho paura, Spock», rantola con fiato mozzato «Aiutami a non
averne».
Socchiudi gli occhi, quasi volessi proteggerti da quelle
parole. Hai giurato a te stesso che non avresti mai più provato sentimenti
tanto forti, che mai più avrebbero avuto così tanta influenza sul tuo
temperamento, eppure ti ritrovi ancora una volta nella stessa situazione. E
stavolta non c’è alcuna fusione mentale che possa giustificarti.
«Come riesci a non provare niente?».
La domanda fa male come un colpo di faser
in pieno petto e tu scuoti la testa; il fiato comincia a mancare anche a te e
la testa minaccia di scoppiare.
«Non lo so come faccio…». Ti rendi appena conto di avere la
sua stessa voce spezzata, le lacrime che minacciano di scendere – che gran
Vulcaniano sei al momento. «E ora non ci sto riuscendo». Brevissimo barlume di
logica che chiarisce la situazione senza apportare altro beneficio che la
sterile consapevolezza.
«Voglio che sappia perché non l’ho lasciata morire. Perché
sono tornato per lei...».
No, Jim…
Vorresti impedirgli di parlare, mentre il dolore aumenta,
spezza il fiato e ti impedisce di vedere chiaramente. Senti di non poter
sopportare oltre quelle sensazioni, di essere arrivato al limite, di voler solo
sparire, smettere di sentire. Avere
pace.
«Perché è mio amico». Come se non conoscessi la risposta. Come
se la tua somma logica – e soprattutto la tua conoscenza del sentimentalismo
umano – non ti avesse già portato alla giusta conclusione quasi nell’istante
stesso in cui il tuo corpo era stato salvato dal vulcano e rimaterializzato nell’Enterprise.
Ma questo non la rende più facile. Libera da qualsiasi
implicazione emotiva, meno difficile da controllare.
Una lacrime riesce, infine, a lasciare le ciglia e scorrere
velocemente sul tuo viso: la senti scavare un solco incandescente sulla pelle,
far male come non avresti mai creduto possibile.
O forse è la visione di un Jim
tanto indifeso, così logicamente finito a sconvolgerti tanto?
La tua parte umana minaccia di spezzarti ed ora sai che
nessun autocontrollo potrebbe impedirlo. Semplicemente non ne avresti la forza.
Né la voglia. Ti piace nasconderti dietro il fatto che non sarebbe logico evitare l’evidenza e lasci da parte qualsiasi
morale vulcaniana potrebbe essere citata contro di te.
Intanto, a Kirk non restano che sguardi e sbiaditi rantoli,
principi di parole che mai saranno. Tu lo osservi, un senso di impotenza che ti
pervade, scorrendo più veloce del liquido verde che riempie le tue vene. Non
puoi salvarlo. Non puoi aiutarlo. Quella logica che tanto brandisci e difendi
ora ti suggerisce di tornare in plancia: ovunque saresti più utile che lì con
lui.
Eppure, ancora una volta, Jim ha
qualcosa da dire a riguardo. Qualcosa
ovviamente in contrasto con la tua mente. La sua mano, poggiata improvvisamente
contro il vetro che vi separa, ti chiede di restare fino alla fine e nonostante
dubiti che quello che neanche si può definire contatto possa essere d’aiuto,
compi il suo stesso gesto e lo saluti come è rispettoso fare tra la tua gente.
Sono qui…
E lui saluta te. Il suo gesto ha qualcosa di così definitivo
che non vorresti guardarlo. In questo momento, odi quel saluto: sai che da ora
in poi sarà per sempre associato alla sua morte e non potrai fare a meno di
pensarci ogni volta che qualcuno lo riproporrà alla tua vista.
Dura troppo poco, in ogni caso. Qualche istante e la vita
abbandona il suo corpo, il braccio inerte scivola contro la superficie liscia e
tu resti solo.
Non muoia. Non muoia,
la prego, non muoia, non muo-
La logica ti impedisce di ripeterlo oltre e poi scompare.
Resta solo dolore insostenibile e rabbia. Rabbia come quando Vulcano era stato
distrutto, come quando tua madre è morta. Rabbia tale che non sai come
controllarla, né vuoi.
«KHAN!».
Il tuo grido inneggia alla battaglia, alla vendetta.
Sentimenti che non credevi avresti potuto provare ancora sconvolgono la tua
mente, mentre corri alla plancia, uno sguardo folle negli occhi ed un solo
obiettivo: averlo morto tra le tue mani, averlo morto per Jim.
Una parte lontana, rilegata in un angolo del tuo perfetto
cervello, si rende conto in quel momento della ragione di tanto controllo da
parte di quelli della tua specie: un vulcaniano in preda a furiose emozioni
probabilmente è una delle cose più pericolose che esistano nell’universo.
*
“È la quiete dopo la tempesta”.
Non
hai mai avuto una grande affinità con i “modi di dire” terrestri, né sei mai
riuscito a coglierne il perfetto uso metaforico nei discorsi a cui di tanto in
tanto hai prestato attenzione, ma mai come in questo momento, riesci ad
afferrare il completo spettro del significato di quella frase.
Senti
dentro di te la quiete, dopo la tempesta di emozioni che si sono scatenate
nella tua testa. Dall’attimo in cui ha aperto gli occhi, dall’attimo in cui
l’hai sentito parlare col dottore, un’illogica calma ti ha pervaso ed ora che
ti fai avanti il tuo cuore accelera appena.
«Mi
ha salvato la vita».
«Lei
l’ha salvata a me, Capitano e a tutti coloro che-». Butti avanti la logica,
ora… o forse il sentirsi debitori è anch’esso considerato un’emozione?
«Spock,
voglio solo dirle… grazie».
Gratitudine.
Non hai mai pensato che avrebbe potuto portare tanto rinnovato benessere quel
semplice sentimento. Eppure è così che ti senti. Calmo e… rigenerato. In pace
con te stesso. Alle volte una simile condizione non sei riuscito a raggiungerla
neanche dopo ore di meditazione.
«Non
c’è di che, Jim», sorridi in modo impercettibile. Non
c’è bisogno che mostri quello che provi. Il fatto stesso che simili sensazioni
esistano è una concessione fin troppo grande alla ferrea logica che ti permea –
e che ora sembra inaspettatamente esser tornata al proprio posto.
Ti
concedi solo un ultimo pensiero, prima che essa abbia di nuovo il sopravvento.
Per sentire ancora una simile pace, per provare ancora una volta la sensazione
di aver trovato il tuo posto nel mondo – tu, figlio di due mondi – saresti
disposto a rischiare di soffocare nel mare di dolore che hai sperimentato,
senza il minimo sostegno di alcun tipo di logica. Ancora e ancora.
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Faccio
la mia comparsa in questo fandom da consapevole
profana: ho recuperato tutto in tempi recentissimi e mi ero ripromessa che non
avrei azzardato nessun tipo di scrittura a rigardo,
quantomeno per i primi tempi – o forse mai – ma ieri sera alla visione di “Into Darkness” non sono riuscita
a tenere fede alla parola. Questa scena mi ha distrutta dall’interno, per tutto
quello che significa, per quello che ha mostrato e i richiami che ha fatto. Non
ho trovato altro modo per sfogare tutto se non scrivere e quindi… eccone il
risultato.
Spero
davvero di non aver fatto scempio di personaggi e situazioni, spero di non
essere andata troppo OOC con Spock e di aver dato alla scena quantomeno una
parvenza di verosimiglianza. In ogni caso le critiche saranno bene accette.
Un
ringraziamento speciale va a Flan ♥ che mi ha indirizzato durante la visione di Star Trek e ha sopportato i miei sfoghi di volta in volta.
Detto
questo… io mi dileguo. Grazie a tutti coloro che sono arrivati fin qui.
Live
long and prosper.