Imprinting
Sotto i pini di La Push si
chiama così.
Nel resto del mondo si chiama in un altro modo, sempre lo stesso,
con una sola parola.
.
IMPRINTING
.
Il mio nome non ha alcuna importanza.
Conta solo
sapere che io ero lì, e c’ero perché
amavo lei. Diversamente, credo che molto prima di quei fatti me ne
sarei andato, come hanno fatto altri. C’ero perché
l’amavo, e non so se fosse colpa della Magia o di qualche
altra cosa nel mio essere che risuonava con il suo fin da quando
l’ho conosciuta. Sta di fatto che, benché lei non
sia mia, il fatto di amarla o meno non è una scelta.
Non
l’ho capito subito. All’inizio credevo fosse
amicizia. Forse perché il primo aggrovigliarsi di qualcosa,
dentro, non l’ho avvertito sotto la cintura dei pantaloni ma
decisamente più in alto, a sinistra, appena sotto le prime
costole.
Sono uno
degli ultimi lupi del branco di La Push e lei è la donna del
mio Alfa, Jacob Black. E la storia che sto per raccontare, alla quale
ho assistito da impotente spettatore, potrebbe avere molti nomi ma qui
da noi ne ha uno solo.
Imprinting.
Diario di Bella Swan Black
.
.
Devo restare calma. Devo
farcela. Devo stare calma. Questa cosa non sta realmente succedendo,
non a noi. Non a noi. E poi però mi dico, perché
a noi no? Succede anche di peggio nella vita, non possiamo pensare che
succeda sempre e solo agli altri, vero? Cosa sono io, una raccomandata?
Sono stata esentata? Al contrario, magari ho avuto fin troppo culo fino
ad ora. Le cose non succedono sempre e solo agli altri. Ora noi siamo
gli altri e gli altri siamo noi. Uno si siede dal parrucchiere, apre un
giornale di gossip e trova almeno una dozzina di storie
così. Appunto. Un giornale di gossip, non noi. Non io. Non
lui.
Stai calma, stai
calma. Gli altri sopravvivono, sembra. Forse ce la puoi fare anche tu.
Ho fatto anche questo. Spiarla. Quella sera non mi bastava viverla nei
pensieri di Jacob: sapevo quanto stava male, dovevo sapere. Volevo
soffrire anch’io. E poi Jacob era corso via ed era mutato,
chiudendomi fuori. Allora sono andato a casa loro e l’ho
spiata da lontano.
I ragazzi
dormivano, l’unica luce era quella della sua finestra, e io
la guardavo scrivere su un quaderno dalla copertina nera, sola in un
letto per metà vuoto. La vedo ancora, con le spalle nude e i
capelli raccolti malamente, le labbra pallide segnate dai suoi stessi
morsi, le guance lucide, bagnate.
Scrive alla
luce della lampada da notte, reggendosi su un gomito; con la stessa
mano con cui stringe la penna, preme per tenere aperto il quaderno e
contemporaneamente traccia segni sulla carta, a fatica.
Sembra
così piccola.
Poi torna
lui. Solo perché è stordito non si accorge di me,
solo perché è ubriaco di emozioni contrastanti,
spaccato in due, lacerato nella direzione dei quattro punti cardinali
non avverte l’onda dei miei pensieri; ho il timore che lo
investano e mi scopra, anche se non siamo nella forma del lupo.
Così
lo vedo aprire la porta ed entrare nella loro camera da letto, dove lei
sta scrivendo. Vedo il suo disappunto doloroso nel trovarla sveglia.
Vedo lei trafitta, ancora. La fortuna è dalla mia parte: il
vento soffia nella direzione opposta e non mi porta le parole, sono
abbastanza lontano da non comprendere quello che si stanno dicendo. Non
voglio sentire.
Vedo lui
che si gira per uscire di nuovo, vedo lei che lo trattiene stringendolo
per la vita, aggrappandosi al suo corpo. Lui si irrigidisce, chiude i
pugni, si volta e l’afferra per abbracciarla, poi cerca di
andare e lei ancora lo ferma. Sembrano i passi di una danza atroce. Lo
vedo prenderla in braccio, portarla sul letto e spogliarla
così in fretta da strapparle la camicia da notte; ora
è lui ad aggrapparsi a lei come un naufrago ad un relitto,
al pezzo di legno rovinato e solitario che può ancora
tenerlo a galla. Osservo il modo in cui le parla scostandole i capelli,
concitato e teso mentre cerca di strapparsi via ma non riesce a farlo,
perché il suo corpo la cerca - la danza atroce continua.
Vedo lei stringerlo, chiamarlo, lei che non vuole arrendersi. Resto a
guardare sul viso di lei le conseguenze di una risposta rude, vedo lui
cercarla perché il suo corpo si ribella e si rifugia in lei,
come ha sempre fatto nei momenti più bui. Lei lo lascia
fare, lo chiama e so che lo sta supplicando, anche se non sento
percepisco distintamente le parole.
So che lui
la ama e la odia per quanto la ama, vorrebbe lasciarla ma non
può, vorrebbe restare e non può, allo
stesso modo. Lo vedo.
Lo vedo
scoparsela mentre brucia per un’altra.
Lo odio con
tutto me stesso. Quasi quanto odio me, noi e la Magia.
Lo vedo
staccarsela di dosso, alzarsi e alla fine lasciarla comunque:
è stato tutto inutile. Lui sparisce dietro la porta
lasciandosela alle spalle come un guscio vuoto.
Lei
è così piccola.
Si copre
con un lenzuolo, il diario è per terra e la penna
chissà dove è finita. So che muore di freddo
sotto quel lenzuolo, la guardo da anni e conosco ogni suo brivido,
anche se non sono mai stato io a scaldarla. Vorrei andare da lei e
prenderla in braccio e fare come fa lei coi suoi figli, accarezzarle i
capelli e dirle che va tutto bene.
Ma non va
bene proprio niente. E in ogni caso, è niente quello che io
posso fare.
Le stelle
girano sulla nostra testa e cercare di fermarle è
impossibile; fermare quello che sta accadendo è esattamente
la stessa cosa. Le mani mi tremano, come se le catene fossero diventate
reali, pesanti. Atroci.
Lui
starà fuori tutta la notte a graffiare sugli alberi della
foresta il suo sdegno. Lei si addormenterà sfinita.
Decido di
mutare e corro dalla parte opposta, non voglio incontrare Jacob. So che
non incontrerò nemmeno i suoi pensieri, li protegge da me in
questo momento. Da noi. Brucia da solo.
Sono
fortunato almeno in questo: quando mi arrendo al lupo, il lupo ancora
una volta mi salva.
* * *
Si chiamava
Lorna Williams, un cazzo di nome da playmate o da parrucchiera di Port
Angeles, ma non faceva la parrucchiera. E neanche la playmate. Era
un’insegnante della scuola della riserva, nazione Lakota se
non ricordo male. Il fottutissimo imprinting ci vede bene: figli in
abbondanza, lupi più forti e lei sembrava nata per quello.
Per accogliere corpi di maschi, figli o amanti che fossero. Alta e
imponente come la Dea che ha creato il mondo, fianchi larghi, gambe
infinite e tette a sufficienza per tutto il vecchio branco, Paul
compreso. Anche tutti insieme. Lei era.. tanta, e bella come la Madre
del mondo.
Una sera ce
ne stiamo tranquilli alla nuova birreria, si festeggia il compleanno di
Kim e va tutto divinamente. I bambini sistemati col nuovo metodo, che
consiste nel portarli tutti quanti a casa di Sue e Charlie e lasciarli
lì a dormire, tanto hanno una tale paura di Nonna Sue che si
guardano bene dal fare casino: giocano per un po’ mentre i
vecchi fanno finta di non sentire, ma quando la vecchia sciamana infila
dentro la testa e dice basta anche i più audaci la piantano
e si addormentano in fretta.
Le mogli,
senza figli appresso, sono tornate ragazzine: hanno le scarpe col tacco
e vestitini leggeri ma non troppo aderenti perché i figli,
anche quando non ci sono, i segni addosso li lasciano; nessuna di loro
ha il corpo che aveva quando è nato il branco, quando siamo
diventati quello che siamo. Noi non invecchiamo, il tempo passa solo su
di loro: le guardiamo andare avanti, vorremmo seguirle e non riusciamo.
Nemmeno stasera riesco a scordare la nostra maledizione.
Bella
è rimasta sottile sempre, anche dopo i gemelli. Ha un
po’ di pancia, ovvio, e il seno è più
largo e morbido, ma sembra ancora una ragazzina. Solo che non
dà più l’idea di scomparire al primo
soffio di vento, è abbastanza solida adesso da poterla
afferrare o da potersi aggrappare a lei senza paura di spezzarla, da
poterla stringerla per fare l’amore senza paura di farle
troppo male.
Lui la
trova ancora più seducente; nella sua testa ci sono sempre
tutte nello stesso momento, la bambina, la ragazzina, la madre con il
ventre enorme e rotondo, la giovane donna dai fianchi materni. Sua
moglie. Bella. Dio mi perdoni o mi accechi se non vuole che io la
guardi più, non riesco a farne a meno, e anche se non
volessi la vedrei mille volte con gli occhi del mio Alfa. Non avrei
comunque scampo.
Lui non
vede nessun’altra se non lei e ad ogni anno che passa lei
è sempre più sua, come marchiata da lui. I
fianchi glieli hanno allargati i suoi figli, lei gli appartiene come la
terra, come casa sua, come l’aria che respira.
Perciò nessuno di noi avrebbe immaginato nemmeno
lontanamente quello che stava per accadere.
E io mi
ricordo solo che avevo finito la birra e stavo per ordinarne
un’altra, ma non l’ho mai fatto.
Il DJ mette
la musica un po’ più alta, finalmente si
può ballare; le ragazze si alzano, Bella prende Jacob per
mano e lo trascina sulla pista dove lui prima prova qualche passo, poi
ci rinuncia e la tira vicino e comincia a ballare un lento, mentre
tutti si dimenano al ritmo di Love
is Forever.
Quando sta
per succedere, Bella ha gli occhi lucidi e le guance rosa e sta ridendo
con la testa all’indietro, perché loro due quando
ballano sono ridicoli; Jacob le annusa il collo e la bacia, fingendo di
ignorare che sono in mezzo ad una piccola folla, ridendo nella sua
risata e nel suo collo profumato.
- Jake,
guarda. C’è la professoressa di Aaron e Caleb,
quella nuova. Professoressa Williams! Non mi sente. Vieni che te la
presento.
Lo riprende
per mano, si avvicinano al bancone.
Ancora
pochi secondi.
-
Professoressa, buonasera! Anche lei qui a fare follie?
- Signora
Black, che piacere. Io…
- Questo
è mio marito, Jacob. Non credo che vi siate ancora
conosciuti, vero?
Tutto
quello che c’è intorno scompare.
Le luci si
sono spente, non c’è più niente. Solo
loro tre.
Lorna
guarda Jacob, Jacob guarda Lorna. Bella guarda Jacob che guarda Lorna;
non capisce. Nella sua testa non c’è posto per
quello che sta vedendo. Immagino il reset nel suo cervello, non
può pensare che sia possibile, di sicuro si sta sbagliando.
Vuole che torni la musica e la musica non torna, la luce resta spenta,
l’unica cosa visibile sono loro tre dentro al globo di luce,
come avessero un faro puntato addosso in una stanza vuota e
completamente buia. Solo loro tre, non si vede nient’altro.
E poi
l’orrore.
Bella
è fuori al buio. Nel globo di luce ci sono solo Lorna e
Jacob.
Il giorno
dopo Jacob va a portare i ragazzi a scuola; diversamente da come fa di
solito li accompagna fin sulla porta della classe. Casualmente la prima
ora di lezione è proprio di Lorna Williams, che è
già in classe e sta compilando il registro. Aaron e Caleb
appendono i giubbotti nell’armadietto, trafficano con gli
zaini; il loro padre è già sulla soglia.
Lo vedono
lì fermo, le braccia abbandonate. Non li guarda
più. Sta lì senza parlare, lo sguardo fisso
dentro la classe, dove sta la professoressa Williams.
Lorna
Williams alza gli occhi dal registro che sta compilando e volta la
testa di scatto verso la porta, come se qualcuno l’avesse
chiamata di colpo - ma nessuno ha parlato. Diventa rossa come un
peperone e i ragazzi pensano toh, sembrava una dura questa prof e
invece guarda lì, basta che venga un genitore a parlare e
lei si agita.
La
professoressa guarda il padre di Aaron e Caleb, i ragazzi pensano visto prof, che figo mio padre,
eh? Lo sai che è il capo della tribù? Lo sai che
è il capobranco, anche se non te lo possiamo dire?
Chissà
cosa vede, lei? Jacob è imponente, ai suoi
ragazzini sembra sempre enorme e tipo un supereroe, anche solo con la
maglietta bianca e i pantaloni da lavoro che porta ogni mattina. I
ragazzi entrano in classe, la professoressa resta ferma, il petto che
si alza e si abbassa veloce, il respiro affannato.
Gli occhi
di Jacob sono duri ma non la lasciano andare.
Suona la
campanella e li salva tutti.
I vecchi
l’hanno capito in fretta: i segni erano evidenti e poi quelli
che l’avevano provato l’hanno riconosciuto subito.
E anche quelli che per abitudine hanno sempre la risposta pronta quella
volta se ne sono stati zitti, e quando passava Bella abbassavano la
testa, sparivano nelle porte, fingevano di non vedere. Nemmeno la
vecchia Sue sapeva cosa dire, lei che non starà
zitta nemmeno davanti a Dio nel giorno del Giudizio.
Il crimine
era sulle spalle di tutti.
Perché,
Ok, lo stramaledetto lupo avrebbe anche potuto accontentarsi, no?
Quattro figli nati da loro, quattro bellissimi figli. Cosa poteva
volere ancora il lupo? Che altro tributo poteva pretendere? Quattro
cuccioli maschi di sangue alfa non erano abbastanza?
Ogni tanto
Bella ci pensava. Si chiedeva perché a Jacob non era
capitato, se poteva dirsi al sicuro, se avrebbe ancora potuto accadere,
ma il vecchio Ateara aveva sentenziato che ormai non sarebbe successo
più. Evidentemente ancora non bastava: il lupo voleva di
più, avido come un vampiro.
Alla
riserva non si parlava d’altro, cambiava solo il modo. Al
supermercato, a scuola, al lavoro, in paese, a Bella sembrava di essere
sulla bocca di tutti ed aveva ragione, lo era davvero. Camminava con la
testa bassa, nascondendosi dietro ai capelli o ai suoi figli o
tuffandosi improvvisamente concentrata nel foglietto spiegazzato della
lista della spesa. Girava tra gli scaffali con passi brevi e veloci,
raccattava due cose e scappava, fingendo fretta con tutti. Non reggeva
la compassione; la compassione è per chi è
spezzato, per chi ha perso, per chi soffre. Lei non aveva ancora perso,
perché la davano per spacciata? Lei non voleva piangere.
Perché tutti sembravano allungarle il fazzoletto?
Così
alla fine la evitavano, credendo di beffare la propria vergogna.
La evitava
Emily che sapeva cos’era l’imprinting e non aveva
il coraggio di dirglielo; la evitava anche per non pensare a Leah
Clearwater, per non stare di nuovo male, per non essere proprio lei a
dirle la verità. La evitava Sam perché aveva il
cuore a pezzi, non sapeva cosa fare e soprattutto cosa dire, Sam non
è mai stato un gran chiacchierone. Sembrava si sentisse
colpevole, manco avesse contagiato Jacob e lo stramaledetto imprinting
fosse una roba infettiva come l’Aids.
I
più anziani del branco, Jared, Paul, anche loro giravano al
largo e nessuno era più tanto fiero della tradizione e delle
leggende, lo schifo era troppo. E il vecchio Quil guardava in giro con
umidi occhi tristi, sconsolato, incapace di sorriderle e prenderla in
giro come aveva sempre fatto da quando l’aveva conosciuta.
Non avrebbe mai pensato di chiudere la sua vita vedendo una simile
ingiustizia, uno scherzo degli spiriti, una battuta venuta male come
questa; e soprattutto mai avrebbe pensato che la magia potesse essere
tanto infame.
Sbandata.
Cotta. Imbarcata. Infatuazione. Scuffia.
Adulterio.
Tradimento.
Così
ne parlava chi non sapeva nulla o chi non aveva capito niente.
Commiserando lei, accusando Jacob, insultando la puttana straniera
venuta a portare guai.
Una delle
mie amiche lavorava a scuola, così avevo notizie anche da
lì. Una sera mi dice che Lorna Williams da alcuni giorni
mangia da sola, né al tavolo insegnanti né in
mezzo ai ragazzi, come faceva appena arrivata.
Cosa
diavolo sta succedendo?
* * *
- Vieni.
Vuole proprio me. No, per
favore, penso io. Non ce la faccio.
- Con ‘sto tempo di
mer… Non siamo di turno, non ti ricordi? Ci sono Jared e
Colin là fuori e mi sa che stanno perdendo tempo anche
loro… E’ tutto tran…
- Vieni.
Così lo seguo. La
notte è la più buia che io mi ricordi; non solo
non c’è luna, ma la pioggia è tagliente
e nera come inchiostro. Non si vede ad un palmo dal naso, ma lui si
allontana veloce e sicuro dalla luce e quasi non mi ricordo che
anch’io, come lui, sono in grado di vedere nel buio. Lui
salta e mi aspetta.
Quando raggiungo la sua mente
è come tuffarsi in una voragine nera e rosso fuoco, un
vulcano maledetto sul punto di esplodere. Il calore fa bruciare anche
la notte ma non è un piacevole tepore che riscaldi,
è solo tormento.
“Seguimi. Devi
seguirmi.”
Corre in direzione opposta
alla linea del trattato, verso la foresta, al confine col Canada. Corre
come avesse mille demoni alle calcagna e in realtà
è proprio così: correndo mi trascina con
sé in un abisso nero, ma non posso evitare di seguirlo. La
donna chiamata Lorna Williams mi appare mutando continuamente la sua
forma: la mattina a scuola, spiata dalla finestra, nuda sotto la
doccia, nuda e fremente. Quand’è che Jacob
l’ha vista così? E’ un ricordo o un
desiderio? Sono sconvolto, mi dibatto con lui nei tentacoli
dell’imprinting, nella colpa del desiderio bruciante del mio
alfa che cerca di mutilarsi per annullarlo. C’è la
donna chiamata Lorna e poi Bella, i figli e poi ancora lei. Cavi
d’acciaio spietati lo riportano alla donna alta, quella
che sembra la madre del mondo.
Corre, corre e intanto mi
trascina nel vortice, sempre più lontano dalle nostre case,
dalla luce e dal calore. E’ la sua notte più buia.
E’ la nostra notte più buia.
La corsa non rallenta, sono i
suoi pensieri a farlo; pare ricordarsi della mia esistenza.
“Aiutami. Cosa posso
fare? Ci sarà qualcosa che posso fare, cazzo!”
“Jake, io
non…”
La bestemmia lacera la mia
mente e l’aria intorno.
E’ infuriato, il
fuoco della sua disperazione è nero e gelido. Il vento che
ci flagella a confronto non è niente, è un
sollievo.
La tormenta mi tira
giù insieme a lui. Non mi rimane più niente.
* * *
- Chi
è lei?
-
Sono… Siamo… uhm, siamo vicini di casa.
Abito laggiù, dopo i due alberi grandi. Sono venuto a
conoscerla - dico, allungando a Lorna Williams un piatto di biscotti.
Regole del buon vicinato, qualche volta servono a qualcosa.
Indico la
casetta tra gli alberi, da cui si vede il mare. È
lì che vivo, in quella che è stata la prima casa
di Bella e Jake a La Push.
Miss
Williams mi fa entrare in casa sua. Ci sono ancora scatoloni
nell’ingresso e odore di vernice fresca; la casa era della
vecchia Montgomery che ci viveva da una cinquantina d’anni.
Lorna l’ha affittata con tutti i mobili ma l’ha
prima vuotata, poi riverniciata di colori caldi - ogni parete un colore
diverso, dev’essere anche lei un po’ strana,
dopotutto - e poi evidentemente ha deciso di non riempirla di nuovo,
non con le cose della vecchia. L’arredamento è
nuovo, l’odore di fabbrica e vernici quasi mi brucia il naso.
Di vecchio c’è solo una credenza di legno dalla
quale occhieggiano stoviglie colorate. Piatti, anche quelli uno diverso
dall’altro. Sì, Lorna Williams è un
tipo particolare.
Al centro
della stanza sono stati aperti alcuni scatoloni: sono pieni di libri.
Altri libri sono impilati di fianco a scatole semivuote,
l’effetto generale è quello che delle grandi
bocche aperte stiano vomitando libri sul pavimento.
- Prego.
Posso offrirle qualcosa?
-
Uhm… un bicchiere d’acqua?
- Non sia
timido. Ho del vino rosso.
- Vada per
il vino rosso.
Sparisce
nella cucina che è separata dalla sala da una tenda di
perline. Riappare con due calici colmi fino a metà di un
liquido rosso rubino; odore di vigne e di sole, di frutta e muschio. Un
vino italiano, e dei migliori.
Non riesco
a non chiedermi se l’abbia offerto anche a Jacob, lo stesso
vino, e cosa potrebbe avere risposto lui. Non riesco a chiedermi se sia
successo qui. Se è successo, poi. Mi scopro a cercare il
loro odore nell’aria.
Non riesco
a evitare di fare la prima domanda idiota. D’altronde non
poteva essere diversamente: non so nemmeno esattamente
perché sono qui, ma adesso che ci sono qualcosa devo fare.
- Si
tratterrà molto alla riserva?
Idiota,
certo che sì. Questa casa sa di vita nuova, di speranze. Le
hanno fatto delle promesse e Lorna è venuta per restare.
- Detto
così, sembra che non veda l’ora di vedermi
ripartire. Siete tutti così simpatici da queste parti?
- No,
io… Non mi fraintenda.
Non
è una stupida. Sono io lo stupido, che sono venuto qui a
impicciarmi dei fatti degli altri.
Farei
ancora in tempo a stare zitto, a inventarmi qualcosa per rimediare.
Invece lo dico.
- Sono un
amico della famiglia Black. Sono un amico di Jacob Black e di sua
moglie Bella.
E poi la
guardo, dritto negli occhi. E lei sa che so tutto, tutto, e scommetto
che si chiede come cazzo sia possibile perché in
realtà non è successo niente: niente a parte
l’inferno che li sta consumando entrambi, ovviamente.
Qualcosa
che assomiglia ad un senso di colpa si dimena all’altezza
dello stomaco, ma non abbasso lo sguardo. Lo abbassa lei.
Lorna
Williams dev’essere una che non mente mai. Una che si
tradisce in questo modo non deve essere molto abile, con le bugie. Una
che cambia colore come una bambina cui è stato rubato un
segreto, non può essere una che d’abitudine
racconta palle. Mi piace, e con la pelle arrossata, il respiro corto e
questo imbarazzo delizioso che le impedisce di guardarmi in faccia la
trovo quasi simpatica.
Innegabilmente
bellissima. Il fottutissimo imprinting ci vede bene.
-
E’ venuto per raccontarmi le sue relazione sociali?
Non
rispondo, mi limito a guardarla: quella finta padronanza di
sé, quel lampo di sicurezza svanisce rapidamente, come
durante un temporale. Lorna si sgretola davanti ai miei occhi.
Cazzo sono
venuto a fare qui?
- No. Sono
venuto a conoscerla.
Mi alzo,
imbarazzato più di lei. Me ne vado senza dire altro,
consapevole che è tutto sbagliato. Sono sbagliato perfino io
e a nessuno interessa il fatto che mi farei tagliare le mani, se
servisse a trovare un rimedio.
Non
è una puttana. E’ una donna colpita da un fulmine.
E’ una donna che cercava di tutto, alla riserva, ma non
questo.
- Stia
bene, professoressa. Se avesse bisogno di qualcosa io abito
là. La mia casa è laggiù, la prima
dopo quei due alberi più grandi.
* * *
Sono stato via qualche giorno per lavoro, un corso di aggiornamento.
Quando rientro è quasi sera e vorrei correre fino a casa dei
Black come farei se tutto fosse normale; mi mancano i ragazzi, Bella
prepara sempre qualcosa in più per cena e magari potrei
fermarmi da loro. Una volta si faceva a casa di Emily, da qualche anno
si viene qui, da quando Sam ha lasciato il branco. Ho le foto del
compleanno di Kim e ce ne sono alcune che voglio lasciare a Bella;
potrebbe ingrandirle e appenderle, penso, perché sono venute
troppo bene. In una ci siamo noi due, è quando diamo i
regali a Kim; siamo entrambi rivolti verso di lei con qualcosa in mano
e un sorriso a trentadue denti. Peccato che lei guardi Kim e io guardi
lei.
Sto per
andare dai Black, come farei di solito. Invece un istinto bastardo mi
fa allungare la strada e senza quasi accorgermene sto camminando verso
la casa di Lorna Williams.
E’
quasi buio, perfino con la mia vista so che potrei sbagliarmi e spero,
spero come un pazzo, con tutta la disperazione che riesco a metterci,
di essermi sbagliato, di avere visto male: ma la sagoma che appare in
lontananza è inconfondibile, anche sfumata dalla cortina
della pioggia. La clessidra del tempo sembra essersi riempita di nuovo,
il nastro si avvolge all’indietro: un ragazzo bruno a torso
nudo, i capelli gocciolanti, le grandi spalle curve sotto un peso
insopportabile, risale dal sentiero verso la casa della professoressa.
Assisto da lontano: lui, a piedi nudi, fradicio e infangato, bussa alla
porta. Lei apre, è pallida e scarmigliata, i capelli
sciolti, spettinati, molli. Guarda per terra, poi solleva la testa.
E’
lei che si muove per prima.
Le loro
bocche si trovano subito e non c’è niente di
gentile in quello che vedo, solo un bisogno disperato e senza
tenerezza: non si abbracciano, sono solo labbra denti respiro a
scontrarsi. Lei cede terreno, Jacob entra in casa e chiude la porta
dietro di sé.
Non reggo
più, muto anch’io e corro dalla parte opposta.
Vorrei avere braccia abbastanza grandi e forti da parare la catastrofe,
da raccogliere il mondo che sta cadendo, stringerlo e tenere assieme i
pezzi, cancellare il dolore. Invece ho solo zampe di lupo e
l’unica cosa che riesco a fare è fermarmi a
gridare la mia disperazione, nell’ attesa vana che qualcuno
la ascolti e ci salvi tutti.
Poco
più tardi mi rendo conto che Bella è sola, forse
ha bisogno di qualcuno. Mi illudo che potrebbe avere bisogno di me.
Decido di
rientrare.
- Sei… Sei tu?
Oh… scu-scusa. Credevo fossi…
- Perché stai al
buio, Bella?
-Non accendere. Lascia spento.
E infatti è sola. I
ragazzi non ci sono, mi chiedo se sia solo una coincidenza o se li
abbia mandati via lei.
- Co.. come stai? Ti ho
portato…
- E’ andato da lei.
Non me lo sta chiedendo.
- Bella…
- Non mentirmi, per favore.
Almeno tu. E’ andato da lei.
Non resisto più. Mi
precipito da lei senza nemmeno chiudere la porta, la prendo per le
braccia e la sollevo. Non si regge in piedi, sono costretto a
sostenerla con un braccio.
- Bella. Guardami, per favore.
Ti prego, guardami.
Non riesco a fermare la mano
che le accarezza le guance bagnate, non riesco a non scendere sulle
labbra semiaperte in cerca di respiro. Ma resto congelato, la mano
ricade, una lama gelida mi svuota il petto: gli occhi che lei mi mostra
sono due pozzi ciechi di dolore. Non vedono niente. Ma per me
è bellissima anche così, con lo sguardo vuoto,
spezzata dalla sofferenza. E spezzata, crolla.
Sono qui per questo, amore.
Sono qui perché tu possa lasciarti andare, non ti farai del
male. Cadi su di me, feriscimi, dai un senso a questo idiota che sta
qui senza poter fare niente più che esserci. Prendimi,
fa’ qualcosa di me, per favore. Qualsiasi cosa.
Comincia a piangere gemendo
come il temporale fuori dalla porta, quasi gridando, molle tra le mie
braccia; la sostengo e non so cosa fare, non so se devo muovermi o
restare fermo, dirle che so esattamente come sta oppure restare
indifferente, fingere che non è niente, e intanto la
stringo, la premo contro di me la pelle la maglia la pelle calda mentre
vomita il suo dolore e io mi odio perché non so mentire,
perché sono talmente idiota da non riuscire a dire niente,
dovrei dirle che è bellissima e Jacob deve essere impazzito
per volerla perdere, dovrei, dovrei…
Ma lei non
c’è, non è qui. È solo un
urlo nel temporale.
Ora tace, non ha
più fiato, mi guarda, guardo il suo viso bagnato, le labbra
semichiuse. Sono così vicine alle mie, lei è
troppo vicina. Sono anni che non la stringo in questo modo, anzi, erano
solo sogni e in realtà non è successo mai. In
realtà l’ho abbracciata davvero solo una volta, un
giorno lontano. Lei era vestita di bianco, per quell’unico
ballo che non ho dimenticato mai. Il giorno del suo matrimonio con
Jacob. Ce l’ho di nuovo tra le braccia e sto per dimenticare
che è solo disperazione, mia e sua, e che se anche ora lo
facessi, se davvero posassi le labbra sulle sue e lei non mi cacciasse
via, sarebbe solo disperazione.
Lei ama solo un uomo, e non
sono io.
È così
vicina e io sto morendo e la sua bocca è solo ad un respiro
dalla mia.
Ed è lui che
compare nel vano della porta.
Me la strappa, la prende in
braccio, la stringe convulsamente. Il suo viso è quello di
un morto.
.
Ore dopo Bella ha smesso di piangere e si è addormentata. I
ragazzi ormai erano tornati e dormivano tutti; lui era ancora sveglio,
seduto davanti al camino nella sala grande. Guardava le fiamme,
immobile, non più fradicio d’acqua ma ancora
gelido. Quell'onda di gelo arriva fino a me.
- Corri con
me.
- Non
voglio saper…
-
Vaffanculo. Muoviti, andiamo. Io… Ti prego.
Il tono
cambia, da ordine si trasforma in preghiera. Credo abbia come bisogno
di un testimone, vuole che guardi nella sua mente. E’ pallido
come un cadavere, dovrebbe dormire invece di propormi di lanciarmi
nella foresta con lui, ma non riesco a fermarlo; se ne va verso la
porta ed io lo seguo. Poco dopo, quando trovo la sua mente, il vulcano
si è spento e solo un tenue fuoco rossastro ne illumina il
cratere.
- Guarda, per favore. Almeno
tu, voglio che tu lo sappia.
Obbedisco.
Sono lui, adesso.
Sono Jacob Black.
Ho spinto Lorna in casa, Lorna
fuoco freddo e disperato che brucia e mi bacia tanto quanto io bacio
lei. L’ho schiantata tra la porta e il mio corpo e ho
chiamato tutto il coraggio dei miei antenati per fare quello che
dovevo.
L’ho baciata,
baciata, a lungo. Ho ascoltato i suoi gemiti e ho avuto la netta
sensazione delle sue gambe che diventavano molli, inconsistenti.
L’ho baciata, ancora, e poi ho parlato.
- Devi andartene. Non
è una proposta.
- E’ un ordine? Un
ordine di chi, signor Black? E’ impazzito, per caso?
La bacio ancora,
disperatamente.
Lo dico a me stesso
più che a lei, ma la forza che ci metto è
esattamente la stessa.
- E’ un ordine.
- Prendo ordini solo dal mio
preside.
- Ti caccerà. Se
glielo chiedo io ti caccerà. E’ un mio vecchio
amico.
- Il preside Call è
un suo vecchio amico?
- Dei migliori.
Lorna trema sotto le mie mani
e io mi sento l’essere più abbietto che cammina
sulla terra, in forma di uomo o di bestia.
- Non mi sono mai. Sentita.
Così. Non me ne andrò.
- Lo farai.
- Perché mai?
La bacio come ho fatto prima,
ancora, e ancora. E ancora, perché è
l’ultima volta.
- Perché se no mi
uccidi.
.
Lorna Williams è partita la mattina dopo. Nessuno ha
più saputo niente di lei.
Sono
tornato dai Black una sera, un paio di settimane più tardi,
ho dato ai ragazzi le cose che avevo comprato per loro in viaggio e
abbiamo guardato le fotografie del compleanno di Kim. Una
l’ho rubata, quella dove Bella ed io le diamo i regali. Sono
riuscito ad infilarmela in tasca; solo che poi, fuori dalla porta, mi
sono sentito incredibilmente idiota e così l’ho
strappata e ho buttato i pezzi per terra. Poi ho raccolto una
metà, quella dove lei ride con gli occhi, le guance e la
bocca spalancata; l’altra metà, quella dove ci
sono io, l’ho lasciata cadere nel fango.
* * *
Il mio nome
non ha alcuna importanza. Probabilmente nemmeno il nome che diamo a
certe cose, qui a La Push, ha importanza.
Anni dopo,
passata la tempesta, mi sono trovato a pensare che da ovunque la si
guardi e la si racconti - con gli occhi di Lorna, o di Bella, o di
Jacob, o vissuta da dentro come fosse mia, come è accaduto a
me - questa storia di nome ne può avere uno solo.
Lorna.
Bella. Jacob. Io stesso. Uomini, donne, lupi. Le parti che si cambiano,
i finali mutano, chi vince ha perso e chi sembra aver perso in
realtà ha vinto davvero. Basta un solo nome per una
banalissima storia, vecchia quanto il mondo. E quel nome non
è “Imprinting”.
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Seconda classificata al Flash Contest "Se..."
indetto da
cenerella sul forum di EFP.
Questa storia è... non lo so bene, comunque era un episodio
di una long che ho cancellato e che era il seguito della mia Rising
Sun. Spero che funzioni anche da sola, come storia a
sé. Storia di una crisi e di una vittoria. Alla fine poi si
tratta solo di una scusa per parlare di tradimento e di come si
può cadere e rialzarsi.
Comunque in questo Universo Bella ha scelto Jacob, vive a La Push e ha
avuto quattro figli con suo marito. Ed è amata in segreto da
uno dei lupi del Branco. Per capire che è, provare a
spulciare in Rising
Sun dove ho seminato qualche indizio :) Poi magari un giorno
ripubblicherò Invictus, visto che tanto ormai di qua non
passa più nessuno XD e io forse ho superato qualche menata
relativa a quella storia.
Grazie per avere letto fin qui.
Un abbraccio
J.
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