From
nightmare to dream and back
Sherlock
era stato lento.
Aveva
appena risolto un caso con John e si erano trovati costretti a
inseguire l'omicida per le strade di Londra. Niente fuori
dall'ordinario della loro vita insieme, dopotutto. Avevano corso a
perdifiato, rischiando di farsi mettere sotto dalle macchine e
sbattendo contro praticamente ogni passante che incontravano. Quando
avevano svoltato in una stradina laterale, Sherlock l'aveva sentito
ridacchiare. Lo aveva guardato sottecchi mentre il viso di John si
era illuminato di un sorriso pieno di un'emozione che Sherlock aveva
fatto fatica a identificare. Felicità, sì, ma
forse... Anzi,
decisamente c'era qualcosa di più profondo. Aveva sorriso di
rimando
con una sensazione di calore che piano piano si propagava dal petto
fino alla punta dei capelli. In quel momento, il primo di una lunga
serie, John Watson aveva eclissato la sua concentrazione sul caso.
Era stato come se il tempo fosse rallentato. I loro respiri
affannati, i loro sguardi che si erano indissolubilmente incatenati,
John che aveva allungato una mano e Sherlock che senza pensarci un
attimo l'aveva afferrata.
Sherlock
non aveva pensato.
Normalmente
la cosa l'avrebbe seccato, ma il calore della mano di John aveva
surclassato anche quel pensiero. Il criminale aveva svoltato ancora e
Sherlock e John si erano fermati dietro l'angolo con le orecchie
rizzate. Si erano sentite delle grida.
«Ha
preso degli ostaggi» aveva detto Sherlock e John aveva
annuito
gravemente.
«Avverti
Lestrade, io vado a dare un'occhiata.»
«Vedi
di limitarti a quello finché non arrivo» aveva
borbottato John
tirando fuori il suo cellulare, lasciando la mano del compagno.
Sherlock aveva alzato gli occhi al cielo «John sono
perfettamente
capace di-»
«Sì,
lo so di cosa sei capace, per questo ti dico: vedi di aspettarmi
prima di fare l'esibizionista» l'aveva interrotto portandosi
il
cellulare all'orecchio. Sherlock aveva sospirato e poi si era
affacciato all'angolo per esaminare la zona. Era un vicolo cieco: ce
l'avevano in pugno. L'uomo, terrorizzato, aveva preso come ostaggio
una prostituta e adesso le puntava la pistola alla testa con la mano
che tremava violentemente, probabilmente a causa dell'astinenza dalle
droghe.
«Andiamo?»
aveva chiesto John una volta rimesso il telefono in tasca.
«Lestrade
arriverà tra poco, ci conviene tenerlo d'occhio da qui,
è più
sicuro.»
«Sherlock
quell'uomo è in astinenza. Non ragiona. Dobbiamo fargli
lasciare
andare l'ostaggio o potrebbe ucciderlo prima dell'arrivo di
Lestrade.»
Si
erano scambiati un'occhiata severa, poi Sherlock aveva ceduto
«Bene.
Andiamo.»
«Lascia
parlare me.»
Aveva
acconsentito con un cenno e si erano avviati insieme. Il criminale
aveva messo la prostituta davanti a sé usandola come scudo e
la
stava minacciando puntandole costantemente la pistola alla testa.
Quando però aveva visto Sherlock e John, l'aveva spostata
verso di
loro. Era un tipico venticinquenne trasandato, accaldato per la corsa
che tremava sia per la paura che per l'astinenza dalle droghe. Gli
occhi grandi e acquosi erano terrorizzati.
«Non
avvicinatevi o le sparo!»
Sherlock
aveva ribattuto «Non credo che lo farai. Stai tenendo la
pistola
puntata verso di noi e non di lei, il che indica una certa
riluttanza, per di più da come tieni quell'arma è
evidente che tu
non hai la più pallida idea di come utilizzarla.»
John
l'aveva fulminato con lo sguardo mimando con le labbra "tempismo,
Sherlock!". Poi aveva preso in mano la situazione.
«Qual'è il
tuo nome, ragazzo?» aveva chiesto cercando di addolcire il
tono.
«Brian
Keen» aveva risposto lui, riportando la pistola sulla
ragazza.
Questa cominciò a piangere.
«Okay,
Brian. Cerchiamo di... Fare un bel respiro e calmarci. Sappiamo che
hai ucciso in preda all'astinenza dalle droghe e normalmente non
avresti fatto quello che hai fatto.»
«Come
lo sai?!» aveva strillato Brian. John aveva sorriso
calorosamente e
si era voltato verso Sherlock.
«A
parte il fatto che la tua voce è suonata piuttosto disperata
nella
tua ultima esclamazione, è facile dedurre che hai passato
parecchie
notti insonni dalle occhiaie marcate, per quale altro motivo non
saresti riuscito a dormire la notte se non per i sensi di colpa?
È
ovvio.»
Nonostante
la delicatezza del momento, John non aveva potuto nascondere il
solito sguardo d'ammirazione che gli rivolgeva ogni volta che
assisteva ad una delle sue brillanti deduzioni. Era durato solo una
frazione di secondo, ma Sherlock aveva sentito chiaramente la
sensazione di calore al petto di prima.
«Visto?»
John era tornato a rivolgersi verso Brian, che adesso sembrava ancora
più terrorizzato dalle doti deduttive di Sherlock.
«Brian,
lascia andare la ragazza. Non ti faremo del male. Sei tu quello
armato qui, punta l'arma verso di me se ti farà sentire
meglio, ma
lei non c'entra niente. Non vorrai fare ancora lo stesso
errore?»
Quell'ultima
frase aveva risvegliato qualcosa nel ragazzo. Era impallidito
visibilmente e aveva sussurrato un "no" impercettibile.
Aveva lasciato brutalmente la prostituta che era caduta a terra,
ancora scossa dai singhiozzi. Questa aveva alzato gli occhi e aveva
incontrato quelli freddi di Sherlock che le stavano urlando di
andarsene. Così aveva ubbidito, scappando goffamente sui
tacchi.
«Bravo
Brian. Hai fatto la cosa giusta» John si era avvicinato di
qualche
passo, tenendo le mani alzate e continuando a sorridere.
«Vedi? Non
sei un criminale. Hai solo problemi di droga. Puoi uscirne,
sai.»
Il
ragazzo aveva indietreggiato, la pistola gli tremava tra le mani come
se fosse troppo pesante da tenere. «E tu che ne sai,
eh?»
«Sono
un dottore, lo so bene. Adesso calmati e fai un bel respiro.»
Si era
avvicinato ancora e stavolta Sherlock aveva dato un colpo di tosse in
segno di ammonimento. Si stava spingendo troppo oltre.
«Brian
tra poco la polizia sarà qui. Cosa pensi che ti faranno se
ti vedono
la pistola puntata verso di me? Ti crederanno un criminale. E tu non
vuoi questo, vero, Brian?»
Il
ragazzo aveva scosso il capo, stavolta senza indietreggiare. Ormai
c'erano due o tre passi tra John e Brian. John aveva allungato la
mano verso la pistola.
«Dalla
a me, ragazzo.»
Brian
aveva piano piano abbassato l'arma facendo saettare lo sguardo da
quella a John. Ancora era incerto sul da fare. Lestrade era arrivato
in quel momento insieme a tutta la sua squadra. Sherlock li aveva
guardati come a dire "era anche l'ora che arrivaste". Brian
aveva cominciato a iperventilare impugnando nuovamente la pisola con
tutte e due le mani. John aveva ritirato la mano ma aveva continuato
a parlare.
«Brian.
Non fare sciocchezze. Dammi la pist-»
«STA'
LONTANO DA ME!»
Brian
aveva urlato e aveva premuto il grilletto.
E
ora Sherlock se ne stava a guardare, mentre tutto intorno a lui si
muoveva a rallentatore. Lestrade stava urlando qualcosa di
indistinto, Sally Donovan fu la più veloce e mise le manette
al
ragazzo in pochi secondi.
Ma
tutto questo lo percepì vagamente. La sua attenzione era
fissa sul
corpo dell'ex-soldato che cadeva lentamente e toccava il suolo come
fa un vaso di vetro quando si infrange sul pavimento. Quasi era
capace di vedere i frammenti di John che si sparpagliavano
sull'asfalto londinese. Non riusciva a muovere un muscolo. Aveva
paura ad avvicinarsi, a sentire il cuore che non batteva
più. Una
mano si appoggiò sulla sua spalla, ma la ignorò.
Captò frammenti
di una frase, il che gli bastò.
Fortunato.
Preso
di striscio.
Svenuto
per botta alla testa.
Sentì
il sollievo inebriargli i sensi e subito un'altra emozione rischiava
di sopraffarlo. Era bruciante, era calda e fredda, gli faceva battere
il cuore all'impazzata, si guardava le mani e le vedeva vuote, come
se mancasse qualcosa. Non poteva farsi vedere così. Si
alzò
scrollandosi di dosso chiunque gli avesse parlato e si voltò
per
avventurarsi nei meandri di Londra di notte, da solo.
John
si svegliò un paio d'ore dopo, sul suo letto, con un mal di
testa
martellante. Su una sedia ai piedi del letto trovò Mycroft e
il suo
compagno di vita: l'ombrello. Si guardò ancora intorno, ma
del
Consulting Detective non c'era traccia. Inarcò un
sopracciglio,
preoccupato.
«Sta
bene» lo rassicurò il maggiore degli Holmes. John
sospirò di
sollievo.
«Dov'è?»
Mycroft
si mosse a disagio sulla sedia «Sospetto che l'esperienza
emotiva a
cui è stato sottoposto mio fratello sia stata un po' troppo
da
sopportare per lui-»
«Non
lo sai» John lo guardò aggrottando le
sopracciglia.
«No»
ammise con un sospiro. L'ex-soldato chiuse gli occhi, buttando la
testa sul cuscino e pentendosene subito dopo per il capogiro che
seguì.
«Giuro
che prima o poi lo ammazzo. Deve smetterla di sparire
così.»
«Non
essere duro con lui, John. Lo conosco abbastanza da dire che stanotte
si è preso un gran bello spavento. Non ci è
abituato, la situazione
gli è sfuggita di mano. Ha solo bisogno di un po' di tempo
per
riorganizzare i pensieri.»
John
concordò in silenzio.
«Dovresti
riposare. Hai preso una brutta botta in testa. Rimarrò
finché non
torna mio fratello.»
«Questo
sì che è confortante.»
Mycroft
gli lanciò un'occhiataccia, ma non disse niente. John chiuse
gli
occhi.
A
svegliarlo fu il rumore di una porta che si chiudeva. Stavolta, c'era
la figura alta e riccioluta di Sherlock ai piedi del letto. Era in
penombra e John non potè vederlo bene, ma vide con chiarezza
le
occhiaie violacee che gli circondavano gli occhi. Diede un'occhiata
all'orologio: le quattro del mattino.
«Dove
sei stato? Stai bene?» chiese John, con la voce impastata dal
sonno,
tirandosi su coi gomiti. Sentì una fitta al fianco destro:
vi portò
una mano e sentì una fasciatura. Poi ricordò.
Sherlock ignorò le
sue domande e si avvicinò. Spostò la sua mano dal
fianco ed esaminò
la fasciatura.
«Sherlock?»
John riprovò. «Tutto okay?»
«Una
meraviglia» rispose lui, freddamente. John scosse la testa.
«Non
capisco perchè tu stia reagendo così. Non
è mica la prima volta
che rischio la vita.»
«Sì,
ma stavolta sei vivo solo per un colpo di fortuna»
sputò il
detective allontanandosi di botto. Respirava affannosamente.
«È
di questo che si tratta allora? La situazione ti è sfuggita
di mano
e capisco tu sia arrabbiato, ma-»
«Non
è questo!
La prossima volta potresti non essere tanto fortunato» disse
fissandolo negli occhi.
«Mi
hai avvertito. "Potrebbe essere pericoloso". Ricordi?»
Sherlock
sospirò portandosi una mano tra i ricci neri e voltandosi
verso la
finestra. «Le cose sono cambiate da allora.»
«Cosa
è cambiato?»
«Io.»
John
rimase in silenzio, attonito. Sherlock proseguì
«Prima non avrei
mai lasciato che le mie emozioni prendessero il sopravvento come
è
successo. Stavolta non sono riuscito a controllarle» ammise
continuando a dargli le spalle. «Quindi è per il
bene di entrambi
se tu-»
«No»
lo interruppe fermamente John, mettendosi a sedere.
Sherlock
si voltò «Non sai neanche quello che-»
«Sì
che lo so. Io non vado da nessuna parte e tu nemmeno, non senza di
me.»
«Io
non posso permettermi di perd-»
«Non
succederà.»
Sherlock
sospirò «John ascolta-»
«No,
tu
ascolta! Si tratta sempre di te qui, vero? Tu
devi
assicurarti che io non venga ucciso, tu
devi saltare da un edificio per salvarmi, tu
ti senti troppo emotivo per i tuoi gusti. Ma guarda un po', esisto
anche io e anche io ho delle emozioni e giuro che se provi ad
allontanarmi ancora ti tiro un pugno e stavolta non
risparmierò i
tuoi maledetti zigomi.»
Sherlock
abbassò lo sguardo. John notò che gli angoli
della bocca si erano
incurvati all'insù. Automaticamente si addolcì.
Diede un colpetto
con la mano sul materasso, invitando il detective a sedersi.
Sorprendentemente, Sherlock obbedì.
«Cosa
c'è che non va'?»
«Mi
sento... Strano.»
«Del
tipo?»
«Come
se... Avessi bisogno di qualcosa, ma...» si guardò
le mani tremanti
«non so cosa. Mi sento vuoto.»
«Credo
di sapere di cosa hai bisogno.»
Sherlock
inarcò un sopracciglio «Illuminami.»
John
non rispose e gli circondò il collo con le braccia. Stette
ben
attento a non incrociare il suo sguardo.
«Che
stai facendo?»
«Si
chiama "abbraccio", Sherlock.»
«E
perchè mi stai abbracciando?»
«Perchè
ne hai bisogno.» Gli tirò una leggera pacca sulla
nuca «E smettila
di essere così rigido, non ti sto puntando un coltello alla
schiena.»
Sherlock
rise poggiando la testa sulla sua spalla chiudendo gli occhi. Si
rilassò respirando l'odore caldo e familiare di John.
Improvvisamente si sentì stanco, ma la sensazione di vuoto
era
sparita.
«Come
lo sapevi?»
«Cosa?»
«Che
era di questo che avevo bisogno.»
«Ti
conosco.»
«Non
so se dovrei aver paura o no.»
John
rise e Sherlock si lasciò contagiare. L'ex-soldato sciolse
l'abbraccio con delicatezza, prendendo per le spalle il detective e
allontanandolo da sé. Teneva a malapena gli occhi aperti.
«Vuoi...
Che ti faccia spazio?»
Sherlock
annuì trattenendo un sbadiglio. John si spostò di
lato e il moro si
sdraiò, calciando via le scarpe. Non appena John lo
imitò,
Sherlock, con uno scatto felino, si piazzò con la testa sul
suo
petto e il braccio intorno alla vita. John gli passò una
mano tra i
ricci neri con un sorriso e chiuse nuovamente gli occhi.
La
mattina dopo il primo a svegliarsi fu Sherlock. In un primo momento
ebbe un attimo di panico non riconoscendo il soffitto della sua
camera né lo strano cuscino su cui stava poggiando la testa,
poi si
tranquillizzò mentre i ricordi della sera prima gli
tornavano alla
mente.
Diede
un'occhiata all'ora e sgranò gli occhi. Erano le due di
pomeriggio.
Era la prima volta in vita sua che dormiva così tanto.
Scosse la
testa, incredulo.
John.
C'era
sotto il suo zampino. Si voltò ad osservarlo: il suo volto
era
rilassato, il respiro profondo e regolare. Era rilassato e in pace.
Posò una mano sulla sua guancia, accarezzandola lievemente,
poi
percorse i lineamenti del volto con le dita, memorizzando ogni
millimetro che sfiorava.
Per
qualche attimo, tornò indietro con la memoria.
Ricordò quando era
piccolo, e gli altri bambini stavano lontani perchè lo
giudicavano
strano. Ricordò quanto faceva male, e ricordò
come imparò a
ignorare quel dolore. Era inutile continuare a stare in quello stato.
Aveva imparato a ignorare i sentimenti, di qualsiasi tipo, tuttavia
li aveva studiati attentamente: voleva capire come funzionavano, come
le persone agivano in preda ad essi. Erano una cosa buona o una cosa
cattiva? Certo, a volte lo facevano stare male, ma altre volte si era
sentito bene. Ma le prime erano molte di più delle seconde.
Così
l'unico che si sforzava di guardargli le spalle era suo fratello.
Tutto
questo fino a John.
Lui
aveva detto “fantastico!” mentre tutti gli altri
avevano detto
“vaffanculo”.
Lui
era quello che aveva ucciso un tassista il primo giorno che si erano
incontrati per potergli salvare la vita.
Lui
era quello che aveva dato un pugno al capo della polizia che l'aveva
offeso.
Lui
era quello che si era fatto ammanettare con lui e l'aveva aiutato a
scappare.
Lui
era l'unico che aveva continuato sempre e comunque a credere in
Sherlock Holmes, anche dopo la caduta. Anche dopo che aveva scoperto
che era ancora vivo.
Lui
era quello che sopportava i suoi esperimenti, che non faceva storie
se trovava degli occhi nel frigorifero.
Lui era quello che lo
metteva in riga, che gli diceva se era il momento o no di mettersi in
mostra, che lo rimproverava se era troppo rude.
Lui era il primo e
l'unico che lo aveva accettato veramente per quello che era.
Il
primo che aveva deciso di stare al suo fianco.
Il
primo che aveva riso con lui quando si era presentato solo con un
lenzuolo addosso a Buckingham Palace e aveva rubato un portacenere
per impressionarlo.
Il
primo che aveva detto “è tutto okay”
quando gli aveva detto di
essere sposato col suo lavoro.
Il
primo che aveva giocato a Cluedo con lui e che lo sopportava quando
sparava al muro per la mancanza di un caso.
Il
primo e l'unico che lo faceva ridere, ridere davvero, di gioia e di
felicità, non quella risata falsa e di cortesia che rifilava
a
tutti, Mycroft compreso.
L'unico
con cui Sherlock Holmes poteva essere se stesso, sentirsi accettato e
amato per quello che era, tutto
quello che era. Difetti compresi.
Aveva
sempre dato John per scontato, ma ora si stava rendendo conto che no,
John era tutto meno che quello, considerando com'era Sherlock.
E
gli fu grato. Ringraziò mentalmente John per quello che era:
fuori
di testa abbastanza da decidere di stare accanto a lui.
E
Sherlock Holmes sorrise.
E
Sherlock Holmes pianse.
Faceva
tutte due le cose senza neanche rendersene conto.
John
aprì gli occhi in quel momento e lo trovò in
quello stato. Subito
si allarmò, ma Sherlock lo rassicurò con una
risatina nervosa,
posando nuovamente la testa sul suo petto e stringendolo forte. John
ricambiò la stretta, confuso.
«Mi
dici cosa c'è?»
«Non
c'è niente che non va'.»
«Perchè
stai piangendo?»
«Non
sono triste.»
John
si irrigidì. Lo guardò alzando un sopracciglio
«Allora perchè
piangi?»
«Sono
felice, credo.»
«Credi?»
«Non
ho mai pianto di felicità, posso solo assumere che sia
così.»
«Okay,
ma perchè-»
«Ho
capito il motivo per cui sei qui.»
John
ebbe un attimo di panico «Ah.»
Sherlock
alzò la testa e sorrise. Aveva un luccichio abbagliante
negli occhi.
«Anche
io, John.»
Strabuzzò
gli occhi «Anche tu cosa?»
Ma
il detective rise e John sospirò frustrato.
«Sei
insopportabile quando fai il sibillino.»
«Nah,
non lo pensi veramente.»
«Come
ti pare» John sospirò e fece per alzarsi, ma
Sherlock glielo
impedì. «Be'? Che c'è
adesso?!»
«John,
anche
io.»
Sherlock
quasi vide la lampadina accendersi nel cervello del dottore.
«Oh.
Indendi-»
«Sì.»
John
stava andando in iperventilazione. Sembrava quasi spaventato.
Sherlock continuò a sorridere.
«Mi
stai facendo paura.»
«Non
era esattamente la reazione che mi aspettavo.»
«Questo
non sei tu, Sherlock. Tu non dici queste cose.»
«Ed
è questo il punto. Non sono più quello sposato
col lavoro. Non
capisci?»
«No,
credo di no.»
«Oh,
per l'amor del cielo» Sherlock roteò gli occhi,
poi prese il volto
di John tra le mani e premette le labbra sulle sue. Si
staccò poco
dopo, per osservare la reazione di John. Sembrava che gli avessero
dato una botta in testa.
«Non
so fare più di così, quindi dovrai venirmi
inc-»
John
si riprese tutto di un colpo cercando ancora le labbra del detective,
portando le mani in mezzo a quei ricci ribelli e stringendoli forte
tra le dita mentre baciava Sherlock più intensamente.
Sherlock
Holmes lo stava baciando.
Lui
stava baciando Sherlock Holmes.
Oh.
Dio. Santo.
Stava
sognando. Era impossibile che stesse accadendo davvero, doveva per
forza stare sognando.
Un
bel sogno, però.
Molto...
realistico. Le labbra che si muovevano contro le sue erano persino
più soffici di quanto si fosse mai immaginato, come anche i
suoi
capelli. Ma la sensazione di felicità che esplose come un
fuoco
d'artificio nel suo petto non avrebbe mai potuto prevederla.
«John?
Sherlock? Dove-oh, cazzo»
Si
accorsero della voce di Lestrade troppo tardi. John cercò di
staccarsi, ma Sherlock era entrato in modalità polpo e non
ne voleva
sapere di staccarsi. Lanciò a Lestrade un'occhiata di scuse.
«Uhm,
scusate, non volevo interrompervi, volevo solo vedere come stava
John... credo, sì, credo sia meglio che io vada.»
Ma
Greg sorrideva. Entro cinque minuti tutta Scotland Yard avrebbe
saputo di loro, ma non sembrava che la cosa disturbasse né
Sherlock
né John.
«Sì»
concordò il detective.
«Sherlock!»
lo rimproverò il biondo.
«Che
c'è? Sto dicendo la verità!»
Lestrade
ridacchiò «Lascia stare, John, sto
andando.»
Si
voltò verso la porta, ma esitò. Tornò
indietro con un sorrisetto
che a John non piacque per niente, poi tirò fuori il
cellulare e
scattò una foto.
«Scusate,
ma non mi crederanno mai senza questa.»
«Quella
prova solo che abbiamo dormito insieme, non che abbiamo
fatto-»
«Ci
siamo solo baciati!» protestò John.
«Appunto»
concordò Sherlock «Non è che tu mi
abbia trovato a gambe aperte
con John-»
«Ha
afferrato il concetto, Sherlock.»
«Perchè
fai così?» fece una piccola pausa, poi
firmò la loro condanna a
morte. «Oh, ho capito. Preferisci stare sotto? Non l'avrei
mai
detto.»
John
non osò guardare la faccia di Greg.
Ed
ecco come il suo sogno diventò un incubo.
O
quasi.
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