Diagon Alley era piena di gente, così come non lo era da
molto tempo.
La gente entrava nei negozi con un sorriso in più,
irrompendo con un allegro buongiorno. Le botteghe Oscure erano state chiuse,
confinate nella solitaria Nocturn Alley, e molte delle vecchie vetrine erano
state riaperte.
Era passato un mese dalla fine di Lord Voldemort, ma lei non
riusciva a condividere quella gioia.
Era viva, era tra i sopravvissuti alla guerra, doveva
ringraziare Merlino per questo. Ma, in realtà, non c’era giorno che non avesse
insultato quel dio per quella punizione che le aveva mandato.
Eppure, credeva che essendosi allontanata dalla sua
famiglia, e da tutto ciò che quella rappresentava, avesse espiato in gran parte
le sue colpe. Le colpe di aver condiviso per anni ideali sbagliati e malati
come quelli della purezza del sangue e della superiorità dei maghi.
Sino a quando non era andata ad Hogwarts, non era entrata in
contatto con la realtà, quella vera.
Sino a quando, poi, non aveva conosciuto lui.
Ted.
Un nodo alla gola.
Uno sbattito di ciglia umide minaccia di rovinare il trucco
abbondante e curato al quale si era sottoposta quella mattina, prima di uscire
di casa.
I capelli castani chiari lasciati liberi sulle spalle, a
sparpagliarsi sul suo mantello e a ondeggiare con esso.
Lo sguardo rivolto avanti, apparentemente neutro, in realtà
pieno di dolore e rabbia per i lutti subiti.
Lei, Ninfadora.
Una fitta al petto. Un passo più deciso e calcato sulla
strada fatta di chianche.
E quello che era da poco il suo genero…
Sospirò, fermandosi davanti alla Gringott, la Banca dei Maghi.
Tirò fuori dalla tasca del mantello un foglietto ripiegato.
Lo aprì e vide la lunga lista delle cose da comprare che, con il tempo, man
mano che le venivano in mente, lei stessa aveva scritto.
Era passato molto tempo, troppo, da quando aveva
dovuto accudire un bebé.
Se accettava la sua punizione, era solo per quei
vagiti che sentiva provenire dalla piccola culla in legno, ai quali non sapeva
resistere, e per quel visino paffuto che ammirava ogni volta che si
sporgeva oltre essa. Per quel ciuffetto di capelli che cambiava colore ogni
cinque minuti …
Rinfilò la lista in tasca. Avrebbe dovuto effettuare un
cospicuo prelievo.
Con tre buste per braccio, affaticata e infastidita da quel
caldo insopportabile entrò nel Paiolo Magico, sorpassando l’arco di pietre e
lasciandosi alle spalle il Mondo Magico. Entrando nel limbo.
Fece un cenno al barista, Tom, e poi si sedette sulla prima
sedia trovata libera, appoggiando con non molta cura le buste sul tavolo.
Da una di queste rotolò fuori un sonaglio, il quale
levandosi in aria inizio a muoversi e scampanellare allegramente, spargendo
polverina argentata che spariva prima di toccare terra.
Lo prese tra le mani, facendo cessare subito l’allegro
rumore, e lanciò con un leggero sorriso uno sguardo di scuse ai tavoli vinci.
Ancora osservando il piccolo giocattolo ridacchiò, a Teddy
sarebbe piaciuto.
Gettò uno sguardo alle sue buste, scorse un involucro
trasparente nel quale era avvolta una piccolissima e morbidissima tutina blu
scuro, con colletto bianco.
La scartò e la prese tra le mani, alzandola a livello degli
occhi.
Era piccolissima.
Immaginò di averlo ora lì, il suo bimbo, con addosso quella
tutina della quale sia era innamorata a prima vista, e sorrise, dolcemente e
tristemente. Era certa che sarebbe stata benissimo al suo nipotino…
Si fece servire un rinfrescante tè freddo, incartò
nuovamente tutti i suoi acquisiti e pensò che, forse, l’idea di Molly Weasley
di uscire e di occuparsi personalmente della spesa non era stata così cattiva.
Tutto sommato, le aveva fatto anche bene.
Le labbra erano distese in un leggerissimo sorriso sereno.
Leggero, ma c’era.
Non le restava che passare dai Weasley e riprendere il suo
piccolo Teddy, per tornare poi, loro due, a casa.
Si alzò e raccolse le sue buste, lasciando le monete del conto
sul tavolo. Tuttavia, non appena in piedi, vide qualcosa che turbò la serenità
tanto faticosamente raggiunta quella mattina.
C’era un ragazzo, seduto a qualche tavolo più in là, vicino
all’uscita per la Londra Babbana. Era magro, pallido, biondo… Anzi, no. Biondissimo.
Strinse di più la stretta attorno ai manici dei suoi pacchi,
chiudendo le mani a pungo.
Il figlio di sua sorella. Meglio, il figlio di quella che
un tempo era stata sua sorella…
Si guardò intorno. Il collegamento era semplice da fare, la
rabbia che le montava dentro altrettanto semplice da risvegliare.
Narcissa Balck Malfoy. La sorella della donna che aveva
ucciso la sua Ninfadora…
Non scorse in nessuno degli angoli bui di quel posto la
lunga chioma chiara della donna, e tornò a guardare intensamente quel ragazzo.
Suo nipote… Quello, era il nipote di cui avrebbe
fatto volentieri a meno.
Quel ragazzo incarnava tutto ciò che aveva ormai anni
addietro rifiutato, tutto quello che le aveva portato via la sua nuova e,
forse, troppo felice vita.
Perché gente come a loro era sopravvissuta e il suo Ted, la
sua Ninfadora, no?
Si accorse di star pensando qualcosa di terribilmente
crudele. La morte della famiglia di sua sorella. Era la rabbia che l’accecava e
che le faceva desiderare tutto quello.
Se Narcissa avesse provato tutto quello che stava provando lei
in quel momento. Solo così forse si sarebbe consolata…
Narcissa, la più calma e ragionevole tra le tre sorelle, la
più pura d’aspetto, la più imperturbabile, la più enigmatica nel mostrare i
suoi sentimenti, la più astuta…
Lei e la sua famiglia erano sopravvissuti.
Suo marito e sua figlia no.
C’era una ragione per tutto quello? C’era forse una
giustizia divina?
Quale peccato così enorme doveva scontare?
Lei, Andromeda Black, traditrice del suo sangue (a detta
della sua famiglia) che aveva dedicato l’intera vita all’amore per suo marito e
per sua figlia.
Ma, in fondo, sapeva bene che non sarebbe stato il ferire
sua sorella a farla stare meglio.
Quella era solo la rabbia e la vecchia appartenenza ad una
famiglia di Serpeverde Purosangue che si faceva risentire. Ma lei non era come
loro.
Draco (sì, così si chiamava il figlio di sua sorella) sembrò
avvertire il suo intenso sguardo e si voltò.
Restarono a fissarsi, il ragazzo aveva uno sguardo tra
l’infastidito e il turbato, in un primo momento addirittura sconvolto.
Poteva immaginare, purtroppo, il perchè.
In ogni caso, era ovvio che non sapesse chi lei fosse. Conoscendo
la famiglia Black, ogni foto era stata strappata, ogni ritratto bruciato.
Distolse lo guardo e iniziò a camminare attraversando il
locale, a testa alta, dirigendosi verso la porta d’uscita.
Quando fu vicina al tavolo di quello che, almeno secondo un
albero genealogico di tanto in tanto bruciacchiato, doveva essere suo nipote,
sentì il suo guardo su di lei e poi un sussurro.
“Postaccio pieno di Nati Babbani…!”
Si bloccò, il disprezzo in quella voce era qualcosa che
aveva sentito tante volte, ma che ora non poteva più tollerare.
“Cos’hai contro i Babbani?”
Si voltò, la voce fredda e dura. Draco aveva alzato il viso,
sorpreso.
Il ragazzo rimase per qualche secondo in silenzio, sbattendo
le palpebre. Cercando di indagare meglio il suo viso, ora nascosto dalla
penombra che la copriva quasi completamente, lontana da qualsiasi torcia. Poi,
tornando a fissare dritto dinnanzi a sé, scrollò impercettibilmente le spalle e
sussurrò ancora. Come se avesse poca convinzione egli stesso nelle sue parole.
“Il fatto che esistano… Suppongo…”
Si interessò a quella strana risposta. Valutando la
situazione, scegliendo con cura le parole da dire, assottigliò gli occhi.
“Come ti chiami?”
Draco le lanciò uno sguardo veloce, circospetto, per poi
tornare a guardare la propria mano appoggiata sul legno del tavolo, accanto a
una Burrobirra.
“Perché le interessa? Lei chi è? Prima di tutto.”
“Ho solo chiesto di dirmi il tuo nome, non chi sei. Solo per
poter avere un nome da ricordare.”
Qualche attimo di silenzio, e poi sembrò accettare la sua
risposta.
“Draco.”
“Draco…”
Conosceva il suo nome. Ma voleva avere un pretesto per
nominarlo ad alta voce.
Quando aveva saputo che Narcissa era incinta, poco dopo
essere andata via di casa, per un momento aveva desiderato vederla con la
pancia, chiederle se era una maschio o una femmina, interrogarla sul nome che
avrebbe scelto.
Infondo, allora, considerava ancora tutti loro come la sua
famiglia.
Poi il bambino era nato, l’aveva saputo da voci di
corridoio. Il figlio dei Black e dei Malfoy, l’unione di due grandi e nobili
famiglie magiche:
Draco.
Sorrise quando lo sentì, e ancora ricordava il pensiero
fugace che attraversò la sua mente.
Ottima scelta, Narcissa.
“E’ un bel nome, complimenti.”
Lo vide ghignare appena.
“Li faccia ai miei… Tradizione di famiglia…”
Già. Lo sapeva bene.
Andromeda come Draco, come Sirius… Tutte costellazioni che
li osservavano da lassù, da quel cielo stellato che la sera sembrava così
crudele, perché portava i ricordi con sé, e spaventosamente bello.
I Black sono nati per essere immortali nella loro purezza
e nobiltà, ricordati e ammirati da ogni famiglia magica, proprio come gli astri
celesti.
Era questa, più o meno, la ragione che si celava dietro a
quella scelta, tanto eccentrica quanto affascinate, di chiamare i propri figli
come stelle.
Vide Draco guardarla in uno strano modo, un sorriso furbo appena
accennato, uno sguardo animato da uno strano luccichio.
Assomigliava a Narcissa, oh sì.
Benché qualcuno vedendolo avrebbe detto fosse la “fotocopia
di suo padre”, lei riconosceva i tratti e le espressioni di sua madre, molto
più presenti di quanto un occhio estraneo avrebbe potuto notare.
“L’avevo scambiata per mia zia, ma era impossibile fosse lei…”
Andromeda indurì lo sguardo, e rimase in silenzio.
Sapeva. Sapeva di assomigliare incredibilmente a quella
assassina. Ogni volta che si guardava allo specchio voleva colpirlo e ridurlo
in mille pezzi.
“Evidentemente.”
“D’altronde lei è morta in questa guerra…”
Rispondendo cercò di sembrare il più convincente possibile,
mantenendo indifferenti i suoi sentimenti a tutto quello.
“Ci sono state tante vittime in questi mesi.”
“Vittima lei… non proprio…”
Non capiva se il ragazzo avesse abbassato la voce
semplicemente per non farle sentire quello che diceva, o se l’avesse fatto per
sottolineare l’ironia che le era parso di cogliere, o se invece fosse per
sofferenza.
Sofferenza?
Bellatrix, la zia affettuosa alla quale voler bene?
“Per fortuna non era lei.”
Ora decisamente tutto tornava.
“Non è una cosa carina da dire…” si sforzò di recitare.
“Questo è esattamente quello che avrebbe detto anche mia
madre… Infatti non direi mai una cosa del genere davanti a lei.”
“Ci era affezionata?”
Draco rimase in silenzio, e lei bramava quella risposta.
Narcissa e Bellatrix. Le due sorelle Balck.
Una volta c’è ne era anche una terza, ma questa era stata
persa da tempo. Non si rammaricava di questo. Tuttavia, qual era stato il
rapporto tra le due una volta che lei era andata via?
Non era mai andata particolarmente d’accordo con Bellatrix.
Troppo burrascose entrambe, ma con Cissy le cose erano diverse.
“Lei… sì. Direi alla fine di sì.”
Andromeda alzò il viso, respirando a fondo. Riflettendo.
“La famiglia è la cosa più importante.
“Mia zia era un tipo particolare, non facilmente amabile,
con qualcosa di folle, ho sempre pensato, ma era sua sorella.
“Anche se… credo che per salvare me, probabilmente avrebbe
messo in secondo piano anche lei…”
Questa volta lo sguardo di Draco era perso, ma il suo tono
era intenso. La confessione fatta davanti ad un’estranea, e a se stesso…
“L’amore fa fare cose a volte impensabili… Ed è nella natura
di una madre voler sempre proteggere il proprio figlio.”
“Mia madre ha fatto di tutto per salvarmi, in questa
guerra... E’ iperprotettiva e fastidiosa, a volte, quando mi tratta ancora come
un undicenne. Ma, probabilmente, senza il suo aiuto non sarei sopravvissuto.”
In fondo, si ritrovò pensare, che forse Narcissa era stata
una madre migliore di lei. Aveva tentato di proteggere suo figlio, la sua
famiglia, e ci era riuscita. Lucius e Draco erano ancora vivi, Ted e Ninfadora
no.
“Cosa… cosa credi che avrebbe fatto se tu invece fossi
morto?”
Interminabili secondi di silenzio. Poi gli occhi grigi del
ragazzo che si voltarono a guardarla.
E nemmeno la penombra che le copriva il volto sembrava proteggerla
più.
“Credo sarebbe impazzita.”
“Torturandosi l’animo, chiedendosi se avesse potuto fare
qualcosa di più. Volendo raggiungerti oltre la vita, lasciandosi tutto il resto
del mondo alle spalle, perché oramai nulla più ha significato…” aveva terminato lei
quel pensiero. Mescolando i suoi sentimenti alla finzione di un’ipotesi,
rivelando ad alta voce ciò che mai aveva detto a nessuno.
Si ritrovò a fissare il legno del tavolo. Sbattè le palpebre
e tornò a guardare Draco, quando questi riprese a parlare.
“Ma se le avessi lasciato un figlio, sono certo che
avrebbe continuato a vivere solo per lui…”
Si immobilizzò, ascoltando con stupore e paura quelle
parole.
No, non erano un caso. Come non lo erano i suoi occhi che la
stavano fissando, quel ghigno appena accennato di chi è compiaciuto per
l’effetto ottenuto, di chi la sa lunga.
Boccheggiò, restando poi in silenzio.
“Si direbbe quindi che non mi sono completamente sbagliato,
quando ho pensato di aver vista mia zia.”
Ancora silenzio da parte sua, e lui continuò.
“Vuoi sapere come ho capito?
“Be’ intanto, come ti ho già detto, la somiglianza con
Bellatrix era qualcosa di non trascurabile. Mi sono realmente spaventato quando
ti ho vista, ma poi mi sono detto che erano solo suggestioni… e brutti scherzi
del destino. Eri una donna che le assomigliava, punto. Lei era morta, e non che
avessi tanta voglia di rivederla gironzolare per casa a dare ordini a destra e
manca.
“Poi ti sei avvicinata, e quando hai iniziato a parlare,
pian piano, nella tua voce ho riconosciuto qualcosa di mia madre. Allora ho
pensato che non potevano essere coincidenze e che, d’altronde, c’era un’altra
Black, in giro, da qualche parte.
“Non mi hanno mai parlato di te, e non ci tenevo allora,
come adesso d’altronde, a sapere nulla di più della tua vita. Non ho mai visto
una tua foto. Ma una volta zia Bellatrix andò su tutte le furie perché mia
madre le ricordò di quanto vi assomigliavate da piccole. E così…”
Andromeda emise un mezzo sbuffo di resa, il tono pungente.
“Sei proprio il figlio di tua madre.
“Quindi sapevi sin dall’inizio con chi stavi parlando…”
“No, non dall’inizio. Se proprio lo vuoi sapere, a
confermare le mie ipotesi sei stata tu stessa.
“Ti sei tradita da sola. Perché di solito non si chiede se
una persona fosse stata affezionata alla sorella morta.”
“Hai ragione…” inarcò le labbra in un sorriso di amara
constatazione.
“Sono stata stupida e sbadata. Mi sono lasciata trascinare.”
“Non posso che darti ragione…”
“E sei anche il figlio di Lucius Malfoy.
“Non sono mai andata particolarmente d’accordo con tuo
padre. Spero tu abbia preso da Narcissa” sentenziò altezzosa.
Draco non rispose subito. Meditando, in quella che le sembrò
un’espressione cupa, sulle sue parole.
“Mio padre non va particolarmente d’accordo con i
traditori del proprio sangue” lapidario e conciso.
“Neanche tu, scommetto. Eppure questa piacevole
chiacchierata avresti potuto interromperla parecchi minuti fa. Invece mi sembra
non ne avessi la minima intenzione.”
“Curiosità. Tutto qui. E non mi sembra che la mia fosse
l’unica, da come mi osservavi.”
“Hai ragione di nuovo. Ma io non ho torto, qualcosa ti ha
spinto a voler parlare con me. Forse questa guerra…”
Piegò le labbra in un sorriso storto, ma non malvagio.
“Ti saluto, Draco.”
Fece un passo vero la porta, ma si bloccò. Non voltandosi
tuttavia indietro.
“Anch’io continuerò a vivere solo per suo figlio.”
“Lo diceva spesso nonna Druella a mia madre, che ti
assomigliava più di quanto non sembrasse…”
Voltò il viso, inarcando un sopracciglio, scettica e
sorpresa a quella affermazione. Draco sorrise malevolo.
“Appunti di vita. Tenere sempre a mente ciò che si è e ciò
che si vuole diventare. Annotare i propri difetti, per saperli correggere ed
eliminare…”
Andromeda si voltò nuovamente, il naso appena all’in su, i
capelli scrollati sulle spalle. E uscì definitivamente dal Paiolo Magico, con
l’intimo sollievo di non aver sbagliato nemmeno di una virgola a giudicare la
“sua” famiglia e i “suoi” Appunti di vita, con la felicità rinnovata di
aver scelto appena in tempo un altro manuale da seguire…
Più volte mi è venuto in
mente di pensare a quale sarebbe stato il rapporto tra questi due personaggi,
così non ho trovato momento più adatto che la fine della guerra per metterli a
confronto… Grazie d’aver lettoJ