“Quella volta in cui…” è una seria di fluff–slice of life casuali, della felice famigliuola
Stark. Giusto per diletto.
(1) Quella volta in cui…
“AHI!”
Pepper si chinò per massaggiarsi
il piede, che aveva calpestato qualcosa di spigoloso.
Doveva essere un pezzo di Lego – Adam non faceva altro
che lasciarli in giro, pensò.
“Tony!”
Ovviamente dell’uomo nessuna traccia.
“Adam!”
Scosse il capo, appoggiando la borsetta sul primo ripiano
che le capitò a mano.
La testa di Tony comparve dalla scala del piano di sotto.
“Uh.” Fece quello, correggendosi poi con un improbabile
sorriso. “Ehi! Già a casa? Perché?”
“Riunione finita dopo la terza ora.”
“Cosa?” rasentava il ridicolo. “Così poco?!” chiese, in totale disappunto.
“Metà del nuovo CdA sembra abbia
una vita sociale e familiare – strano, non trovi?” domandò, retorica,
portando le mani ai fianchi.
“Uh. Sì. Indubbiamente. Anomalo. Che gente –” iniziò a
battere con il pugno su un palmo della mano, alternandole. “– dovresti
tornare indietro a licenziarli.”
Pepper strinse le palpebre: quel
gesticolare significava che era in piena fase creativa.
Il che la preoccupava.
“Non posso licenziare quelli del CdA.”
Inclinò il capo “Cosa stai facendo?” domandò, andando
per avvicinarsi alle scale.
“Nulla.” Mentì spudoratamente l’altro.
“Allora non ti dispiacerà se vengo a vedere… nulla.” Fece lei, iniziando a scendere i
gradini.
“No!” si era messo in un mare di guai, lo sapeva. Doveva
solo prendere tempo.
“Se il tuo nulla consiste nell’aver distrutto la taverna…”
“… laboratorio.”
“… direi che è un nulla
piuttosto grande.” Si fermò al terzo gradino.
“Non ho distrutto nulla – io non distruggo.”
“Ah, no? Cosa fai?”
“Cre –” un gridolino
proveniente da suddetta ‘taverna’ lo interruppe, facendogli gelare il sangue.
Con gli occhi incollati su quelli di Pepper, fece per
fare mezzo passo indietro. Ma
la donna era già sbiancata.
“Non ti muovere!”
“Tony!” fece lei, stridula.
“Alt!” continuò lui, molleggiando indeciso sul posto. “Non. Fare. Mezzo passo.” E indietreggiò, mettendosi a
correre. Pepper lo vide sparire, attonita.
Stava per spostare il peso da un piede all’altro per
corrergli dietro quando sentì un rumore scoordinatamente pestato di passi
dietro di lei. Si voltò di scatto, vedendo Adam correrle incontro ed afferrarla per la gonna.
Lei lo guardò con gli occhi
sgranati, senza capire che diavolo stesse a significare quel gesto.
“Adam, che stai facendo?!”
“Diversivo.”
Ormai la donna non sapeva più se piangere o lanciarsi
direttamente in una risata isterica.
Adam, un metro e tre tappi, nove anni ed
una scarica di lentiggini, manteneva la presa salda, gli occhi fissi sulla
madre – leggermente terrorizzati – ok, molto terrorizzati, ma ciò nonostante serissimi. Ci voleva impegno
per mettersi contro la mamma. O lo
zampino di Tony.
Che cosa poteva avergli promesso?
“Adam, lasciami andare immediatamente
o – non lo so, ma lo scoprirai più tardi, e ti farà orrore!”
Pepper cercò di muoversi, ma il
figlio non pareva assolutamente voler desistere.
“Ci sono quasi, è tutto a posto!” urlò la voce di Tony dal
piano di sotto.
La donna rischiava la crisi di nervi, e quest’ultima frase di sicuro non la tranquillizzava. Anzi.
“Adam, lasciami andare!”
Adam fece di no con la testa, mettendosi poi a guardarsi
attorno con fare preoccupato.
“Adam!”
Riuscì a fare uno scalino, ma il bambino tirava come un mulo.
“Piantala! Mollami! Cosa diavolo
state combinando?! Se non me lo dici
ti giuro che non rivedrai la luce del sole fino ai tuoi vent’anni!”
“Non tradisco!” si lasciò scappare il piccolo, grugnendo per
la fatica.
“Tony! Lo stai traviando, che diavolo gli hai promesso?!”
“Resisti, Adam!”
“Non mettere tuo
figlio contro di me! È diseducativo!”
Dalla taverna si sentì un secondo gridolino, e poi un
infantile colpo di tosse.
Pepper sentì il terreno mancarle
sotto i piedi.
Quella era Monica, non poteva esserci minimo dubbio in
merito.
Ecco.
Lo sapeva.
“ANTHONY STARK!”
Monica!
Come aveva osato?
Con un colpo deciso riuscì a far perdere la presa ad Adam:
peccato che, nella foga, non avesse considerato la sua posizione piuttosto
precaria. Il bambino, sbilanciato dal contraccolpo, dopo aver tentato invano di
restare in piedi rovinò sulla madre, che definitivamente cadde all’indietro.
Pepper stava già immaginandosi il
dolore che doveva fare cadere di testa da una rampa di scale in
marmo quando sentì le braccia salde di Tony prenderla al volo – con il
figlio in allegato.
Pepper ancora si massaggiava la
mano, formicolante.
Le sue cinque dita sottili risaltavano, rosse, sul volto di
Tony. Sull’altra gota, i quattro dorsi – le aveva prese anche per Adam, dato che Pepper era largamente
contraria all’uso della violenza sui bambini. La scena, ad ogni modo, aveva
traumatizzato a sufficienza il figlio per far sì che ci pensasse dodici volte
prima di farsi incastrare in uno dei più o meno
elaborati piani del padre.
Monica dormiva.
Monica dormiva in una culla.
Monica dormiva in una culla rosso
sgargiante, con intarsi dorati, intenta a fluttuare e a cullarla.
Pepper guardava la culla, le
labbra strette dalla rabbia.
“No, adesso la prendo e la tolgo di lì.”
Pepper fece per alzarsi, scuotendo
minimamente la testa fra incredulità e sconcerto: Tony la bloccò, la mano salda
sulla sua gamba. La scena si ripeteva per la terza volta.
“Pepper” sussurrò, onde evitare di
svegliare la bambina “lo sai meglio di me che quella culla è il posto più
sicuro di tutta la casa in cui possa dormire.”
“Sicura come le tue armature,
intendi dire?” sibilò, roca.
Tony manteneva lo sguardo fisso sulla creatura – otto
mesi e dieci giorni –, beata.
“Ma io non avevo una culla così.”
Pontificò Adam, seduto accanto a Tony. I due, medesima posizione svaccata sul
divano e medesima espressione in volto, erano decisamente
fatti con lo stampino – capelli rossi del piccolo a parte.
“Tu non rompevi così tanto.”
“Oh, sì che rompeva.” Lo smentì Pepper.
“Solo che qualcuno passava molto meno
tempo di adesso in casa, a sorbirsi le urla di un bambino.”
“SShht.”
“E non farmi sshht!”
Rimasero immobili, in silenzio, ad ascoltare il respiro
sereno di Monica.
Poi Adam ebbe una pessima idea.
“Quando mi fai l’armatura, papà?”
“L’armatura! Ma
sei impazzito?!”
“Ti ho detto che non gliela faccio!”
“Ah, così oltre a trascinarlo nei tuoi folli piani di diversvizzazione gli menti pure? Dopo avergli promesso un’armatura, poi!”
“Non gli sto mentendo, doveva trattenerti fino alle sette, cosa che non
è riuscito a fare!”
“Gli hai promesso
un’armatura!”
“Che c’è di male? Quanti genitori promettono ogni santo anno ai figli di portarli a Disneyland?”
“Un’armatura non è
Disneyland!”
“Cosa c’entra? Il principio è lo stesso.”
“Una dannatissima armatura!”
Adam, rimasto in salotto, osservava Monica dormire.
Non solo li sentiva, ma sapeva anche benissimo che la
richiesta dell’armatura, fatta a suo padre, era folle.
Il fatto è che sentirlo far rimproverare da sua mamma era una cosa fantastica.
Fece un’ultima carezza sulla fronte della sorellina, per poi
andarsene, ciondolante, a giocare in camera sua.
… tuo fratello giocò a farmi fare uccidere da tua madre.