Ventisettesimo capitolo
CAPITOLO
XXVII
ALL’ORIGINE
Era tornata bambina. Si sentiva bambina. Correva con
le gambe nude esposte al sole, bianchissime, ma calde. Correva lungo una spiaggia
e i suoi piedi morbidi e bianchi venivano bagnati dal mare, che veniva e se ne
andava, e tornava, e si ritraeva, continuamente. La sabbia umida si alzava coi
suoi passi, insieme agli schizzi, e a lei veniva voglia di ridere.
Il sole era bello e la riscaldava, finalmente poteva
di nuovo vederlo. Ora poteva vederlo perché era libera. Aveva pagato per i suoi
delitti e scontato i suoi peccati. Ora poteva essere felice.
La sua corsa non si fermò nemmeno quando vide una
nuvola passare sopra il sole. Lei non ci fece caso. Ma poi ne arrivarono altre
e il cielo si fece sempre più scuro. Qualcosa stava inghiottendo il sole e lei
voleva smettere di correre ma non ci riusciva. Il giorno stava diventando notte
e il sole le era alle spalle. Il mare divenne più schiumoso e irrompeva
bruscamente sulle sue gambe. Il pezzo di cielo verso cui stava andando era
sempre più nero e lei si rese conto che non stava andando da nessuna parte.
Stava solo tornando indietro.
Era tutto il giorno
che Jacque provava a chiamare Acilia e Dubris. Il sole tra poche ore sarebbe di
nuovo tramontato e lui non aveva chiuso occhio. Lui ed Eike erano rintanati
nello scantinato della casa, ma adagiarsi sul pavimento e dormire era
impensabile.
“Lo sapresti se lei
fosse morta” disse Eike, sdraiato per terra e girato su un fianco.
“Mi sento strano”
rispose Jacque, agitato “Ho una brutta sensazione e un vuoto allo stomaco… È
questo? Vuol dire che lei è morta?”
Eike alzò gli occhi
al cielo. “Quella si chiama fame.”
L’altro sbuffò e
fece due passi, carcando di calmarsi. Eike aveva ragione. Erano affamati e
preoccupati, ma Acilia stava bene. Altrimenti non se lo sarebbe chiesto ogni
due secondi, lo avrebbe saputo e basta. E
attendere il momento in cui forse si sarebbe accasciato a terra per l’orribile
consapevolezza, quella era la cosa peggiore.
“Non risponde
nemmeno Dubris” sbuffò ancora.
Eike rimase
immobile nella sua posizione. “Forse è lui che è morto.”
Jacque non rispose
ma la sua preoccupazione cresceva. Non credeva che si sarebbe mai dispiaciuto
per Dubris.
Le sue orecchie
avvertirono un rumore provenire dal piano di sopra. Era lieve, proveniva
dall’esterno della casa. In un lampo si precipitò su per le scale e fu in
salotto. Eike era dietro di lui, con la stessa espressione attenta.
Qualcuno stava
bussando al portone della villa e Jacque si sentì tirare per un braccio.
“Facciamo
attenzione” gli disse Eike.
“Sarà Acilia”
ribatté l’altro, felice e stordito come non mai.
“Facciamo
attenzione comunque” ringhiò il biondo, passando avanti. Jacque non replicò, cercando di contenere la
propria agitazione. Era Acilia? Dubris che veniva a dire loro che Acilia era
morta? Ma Jacque l’avrebbe saputo… E se fosse stato Dubris che era venuto per
dire loro che Acilia si era già consegnata?
Lei non era ancora morta… E se fosse stato un umano? Una squadra di cercatori?
Acilia aveva rivelato la loro posizione? Oppure… Kaeso? Era venuto per
prendersi un pezzo della sua famiglia? Jacque rabbrividì. Ma poi si avvicinò
cautamente alla finestra chiusa per sbirciare oltre il vetro, stando attento a
non lasciarsi catturare dai raggi di luce.
Fuori dalla porta
c’era una figura alta di donna insanguinata e Jacque trattenne il respiro.
Claire lo squadrava
con un sorriso maligno, gocce di sangue che colavano dalle zanne, i capelli
biondi che riflettevano la luce del sole.
Le immagini
sfuocate intorno a lei stavano poco a poco riprendendo forma e colore e lei
riusciva a sbattere le palpebre. Le sentiva meno pesanti e il terribile caldo
che aveva provato stava lentamente andandosene. Un corpo ce l’aveva ancora,
ferito e dolorante, ma la schiena le obbediva e l’alzò, mettendosi seduta. Un
tremendo capogiro la colse e sputò sangue. Si guardò le braccia, segnate da
graffi, pezzi di pelle bruciata, fori che si stavano chiudendo. Acilia digrignò
i denti per il male, e non capiva. Stava bruciando, non doveva morire?
L’ultima cosa che
ricordava era che stava bruciando… poi c’era quella spiaggia, calda, infuocata…
“Aci! Acilia!”
gridavano intorno a lei “Si è ripresa!”
Finalmente Acilia
alzò lo sguardo e ciò che vide la raggelò. Intorno a lei stavano distesi tre
corpi bianchi di umani. Morti.
Dissanguati.
“No…” biascicò,
ritraendosi sconvolta “No…” Scalciò strisciando all’indietro, ignorando il
dolore e urlando. Allora era così, era sopravvissuta a spese di altri! Aveva
dissanguato tre persone per potersi riprendere! C’era qualcosa di davvero
demoniaco in lei, che non voleva lasciarla morire…
“Stai bene?”
Acilia inquadrò il
volto di Victoire. Sembrava stare bene e accanto a lei c’erano i suoi compagni.
Ma mancava qualcuno… mancavano… Li cercò con lo sguardo. Erano nel salone della
casa di Kaeso. Non c’erano più tende alle finestre e dai vetri si vedevano il
cielo chiaro e una pallida luce di sole. Si rese conto che le tende rosse erano
a terra, sul pavimento, delle quali una era proprio accanto a lei.
“Kaeso è morto”
disse Victoire.
Morto, morto davvero… Perché lei non lo
era?
“Ci siamo coperti
con le tende e ti siamo venuti a prendere. Stavi bruciando.”
Lo so, pensò
Acilia, lo so che stavo bruciando, maledizione…
“Ti abbiamo dato
del sangue per…”
“Delle persone.”
Acilia parlò per la prima volta, arrabbiata, con voce spezzata e affaticata. “Mi
avete dato delle persone. Chi erano?”
“Prigionieri di
Kaeso” rispose Luca “Erano gli unici umani nei paraggi, tu avevi assolutamente
bisogno di…”
“Di essere lasciata
in pace, ecco di cosa avevo bisogno” farfugliò l’altra. Tossì subito dopo,
sputando ancora sangue. Guardò con odio tutti i presenti. Molti si lasciarono
intimorire, Luca era contrariato, Vicotire aveva affilato lo sguardo. “Tu vuoi
morire, d’accordo, ma non puoi farlo subito. Non puoi lasciarci così, senza
dirci cosa fare dei prigionieri e della Rappresentanza.”
Acilia si guardò
intorno e vide che legati con dell’argento c’erano innumerevoli vampiri, sul
lago di sangue che apparteneva ai caduti. Poi rifece scivolare lo sguardo sui
tre umani morti. Erano due donne giovani e un uomo. “Siamo venuti qui per
salvarli” bisbigliò “Siamo venuti qui per fermare Kaeso e salvare gli umani…”
“Non è vero”
insistette Victoire “Siamo venuti qui per fermare Kaeso, e salvare l’umanità.”
Acilia voleva
rispondere ma, ancora, rantolò.
Noi proteggiamo gli
umani, voleva dire. Voleva urlarlo, voleva urlare quello che aveva sempre
pensato Jacque, quello che aveva capito anche lei – ipocriti! Quello che pensava anche Kaeso – Acilia boccheggiò col
sangue tra i denti.
Insensibile, pensò,
mentre a fatica si rialzava in piedi ed evitava lo sguardo di Victoire. Quando
marchi la differenza tra umani e umanità, allora sei diventato insensibile.
“La loro vita
valeva più della mia” biascicò.
“Non dire
sciocchezze” replicò qualcuno.
Acilia cercò chi
avesse parlato. Pensò a Dubris ma lui non c’era.
“Non sembra che
abbiamo vinto” borbottò qualcun altro.
Acilia ignorò i commenti
e le voci che si levarono dal gruppo e passò oltre, zoppicando, sentendo la sua
faccia ancora bruciare. Guardò oltre il portone, tentata di fuggire di nuovo
sotto il sole.
Codarda.
Le avevano messo
sotto il naso tre umani e lei li aveva finiti in un lampo, senza neanche
accorgersene.
Per quanto tu lo desideri, non sarai mai una vittima.
Non stanotte e neanche dopo.
Allora lei era
ancora attaccata alla vita. Perché?! Odiava pensare che Kaeso potesse avere
ragione.
Tu non ti consegnerai mai, non ti suiciderai mai!
Ti sbagli di
grosso, Kaeso, pensò, tu non mi conosci, non mi conosci…
E se invece fosse colui che ti conosce meglio di tutti?
I tre corpi morti
ai suoi piedi, erano tre come potevano essere venti… Era quella la sua vera
natura…
Si girò di scatto
verso gli altri, ansimando per la paura, anche se di paura ormai non doveva più
averne.
Se hai paura, hai ancora qualcosa da perdere.
“Victoire” chiamò.
La stimava poco, quell’amica. Eppure stimava molto meno se stessa. “Dov’è
Dubris? E Ramona?”
Quella non parlava
e Acilia gridò: “Dove sono?!”
Victoire scosse
finalmente la testa.
Acilia rimase a
fissare tutto quel sangue sul pavimento, tutti quei vampiri, tutte quelle
persone.
Se hai paura, non sei ancora pronta per morire.
Crollò sulle
ginocchie e non riuscì a dire altro.
“Non… non dovresti
dormire?”
Dubris, rintanato
in un angolo del furgone, alzò lo sguardo verso Eliza, seduta dalla parte
opposta.
Era molto stanco,
ma non faceva altro che rimanere immobile e assorto.
“D-Dubris…”
balbettò ancora la donna.
Lui scrollò le
spalle. “Prova tu a dormire. Io rimango di guardia.”
“Cosa stiamo
aspettando?” domandò lei, mettendosi a carponi e avvicinandosi.
“Non lo so…” ammise
Dubris. Lanciò un’occhiata ai sedili del furgone, illuminati dalla luce che
filtrava dal finestrino. “Appena cala la sera andrò a vedere che è successo.”
“Ma…”.
“Per il momento non
sta succedendo niente. Di giorno i vampiri sono più deboli, non stanno
combattendo.”
Eliza annuì e tirò
su col naso.
No, non rimetterti a piangere.
“Quell’urlo… Me lo
vuoi dire perché hai urlato così prima?”
Prima poteva voler dire interi giorni prima, o
solo qualche ora, o addirittura pochi minuti. Dubris non lo sapeva, era tutto
così lento.
“È morto il mio
creatore” rispose. Non aveva creati oltre a Ramona e Ramona era già morta, e
quella era l’unica spiegazione.
“Il tuo… quello che
ti ha trasformato?”
Dubris annuì. Era
così strano… A qualche decina di metri da loro stavano combattendo dei vampiri
e il suo creatore era morto. Non aveva certezze a riguardo ma… sembrava proprio
che il suo creatore fosse all’interno della villa di Kaeso. Non si stupì.
Chiunque fosse non poteva altro essere che uno della razza peggiore se l’aveva
abbandonato appena creato.
“Quindi… sei
contento?” domandò Eliza.
Dubris sorrise
dell’ingenuità della donna. Pensava che i vampiri odiassero i loro creatori.
Certo, non faceva una piega. In verità non era mai così, ma Dubris, Dubris lo
detestava davvero il suo creatore. Anche se una strana malinconia lo
attanagliava. Forse quel dolore gli aveva ricordato la perdita di Ramona, o
forse il rimpianto di non aver conosciuto il suo creatore.
“Ti prego,
rispondimi” fece Eliza, asciugandosi gli occhi “Se non mi tengo impegnata, se
non parlo… impazzirò.”
Dubris la guardò e
notò i suoi occhi fiammeggianti. Spalancati, rossi di pianto, incavati nelle
orbite e due occhiaie profondissime. Un’espressione che sembrava non potesse
mai più aggiustarsi.
Già due lacrime le
stavano percorrendo il volto stanco e Dubris si decise a parlare: “Voi umani
credete che noi vampiri siamo senza cuore. Beviamo il vostro sangue,
trasformiamo altre persone… Ma spesso lo facciamo per non sentirci soli. Ci
costruiamo una famiglia.”
Eliza non disse
niente, neanche un battito di ciglia.
“Quando un vampiro
crea un altro vampiro, non è mai un atto di crudeltà. È un atto di fiducia, di
affetto, di compassione, a volte anche d’amore” proseguì Dubris. Guardò Eliza e
non si stupì di vederla perplessa. Cercò le parole giuste per dire quello che
voleva: “Sono sicuro che Kaeso non odiasse Charlene. Charlene non è morta
circondata d’odio.” La sua voce si incrinò mentre vedeva gli occhi di Eliza
rigonfiarsi di lacrime.
“Il mio creatore
invece mi ha abbandonato” disse ancora “Non l’ho mai conosciuto, nessuno mi ha
mai parlato di lui… però so che è morto. Buffo, no?” Eliza si asciugò ancora
gli occhi, senza staccarli da lui. “Lui l’ho odiato, oh se l’ho odiato. Perché
mi ha trasformato senza neanche darmi una spiegazione” continuò Dubris “Però…
Ora che è morto… Mi dispiace. La verità è che avrei voluto conoscerlo. Avrei
voluto chiedergli perché mi ha creato, perché mi ha lasciato, se l’ha fatto
apposta, se è stato costretto…” La sua voce diventava sempre più bassa, mentre
dava sfogo a tutto ciò che non aveva mai detto a nessuno. “Era l’ultimo pezzo
del puzzle, e ora non posso più averlo. Senza di lui non potrò mai capire certe
cose della mia vita perché purtroppo lui fa parte di me.”
Eliza singhiozzò e
si mise una mano davanti alla bocca. Fece un profondo respiro poi disse: “Non
posso più credere che voi vampiri siate senza cuore.” Sembrava volersi
avvicinare ma poi rimase ferma dov’era. “Io ho perso mia figlia…” pianse “Tu
hai perso la tua… Non avrei mai pensato di… di poter accumunare le due cose.”
Dubris sentì una
stretta allo stomaco. “Io e Ramona siamo stati insieme sette secoli” disse, in
tono spento “Tu e tua figlia sette anni. Neanch’io pensavo di poter accumunare
le due cose.”
Eliza gli punto gli
occhi addosso, annacquati ma sempre più curiosi, quasi affascinati. “Chi sei
tu? Chi siete voi che siete entrati nella casa di Kaeso?”
“Siamo i vampiri
che credono nella convivenza pacifica con gli umani” rispose Dubris,
semplicemente, come se fosse semplice “Ci nutriamo senza uccidere e cerchiamo
di dare meno fastidio possibile. Kaeso aveva preso il controllo di troppi
vampiri, e noi avevamo il dovere di fermarlo.”
Eliza aveva gli
occhi ancora più sgranati. “Gli altri che stavano combattendo… Sono tuoi amici?”
Dubris fece un
sorrisetto. “Le amicizie più lunghe di sempre.”
“Hai paura di perdere
anche loro?”
Lui si sentì come
oscurato, dal pensiero di Acilia. Ci aveva pensato, e se fosse lei ad essere
morta? Le voleva talmente tanto bene che il suo corpo la percepiva come sua?
Per quello aveva urlato? Aveva un senso, poteva averlo. In cosa doveva sperare?
Cosa preferiva? Aver perso il proprio creatore o Acilia?
“Quando sei un
vampiro hai sempre paura di perdere qualcuno. O perdi te stesso, o tutti gli
altri.”
Eike lanciò un
grido e indietreggiò. Gli occhi gli stavano facendo uno scherzo, non poteva
essere vero quello che vedeva! Claire era uscita dalla sua tomba prima del
tempo e ora stava fuori alla luce del giorno.
Lanciò un’occhiata
Jacque e vide che anche lui era tremendamente confuso.
“Facciamola entrare”
disse, ripuntando lo sguardo su quella terribile Claire, che continuava a
scrutarli con occhi rossi e folli.
“Non brucia al sole”
farneticò Jacque, sconvolto “Non brucia al sole… Chissà cos’altro può fare! No,
non possiamo…”
“Jacque!”
“È pericolosa!”
Eike batté un piede
a terra come un vero bambino e poi puntò un dito contro il vetro della
finestra. “È più pericolosa per gli umani là fuori! Di chi credi che sia tutto
quel sangue?!”
Sapeva di aver
toccato un tasto dolente. Dopotutto durante il giorno Emily non se ne stava in
casa impaurita. Non aveva motivo di temere per la propria vita di giorno, ma se
ci fosse stato un vampiro come Claire…
“Okay” fece Jacque,
frustrato. Avanzò verso la porta e mise una mano sulla maniglia. “Stai
indietro, Eike.” Non sarebbe entrata solo Claire, ma anche qualche raggio di
luce.
Eike obbedì e non
si mosse.
Jacque aprì la
porta, standosene dietro, senza sporgersi dalla soglia e con un lungo balzo
Claire entrò. Lui si affrettò a spingere la porta per richiuderla e il sole
uscì in un lampo così com’era entrato.
“Claire?” tentò
Eike.
La donna si voltò,
ingobbita e con un lieve ringhio sul volto. Non era più lei, quella cosa non
poteva più essere una donna che amava vestirsi bene e truccarsi. Era così primitiva…
“Claire, sai chi
sono io?” domandò di nuovo Eike.
Lei si pulì con il
braccio la bocca, facendo gocciolare sangue tutto intorno. “No” rispose.
La delusione di
Eike era immensa. Sconfortato, guardò Jacque. Questi si rivolse a Claire, con
cautela: “Sai chi sei tu?”
Gli occhi di lei si
illuminarono. “Sono Dio.”
Eike rimase
interdetto. Questa non se l’aspettava proprio.
“Ma davvero?” fece
Jacque, nervoso.
“È impazzita, non è
Dio” ribatté Eike.
“Beh” continuò
l’altro, sempre più nervoso “Il fatto che sia un vampiro che non brucia al sole
potrebbe essere una prova convincente.”
“Voi che osate
chiamarvi vampiri” tuonò Claire, emanando quasi dei lampi dagli occhi rossi,
ancora cerchiati di trucco e sangue “vi siete pateticamente rammolliti. Sono
tornato per diffondere il mio seme ancora una volta.”
“Il tuo… cosa?”
“Potere, potenza,
potenzialità” proseguì la donna, avanzando un passo ad ogni parola “E crudeltà.”
Sul finale sibilò e la sua lingua si sciolse in sangue, per poi ricomporsi
nuovamente, orribilmente appuntita.
“Te l’ho detto che
non dovevamo farla entrare” disse Jacque, appiattitosi contro una parete,
terrorizzato.
Eike fissava il
volto un tempo candido di Claire e la sua mente lavorava febbrile. “No” disse
poi, rivolto al suo creatore “Pensaci, Jacque… Se è Dio come dice di essere,
perché sarebbe venuta da noi?”
Era sangue
schiumoso quello che usciva continuamente dalla bocca della donna, come fosse
la sua bava, come fosse un animale.
“È Claire che l’ha
condotta qua, la vera Claire” proseguì Eike, serrando i pugni “Vuole che la
fermiamo.”
Era calato il sole
e finalmente potevano uscire dalle mura della villa.
Acilia non poté
fare a mano di cercare le ceneri di Kaeso sparse per il prato. Avrebbero potuto
esserci anche le sue lì in mezzo, magari proprio mescolate a quelle di lui,
così come doveva essere. Non meritava altro che quella fine.
La finiamo come l’abbiamo cominciata, Aci. Con te che
mi uccidi.
Aveva ripetuto
tutto, ma questa volta non era uno sbaglio. Non era uno sbaglio ucciderlo, era
stato uno sbaglio non morire con lui. Quello che gli aveva detto… così tanto
tempo prima…
Promettimi che non mi abbandonerai.
Non aveva mantenuto
la promessa, fino alla fine.
Mi hai ucciso tu, ora non mi puoi più abbandonare, me
lo devi… Me lo devi!
Morire insieme a
lui… Gli doveva semplicemente questo. Quando aveva visto quella bambina
trasformata, l’aveva capito. Lei gli aveva strappato la vita, l’aveva fatto
impazzire e l’aveva fatto impazzire di più, abbandonandolo.
Me lo devi… Me lo devi!
Kaeso urlava ancora
nella sua testa e lei non riusciva più a sopportarlo. Sopportare tutto quello
che aveva fatto, sopportare di aver ucciso il suo creato… Di averlo abbandonato
ancora, nel modo più crudele. Quel dolore così forte, divampato insieme alle
fiamme, era convinta che l’avrebbe uccisa.
Le sue gambe erano
pesanti. Non vedeva l’ora di essere davanti agli umani, non vedeva l’ora di
essere giudicata, condannata… Ne aveva un eterno bisogno. Non ti ho
abbandonato, Kaeso, pensava, ti raggiungo, ti raggiungo.
Lo raggiungi dove?
Il segreto che
Lyuben custodiva, ora Acilia avrebbe avuto il tempo di leggerlo. Non voleva
leggere quella lettera, aveva paura… Con la mano cercò all’interno della tasca
dei pantaloni. Era ancora lì, spiegazzata ma intatta. Se l’era portata dietro,
per qualche motivo, credeva forse che l’avrebbe protetta? Credeva che avrebbe
potuto leggerla? Ma il destino le aveva regalato ancora un po’ di tempo. E poi
forse avrebbe raggiunto Kaeso e, chissà, gli avrebbe chiesto scusa.
Si mise in allerta,
perché qualcosa si stava avvicinando. Un motore, ruote che graffiavano il
sentiero… Possibile che…
Ci fu un coro di
sorpresa e il loro furgone apparve proprio davanti a loro. La portiera si aprì
e uscì Dubris.
Acilia si portò una
mano alla bocca, stordita dalla contentezza. Doveva trattenersi, doveva mantenersi
fredda, pronta a sposare la morte e invece corse verso di lui e gli gettò le
braccia al collo.
“Dubris!”
Lui la strinse. “Aci…
Sei viva” Dopo poco la lasciò andare e il vampiro venne accolto da altre
esclamazioni entusiaste. Finalmente c’era aria di vittoria.
“E così” disse poi
lui, guardandosi intorno “Kaeso è morto.”
Ci furono mormorii
di assenso, che poi divennero veri e propri boati di gioia.
“Questo furgone lo
possiamo usare per i prigionieri” intervenne Victoire, calma, addirittura un
poco accigliata, discostandosi dai festeggiamenti e aprendo il retro del
furgone.
“No, aspetta!”
esclamò Dubris, correndo verso di lei. Ma Victoire stava già osservando stupita
ciò che vi era all’interno. Acilia si accostò a loro e vide una donna che
doveva avere all’incirca l’età di Curtis, dai capelli ruffi che se ne stava
rannicchiata con due occhi spaventati.
“Sei riuscito a
salvarla” fece Victoire, sbattendo le palpebre.
“Cos’è questo tono
stupito?” replicò Dubris, con un mesto sorriso.
La donna, come
presa da un improvviso e folle coraggio, uscì dal furgone e si guardò intorno,
terrea. “Mia figlia… Mia figlia… Non è tra voi?”
Acilia capì
immediatamente che si trattava di quella Charlene. Nessuno rispondeva ma lei si
avvicinò all’umana, assumendosi le sue responsabilità – le sue colpe – senza
sforzarsi nemmeno di trovare le parole giuste. “È bruciata, l’ho vista.”
La donna si
premette una mano sulla bocca, come per impedirsi di urlare. Strinse gli occhi
– dovevano bruciare parecchio, le lacrime. Stava per cadere a terra ma Dubris,
che era al suo fianco, la sorresse.
“È meglio così, mi
creda” proseguì Acilia “Una persona intrappolata nel corpo di una bambina
vampiro… Neanche si immagina quanto avrebbe sofferto.” L’immagine di Eike le
percorse la mente. Con Jacque, un creatore fantastico, più simile a un padre,
sempre al suo fianco.
L’umana non disse
niente, si limitò a piangere più forte. Dubris la prese in braccio, come fosse
una piuma, e la portò sul sedile anteriore del furgone. Chiuse la portiera e
tornò dagli altri.
“Li porto io i
prigionieri col furgone. Voi andrete volando” disse.
“Dubris” fece
Acilia, sforzandosi di non tendere le mani verso di lui “Ramona…”
Lui abbassò le
palpebre. “L’ha uccisa Kaeso, ne sono sicuro.” Riaprì gli occhi e con essi
cercò lei. “Sono contento che tu l’abbia ammazzato.”
Acilia chinò il
capo, sentendosi le viscere contorcersi per la tristezza. Era il sangue, che
non ribolliva più di rabbia, ma lento e addolorato strisciava sotto la sua
pelle.
“Cosa ne faremo dei
prigionieri?” domandò Luca, avanzando un passo, interrompendo il silenzio che
era appena sceso.
Acilia aveva ancora
la testa abbassata ma sentiva gli occhi di tutti puntati su di sé. “Non morirà
più nessuno per la follia e gli errori di qualcun altro” disse, in tono spento
ma deciso “Abbiamo delle prigioni, usiamole.”
Nessuno disse
niente e lei non volle neanche vedere che tipo di sguardi si stessero
scambiando.
“Muoviamoci allora”
annunciò Victoire.
Intorno a lei tutti
si mossero ma lei vedeva ancora i piedi di Dubris che puntavano esattamente
nella sua direzione. Alzò la testa, pensando a cosa potergli dire – e da dire
ce n’era troppo – ma fu lui a parlare.
“Aci… Durante la
battaglia, poco dopo il sorgere del sole… Chi è morto?”
Acilia aggrottò la
fronte. Non si aspettava una domanda del genere.
“Kaeso” rispose.
Dubris si
mordicchiò il labbro. “Solo lui?”
Acilia non ne era
sicura ma credeva che, una volta sorto il sole, tutti gli altri avessero smesso
di combattere. “Solo lui.”
L’altro sembrava
sconvolto e lei non ne capiva il motivo. Voleva chiedergli cos’avesse – ma ne
aveva poi il diritto? Era stata talmente poche volte sincera con Dubris che ora
non riusciva più a dire nulla.
“Rispetto la tua
scelta” disse poi lui.
Acilia alzò le
sopracciglia. “Cosa?”
“Se ti consegnerai
agli umani mi dispiacerà molto” spiegò ancora lui “Ma rispetto la tua scelta.”
Lei non fece in
tempo a rispondere che lui subito si voltò, diretto ad aiutare gli altri nel
caricare i prigionieri sul furgone, che scalciavano e si lamentavano. Uno minacciava
di mordere e Luca gli aveva staccato le zanne a mani nude.
Dubris aveva detto
che rispettava la sua scelta, motivo in più per cui Acilia poteva andarsene
serena. Ma ora era di nuovo spaventata, era davvero quello di cui aveva
bisogno? Sentirsi dire che poteva andare tranquilla, che faceva la cosa giusta…
Nei giorni precedenti non aveva mai voluto parlare con Dubris perché temeva che
potesse farle cambiare idea. In realtà forse aveva solo paura che lui non lo
facesse.
Jacque teneva salda
nella mano la pistola, con la testa quasi svuotata. Era incredibile quello che
stava capitando ma non doveva avere paura. Se moriva non avrebbe perso niente.
Ma Eike sarebbe rimasto solo, senza più né lui né Acilia…
“La dobbiamo
uccidere” disse Eike, a malincuore.
Eike voleva bene a
Claire, Jacque l’aveva capito tardi. Non poteva lasciargli fare una cosa del
genere. Dopotutto era anche colpa sua se erano finiti in quella situazione,
doveva fare qualcosa per rimediare!
“Lo farò io” disse,
deciso.
Eike non ribatté e
Jacque capì che allora era la cosa giusta da fare. Non fece in tempo ad alzare
il braccio che Claire gli fu vicinissimo, col petto premente contro la canna
della pistola. Jacque rimase talmente interdetto che la sua mano rimase
immobile.
“Questo corpo non è
invincibile e morirà” disse la donna, lasciando correre rivoli di sangue giù
per il mento a ogni parola “Ma io ho già morso tre umani, che sono già
diventati vampiri. Veri vampiri.”
“Già diventati… ma
cosa…” farfugliò Eike.
Jacque si sentiva
come ipnotizzato dallo sguardo di Claire. Non aveva senso, non poteva avere
senso. I vampiri non incantano altri vampiri…
“E questi vampiri
morderanno altri umani. È il ricambio generazionale, miei cari. Voi siete
vecchi e spenti ormai” proseguì lei, con un ghigno.
Jacque poteva
sparare in qualunque momento, ma non lo faceva. Aveva paura di uccidere Claire
di nuovo? Aveva paura di fare un torto ad Eike?
“Non capisco” disse
“Non capisco proprio niente di quello che stai dicendo.” O forse voleva capire?
Voleva sapere?
“Ho morso tre umani”
ripeté Claire, parlando più lentamente e spalancando gli occhi “Proprio come
l’ultima volta.”
Voleva davvero
sapere?
Jacque sparò
finalmente un colpo e la pallottola di legno si piantò con un boato nel corpo
dello strano vampiro, che cominciò ad emanare luce, prima di sgretolarsi in
tanti piccoli pezzetti insanguinati, e poi l’esplosione, e tutto nel salotto
venne imbrattato di rosso.
Era morta.
Jacque fece cadere
la pistola, attonito, mentre Eike, lì di fianco, ansimava.
“Chi cazzo era,
Jacque? Che cazzo è successo?” domandò, con un sincero panico nella voce.
“Non lo so” gli
rispose l’altro, respirando fiaccamente “Non lo so.”
Ma se quella cosa
era realmente Dio e davvero c’entrava con l’origine dei vampiri – Dio poteva
forse c’entrare…? – Jacque preferiva non sapere altro.
Cara Acilia,
come ti ho detto, vorrei che tu leggessi questa lettera
quando avrai preso la decisione più importante della tua vita. Sì, sono così
ottimista da sperare che deciderai tu il momento della tua morte. Ma forse non
è ottimismo, è giustezza. Non solo per ogni vampiro, ma per ogni essere vivente
– anche gli umani, certo – dovrebbe essere consentito scegliere quando morire.
Si parla di suicidio come un atto di debolezza. Non riusciva a reagire, dicono,
non riusciva ad affrontare la vita, ha preferito scegliere la via più facile.
Secondo me morire non è mai la via più facile. Come può essere facile andare
incontro all’ignoto? È molto più semplice resistere, stare fermi, aspettare
qualcosa che ci faccia sorridere. È sperare la cosa più facile del mondo.
Capire quando è il momento giusto per andarsene, questa è la cosa più
difficile. Mi chiederai allora cosa ho fatto io in proposito. Vedi, Aci, io so
già che morirò per mano di Kaeso. Ho vissuto troppo a lungo per non capire
ancora come funziona la mente delle persone, e per persone voglio intendere sia
umani sia vampiri. Lui, sì, cercherà di uccidermi. O forse sarebbe più giusto
parlarne al passato, visto che tu stai leggendo questa lettera, e se la stai leggendo
io sono già morto. Eppure ho ancora qualche difficoltà a pensarmi come morto,
forse è perché sono vivo da troppo tempo, perdona questa mia debolezza. Dunque
– proviamoci – lui mi ha ucciso. Perché?
mi chiedi. Tu sei più forte, perché gliel’hai permesso? Perché andavi in giro
da solo, senza una scorta? Le cose sono andate così perché lo volevo io, Aci.
Avrei potuto elaborare un piano, se l’avessi voluto. Ci sarebbero stati mille
modi per evitare di essere ucciso. Non voglio peccare di superbia, ma non sono
debole né tantomeno sciocco. Ho lasciato semplicemente che gli eventi
scivolassero in avanti. La mia ora era giunta, ero il vampiro più vecchio
ancora in circolazione e non ho rimpianti. L’unico mio desiderio era che la mia
morte – che mi avrebbe portato finalmente alla pace – avesse uno scopo, che
servisse a qualcosa. Per questo ho deciso di lasciarmi uccidere da Kaeso: per
aprirti gli occhi.
Kaeso è diventato malvagio e pericoloso, Aci, devi
fermarlo e smetterla di temporeggiare. Lo so che alla fine riuscirai a fare ciò
che devi. A te la scelta se cercare di fermarlo, catturarlo o ucciderlo.
Prenderai una decisione e niente di ciò che farai sarà sbagliato. Solo a te
spetta decidere quale sarà il suo destino, perché l’hai creato tu. Non essere
sorpresa, lo so fin dal principio, ma volevo che lo capissi da sola che
nasconderlo era inutile. Sono sicuro che crescerai, e che non mi deluderai.
Come so che sei la creatrice di Kaeso? Come so di
essere il vampiro più vecchio nel mondo? Sono tante le domande che mi vorresti
fare ed è per questo che ho scritto questa lettera. Quello che so riguardo alla
nostra esistenza l’ho confidato solo a Ramona, perché è in lei che ho trovato
una fedele e dolce compagna per la vita. Ma, ahimé, anche lei prima o poi dovrà
morire e io non voglio che con lei muoiano anche tutte le risposte. Ho scritto
questa lettera appositamente per te, Aci, e l’ho fatto per ringraziarti. Una
volta letta, voglio che tu la consegni al tuo caro Jacque, quando verrà il
momento. E dopo che Jacque l’avrà letta, la consegnerà ad Eike. Non voglio che
sappiate la verità prima del tempo, non voglio che conviviate per un’eternità
con questo segreto. È bello vivere senza pensieri. Ma è anche giusto che voi
sappiate, prima di morire, a cosa andrete incontro.
È grazie a te, Aci, se ho scoperto che un’esistenza
serena e non da assassini è possibile anche per noi vampiri. Quando ci siamo
incontrati per la prima volta, era da tantissimo tempo che non mi nutrivo. Non
volevo uccidere.
Una volta noi vampiri, quando ci trovavamo davanti un
essere umano, avevamo ben poca scelta: bere il suo sangue, uccidendolo o
trasformandolo. Bastava un morso. Un morso e se non bevevi tutto il sangue di
quel poveretto, allora quel poveretto diventava un vampiro. Non ho mai trasformato
nessuno. Per nutrirmi ho dovuto uccidere, mi sono sempre rifiutato di non
andare fino in fondo.
Ma poi tu mi hai aperto un mondo. Ero rimasto indietro,
non sapevo che il nostro morso avesse perso quella sua capacità… magica? La
trasformazione era diventata una cosa più complessa, più artificiosa, più
simile a un rituale.
Sarai sbigottita. Un solo morso per trasformare?
Ebbene, Aci, non è questa l’unica capacità che abbiamo perso. Siamo sempre meno
magici, sempre meno potenti, siamo sempre più vicini agli umani. Con Ramona ho
fantasticato che un giorno i vampiri potrebbero addirittura estinguersi.
Sei confusa, me lo sento. Lascia che ti spieghi, lascia
che ti racconti una storia. È la storia dell’origine dei vampiri. Vedrai che
poi tutto sarà più chiaro.
Circa cinquemila anni fa è arrivato nel nostro mondo un
essere di cui ovviamente ho solo sentito parlare. Era un essere mandato da Dio,
a sua immagine e somiglianza, così mi han detto. Si nutriva degli umani, poteva
volare, far fare agli altri ciò che voleva, camminava sia di giorno sia di
notte, senza aver mai bisogno di riposo. Non aveva zanne e la sua pelle era
lucente, non bianca. I suoi occhi erano sempre color del cielo, mai rossi. Così
me l’hanno descritto. Questo essere ha morso tre umani, sparsi per il mondo.
Questi tre umani si sono trasformati, senza prima morire. La loro pelle è
diventata lucente e i loro denti sono diventati più appuntiti. I primi tre
umani contagiati, i primi tre vampiri. Più simili all’essere divino che li ha
morsi, che a noi. Uno di loro era Tahn-ka, il mio creatore. Gli altri si
chiamavano Kas e Rankan. L’essere divino li riunì e disse loro di creare delle
famiglie, di mordere più umani possibili, ma di sceglierli prima. Gli umani
erano animali inferiori, ma andavano studiati e analizzati. Bisognava scegliere
i migliori, quelli più forti, e diffondere con loro la propria razza. E poi
l’essere se ne andò, così come era venuto.
Tahn-ka ha creato pochi anni dopo il suo primo vampiro.
Non l’ho mai conosciuto perché venne presto ucciso da un membro della famiglia
di Kas. Avevano una mente primitiva, Aci, sono sicuro che comprendi. L’essere
divino avrebbe voluto che convissero pacificamente, avendo come unico nemico
gli umani, ma invece i tre vampiri si facevano la lotta tra loro, per capire
chi tra loro era il più forte, chi doveva essere il capo, il re.
Io sono stato il secondo e ultimo creato di Tahn-ka.
Prima che rimanesse ucciso da Rankan stesso, Tahn-ka è riuscito a dirmi tutto
ciò che ti ho spiegato fin’ora. Secondo lui avrei dovuto continuare a
combattere, io, unico superstite della nostra piccola famiglia. Io ho ceduto
subito le armi, preferendo vivere da solo una lunga e triste vita. Ero
pallidissimo, all’occasione i miei denti si allungavano terribilmente e diventavano
zanne, come quelle di un animale. Ero morto. Sono stato il primo umano a morire
per colpa di un morso che non mi prosciugasse. E poi sono risorto, vampiro. Ci
stavamo evolvendo. Non avremmo potuto avere le caratteristiche dei nostri padri
per sempre, più ci mescolavamo con gli umani più le cose cambiavano.
Girovagavo per il mondo – al tempo c’era ben poco da
vedere – e mi nutrivo infelicemente. Andavo velocissimo, più veloce di quanto
tu possa immaginare, e neanche me ne rendevo conto. Incontravo spesso dei
vampiri: era la famiglia di Kas quella che si stava più vistosamente
allargando. Ho scoperto che anche altri vampiri, prima di venir trasformati,
morivano. Anche loro erano pallidi, avevano le zanne e i loro occhi diventavano
rossi per la fame. Stavamo poco a poco diventando dei mostri. E c’era di più:
pareva che i più giovani corressero e volassero meno velocemente. Sempre più
diversi dagli umani, ma sempre meno potenti.
Il sole cominciò a farci male quando io avevo più o
meno cinquecento anni. Me ne sono sempre domandato il perché. Il sole,
l’emblema di Dio, perché doveva volerci male? Perché non stavamo compiendo il
suo destino abbastanza velocemente? O forse – ed è solo una mia ipotesi – il
sole è quella parte di Dio che non avrebbe mai voluto l’espansione della razza
di un mostro, a discapito degli umani. Ho cominciato ad elaborare questa teoria
l’anno della venuta di Cristo. Credi in queste cose? mi chiederai. In realtà
no, però vorrei. Vorrei credere che quell’essere piombato sulla Terra cinquemila
anni fa non fosse il vero Dio, ma un impostore. Il sole ci ricorderebbe questo,
in continuazione, tutti i giorni, che su questo mondo noi non siamo i
benvenuti.
Ho imparato a girare solo di notte, mentre di giorno me
ne stavo nascosto. Scoprii che altri vampiri più giovani di me avevano bisogno
di riposare durante il giorno. Io invece non ero mai stanco.
Qualche secolo prima della venuta di Cristo, incontrai
nell’antica Roma per la prima volta un vampiro che mi fece pensare bene della
mia razza. Come me odiava la sua vita e si poneva tante domande, pur non
trovando nessuna risposta. Era un uomo, più giovane di me di più di mille anni
e apparteneva alla famiglia di Kas. Il suo nome era Marco. Ho saputo da lui che
Kas e tutti i suoi creati erano morti, in quella stupida battaglia contro la
famiglia di Rankan. Io e Marco ci siamo congedati, io ero fatto per stare in
solitudine e, ti dirò, di questa mia scelta mi sono pentito. Poco tempo dopo
seppi che Marco era diventato Prefetto dei vampiri di Roma. E seppi anche che
aveva creato il suo primo vampiro: tu. Vedi, Aci, ti conosco da sempre, ma non
pensavo che tu saresti diventata così importante per me. Marco è stato poi
ucciso, lo saprai, da Camelio, quel vampiro orribile che ho avuto l’onore di
combattere al tuo fianco. Se è Marco il primo vampiro che ha capito che non
serviva più solo il morso per trasformare e ha trovato in questo piccolo
dettaglio una via di salvezza per tutti noi, allora sono stato ben contento di
accompagnarti in quella missione per vendicare la sua morte.
Di Camelio me ne aveva parlato già una volta Marco. Me
ne aveva parlato con odio, lo vedeva come un pericolo. Bada bene, Camelio non
era l’unico vampiro malvagio a quel tempo, ma era quello che stava acquistando
sempre più pericolosamente fama. Camelio
era stato creato da un creato di un creato di Rankan. Può sembrarti uno
scioglilingua, ma ecco come sapevo che in quella battaglia sarei stato il più
vecchio. Rankan e i suoi creati erano morti, Aci. Io ero ufficialmente il
vampiro più vecchio di tutto il mondo.
Come so che Kaeso è tuo creato? Dopo la morte di Marco,
ho temuto per te. Già nutrivo del risentimento nei confronti di Camelio ma
ancora di più avevo una strana voglia di occuparmi di qualcuno. Di fare un
favore a Marco. Ho chiesto in giro a tutti i vampiri se sapevano chi fossi, se
sapevano dove avrei potuto trovarti. Eri famosa, e puoi immaginarne il motivo.
Io ti cercavo, Aci, non è un caso se ci siamo incontrati. Quando, quel felice
giorno, incontrai te, Ramona e Dubris, non ero sicuro fossi tu, ma perché non
ho detto niente? Volevo conoscerti per quel che eri e non per quel che di te avevo
sentito dire. E, lo ammetto con gioia, non solo non hai deluso le mie
aspettative, ma mi hai letteralmente sconvolto. Hai fatto un’evoluzione
straordinaria, non ricadere nel tuo passato e lascialo andare. Non ti
appartiene più. Sei un’altra persona ora e, come ti vergogni di quello che eri,
ora devi andare fiera di quello che sei. Ti ringrazio ancora, e non c’è nulla
che valga di più di un grazie. Non sappiamo ancora di preciso cosa
incontreremo. Un Dio c’è e voglio sperare che sia buono. Qualcosa dall’altra
parte c’è, Aci; ci rincontreremo.
Un abbraccio,
Lyuben
Acilia rilesse più
volte diversi punti della lettera, stordita. Si lasciò cadere sulla poltrona
del salotto di casa di Dubris, con quel pezzo di carta in mano. Si sentiva
addirittura tremare ma contemporaneamente presa da una strana commozione.
Sentiva ad un tratto Lyuben vicino, si immaginava la sua voce e la sua voce la
confortava, era una bella sensazione che non voleva far andare mai via. Ma
tutte quelle novità… Il fatto che Lyuben fosse morto per sua scelta! Per
aprirle gli occhi… Lui sapeva… Sapeva tutto! E lei che si vergognava
soprattutto con lui! Non doveva, ma si sentiva ancora più stupida. Il fatto che
però Lyuben sapesse e che le volesse lo stesso bene, e che fosse morto per sua
scelta, per ritrovare la pace… La
faceva sentire meno in colpa. I primi vampiri, l’essere divino, quali cose
incredibili!
Ci ricontreremo.
Presto, presto, ci
rincontreremo presto, si diceva Acilia, eccitata e impaurita. Ma poi rilesse
quell’unica riga in cui veniva nominato Jacque. Doveva dargli la lettera ed era
giusto dargliela, cosicché sapesse anche lui…
Come fargliela
avere? Non lo voleva vedere, non voleva essere costretta a dirgli addio, non
voleva vedere quanto gli faceva male… Non aveva più pensato a lui, chissà a
cosa pensava. Mi sta odiando, pensò Acilia, proprio come mi ha odiato Kaeso.
Si alzò in piedi e
chiamò Dubris a gran voce.
Dopo
poco lui
arrivò dal piano di sopra. “Che c’è?”
domandò, in allerta “Vuoi già andare?” Dubris
sarebbe stata l’unica persona che avrebbe salutato, insieme a
Lyuben, con
quella lettera.
“Andrò tra poco”
confermò Acilia. Gli tese la lettera. “Ti chiedo di dare questa a Jacque.”
Dubris la prese,
perplesso. “L’hai scritta tu?”
“No” disse subito
Acilia. Se ne andava così? Senza dirgli niente? Non trovava proprio altre
parole se non che le dispiaceva, all’infinito. Poteva dirglielo, almeno quello.
“Digli che la deve leggere solo quando sarà giunto per lui il momento di morire”
continuò “E digli che mi dispiace tanto… E che gli voglio bene.”
Una fitta tremenda
le prese lo stomaco. Voglio piangere, pensò, voglio piangere, forse poi potrò
farlo.
Ma Dubris non
allungò la mano, si limitava a guardarla torvo.
“Ti sembra giusto
scappare così?” le disse “Non è un comportamento da veri creatori.”
Acilia sgranò gli
occhi. Lo sapeva, ma si sentì offesa. “Non ho mai detto di essere una brava
creatrice.”
“Con Kaeso hai
sbagliato tutto, lo sappiamo” insistette Dubris “Ma per Jacque puoi fare ancora
tanto! Almeno digli addio!”
Acilia si
mordicchiò il labbro mentre guardava, sorpresa, l’ardore sul viso del suo
amico. Proprio lui, che detestava tanto Jacque, ma che in realtà lo aveva a
cuore, perché aveva a cuore lei.
La ragazza strinse
gli occhi, come per far uscire lacrime fastidiose infossate da qualche parte
nel suo corpo. “Come faccio… io…”
“L’ho chiamato io
per te” la interruppe Dubris “Sarà qui tra poco.”
No, no…
Rivedere Jacque,
dopo tutto quello che lui aveva scoperto di lei! Le girava la testa.
Indietreggiò quando qualcuno bussò alla porta.
Perché mi fai questo, Dubris? Mi vuoi trattenere? Mi
vuoi complicare ancora di più le cose?
“Io ho perso
Ramona, Aci” proseguì Dubris, emanando dolore dagli occhi “So come sarà per
Jacque perdere te. Non fare in modo che questo dolore venga improvviso e
inaspettato.”
Acilia annuì,
chiusa nel suo solito egoismo mentre Dubris andava ad aprire la porta. Nella
stanza entrarono Jacque ed Eike e ad Acilia si sarebbe fermato il cuore, se
avesse potuto battere.
“Ciao” fece, un po’
titubante, e chissà quale espressione aveva sul volto.
I due ricambiarono
il saluto, non meno esitanti.
Acilia non riusciva
neanche a ricordare da quanto tempo non parlasse con loro. Le cose avevano
preso una piegha strana e tutto era precipitato all’improvviso.
“Eike” saltò su
Dubris, con un tono che forse voleva essere allegro “Vieni, lasciamoli soli.”
Eike gli lanciò uno
sguardo funereo ma non trovò da ribattere. Lo seguì ed entrambi sparirono su
per le scale.
Acilia sospirò e si
avvicinò a Jacque. Chinò il capo, non riusciva a – o non voleva – guardarlo in
faccia.
“Non te lo farò
fare” proruppe all’improvviso la voce vibrante di lui “Hai capito? Non te lo
lascerò fare.”
Lei alzò la testa e
vide il corpo di lui tremare. La guardava come non aveva mai fatto, il capo
alto, senza vergogna ma con gli occhi sfavillanti e la mascella tesa. “Non mi
puoi abbandonare, okay? Ne abbiamo passate tante insieme… Pensavo… Pensavo che
avremmo continuato a sopportare insieme.”
Promettimi che non mi abbandonerai.
Acilia sentiva i
suoi occhi sgranarsi mentre terribili deja vu le trapassavano la pelle come
spilli appuntiti, facendola sanguinare all’interno.
“Sei tu che mi hai
trasformato!” sbottò ancora l’altro “Tu mi hai legato a te, non te ne puoi
andare così!”
Mi hai ucciso tu, ora non mi puoi più abbandonare, me
lo devi… Me lo devi!
Non era Kaeso
quello che disperatamente stava parlando davanti a lei, era Jacque, Jacque! Aveva ucciso entrambi, li aveva
legati a lei per l’eternità, come un
macabro e funesto matrimonio… Voleva morire perché aveva portato alla follia e
ucciso Kaeso… E a Jacque, a Jacque non ci pensava più?!
L’immagine del
volto triste e supplichevole di Jacque si sovrappose all’immagine del Kaeso
triste e furente.
Stava per
abbandonare anche Jacque? Avrebbe commesso lo stesso errore una seconda volta?
Non è che perché Jacque è un vampiro eccellente, non
devi più preoccuparti di lui.
Lo aveva
trasformato lei. Non si era comportata come aveva fatto con Kaeso ma aveva
causato eterna sofferenza anche a lui! E lui meritava così tanto di più,
rispetto a tutti gli altri…
Quindi non era
ancora arrivato il momento per morire? Non era ancora l’ora giusta? Si sentiva
pronta, eppure… Ma se continuava a legarsi alle persone che le stavano accanto
non sarebbe mai stata pronta! Ricordò le parole di Lyuben.
Capire quando è il momento giusto per andarsene, questa
è la cosa più difficile.
Strinse in un pugno
la lettera, accartocciandone una parte. Era davvero difficile.
Quando avrai preso una decisione.
Quale decisione,
Lyuben? Quale?
La più importante della tua vita.
Si riferiva
palesemente alla morte. Decidere di morire, era questa la scelta più ardua, più
importante…
Continuava a guardare
Jacque, come ipnotizzata, come se stesse per la prima volta capendo qualcosa.
“E non ti sto
dicendo queste cose perché non so cavarmela senza di te” proseguì lui,
traboccante di sofferenza nella voce “Sono un vampiro indipendente ormai…” La
fissava dritto negli occhi. Erano occhi bellissimi, grandi. Perché lei vedeva
un’anima in quei occhi? I vampiri stanno perdendo potere, pensò Acilia, tenendo
a mente la lettera di Lyuben, per questo Jacque non può volare ed è meno forte…
Per questo forse lo vedo così umano, per questo mi sono lanciata tra le sue
braccia.
“Te le sto dicendo
perché ti amo” concluse lui, dopo qualche attimo di esitazione. Le si avvicinò,
insicuro nello sguardo ma sicuro nelle mani, che le presero il volto e
l’accarezzarono.
“Ti amo… ti prego,
non mi lasciare.”
Amare, anche quella
era una scelta importante.
Acilia si lasciò
abbracciare senza opporre alcuna resistenza, completamente attonita, sentendo
uno strano formicolio allo stomaco che non credeva di poter provare ancora.
Nonostante vivesse da duemila anni, allora, poteva ancora provare qualcosa.
L’abbraccio di Jacque… l’aveva dimenticato.
“Ti prego…”
Lui continuò a
sussurrare contro la sua bocca, poi la baciò teneramente. Lei ricambiò il bacio
e se avesse avuto delle lacrime le avrebbe spese tutte per quel momento.
Vivere, anche quella
era una scelta importante.
Kaeso aveva torto.
Non è che Acilia non avesse il coraggio, semplicemente non era ancora giunto il
momento.
Kaeso aveva torto –
o era l’unico ad aver ragione.
“Scusami” sussurrò
lei, tra un bacio e l’altro, con le braccia al collo di Jacque “Scusami…” Si
riferiva ad ogni cosa, si rivolgeva non solo a Jacque, ma anche a Kaeso. E
forse anche ad Eike, a Dubris, a Lyuben, a Ramona… Chiedeva scusa al mondo
intero, perché ancora non riusciva a piegarsi a una volontà più grossa ma
seguiva il suo cuore, come aveva sempre fatto.
Baciò ancora
Jacque, scavando nella sua bocca come se volesse scavare nella sua vita, con
una passione di duemila anni che tornava fuori, e non si era ancora spenta.
Aveva solo bisogno di sentirsi amata, stupida ragazza di diciotto anni che non
sarebbe mai cresciuta. Era ancora umana, da qualche parte. E finché se lo fosse
sentita dentro, non sarebbe mai stata pronta per morire.
“E così” stava
dicendo Eliza “quel vampiro che è di sotto… è lei che ha creato Kaeso.” Aveva
lo sguardo vacuo, con qualche traccia di risentimento.
“È anche quella che
l’ha ucciso” aggiunse Eike, seccato “salvando il culo a tutti voi.”
La donna lo guardò
con occhi gonfi di lacrime e Dubris si impietosì.
“Puoi lasciarci un
attimo soli, Eike?” domandò al solito piccolo impertinente.
“Non posso stare di
sotto, non posso stare qui…” ribatté lui con tono spento e occhi irrisori “C’è
un posto in questa casa in cui non rischio di interrompere un felice e
vomitevole idillio?”
Dubris rimase
interdetto mentre Eliza era del tutto sgomenta.
Eike sorrise
all’umana ed estrasse le zanne. “No, signora, non sono un bambino come tutti
gli altri.”
Dubris lo avrebbe
preso e appeso letteralmente per il collo ma quello uscì, soddisfatto,
chiudendosi la porta della camera dietro di sé.
Eliza era
sconvolta, e bella. Aveva potuto rinfrescarsi con una doccia e profumava di
buono. I capelli ramati non erano curati ma, puliti, le ricadevano in buffe
ciocche arrotolate sulle spalle. Seduta sul letto della camera, teneva le
braccia conserte e le spalle curve, in un umano tentativo di difesa.
“Mi dispiace” si
affrettò a dire Dubris “Eike è un vampiro buono, fa parte della famiglia di
Acilia, è solo un po’…”
“Anche tu fai parte
della loro famiglia?” lo interruppe Eliza.
Dubris inarcò le
sopracciglia. “Io… non ho mai detto…”
“Allora perché sono
a casa tua?”
“È… complicato.”
Eliza alzò gli
occhi al cielo, asciugandosi le lacrime. “Che cosa non lo è?”
Il vampiro sospirò,
pensando a come spiegarsi. “Acilia vuole suicidarsi” disse poi, pensando che
non era poi una tematica così complessa, dopo tutto quello che Eliza aveva
passato “È stata costretta ad uccidere il suo creato e ora non vuole più andare
avanti. Io voglio salvarla ma le mie parole non contano niente. È Jacque
l’unico che può salvarla, per questo l’ho chiamato.”
Eliza lo guardava
mestamente. “L’ami?”
Dubris fu sorpreso
e lei fece un gesto noncurante con la mano. “Noi umani siamo bravi a capire
queste cose… Cioè, solo noi donne, in realtà.”
Lui fece un
sorrisino, ma c’era un pensiero che gli ronzava in testa da tutta la sera.
Anche tu fai parte della loro famiglia?
“Forse mi sono così
tanto affezionato ad Acilia perché era la cosa più simile ad una creatrice che
avevo” rifletté ad alta voce. Guardò Eliza dritto negli occhi e disse la cosa
che ancora non aveva detto a nessuno. “Del resto lei ha creato Kaeso, e Kaeso
ha creato me.”
La donna spalancò
gli occhi, sbigottita. “Credi davvero…”
“È molto probabile”
fece lui, scrollando le spalle. Non riuscì a trattenere una mezza risata. “In
pratica Acilia è mia nonna!”
Eliza non rise con
lui. “Lei lo sa?”
Lui scosse la
testa. “Non importa.”
Sperava davvero che
Acilia e Jacque si riconciliassero, che lei trovasse in lui un motivo per
andare ancora avanti. Tutto il resto non importava, ed era giusto così. Dubris
si sorprendeva di se stesso: chissà, dopo millecinquecento anni, si poteva
ancora maturare?
“Forse a lei
importerebbe” insistette ancora Eliza.
Mi vergogno, pensò Dubris,
senza guardarla, mi vergogno. Aveva combattuto, aveva ucciso, senza domandarsi
il perché di niente – aveva ucciso sua sorella
senza pensare a niente. Kaeso l’aveva abbandonato ed era stata la sua fortuna.
Se l’avesse conosciuto, se fosse cresciuto con lui, ci sarebbe stato lui legato
a quella colonna, al posto di Svetlana, con l’argento addosso, il sangue
addosso, i pianti mai fatti, quelli di sangue, ma un amore, per il proprio
creatore… Non avrebbe conosciuto altro, e sarebbe morto, così, ucciso da
qualche stupido, rancoroso, accecato, senza conoscere altro.
“Avrei potuto
aiutarla” fece in un sussurro, stringendo i pugni “Avrei potuto…”
Alzò lo sguardo e vide
che Eliza, con la testa china, stava piangendo piano. Capì che neanche Svetlana
importava più ormai, e sarebbe stato per lui solo un offuscato e insanguinato
rimorso.
“Non è giusto che
tu stia ancora qui a soffrire” disse, sentendosi in colpa “Ti porto a casa,
dimmi dove ti devo…”
Ma Eliza stava
vistosamente scuotendo la testa. “Non è più casa mia senza Charlene.”
“Casa dei tuoi
genitori?” tentò Dubris.
“Morti entrambi.”
“Un fratello?
Un’amica?”
La donna incurvò le
sopracciglia ma questa volta i suoi occhi non si sciolsero, parvero solo
disillusi. “C’era solo Ralph…”
Dubris non disse
nulla e lei tirò su col naso.
“Non voglio che
anche questo figlio che nascerà cresca senza padre e nella paura” disse,
assumendo uno sguardo deciso. Guardò Dubris, e la sua espressione divenne
implorante. “Al momento mi sento al sicuro solo qui.”
“Oh” rispose l’altro,
stupito “Okay, puoi restare qui… Tutto il tempo che vorrai.”
Eliza gli si
avvicinò e gli prese le mani. “Se mi succedesse qualcosa… voglio che sia tu ad
occuparti di mio figlio… Veglia su di lui… In qualunque modo tu creda di fare
il suo bene.” Le lacrime percorrevano il suo volto, grazioso, nonostante tutta
la paura e l’angoscia, e la stanchezza, che le piegava le guance in morbide
rughe. “Promettimelo, per favore…”
Dubris, stupefatto,
non lasciò la presa. “D’accordo, d’accordo… Te lo prometto” disse, dopo un po’.
Eliza gli sorrise
tra le lacrime, poi si tuffò tra le sue braccia, e pianse, pianse tanto. Come
poteva quella donna avere ancora delle lacrime dentro ai suoi occhi? Gli esseri
umani erano creature meravigliose, piene di risorse, che non si arrendevano
mai.
Dubris l’abbracciò
forte e la baciò sulla fronte, avvertendo uno strano, caldo, formicolio.
Qualcuno finalmente si fidava totalmente di lui e lui si sentiva, per la prima
volta dopo più di millecinquecento anni, a casa.
Sono passati quasi nove
mesi dal mio primo incontro con Jacque. Ho avuto paura di lui, poi l’ho trovato
intrigante. Poi mi sono innamorata. Ho pensato di essere completamente folle, o
più probabilmente una deficiente che si andava a mettere nei guai. Ho capito
che amare è la cosa più facile del mondo. Anche se si tratta di un vampiro. Ad
amare qualcuno non ci vuole niente. Ancora più facile è innamorarsi di una
persona che non puoi avere. Anche – soprattutto – se si tratta di un vampiro.
Forse mi sono comportata, io adulta, come una sciocca ragazzina ma non mi pento
di niente. Ho vissuto questi mesi intensamente e così continuerò a fare fino
alla fine dei miei giorni. Jacque mi ha insegnato ad amare la mia vita più di
ogni altra cosa. Non devo amare lui più della mia vita, lo so. È per questo che
non voglio diventare un vampiro, anche se in questo modo gli starei accanto.
Non lo voglio fare, per lui. Ognuno andrà avanti per la sua strada. Jacque ha
scelto Acilia, ed è stato giusto così. Lei gli può offrire cose che io posso solo
sognare. E lui può offrire tanto a lei, mentre a me quasi nulla. Avranno un
futuro insieme e io sarò contenta per loro, e probabilmente non li rivedrò mai
più.
Ieri ho detto addio a
Jacque per sempre. Loro devono partire, fuggire dall’Inghilterra. Ho pianto ma
gli ho detto di non sentirsi in colpa. È stata una mia scelta e ora sarò forte,
per me stessa e per Lydia.
In realtà il mio cuore ha
detto addio a Jacque da molto più tempo. Me ne sto rendendo conto ora, perché
so che la ferita si rimarginerà.
Che dire, termino così
questo strano diario di paura e amore. Dopotutto è stata una bella avventura,
un’esperienza che non dimenticherò mai. Jacque non lo dimenticherò mai. E pure
Eike mi mancherà.
Il bello di noi esseri
umani è che abbiamo una vita breve, così breve, che se diciamo che non
dimenticheremo mai qualcosa – o che ricorderemo per sempre qualcosa – allora
non ci sono dubbi, sarà così.
Emily
Erano partiti,
diretti verso un posto lontano, ancora non sapevano quale.
La Rappresentanza
era un punto interrogativo. Ci sarebbero state le elezioni, ma Acilia se n’era
di nuovo chiamata fuori. Quando ci sarebbe stato bisogno, allora forse sarebbe
tornata. Chissà chi sarebbe stato il nuovo presidente: Acilia faceva il tifo
per Dubris.
L’Inghilterra era
alle loro spalle e Acilia si intristì. Avevano vissuto parecchi anni là,
sperando e aspettando. Aveva ritrovato Kaeso, aveva conosciuto Curtis. Aveva
rincontrato Jacque. Erano morti Lyuben, Ramona e tanti altri. La lettera di
Lyuben, Acilia l’avrebbe conservata con cura. Le dispiaceva averla letta prima
del tempo, ma, dopotutto, se era lì con Jacque ed Eike in quel momento, era
anche perché l’aveva fatto. Chissà perché, era convinta che questo Lyuben lo
sapesse. Le aveva detto di leggere la lettera quando avesse preso la decisione
più importante della sua vita, e lei aveva deciso. Aveva deciso di non morire
ancora. Eppure non si sentiva né coraggiosa né entusiasta né felice.
“Non sei ancora
soddisfatta, Aci? Perché non sorridi?” chiese Jacque, vagamente deluso.
Acilia lo guardò.
Di cosa avrebbe dovuto essere soddisfatta? Stava fuggendo, come sempre. Il suo
sogno era lontano come lontano lo era duemila anni prima. Era salva, era con
lui, questo gli leggeva lei negli occhi. Avrebbe dovuto bastarle, per ora. Ma
si stavano lasciando dietro una valanga di morti, vittime della loro guerra
senza fine.
“Sorridere? Credi
che i soldati russi che hanno liberato Aushwitz abbiano mai sorriso?” fece.
Jacque si
mordicchiò il labbro.
E tu, perché non sorridi?
“È la vergogna”
continuò lei “La vergogna di cui il mondo non ne ha mai abbastanza.”
Gli prese la mano e
continuò a camminare.
Vorrei solo che tu
mi stessi accanto per sempre, gli voleva dire. Ma non glielo disse.
Sentiva lo sguardo
sereno di Eike che li guardava e li guidava, come sempre aveva fatto.
Senza dire altro, i
tre si allontanarono sotto la pacata luce della luna, la loro luna, come una
famiglia taciturna e inquietante, con cui nessuno avrebbe mai voluto avere
niente a che fare.
Ho accorciato ed ecco l'ultimo capitolo! Spero sia tutto chiaro, in caso contrario scrivetemi!
Aspetto recensioni :) a breve l'epilogo!
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