La mancanza di fanficiton in questa
sezione è qualcosa di brutto e cattivo
ç___ç
Ok, ho scritto questa roba
rifiutandomi di andare a dormire, perché dormire
è mainstream e questi due mi riempiono di feels ogni volta
che vedo il film.
Diciamo che voglio bene a questa
fanfiction, perché è la prima cosa che ho scritto
dopo lo hiatus forzato per l' esame di maturità, e mi sento
realizzata all' idea di avere riaperto word. Sì, sono una
gran esaltata. Ma amo la coppia, tanto <3
The things you do to me
La prima
volta sente solo il suo nome.
E’
seduto al
solito posto, nel solito
sfasciato caffè. Rigira
lentamente il solito bicchiere di
tequila tra le dita, ne osserva il contenuto ondeggiare e immagina che
quello
sia il mare e che una nave stia solcando quelle onde; una nave con lui
sopra,
pronta per portarlo verso la fortuna, verso la ricchezza. Un’
enorme,
sconfinata ricchezza.
León
continua a parlare, come se niente fosse: pulisce un bicchiere e parla,
serve
da bere e parla. E intanto Tullio pensa perché, anche se si
trova in un mare di
alcool, anche quella nave di certo fa pagare un biglietto. Soldi.
Monete
sonanti, ciò che lui va a cercare è proprio
ciò che gli serve per partire. Per
uno come lui è un problema da nulla: un’
incursione nella casa giusta, al
momento giusto, e con un po’ di fortuna ci scapperebbe anche
un guadagno.
Preferirebbe fregare qualche allocco ad una partita a carte, ma per
fare soldi
sul serio bisogna andare nei posti che contano e non è
nemmeno il caso di
provarci, gli riderebbero dietro: troppo giovane, lo scambierebbero per
un
tagliaborse e nel più roseo dei casi lo sbatterebbero fuori,
dritto nel cortile
dei maiali. Ma una bella casa non ha un’ età
minima, anzi, minore è l’ età
maggiore è la gloria quando iniziano a girare le voci nei
sobborghi più
malfamati. Sarebbe semplice come bere quella stramaledetta tequila. Il
problema
è che, a causa di un manipolo di idioti che non saprebbero
rubare nemmeno a un
cieco, la gente dei piani alti si è messa in allarme: le
case sono meglio sorvegliate
e Tullio sa che entrare da solo equivarrebbe a consegnarsi di propria
spontanea
volontà alle guardie locali – e tanto varrebbe
allora spararsi da sé e
conservare un minimo di dignità.
“Ti
dico,
amigo, se ti serve una spalla, io te la trovo in breve” alza
gli occhi all’
improvviso quando si accorge che León si sta rivolgendo
nuovamente a lui.
Inarca un sopracciglio: “Ma davvero?”
“Non
ti fidi
più di me? Tu mi offendi, sì. Ma mi stai
simpatico. Non sei l’ unico a
volersene andare, voi ragazzi potete fare più fortuna a
Barcellona o a Valencia,
che qui. O Madrid, perché non Madrid?”
“Madrid
fa
schifo” Tullio scola ciò che resta del liquore
“Polvere, caos, troppe guardie e
poche possibilità di fuga. Preferisco stare vicino al mare,
mi piace l’ atmosfera.”
“Sì,
sì. Lo
vuoi questo nome o no?”
In
realtà
lui vorrebbe restarsene per conto suo, senza doversi sobbarcare la
compagnia di
qualcun altro, qualcuno che non conosce e che tenterà di
derubarlo alla prima
occasione buona. La sola idea di dividere il proprio oro con
un’altra persona
lo riempie di indignazione, ed è certo che sarebbe
così anche se si trattasse
del suo migliore amico. Ovvio, se ne avesse uno.
Se avesse
amici.
“E’
uno
corretto, sì. Mezzo matto, ma leale. Scommetto cinquanta
pesetas che te lo fai
amico.” León sembra quasi leggergli nella mente.
Non se ne stupirebbe, visto
che è la persona con la quale ha trascorso più
tempo negli ultimi anni, forse
quella più vicina ad un vero amico. L’ ultimo che
lo ha trattato con affetto è
stato suo padre, quando era ancora vivo e lui aveva ancora tredici anni
e tanta
voglia di vivere. Non che adesso desideri la morte, è troppo
orgoglioso ed
egoista per non voler essere vivo, ma è piuttosto sicuro di
non avere più
quella scintilla negli occhi che aveva un tempo. Si è spenta
quando si è reso
conto che suo padre ha vissuto per tutta la vita in maniera onesta, e
alla fine
è stato ricompensato con un’ agonia di sette
giorni tra i deliri della febbre. Si
è spenta quando ha visto spegnersi il suo ultimo legame con
il mondo.
Ricorda le
sue ultime parole: “Ne vale la pena, figlio mio, ne vale la
pena!”. Non gli ha
spiegato di cosa, non ne ha avuto il tempo, ma non ha importanza.
Qualunque
cosa fosse, Tullio è certo che prima o poi si sarebbe reso
conto del contrario;
non c’è nulla che valga davvero la pena di
impegnarsi.
Getta la
testa all’ indietro e sospira. Se suo padre lo vedesse ora
riderebbe di lui. Sei troppo serio, ragazzo!
Preoccupati di
meno, per lamentarsi c’è la vecchiaia. E
di colpo si sente vecchio.
***
E’
ufficiale: lo odia.
Miguel lo
fissa divertito, appollaiato su un muro di pietra, mentre fa ondeggiare
nella
mano il sacco con la sua parte di bottino. Hanno avuto poco tempo, ma
hanno
recuperato il necessario per il viaggio e anche molto di
più. Tullio non lo
ammette, ma quel biondo un po’ picchiato ha occhio per
riconoscere le cose di
valore. Peccato che per il resto sia totalmente idiota. Ha ancora nella
testa
l’ imprecazione che gli è sfuggita tra i denti
stretti quando l’ ha visto
lanciarsi dal tetto della casa senza nemmeno una corda; prima che la
sua caduta
fosse frenata da un provvidenziale ramo, Tullio lo ha visto
spiaccicarsi al
suolo con poca eleganza. Miguel non ha battuto ciglio, come se il suo
gesto
fosse stato perfettamente normale e fosse idiota lui a non capirlo.
“Allora,
a
quando la partenza?” Tullio vorrebbe strapparglielo, quel
sorriso. C’è qualcosa
in esso che lo fa uscire di senno e per lui, che ha sempre cercato di
rimanere
calmo e impassibile, è semplicemente inaccettabile. Ci
vogliono alcuni secondi
prima che il suo cervello elabori effettivamente la domanda.
“Quando
ti
pare,” risponde “I soldi li hai, puoi prendere un
cavallo, una nave, puoi
buttarti da un ponte, sei libero.”
“Non
viaggerei a cavallo nemmeno per dieci volte questa roba” il
denaro nel sacco
tintinna “Quelle bestie mi odiano, perdipiù
il necessario per sopravvivere e difendersi dai banditi
costa più di un
viaggio in nave. Almeno in nave il cibo è garantito. E spero
non ti offenderai
se rifiuto la proposta del ponte. Tu dove andrai?”
“Dove
mi
pare.”
“Ti
imbarchi
e scendi quando trovi un porto che ti ispira?”
“Più
o
meno.”
“Non
sei un
tipo molto loquace.”
“No.”
Miguel alza
le spalle. Sorride, di nuovo, e Tullio prova il forte desiderio di
strangolarlo, di nuovo. La cosa peggiore è che sa che non
finirà quella sera,
perché sarebbe troppo bello fare soldi e liberarsi di tutti
i problemi in una
notte sola. Vorrebbe scappare, prima che sia troppo tardi, ma non fa in
tempo a
evitare la proposta. Quella proposta:
Viaggiamo
insieme?
“Insomma,
io
sono solo come un cane, tu sei solo come un cane: potremmo rimediare,
no? Non
mi importa granché della destinazione, perciò se
hai idee mi adeguo
volentieri.” Ed eccola lì, la bastarda: la
compassione. La vede negli occhi del
suo socio, che non è stupido, ma semplicemente uguale agli
altri. Miguel è al
tempo stesso suo simile e suo opposto: è uno squattrinato
senza una casa e
forse pure senza una famiglia, come tanti altri che popolano i
sobborghi di
ogni città. Eppure sorride, e vorrebbe che sorridesse pure
lui.
Ma Tullio
non può. Ha dimenticato come si sorride e non ha alcuna
voglia di imparare di
nuovo. Non ha alcuna voglia di dare una possibilità a
quell’ allocco dai
capelli di grano, che si comporta come se fossero migliori amici
nonostante si
conoscano da nemmeno un giorno. E non ha voglia di lasciarsi riempire
il cuore
di grandi speranze e di abbandonarsi ai sogni, per poi rimanere deluso
al
momento del risveglio. Sarebbe bello e terribilmente piacevole lasciar
cadere
quel muro così opprimente, che lo protegge e lo soffoca al
tempo stesso,
chiudendosi su di lui come una coperta che non lo fa respirare, ma non
può. E’
diventato parte di lui, cucito sulla sua pelle con fili invisibili che
a volte
sente tirare; e se cercasse di rimuoverlo si strapperebbe lui stesso.
Non può
tagliare i fili in nessun modo e allora li accetta come se ci fossero
sempre
stati. Lascia che lo controllino come una marionetta perché,
in tutta
sincerità, è molto più facile in
questo modo. Non è soddisfacente, ma è facile.
Miguel, che
tira la coperta-muro verso di sé, non riesce a vedere quei
fili e ogni parola,
ogni simbolico strattone, apre una ferita. E Tullio non può,
semplicemente non può.
Il respiro si accorcia, le mani
tremano.
E Tullio
scappa.
***
Tullio
cammina.
Miguel
cammina.
Tullio
comincia a innervosirsi.
Miguel si
sta divertendo da morire.
Si è
dato
dello stupido, quando ha riconosciuto quei capelli biondi sul ponte
della nave:
in fondo era troppo ovvio che lo avrebbe seguito e ora sa che
sarà difficile
levarselo di torno. Tutti quanti si erano sempre arresi davanti al suo
totale
rifiuto di stringere anche il più sottile legame, ma lui no.
Miguel sembra aver
fatto solenne giuramento di essere la sua ombra e, da quando si sono
imbarcati
quattro giorni prima, non è mai passata un’ ora
intera senza che la sua sagoma
entrasse nel campo visivo dell’ altro. Tullio vorrebbe
gettarlo a mare, assieme
al suo fottuto istinto da infermiera premurosa che si prende cura del
malato
con pazienza, senza scoraggiarsi se questo rifiuta la cura. Miguel
viola i suoi
spazi, gli nega il silenzio e la solitudine, lo nutre a forza di
sorrisi e
battute spiritose. E continua a tirare imperterrito i fili, e Tullio
è
costretto a seguire quegli strattoni per non farsi troppo male.
Si volta di
scatto e il suo sguardo, a quanto pare, è abbastanza pieno
d’ odio da fare
arrestare il suo secondo incomodo all’ istante.
“Quale
parte
di ‘lasciami in pace’ non ti è
chiara?” sibila, il volto così vicino a quello
dell’ altro che riesce a sentire il calore del suo respiro.
“Quella
in
cui mi dici di lasciarti in pace nonostante sia palese che desideri il
contrario.”
La risposta
lo spiazza. No, lo fa incazzare.
“Non
so come
funzioni dalle tue parti, ma se ti dico ‘vattene’
significa ‘vattene’, non
‘rimani con me e diventa mio amico’. Se volessi
questo te lo chiederei. Vai a
importunare qualcun altro.”
“Ha!
Lo
farei se potessi, sai? Ma sei l’ unico che conosco qui e sai
che non amo la
solitudine.” Miguel fa una smorfia e Tullio ghigna. Non
sorride, ghigna, perché
di sorridere non è capace.
“Oh,
non hai
nemmeno un’ amico? Sono certo che con quel bel faccino
potresti trovare in
fretta qualche donna da intrattenere. Lo avrai fatto di sicuro altre
volte.”
“Ovvio.
E
mica solo con le donne. Il problema è che, non so se
l’ hai notato, ci siamo
imbarcati su una nave piena di gente… non lo so, non ti
sembrano strani? Se faccio
amicizia con qualcuno di quelli ti dico io cosa succede, succede che mi
ubriaco, mi lascio sfuggire qualcosa di compromettente e mi risveglio a
mollo.
O morto. O morto e a mollo.”
“In
sostanza
stai cercando qualcuno che ti permetta di scolarti tutto il vino che ti
riesce
e che ti faccia arrivare vivo al mattino senza corpi estranei piantati
nella
schiena e con i vestiti asciutti.”
“Mi
sembra
ovvio.”
C’è
una
pausa di silenzio, pochi lunghissimi secondi in cui, in angolo remoto
della sua
mente, Tullio si rende conto che non è veramente possibile
vincere uno scontro
verbale con Miguel. Che perlomeno lui non può farlo e mai
potrà con il
carattere che si ritrova. Miguel è scherzi pungenti ed
energia inesauribile e
non importa quanto cattivi saranno i suoi commenti, quei sorrisi
maledetti
saranno sempre più forti.
Miguel ha
sovvertito le sue leggi della logica con risposte prive di senso. E per
Tullio
il senso e la logica ferrea sono sempre stati un punto fisso. Da
qualche parte
sente uno scricchiolio: è il rumore delle sue convinzioni
che si crepano e
minacciano di crollare sotto i colpi del nemico. Non è
possibile, non è
umanamente possibile che esista un tale livello di
stupidità.
Lo fissa
un’
ultima volta.
E scoppia a
ridere.
Non è
una
delle sue solite risatine sarcastiche, prive di gioia se non di quella
falsa di
aver sopraffatto qualcuno. Non è il suo ghigno sadico di
fronte ad un
avversario stracciato e dilapidato delle sue fortune. Sta ridendo.
E’ qualcosa che
credeva di aver dimenticato, che era rimasto sepolto sotto anni passati
a
indossare maschere scomode e che ora riemerge con un impeto tale da
scuoterlo
fisicamente; e che sia dannato se quella sensazione non gli piace da
impazzire.
Quando riapre gli occhi li scopre velati dalle lacrime, ma anche
attraverso di
esse vede che il sorriso di Miguel si è allargato talmente
tanto da non
sembrare quasi umano. Forse Miguel non è umano,
perché nessun uomo normale si
ostinerebbe tanto a perdere il proprio tempo con il caso patologico che
riconosce di essere diventato.
Poi le
labbra tornano a incurvarsi verso il basso. Il suono della propria
risata gli risuona
ancora nelle orecchie e Tullio si congeda con un saluto frettoloso,
più
imbarazzato che altro. Mentre percorre il ponte della nave sente il
vento sulle
guance e si accorge di averle letteralmente in fiamme. Accelera il
passo, fino
alla sua cabina, si getta di peso sul proprio giaciglio e rimane
immobile a
fissare il soffitto. Il silenzio è rotto dalle onde che si
infrangono contro lo
scafo, da alcune voci ovattate al di là della parete e da
una domanda
silenziosa.
Che diavolo mi
hai fatto?
***
“Non
voglio
essere di troppo.”
Miguel parla
non appena scendono dalla nave, quando ancora nessuno dei due si
è abituato ad
avere la terraferma sotto i piedi e tutto sembra ancora ondeggiare al
ritmo di
una corrente invisibile. Tullio si gira di scatto e lui è
lì, in piedi, con il
sacco dei suoi pochi effetti sulla spalla e un’ espressione
imbarazzata.
“In
che
senso?” il fatto è che ormai ha smesso di farsi
domande sul perché quel biondo
idiota fosse sempre al suo fianco, ormai è diventato tutto
normale. Lo ha
accettato come si accetta di avere gli occhi di un determinato colore:
è così e
basta. E sul momento non capisce dove l’ altro voglia
arrivare.
“Forse
avevi
ragione tu, dovrei imparare a farmi i fatti miei. Non riesco a stare a
lungo
con qualcuno proprio per questo motivo, tendo a diventare terribilmente
appiccicoso e a lungo andare, giustamente, si stancano tutti. Volevo
chiederti
scusa.”
‘Scusa..,.
la mente di
Tullio lavora come non ha
mai lavorato, scusa per essere stato una
palla al piede, per aver violato le sacre leggi della tua riservatezza,
per non
essermene andato quando me lo hai chiesto, per aver cercato di
strappare i fili…
“Il
fatto è
che quando incontro qualcuno che mi piace non riesco a
trattenermi…”
…Per
averti forzato ad essere mio
amico, per averti costretto a sopportare tutti i miei
sorrisi…
“Ma
ammetto
che nemmeno a me piacerebbe se mi costringessero ad essere qualcuno che
non sono.”
Per esserti
stato accanto senza
motivo, quando ormai tutti si erano rifiutati.
“Grazie.”
Si
accorge di averlo detto quando vede gli occhi dell’ altro
allargarsi e sul suo
volto comparire l’ espressione di chi non è sicuro
di aver sentito bene. Si
rende conto che forse dovrebbe dire anche qualcos’ altro.
“In
realtà
forse era quello che mi serviva.”
No aspetta, cosa?
“Sono
solo
da così tanto tempo che non so più come si sta in
compagnia e a dire il vero… credo
che mi mancasse”
Che diavolo mi
hai fatto?
Miguel lo
guarda come se non avrebbe potuto dargli una risposta migliore e Tullio
sente
di essere in qualche modo fregato. Eppure non gli importa. Non riesce a
spiegarsi
il motivo per cui, di punto in bianco, inizia ad apprezzare quella
vicinanza,
lui che due settimane prima era solo e convinto che lo sarebbe rimasto
per
sempre, prigioniero dei suoi fili invisibili e della sua coperta.
Invece ora si
muove e scopre che i fili si sono allentati, come un pezzo di stoffa
che tirandolo
troppo si deforma.
“E
adesso
cosa vuoi, dunque?”
Tullio fa
spallucce. Non è il caso di farsi troppe domande,
è convinto che sia tutto un
sogno; vuole
svegliarsi il più tardi
possibile e nel frattempo divertirsi come se non esistesse un domani.
“Essere
vergognosamente
ricco. Ti va bene come risposta?”
Sembra di
sì.
“Fintanto
che si divide e ci si diverte.”
“Sei
un
superficiale del cazzo.”
“Ah,
tu no?”
E cosa
diavolo è quella voglia di ridere che continua a crescergli
nel petto? Gli fa
paura, o forse gli piace. Cerca di convincersi che è
l’ eccitazione per il
cambio di vita, per la sua nuova casa, ma la verità
è che le farfalle nello
stomaco non le sente quando posa gli occhi sulle bancarelle del porto o
sulle
vie piene di gente.
Semplicemente,
non lo ammetterà mai.
***
Lo ammette
più o meno un mese dopo.
Lo fa in una
serata calda di inizio autunno, quando ancora fa abbastanza caldo da
far
credere che l’ estate durerà in eterno. Lo fa
mentre entrambi sono seduti su un
vecchio muro di pietra e dominano la piazza sottostante con i loro
sguardi, quando
Miguel gli da una pacca sulla spalla abbastanza forte da farlo cadere
– per fortuna
dal lato giusto.
“La
tua
solita fortuna.” Miguel gli allunga la mano per aiutarlo a
rialzarsi, ma quando
è in piedi si dimentica di averla stretta. Se ne dimenticano
entrambi, in
realtà, sembra che all’ improvviso il mondo intero
sia stato chiuso in una bolla
e loro siano rimasti fuori
“Sarei
sopravvissuto solo per prenderti a calci.”
In quel bel
faccino che ti ritrovi.
“La
cosa
interessante è che non ne dubito minimamente.”
In ogni
centimetro del tuo corpo.
Ogni.
Fottuto.
Centimetro.
Se ne
accorge tardi, delle mani. Di quello e del fatto che si sono avvicinati
l’ uno
all’ altro e di nuovo Tullio sente il suo respiro sul viso,
stavolta però molto
più veloce e nervoso
di quando lo
provocava divertito sulla nave. Pensa che tutto quanto non abbia senso,
che sia
tutto uno scherzo del destino che si diverte a prendersi gioco di lui.
Per un
attimo pensa che sia tutto sbagliato, che non dovrebbe trovarsi
lì, in quella
posizione, con quella persona; che sarebbe dovuto rimanere a casa a
lasciarsi
scivolare la vita addosso, perché era dannatamente
più facile che accettare l’
ondata di emozioni che lo investe ora.
Del tuo
bellissimo corpo.
“Devo
cinquanta pesetas a León, se mai lo rivedremo.”
Sussurra quelle parole ad occhi
socchiusi, il cuore che batte a mille.
“Perché?”
Miguel socchiude appena le labbra e Tullio le chiude con le sue. Lo fa
senza
accorgersene, è un gesto puramente istintivo e irreale. Poi
tutto diventa vero:
sono vere le mani di Miguel che si stringono sui suoi fianchi e sulla
sua schiena,
che lo tirano a sé come se ci fosse ancora una distanza da
annullare; è vera la
consistenza della sua pelle sotto le dita e il gemito soddisfatto che
produce
quando Tullio lo solleva per farlo sedere sul muretto. Stringe la
stoffa della
sua camicia e la tira; ed eccoli lì, i fili, che alla fine
si strappano uno a
uno, come se fossero di seta, e la sua coperta invisibile che vola via
trasportata dal vento, assieme all’ odore del mare. Assieme a
tutto ciò che è
stato prima di quel momento.
In quel
momento, Tullio dell’ oro si è completamente
scordato.
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Non ho molto da dire, in genere la
mia capacità di scrivere note finali nelle one-shot
è nulla.
Però queste sono note
finali. Oooohh...
A chi vuole lascio la mia pagina
----> qui
<---- a chi non vuole pure, perchè
c'è.
<3 <3
Tikal.
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