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Twelve and Shit
Tutti
quelli che hanno
letto il mio delirio sul social network più famoso del
mondo, conoscono il mio
modus operandi, chi invece non mi ha già seguito corra a
farlo subito sennò
stanotte si ritroverà una Cacca Rosa Gigante con lo sguardo
minaccioso.
Ora, ammesso e concesso che le Cacche Giganti esistano e possano avere
sguardi
da gangster malavitosi, sono tornato con una sorte di diario virtuale
che
voglio mettere a disposizione di tutto il popolo di EFP. Questa nuova
idea
nasce dal fatto che i troll non si estinguono e continuano a voler far
parte
della mia vita, nonostante io cerchi semplicemente di stanarli con il Raid.
Vi racconterò (senza raccontarvi niente) diverse mie
esperienze, assurde quanto
ironiche, che ho avuto negli ultimi tempi.
Tutto ebbe inizio otto anni fa, quando io, con il mio amico di cui non
farò il
nome perché sticazzi, passeggiavamo per l’Upper
East Side (in realtà era per
Napoli, ma un po’ di glamour non fa mai male) con Serena van der Woodsen
(ovvero mia mamma)
e Blair Waldorf (rullo di tamburi: mia nonna).
A quei tempi ero un piccolo scassa anime di dodici anni, il mio mito
era Goku e
la mia massima ispirazione era diventare un Super Saiyan. Tracciato
questo
profilo bimbominkiesco, bisogna aggiungere che i miei compagni non
erano certo
migliori di me: la maggior parte dei miei coetanei era ancora
più rintrollata, senza
contare che il mio
stesso amico del cuore era un fan di Leonardo,
non l’artista, non l’attore,
bensì la Grande Tartaruga Ninja
dall’indubbia esistenza.
Cari lettori, vi starete rendendo conto che il trolling
di questa storia aumenta rigo per rigo, ma io voglio
stupirvi ancora: adesso arriva il pezzo forte.
Io, a dodici anni, oltre che scassa anime, ero anche un po’
cleptomane.
Andiamo, non fate quelle facce disgustate da signori della grande
nobiltà,
quando voi siete i primi a mangiare nei cerchioni delle auto, per
giunta
rubate.
Da piccoli tutti avevamo dei vizi sbagliati, il mio era quello di
prendere ciò
che Serena van der Woodsen mi impediva di comprare.
Ecco perché non piangevo quasi mai, non mi facevo mancare
niente.
Il fatto si svolse in una fumetteria, lì dove intravidi un
bellissimo e
imperdibile portachiavi con la scritta “I’m Super
Saiyan, bitches”. Ammetto che
non ricordo bene cosa ci fosse scritto, ma suppongo che fosse
così.
Serena aveva già fatto spese ai grandi magazzini di quella
lussuosa città (cioè
la spesa al Conad) e aveva esaurito i liquidi sulla carta di credito
(era
tornata a casa con novanta centesimi e un biglietto del pullman
marcato) per
cui aveva bisogno di andare alla banca e prelevare (rivolgersi a mia
nonna) per
comprarmi quella sciocchezzuola.
La banca, però, quel giorno era piuttosto indisposta (mia
nonna progettava di
fuggire con Chuck Buss – il vecchietto che giocava sempre a
briscola il venerdì
sera al Club della Parrocchia - alle
Hawaii – probabilmente Terracina - e conservava i denari per
tale occasione).
In ogni caso, io avevo poco tempo a disposizione. Così, tra
un ripensamento e
l’altro, decisi di allungare la mia manina e di sbattermi
quella conquista
nella tasca del mio pantalone di Dragon Ball (suona come una cosa
erotica, ma
non lo è, pervertito).
E ci riuscii.
Tutto contento andai via con mia mamma e mia nonna, mentre il mio amico
privo
di nome restò nel negozio e da quel momento non lo rividi
mai più… forse perché
accusai lui del furto, ma non ne sono certo, è molto
più probabile che gli
anziani gestori del negozio lo abbiano rapito per venderlo ai cinesi in
affari
con gli alieni.
Quando tornai a casa e gettai quel portachiavi nella spazzatura,
perché tanto
ormai lo avevo avuto e non mi importava più di averlo,
successe una cosa molto
strana.
Giusto il tempo di stendermi sul letto e un bagliore di luce comparve
al centro
della mia stanza, illuminando ogni cosa lì presente, persino
me stesso.
Quello fu il momento della mia vita in cui ebbi un pene fosforescente e
illuminato, ma tutti si rifiutarono di credermi e lo fanno
tutt’oggi.
Ancora incredulo, ad un certo punto, vidi uscire da questa luce
un’enorme
sagoma rosa. Quest’ultima, lentamente, si avvicinava a me e
più si avvicinava
più riuscivo a vederla meglio e a capire cosa fosse.
E così la vidi.
Bellissima, maestosa, quasi rotonda, squisitamente rosa, ovviamente
dalla massa
informe.
Una Cacca Rosa Gigante.
In quel momento, la mia bacata mente da ragazzino pensò che
quella Cacca mi
fosse amica, che mi avrebbe portato in misteriosi e magici luoghi in
grembo
alla sua sella.
Io avevo sempre sognato quel momento: cavalcare una Cacca Rosa! E chi
non lo ha
sognato almeno una volta?
E invece…
“Ascoltami, figlio di puttana, se non la smetti di rubare
giuro che ti spezzo
le dita una ad una e poi te le faccio mangiare” furono le
prime parole che udii
da quella Merda.
Continua il 4 Agosto con un nuovo
Caccoso Capitolo!
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