Uno, due, tre…
Represse
a forza le lacrime, e ricominciò.
Quattro,
cinque, sei…
Sempre
più a fondo, sempre più dolorosamente.
Sette,
otto, nove… e dieci.
Prese
un profondo respiro e guardò il suo braccio. Le faceva male, ma era sempre
meglio del male dentro. Sorrise, e si alzò in piedi. Barcollò un po’,
fino ad arrivare al lavello del bagno. Respirò profondamente e mise il braccio
ferito sotto l’acqua fredda. Il sangue scivolò giù dal braccio come una
sollevazione. La ragazza si guardò attorno.
Com’era
iniziato tutto quello? Cosa le era successo? Ma soprattutto… sarebbe mai
finito? O avrebbe continuato a tagliarsi per la paura di soffrire di nuovo dentro?
Non lo sapeva. E forse, neanche voleva saperlo. Si passò una mano sulle
cicatrici vecchie e si lasciò scappare un piccolo gemito, seguito da un
sorriso.
Non
era da tanto che lo faceva, ma c’erano già cicatrici, anche se facevano male a
toccarle. Era una tortura per lei infilarsi una maglia. La stoffa strisciava
sulla pelle e lei si tappava la bocca a forza per non urlare di dolore. La
pelle bruciava, i tagli erano ancora freschi. Ma almeno, non doveva pensare
all’altro dolore. Quell’altro faceva peggio, sicuro. Si lanciò ancora
una volta uno sguardo alle spalle.
Forse
la professoressa si sarebbe preoccupata.
Forse
avrebbe mandato qualcuno a vedere come stava.
Quella
prospettiva la terrorizzò. No, nessuno doveva sapere che cosa faceva quando era
sola. Nessuno. Era il suo segreto, il suo sporco segreto.
Legò
delicatamente due fazzoletti sui tagli nuovi e si appoggiò alla porta. Con una
mano asciugò le lacrime che le erano scese durante l’atto. Inspirò
profondamente e si alzò in piedi. Guardò il pavimento e notò delle piccole
gocce di sangue. Sbiancò completamente. Lasciò cadere un fazzoletto e pulì alla
bell’è meglio le goccioline, per poi buttare tutto nel cestino. Lasciò cadere
anche le forbicine che aveva usato.
Dopotutto,
non poteva andare ancora in giro con delle forbici sporche di sangue. Si guardò attorno con circospezione. Tirò giù la
manica della maglia e aprì la porta del bagno. Alzò la testa con orgoglio e
camminò per i corridoi, ogni tanto sbattendo la spalla contro qualche alunno
solitario. All’ennesima spallata, guardò negli occhi la persona con cui aveva
sbattuto. Si scontrò negli unici occhi che riuscivano a farla tremare. Occhi
forse anche più ghiacciati dei suoi.
<< Ehi, attenta Evans… uh, tutto bene? >> la
Evans distolse lo sguardo e annuì distrattamente, per poi andare avanti.
Kelsi rimase un attimo sorpresa, poi alzò le spalle ed
entrò nel bagno. Vide per prima cosa delle macchie rosse sul pavimento. Poi,
incuriosita, guardò nel cestino e vide dei fazzoletti sporchi di sangue. C’era
qualcosa che non andava, qualcosa che le puzzava terribilmente. Frugò nel
cestino e trovò un paio di forbici… rosa, con intagliato sopra SE. Se ci capiva
qualcosa in quella faccenda, e se aveva ereditato un minimo di intuito da suo
padre, quelle forbici erano di Sharpay. E se erano di Sharpay, si era tagliata.
Qualcosa in quella logica non le piaceva per niente.
Insomma, si sapeva che Sharpay Evans affrontava le
situazioni sempre di petto.
Sharpay Evans non poteva tagliarsi.
Non poteva e basta. Non era nella sua natura… non poteva
graffiare il proprio corpo!
O almeno… era quello che pensava Kelsi. E sbagliava,
perché nessuno meglio della bella Evans poteva vantare dei meravigliosi tagli
sulle braccia. Si riscosse subito. Prese forbici e fazzoletti e se li infilò in
una tasca, che poi chiuse. Si diresse a passo spedito verso il corridoio, fino
a raggiungere la ragazza. << SHARPAY! >> chiamò, ma la bionda non
si voltò.
Allora Kelsi l’affiancò e le prese il braccio, facendola
gemere di dolore. Quindi, guardò prima la sua mano e poi scoprì la manica della
ragazza, notando tutte le cicatrici.
Sharpay strinse i denti e guardò da un’altra parte. Non
voleva che la vedesse piangere. Non lei. Tutti, ma non lei. Dopo almeno un paio
di minuti di silenzio, la bionda si voltò verso l’altra… che aveva lo sguardo
duro, uno sguardo che non le apparteneva. Rimase in silenzio, poi lasciò il
braccio e si voltò dall’altra parte, ricominciando a camminare. Sharpay non
poteva sopportare un suo silenzio, non ci riusciva.
<< Perché non dici niente?? Perché? Mi sto
rovinando, nessuno se ne accorge!!! Nessuno ha la decenza di chiedermi come
sto!!!!! Sto malissimo, lo capite??? Lo capite o non pensate che IO possa stare
male?? Cos’ ho di diverso dagli altri??? Sono una ragazza anche io! Dannazione.
Sono una ragazza… anche io… >> si accasciò a terra singhiozzando,
tenendosi stretta al petto il braccio tagliato.
La castana si piantò sul posto. Con la coda dell’occhio
vide la Regina di Ghiaccio lasciarsi cadere a terra e andò subito a consolarla.
Si inginocchiò davanti a lei e l’abbracciò stretta, sussurrandole parole di
conforto. Le accarezzò i capelli, sentendo anche la maglietta bagnarsi di
lacrime nere. Non le piaceva vedere la gente piangere. Non le era mai piaciuto,
neanche di gioia. Strinse di più l’altra, che affondò il viso nell’incavo tra
spalla e collo.
Rimasero così, strette e vicine per un periodo illimitato
di tempo. Nessuna delle due avrebbe saputo dire quanto tempo rimasero
abbracciate, e anche se lo avessero saputo, non importava a né a Sharpay né a
Kelsi.
Dopo quelli che parvero millenni, Kelsi si staccò e guardò
negli occhi la ragazza davanti a lei. Cosa l’aveva spinta a quel gesto estremo?
Cosa la spingeva a tagliarsi il braccio? Cosa, dannazione, cosa??
Sharpay ricambiò lo sguardo, poi lo abbassò, incapace di
sostenere oltre quegli occhi verdi. No, proprio non ce la faceva.
<< Ehi… guardami, ti prego… >> sussurrò la
castana, abbassando lo sguardo per poi rialzarlo immediatamente dopo in quello
della ragazza. Lo smeraldo e l’ambra, due pietre preziose, che messe insieme
davano una collana fantastica.
<< Io… non volevo piangere… scusa… >> Sharpay
si morse le labbra. Dopotutto non era abituata a chiedere scusa, neanche se lo
pensava veramente. Eppure, c’era qualcosa in Kelsi, che la rendeva diversa
dagli altri. La rendeva speciale, e a Sharpay piaceva quel suo essere semplice.
Essere sorridente qualsiasi cosa accadesse. Amava quei suoi occhi che si
illuminavano con così poco.
<< Tranquilla Sharpay… - le fece un largo sorriso.
Uno dei suoi. – che ne dici se ce ne andiamo a casa? >> Kelsi le fece
l’occhiolino e si alzò in piedi, tendendo una mano all’altra ragazza, che
l’afferrò con occhi sbarrati. Nessuno faceva qualcosa di gentile per lei,
perché avrebbe dovuto farlo proprio lei? Decise di non pensarci. In fondo, era
bello godersi il momento.
<< Come facciamo ad andarcene?? >> Kelsi
sfoderò un sorriso mai visto. Un sorriso malizioso, uno di quei sorrisi che
farebbero diventare rosso qualunque umano maschio sulla faccia della Terra, uno
di quei sorrisi che farebbero preoccupare qualsiasi donna sulla faccia della
Terra. E come donna, Sharpay si spaventò, non poco.
<< Tua mamma non si è mai fatta vedere a scuola,
vero? >> la bionda ci pensò un attimo su, poi scosse la testa. <<
Fantastico. >>
Due ore dopo, a casa di Kelsi.
<< Oddio, l’ hai vista?? La Darbus sembrava
paralizzata!!!! >> Sharpay scoppiò a ridere, subito seguita dall’amica.
<< Giuro, tua mamma è proprio una grande!!! >> riprese,
continuando a ridere come una pazza, trattenendosi la pancia con una mano.
Erano nel grande salotto di casa Nielsen, sedute su due
divani, una di fronte all’altra che si affogavano nel gelato. Kelsi in quello
al cioccolato, Sharpay in quello alla vaniglia.
Ad un certo punto Kelsi si bloccò. Si avvicinò a Sharpay e
tirò su la manica, facendole abbassare lo sguardo.
<< Ehi Pay!!! Stai tranquilla, io non ti giudico. –
con uno scatto tirò su la sua manica destra e la bionda poté notare che anche
il suo braccio era cosparso di cicatrici. Solo che erano più vecchie. – Lo
facevo anche io, qualche tempo fa. Poi ho smesso. Non so come a dire il vero,
però ho smesso. Da quant’è che lo fai tu? >>
<< Un mese. >> sussurrò flebilmente, ma
l’altra sentì lo stesso. Le sorrise dolcemente e la portò in bagno, per
disinfettarle i tagli nuovi.
Appena misero piede nel bagno bianco di Kelsi, Sharpay
ebbe un tuffo al cuore. Cosa voleva fare? Non aveva mai disinfettato nessun
taglio di quelli che aveva fatto. Non poteva, se l’avesse fatto suo fratello
l’avrebbe scoperto e lei non voleva.
Kelsi intanto trafficava nel mobiletto sotto al lavabo.
Trovò l’acqua ossigenata e si tirò su, sorridendo amabilmente. Prese un
batuffolo rosa di cotone e lo bagnò con l’acqua, che poi posò sul ripiano del
mobile. Strizzò il cotone sul lavabo e tese una mano, in attesa del braccio.
Sharpay, esitante, lo allungò verso di lei.
<< Brucia un po’, ma tranquilla che è solo un
secondo. >> le fece l’occhiolino e passò il cotone sui tagli. Sharpay
attese con gli occhi serrati il dolore, che arrivò solo dopo averli riaperti.
Una fitta spaventosa. Sembrava che il braccio andasse in fiamme, ma strinse i
denti e serrò nuovamente gli occhi, mentre Kelsi passava una seconda volta sui
tagli freschi. << Quando ti tagli devi disinfettarti… altrimenti fa
infezione e va peggio di quello che speri. >> buttò il cotone nel water e
tirò l’acqua.
Lei non era una che si faceva i fatti degli altri. Anzi,
dire che se ne fregava altamente era dir poco. Ma Sharpay… lei era diversa,
perché… non lo sapeva, ma sapeva che non poteva lasciarla sola in quel momento.
Ne sarebbe morta. Quindi aveva accettato quella specie di lavoro che si era
sentita in dovere di fare, ed ora lo stava compiendo alla grande. Si voltò
verso la ragazza e rimase pietrificata. Stava piangendo. Chiuse gli occhi e,
riaprendoli, ritrovò la stessa scena. Andò a stringere la ragazza, come nessuno
aveva mai fatto con lei. Come qualcuno che avrebbe dovuto farlo con lei.
<< Ehi, ehi, non piangere stella! Sono solo
taglietti! Tu sei più forte, più forte di loro e di tutti gli altri. Non
abbatterti così, capito? >> Sharpay alzò la testa di scatto, continuando
a sgorgare lacrime silenziose.
<< Come mi hai chiamata? >> chiese,
interrompendo la frase con un singhiozzo. La castana fece un passo indietro con
la memoria e ripensò la frase che aveva detto.
<< Stella, perché? Non posso? >> la bionda
scosse la testa con vigore, per poi sorridere e asciugarsi le lacrime.
<< Puoi, certo… è che nessuno mi ha mai chiamata con
un soprannome. Massimo Pay. Ma solo mio fratello. >> sorrise di nuovo e
scoccò un piccolo bacio sulla guancia a Kelsi. Uscì dal bagno e si rimise
seduta sul divano, con la vaschetta di gelato tra le gambe magre. Dopo poco la
raggiunse l’altra e si sorrisero, come se fossero state amiche da sempre,
mentre si erano parlate per la prima volta quel giorno dopo tre anni di scuola
nella stessa classe.
Dopo altri venti minuti passati a parlare, squillò il
telefono di casa e Kelsi si affrettò a rispondere. << Sì? >>
<< Ehi piccola, ciao! >> la ragazza
impallidì del tutto e si irrigidì, facendo insospettire l’altra.
<< Che vuoi? >> Sharpay si sorprese di
quanto gelida potesse essere la voce di Kelsi. Appena parlato, aveva sentito un
brivido gelido salirle sulla schiena.
<< Che ne dici se faccio un salto da te piccola?
Ho voglia di divertirmi come ai vecchi tempi…>> la mascella di Kelsi
si contrasse fino a farle male.
<< Vecchi tempi ‘sto cavolo. T’attacchi bello, m’
hai mollata e non tornerai a farmi male di nuovo. Ho ancora le cicatrici. >>
rispose gelida, per poi chiudere la comunicazione con un tonfo sordo.
<< Tutto bene Kelsi? >> le chiese timorosa
Sharpay. La castana si voltò verso di lei e le sorrise dolcemente. Si vedeva
che stava male. I suoi occhi non erano capaci a mentire come il suo viso. Alla
bionda venne spontaneo un sorriso. Per questo non era mai stata una cima nel
teatro, aveva gli occhi che si facevano leggere come libri aperti. E ora vedeva
che quella telefonata l’aveva turbata profondamente dentro.
<< Benissimo stella. >> sfoggiò un sorriso
dolce e si sedette davanti a lei, prendendo cucchiaiate dal suo gelato e
mettendosele in bocca. Perché era tornato? Cosa voleva ancora? Non gli bastava
averle rovinato la vita e il braccio? Che divertimento c’era nel farle male?
Non lo sapeva. Non ne aveva idea, e neanche lo voleva sapere. Voleva solo non
pensarci, non pensare a lui e a il male che le aveva fatto, non voleva pensare
a quanto era stata male. Perché lei non solo si era rovinata il braccio per non
soffocare nel dolore, ma aveva anche passato le notti in bianco a vomitare attaccata
al water.
Guardò Sharpay negli occhi, ma poi sentì un bisogno
impellente di fare una cosa. Sorrise di nuovo, e si dileguò in bagno. Frugò
nelle tasche dei pantaloni, fino a trovare quello che cercava. Le fissò un
secondo, ripetendosi che era sbagliato, enormemente sbagliato, che avrebbe
fatto male a se stessa, che non avrebbe risolto niente… ma tutte le scuse che
ci appioppava sopra, non riuscivano a convincerla. ‘Solo uno’, si diceva, ‘solo
uno e poi smetto’. Guardò ancora le forbicine rosa nella sua mano, strinse le
labbra come per concentrarsi e si tirò su la manica. Rimase ancora in silenzio.
Le forbicine giravano sulle dita affusolate e gli occhi passavano nervosamente
dalle forbici alla porta. Se Sharpay l’avesse beccata, se l’avesse fermata, se
l’avesse vista… cosa le avrebbe detto? Sarebbe stata delusa dal suo
comportamento? Probabilmente sì. Le avrebbe dato dell’ipocrita, perché fino a
poco prima predicava di non tagliarsi… si sentì immensamente stupida, aveva
detto delle cose che non convincevano neanche lei, come potevano convincere
un’altra persona?
Chiuse gli occhi e puntò la punta delle forbice sulla
carne bianca. Prese un grosso respiro e schiacciò e tirò verso di lei. Il
dolore parve nullo, fino a che non tolse le forbici dalla pelle e vide delle
piccole goccioline rosse comparire sul braccio. E con le goccioline, comparvero
i primi bruciori. Ma quelli non erano niente in confronto a quello che le aveva
fatto quello là. Chiuse di nuovo gli occhi e riprovò, cercando di andare più a
fondo, fino a farsi male.
In soggiorno, Sharpay sentiva un contorcersi di viscere
che non le piaceva affatto. I tagli avevano ripreso a bruciare e sentiva le
lacrime punzecchiarle gli occhi senza motivo. Si alzò dal divano e andò alla
porta del bagno. Lì sentì chiaramente il rumore dell’acqua e il silenzio dei
singhiozzi trattenuti. Senza pensarci due volte spalancò la porta e vide Kelsi,
con il braccio sanguinante, sul lavandino che si sciacquava i tagli. Tagli
nuovi, che non erano cicatrizzati.
<< Che è successo qui? >> chiese con la voce
rotta. La castana non rispose e continuò a bagnarsi i tagli. Al che, Sharpay le
si avvicinò e la guardò negli occhi, indagatrice. << Perché ti sei
tagliata di nuovo? >> a quella domanda Kelsi cedette. Si sedette per
terra lentamente e si guardò il braccio appena fatto a pezzi. Voleva
raccontarle tutto, voleva capire cosa le stava succedendo. Ma da sola non ce la
faceva ed aveva bisogno di lei. <<
Ehi… Kelsi, puoi dirmelo sai? >> la bionda si sedette accanto a
lei e le prese la mano, stringendogliela.
<< È che quello che mi ha chiamata… beh, voleva
ripetere l’esperienza… mi aveva mollata… ed io mi ero tagliata per lui… che
stupida che ero… una bambina. Pensavo di esserne uscita, ma… a quanto pare no.
E fa male, come la prima volta. >> Sharpay ascoltò tutto in silenzio, e
quando finì il racconto, l’abbracciò stretta, come lei aveva fatto prima.
Il silenzio ovattato del bagno era interrotto solo da
alcuni singhiozzi da parte di Kelsi, che teneva il braccio tagliato il più lontano
possibile da lei. Si odiava per averlo rifatto. Si odiava per essere stata di
nuovo fragile. Si odiava e basta.
<< Scusa… io… non dovevo piangere. >> sussurrò
dopo qualche minuto, asciugandosi le lacrime. La bionda la strinse di più e le
sussurrò all’orecchio alcune parole.
<< Tranquilla stella. >> poi le fece
l’occhiolino e le diede un bacio sulla fronte.
This could be the start
Of something new
It feels so right
To be here with you
And now, looking in your eyes
I feel in my heart
The start of something new
*ç*ç*ç*ç*ç*ç*ç*ç*ç*ç*ç*ç*ç*ç*ç*
FF dedicata alle mie amicissime di efp!
Jud, Aqua, Titty, Vivy, Ashley e Lucy J
Un po’ triste, ma alla fine si è risolto tutto, no? XD
Bacioni!