14.
Ticking clock
La sabbia dorata scorreva lungo lo stretto collo della clessidra, lenta e inesorabile, granello dopo granello.
Persefone aveva imparato che il
tempo scorre anche per chi è immortale, e che, cosa più
importante, non è mai possibile recuperarlo, una volta perduto.
Sospirò. Non erano stati sei
mesi facili, e l'autunno era ormai alle porte, cosa che la faceva
sentire sempre un po' depressa.
Sua madre si era trasformata in una
specie di carceriera. Non la lasciava sola un attimo; solo le
sporadiche riunioni con gli altri dèi, a cui la madre era
costretta a partecipare, fornivano alla giovane dea un po' di respiro.
Durante quegli intervalli di tempo
– sempre troppo brevi, ma cercava di accontentarsi – poteva
finalmente rilassarsi: chiacchierare animatamente con le
divinità minori che frequentavano l'Olimpo, talvolta addirittura
azzardarsi a scendere sulla Terra, con l'aiuto di Helios o Cupido.
Con suo sommo stupore, i suoi amici
non l'avevano ostracizzata per il suo nuovo aspetto o per il suo ruolo
di regina dell'Oltretomba: dopo un iniziale momento di imbarazzo, tutto
era tornato come prima, o almeno così sembrava.
La verità era che provava, contemporaneamente, un'immensa noia e una consumante inquietudine.
Non aveva idea di come fosse
possibile, ma quelle erano le parole migliori che aveva trovato per
descrivere ciò che provava, da sei mesi a quella parte.
Morale della favola, non era riuscita a godersi i sei mesi che aveva potuto -dovuto?- passare sull'Olimpo.
Ovviamente, la colpa era solo sua. Ed era da lui che sarebbe dovuta tornare, il giorno seguente.
Non l'aveva più visto, da
quando era tornata sull'Olimpo. Sapeva che ogni tanto ci era salito
anche lui (a cosa fare, non ne aveva idea), ma non l'aveva mai
incrociato.
D'altronde, perché avrebbe
dovuto vederlo? Non voleva vederlo. L'avrebbe visto a sufficienza
durante i sei mesi seguenti.
Sentì qualcuno avvicinarsi.
Alzò gli occhi al cielo, pensando fosse Demetra.
“Già finita la riunione?” chiese.
Cupido le si sedette accanto, sorridente. “Non mi pare.” rispose.
Persefone rise. “Oh, scusa, credevo fosse mia madre.”
Cupido annuì. “L'avevo intuito. Sempre di malumore?”
Lei sbuffò. “Non puoi
capire quanto. Ogni volta che mi vede è sul punto di scoppiare
in lacrime.” Si abbracciò le ginocchia, abbassando lo
sguardo. “Dopo un po' mi dà anche fastidio. Insomma, non
è lei a doversi seppellire sottoterra per sei mesi all'anno...
Insieme a quel -” Si interruppe, deglutendo. “Ma adesso la
smetto di lamentarmi. Non faccio altro, ormai.” disse,
sforzandosi di sorridere.
Cupido la guardò, pensoso.
“Che c'è?” gli chiese lei.
“Devo dirti una cosa, ma so
che ti farò arrabbiare. Per cui, non so se dirtela o
meno.” rispose Cupido, giocherellando con una delle frecce che
teneva sempre nella faretra.
Persefone rimase interdetta per
qualche momento. “Beh, prometto che cercherò di non
arrabbiarmi.” fece infine. “Però vacci piano con
quella cosa, non credo che Psiche sarebbe molto felice se mi
innamorassi di te.” aggiunse, indicando la freccia.
Lui parve non sentirla.
“E'... complicato, ma potrebbe essere tutto molto più
semplice, sai?” mormorò, continuando a rigirarsi la
freccia tra le dita.
“Che cosa è complicato?” chiese lei, aggrottando la sopracciglia.
Cupido fissò i suoi occhi
viola ametista in quelli rossi di lei. “E' solo che trovo molto
triste il fatto che tu non possa mai sapere cosa si prova quando si
è innamorati di qualcuno. Insomma, tu e lui...
E così, stavo pensando... Basta che tu me lo chieda, e in un
attimo sarebbe tutto diverso. Basterebbero un paio di frecce.”
Persefone rimase senza fiato.
“Cosa... come puoi anche solo pensare che vorrei una cosa
simile?!” esclamò, indignata.
“Ecco, lo sapevo che ti saresti arrabbiata...”
“Certo che mi arrabbio!” Si alzò in piedi. “Non è così semplice!”
“Potrebbe esserlo.” replicò Cupido senza scomporsi.
Persefone si portò una mano
alla fronte. “No. Io lo odio. Credevo di essere stata chiara,
sono sei mesi che lo ripeto!”
Cupido si alzò a sua volta.
“Non farò niente che tu non voglia, perché sei mia
amica. Però mi dispiace per te. Ti stai complicando la vita, e
questo problema non si può risolvere in nessun'altra
maniera.”
Persefone non sapeva cosa rispondere. Si limitò a fissare l'amico a bocca aperta.
“Pensaci.” le intimò lui prima di volare via.
Abbassò lo sguardo, sforzandosi di considerare la cosa da un punto di vista razionale.
Concordava con Cupido sul fatto che
non ci fosse altra via d'uscita; ma il prezzo da pagare era troppo.
Meglio vivere con il problema, piuttosto che accettarne la soluzione.
Voltò le spalle alla
clessidra dorata. Non voleva riflettere sul tempo che passava; non
voleva pensare che l'indomani mattina non avrebbe visto sorgere il
sole, intrappolata nel freddo sottosuolo.
Prese a camminare, in preda ad
un'agitazione che le chiudeva la gola. Senza rendersene conto,
raggiunse il punto più alto della dorata residenza sulle nuvole.
Guardò in basso. Dal punto
in cui si trovava, riusciva a vedere tutto l'Olimpo. Con una punta di
fastidio, vide che gli dèi stavano uscendo dalla Sala delle
riunioni.
Si appiattì istintivamente dietro una colonna. Non voleva che sua madre la vedesse; non subito.
Purtroppo per lei, in mezzo a tutte
quelle divinità dai colori accesi e vivaci, i suoi colori spenti
non la aiutavano a passare inosservata.
Con la coda dell'occhio, vide che qualcuno le era appena comparso di fianco.
“Buongiorno.” le fece una luminosa Afrodite.
Persefone provò a sorridere, ma le riuscì solo una smorfia poco convinta.
“Ti andrebbe di fare quattro chiacchiere?” le chiese la dea dell'amore in uno sfarfallio di ciglia.
“Riguardo a cosa?” replicò lei, sospettosa.
“Oh, nulla di importante.
Quattro chiacchiere, tanto per passare il tempo. Ho chiesto a tua madre
e mi ha detto che le andava bene.”
Persefone distolse lo sguardo. “... Va bene.” disse infine, sospirando appena.
Senza lasciarsi influenzare
dall'apparente apatia della giovane dea, Afrodite la prese per mano,
trascinandola nelle sue stanze e facendola accomodare su un grazioso
divanetto.
“Dunque, dunque...”
borbottò la dea, squadrandola con sguardo critico.
“Secondo me c'è bisogno di lavorare sulla tua
acconciatura.” disse, prendendo in mano una ciocca bianca e
ondulata.
Persefone arrossì. Odiava il colore dei suoi capelli.
“Non avevi una corona, una
volta? Sai, quella specie di corolla rosa..?” si informò
Afrodite, impegnata a frugare tra i molteplici prodotti di bellezza che
possedeva.
“Ehm... Sì, una volta.”
Afrodite annuì. “A mio
modesto parere, c'è bisogno di qualcosa che ti incornici di
più il viso. I capelli sciolti, così, ti appiattiscono.
Non va bene. Per niente.” dichiarò, armata di pettine.
“Ma non preoccuparti, adesso risolviamo tutto.”
***
“Caro, non penso che sia un'idea saggia.” protestò Hera, poggiando una mano sul braccio di Zeus.
Il dio le prese il viso tra le
mani. “So che sei preoccupata, ma è l'unico modo per
scoprire contro cosa andremo a misurarci.”
Hera scosse piano la testa. “Potreste rimanere intrappolati laggiù per sempre.” disse, con voce spezzata.
“No, non succederà. Fidati di me.”
“Non è di te che non mi fido.” sussurrò lei.
Zeus le sorrise. “Lo so. Ma
questa volta non ha altra scelta se non quella di collaborare. Lui
è tanto in pericolo quanto lo siamo noi.”
Hera lo guardò negli occhi. “State attenti.”
***
Afrodite la guardò, soddisfatta. “Molto meglio. Non trovi?” disse porgendole uno specchio.
Persefone osservò la propria
immagine riflessa. La dea le aveva acconciato i capelli in modo che
formassero una vera e propria cornice attorno al suo viso rotondo.
Sulla nuca, un fermaglio grigio ferro assicurava la folta chioma,
impedendo che ciuffi ribelli le cadessero sul viso, dandole fastidio.
Doveva ammettere che aveva fatto un ottimo lavoro. Stava molto meglio rispetto a prima.
“Grazie... Non dovevi.” balbettò, imbarazzata.
“Certo che dovevo!”
esclamò Afrodite, ridendo. “E' il mio lavoro. E poi, eri
così giù di morale... Non c'è niente di meglio di
un bel makeover per tornare di buon umore!”
Persefone abbozzò un sorriso. “Forse hai ragione.”
“Certo che ho ragione!”
convenne la dea dell'amore, sedendosi vicino a lei. “Allora...
Domani è il gran giorno, mi hanno detto.”
“Già.” rispose seccamente Persefone.
“Hmm.” fece Afrodite.
“Sai, Ade ha sempre avuto un debole per me. Non è l'unico,
ovviamente... ma la cosa mi ha sempre un po' sorpresa.”
Persefone la guardò, confusa. “In che senso?”
Afrodite si alzò in piedi di
scatto. “Oh, quasi dimenticavo. Ho una cosina per te.”
esclamò, evitando la domanda.
Le porse un portagioie rosa, dalla
serratura a forma di cuore. “Un regalino da parte mia.”
Aperta la scatolina, ne tirò fuori una boccetta di profumo, che
provvide a spruzzarle addosso senza esitazione.
Persefone, colta di sorpresa,
tossicchiò. Il profumo aveva una dolce fragranza di rosa appena
sbocciata, con un retrogusto che al momento non riusciva ad
identificare.
“Buono, no? Ne vado molto fiera, è una delle mie migliori creazioni.”
“Sei troppo gentile...” disse Persefone, imbarazzata.
“Sciocchezze.” la
liquidò Afrodite. “Bene, qui abbiamo finito. Buona
fortuna, cara.” aggiunse poi, mettendole in mano il portagioie.
Persefone si alzò in piedi. “Ti ringrazio.” Uscì dalla stanza, la fronte corrugata.
Non riusciva a spiegarsi
l'improvviso interesse della dea nei suoi confronti. Non ricordava
nemmeno l'ultima volta che si erano parlate.
Scosse la testa. Forse avrebbe
dovuto farsi meno domande e accettare semplicemente le stranezze che,
da un po' di tempo a quella parte, le si presentavano di fronte.
Guardò il cielo, di un blu
così profondo da risultare quasi accecante. Realizzò che
le sarebbe mancato. Dolorosamente, tristemente mancato.
“Oh, tesoro.” Demetra
le si avvicinò. Aveva gli occhi umidi. “Sei
bellissima.” le disse, abbracciandola.
Persefone, dopo un attimo di incertezza, ricambiò l'abbraccio, socchiudendo gli occhi.
“Mamma... mi mancherai tanto.” confessò con voce strozzata.
“Anche tu, piccola mia. Anche tu.”
***
La notte era ormai calata sulla
Grecia, portando con sé il frinire dei grilli nei campi e il
pacato chiarore delle stelle nel cielo. Non che facesse tutta questa
differenza, nell'Oltretomba: che fosse mezzanotte o mezzogiorno,
lì sotto era sempre il buio a farla da padrone.
Nonostante fosse di nuovo libero di
muoversi sopra la superficie terrestre, quella notte Ade aveva
preferito restare nel suo ambiente. Seduto sul trono, si rigirava tra
le dita scheletriche una grande chiave biancastra, di un materiale che
era quasi certo fosse osso, probabilmente un tempo appartenente a
qualche Titano.
Non l'avrebbe mai ammesso a voce alta, ma era preoccupato. Sinceramente preoccupato.
Non lo sopportava, quel senso di impotenza.
Aveva ingenuamente ignorato la
seconda parte della profezia, concentrandosi ossessivamente sulla
prima. In quel momento, se ne pentiva amaramente.
Osservò la chiave, scettico.
Si augurava che, oltre ad aprire le porte del Tartaro, avrebbe permesso
loro di uscirne, una volta completata la missione.
Un sorriso storto si aprì
sul suo volto cinereo. Sarebbe stato davvero esilarante, se fosse
rimasto intrappolato nel Tartaro insieme alle due divinità che
detestava di più nell'intero cosmo. Da morire dal ridere.
Oh, salve a tutti! ;) Ci si rivede! xD
Coraggio, dovete ammettere che sono stata brava ad aggiornare quasi in
orario. E sì, questo capitolo è di passaggio. No, non
preoccupatevi, non ce ne saranno altri, almeno per un po' (muahahaha).
Nel prossimo capitolo i due piccioncini torneranno
ad interagire... E finalmente la trama subirà un'accelerata
notevole. E' iniziato il secondo arco della storia! :D
Grazie a tutti coloro che hanno letto. Alla prossima! ;)
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