hayffie
Nero,
completamente nero.
L'unica
cosa che le dava la certezza di essere viva era l'insopportabile
odore di piscio e sangue che contaminava l'aria. Non
riusciva nemmeno a capire dov'era, in quel momento le sembrava di
essere capovolta.
Desiderava
morire, desiderava non provare più dolore. Per
quale motivo avrebbe dovuto sopportare tutto questo? Perché stava
difendendo i ribelli?
Il
'beep'
di una carta magnetica interruppe i suoi pensieri: quanto era passato
dall'ultima sessione? Ore, giorni, settimane... ormai aveva perso
anche lo scorrere del tempo. La sanità mentale, forse, era l'unica
cosa che rimaneva ancora intatta sotto uno strato di urla strazianti,
suppliche inutili e pianti ininterrotti.
All'improvviso
sentì un dolore lancinante, il suo carceriere l'aveva sollevata
per
i capelli. Una lacrima inziò a scenderle come questo
iniziò a
morderle il collo, affamato, impaziente. I segni rossi sul collo
indicavano che non era la prima volta, aveva subito un'umiliazione del
genere più volte. Lui alzò il lembo del suo vestito
logoro e madido di sudore. Le accarezzò la gamba, per poi
incidere l'ennesimo marchio, conficcandole il coltello nella coscia. La
ferita cominciò a sanguinare copiosamente.
'Ancora
non parli, eh, principessa?' disse lui, scaraventandola contro il
pavimento lurido. La ferita aperta iniziò a infettarsi,
procurandole un'altra fitta di dolore acuto. Cercò di aprir
bocca, di dire qualcosa, di
difendersi, ma l'unica cosa che uscì dalla sua bocca fu vomito.
Non
mangiava da giorni. L'unico pasto che aveva ricevuto era un boccone di
pane duro e un bicchiere di latte andato a male.
Il
suo carceriere la strattonò per un braccio e la fece sdraiare a
terra con la forza, schiacciandola con il suo peso. Le iniettò
uno strano liquido, che la fece sentire
come se le fosse appena stato iniettato il siero della felicità.
Ne aveva sentito parlare: ti rendeva innocua, se avessero premuto il
tasto giusto sarebbero riusciti a farle confessare tutto quello che
sapeva sui ribelli. Ma chi erano questi ribelli di cui volevano tanto
sapere? Chi era lei?
Due
ragazzi, mano nella mano, correvano sotto la pioggia cercando di
evitare le pozzanghere che si erano già formate. Li
riconobbe: Katniss,
Peeta... erano felici nel distretto 12.
'Allora,
raccontaci qualcosa della Ghiandaia'
La
donna alzò una mano, come volesse afferrare qualcosa.
Peeta le diede un vassoio di biscotti fatti in casa, che emanavano un profumo invitante.
'è
una ragazza del distretto dodici, ha una sorella, è una vincitrice
degli Hunger Games'
Il
carceriere la schiaffeggiò in pieno volto, lasciando un segno
rossastro sulla guancia già colma di tagli e cicatrici della donna.
'Stupido
gingillo, non ci serve questo. Ci servono informazioni sui ribelli,
sulla posizione di quella ragazzina. Smettila di sparar cazzate inutili e vedi di
collaborare se non vuoi far la fine di tutti gli altri prigionieri'.
Dovette
chiudere gli occhi a causa del vento troppo forte, ma dal profumo
così famigliare che le sembrava di essere a casa.
'Non
so di chi stiate parlando, vi prego!'
Peeta
era in compagnia di qualcun'altro, un uomo panciuto sulla quarantina
che aveva un sorriso beffardo impresso sul viso.
Un
pugno allo stomaco, che le provocò l'ennesimo conato di vomito.
'Senti
stronza, si può sapere perché li difendi? Tu eri in contatto con
Abernathy, non puoi non sapere nulla'
Abernathy?
Sì, è Haymitch quell'uomo in compagnia di Peeta. Ma... chi è
Haymitch? È un amico? È un nemico?
'Non
conosco nessun Abernathy, per favore, ho fame... Non so niente, ve lo giuro!'
Il
colpo alla testa fu troppo forte, perse i sensi.
I
suoi capelli biondi erano intrecciati in un'acconciatura complicata,
indossava un abito rosa pallido e dei sandali bianchi immacolati. Al
suo fianco, lo stesso uomo che aveva identificato come 'Abernathy'.
Ma chi era costui? La guardava con quei suoi occhi grigi, magnetici.
Insultava il suo modo di vestire, il suo modo di essere... Aveva un
bicchiere di whisky in mano...
Quando riprese i sensi, si trovava ancora nella solita cella. L'odore era
inconfondibile. Era addirittura aumentato. Tremando, si portò una
mano sulla guancia dove lo schiaffo continuava a bruciare: non doveva
essere passato troppo tempo, si disse. Provò ad alzarsi, cadendo
rovinosamente in una pozza di sangue fresco. Ironico: anche lei, come
i suoi tributi, stava sperimentando il bagno di sangue. Solo in modo
diverso. Loro avevano, seppur minima, una possibilità di
sopravvivenza: lei non aveva nemmeno questa.
Una
porta si aprì, da qualche parte.
Fu
pervasa da una sensazione di sconforto: il concerto era iniziato.
Urla straziate, persone che chiedono pietà, perdono... era come una
melodia, l'unica melodia che l'aiutava a rimanere sana di mente.
L'unica melodia che le ricordava di essere viva, che finché sarebbe
resistita, anche lei aveva una possibilità. Ma fra poco sarebbe
stato il suo turno: sarebbe stata lei a invocare pietà.
Venne
il silenzio, che era addirittura più terrificante delle urla.
Silenzio voleva dire morte. Silenzio voleva dire nuova vittima.
Sentì
dei passi, chiuse gli occhi.
Voleva
chiudersi nel guscio che aveva creato anni prima, voleva
indossare nuovamente la sua maschera. Ma come il suo viso colpì
duramente le pareti in pietra, si rese conto che sarebbe stato
impossibile.
Il
carceriere aveva ragione: non era altro che un gingillo, una bambola.
'Dolcezza,
quando aprirai gli occhi potrai parlare come mio pari. Per adesso,
non sei altro che un fottutissimo burattino nelle mani di Capitol
City. Una bambola, un oggetto senza valore.'
Non
sapeva a chi appartenesse quella voce che costantemente le ricordava
di essere senza valore. E allora perché continuava a vivere? Perché
continuava a resistere?
All'improvviso
sentì la sua porta aprirsi di scatto, sentì entrare qualcuno.
Sentì
quel qualcuno mormorarle 'Rimani in vita, dolcezza'.
'Trinket,
non riesco a respirare, mi vuoi morto?' la donna,
estremamente imbarazzata, sciolse l'abbraccio. 'In quel caso, la cosa
è reciproca tesoro' aggiunse lui, sbeffeggiandola com'era solito
fare. Le era mancato non sentire più quel tono di voce sarcastico e
ironico, anche se non lo avrebbe mai ammesso ad alta voce.
In
quell'istante, si ricordò di Abernathy, il motivo per cui non aveva
confessato nemmeno sotto tortura.
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A/N: Santo cielo, è la seconda Hayffie che scrivo ma la
prima che pubblico! Comunque: sono fiera di aver finalmente messo piede
in questo fandom era tanto che mi ripromettevo di scrivere qualcosa e
invece facevo tutt'altro ahahah
Sono un Hayffie shipper fino al midollo, non posso farci niente.
Inguaribile romantica, ovviamente dovevo farla finire in maniera fluff!
La dedico ad alcune persone:
-Valeria, il mio Haymitch
- Francesca, perché si merita una dedica
- Fedia, perché go, Fedia go!
- Giada, perché sei una grande.
- Gabriella, la mia Annie a cui voglio tanto bene <3
- Lucrezia.
- Tutti quelli del GdrHg, che amo follemente.
è una storia scritta in un momento di 'feels' post-trailer di
Catching Fire. La mia modalità fangirl non si era ancora spenta.
L'ho scritta ascoltando 'The Misery', Sonata Arctica. Infatti ho scelto
questo titolo (sì, avete presente quella cosa chiamata fantasia?
Quando si tratta di titoli non ce l'ho).
Bene, ci vediamo alla prossima fic!
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