La
prima parola che Louis Tomlinson ha detto è stata
“papà”.
Da
quel momento tutta la sua vita ha iniziato a girare intorno a suo padre.
Ha
imparato proprio per lui ad andare in bicicletta da solo anche dopo
essere caduto diverse volte, per non ottenere altro che una pacca sulla
spalla e un “Bene, era ora.”
E’
per lui che a scuola ottiene i voti migliori per sentirsi dire
“Beh, è il tuo dovere”.
E’
per lui che a quindici anni porta a casa una ragazza, Hannah, carina
tutto sommato, perché “E quando me la porti una
ragazzetta?” anche se non ci trova niente di speciale nelle
forme delicate e nei lunghi capelli biondi mentre pensa ai muscoli dei
suoi compagni.
Non
è durata molto, giusto il tempo di un’estate per
poi incolpare le scuole diverse e gli orari che non
s’incontrano.
Tutto
ciò che Louis Tomlinson ha fatto nella sua vita
l’ha fatto per guadagnarsi la stima e l’affetto di
suo padre che non perde occasione per ricordargli di non essere mai
abbastanza.
“Eeeh
io alla tua età avevo già un lavoro”
oppure “Eehh io mi sono laureato con il massimo dei
voti” dice comodo nella sua poltrona leggendo il giornale.
Si
chiede se diventerà mai come lui, se sarà quello
che ha sempre odiato.
Louis
Tomlinson giura che suo figlio non dovrà mai domandarsi se
sarà amato o se sarà abbastanza.
Perché suo figlio andrà benissimo così
come sarà.
Louis
s’iscrive a legge per diventare un buon avvocato come vuole
la tradizione di famiglia. Avendo quattro figlie femmine si aspettano
molto da lui.
Louis
desidererebbe non avere la vita “confezionata”, non
dover essere sempre all’altezza delle aspettative degli altri
e di poter sbagliare qualche volta perché diamine, anche lui
è umano.
Non
sia mai che il figlio di un importante avvocato diventi un pittore o
qualsiasi altra cosa lui voglia, non è quello che si aspetta
la gente da uno come lui.
Lui
in fondo com’è? E’ un groviglio
d’insicurezze, idee confuse, moti di ribellione al suo
interno. Louis è voglia di vivere. Correre libero sul prato
senza la paura di macchiare i pantaloni nuovi o fare brutta figura.
Louis è un bambino cresciuto troppo in fretta,
c’è una vocina dentro di lui che vorrebbe sempre
osare tentare, vivere. E non vorrebbe crescere, ovviamente. Scusatelo
se più diventa grande e più sente le
responsabilità sulle sue spalle, se vorrebbe ancora giocare
in giardino ai pirati con Stan, o se vorrebbe diventare un calciatore
invece che un prestigioso avvocato e passare la vita in ufficio, un
posto troppo stretto per lui.
Tutto
quello che chiede è la libertà. Vorrebbe
svegliarsi la mattina e poter stare a letto tutto il giorno oppure
andare al parco per giocare con i bambini, lui ama i bambini,
c’è qualcosa che lo colpisce nel loro modo di
fare.Sono così ingenui, veri, non indossano maschere. Al suo
contrario che deve fingersi felice di una vita che non è
come vuole.
Così
Louis è semplicemente stanco, vorrebbe essere finalmente se
stesso e sentirsi libero, ma non può. Magari un giorno, si
ripete, magari.
Sta
uscendo da casa che gli ha regalato suo padre, mentre tutto quello che
vorrebbe è solo un po’ di affetto.
Cammina
distratto, stanco per la notte passata a studiare e con i capelli che
proprio non volevano stare al loro posto, i libri nella borsa a
tracollo e la testa da tutt’altra parte.
Percorre
la solita strada tutti i giorni, incontra Wendy, si proprio come la
Wendy di Peter Pan che fa jogging e le sorride. E’ una
ragazza carina, è sicuro che gli piacerebbe.
Va
quasi a sbattere contro una signora, ma dove ha la testa in questi
giorni?
Strizza
gli occhi, si passa una mano sul volto e riprende a camminare con passo
spedito.
Alla
metro c’è il solito trambusto di sempre, ragazzini
che piangono per mano alle loro madri, Dio solo sa quanto Louis li
invidi, uomini con la ventiquattrore in mano e l’auricolare
nelle orecchie, Louis s’immagina così tra
vent’anni.
Capelli
brizzolati, poco tempo per la famiglia, sempre occupato dal lavoro.
Anche
se non sarebbe mai questo ciò che vuole.
Cammina,
si mischia tra la gente, prova a confondersi quando gira
l’angolo e deve chiudere e riaprire gli occhi per crederci.
Dai
non è possibile, proprio davanti a lui
c’è un ragazzo con una chitarra in mano.
Un
gruppo di persone che suonano e cantano con lui, sembra la scena di un
film.
Il
ragazzo è alto, robusto, le spalle larghe e i fianchi
stretti, tatuaggi sulle braccia, e gambe che sembrano voler continuare
all’infinito. Una canottiera bianca aderente sotto una
camicia a quadri rossa, un cappello di panama color panna in testa e
dei jeans talmente stretti che sembrano una seconda pelle. Ricci
ribelli escono dal cappello e un paio di occhi verdi scrutano il mondo.
Louis
sente cadere i pezzi dentro di se, quello non è
nient’altro che un ragazzino con una chitarra in mano e lui
si sente letto dentro. Forse perché il ragazzo non smette di
fissarlo, forse perché lo guarda per la prima volta e lo
vede e gli piace così com’è senza farsi
troppi problemi.
È
costretto a fare un lungo respiro, aggiustarsi i pantaloni e scuotere
la testa.
Ha
smesso di respirare e nemmeno se ne era accorto.
Com’è possibile?
Quando
si accorge di essersi bloccato in mezzo a tutte le persone in quel
ritmo frenetico, con gli occhi del ragazzo ancora puntati addosso, si
sente improvvisamente ridicolo. Lui, ventidue anni, che studia legge e
che ha la vita preparata si sente spaesato perché un paio di
occhi verdi misti al colore del cielo lo sta guardando.
“Cos’hai
da guardare?” viene spontaneo chiedergli, dopotutto lo sta
fissando. Anche se l’altro potrebbe dire la stessa cosa.
“Esci
con me?” risponde invece. Una voce bassa, roca, non
è certo questo che si aspettava da un ragazzino troppo
cresciuto che non ha nemmeno un accenno di barba.
È
costretto di nuovo ad aggiustarsi i pantaloni. Deve darsi un contegno.
E
poi cosa dovrebbe rispondere ora? Dopo che uno sconosciuto gli ha
chiesto di uscire? Ovviamente di no. Come potrebbe fidarsi? Non sa
nemmeno il suo nome, suona per strada con un gruppo di amici ancora
più strani di lui che sembrano usciti da un fumetto e poi
non ha tempo per queste cose. Quando mai ha avuto tempo per se stesso?
“No,
certo che no” risponde come se fosse la cosa più
ovvia del mondo.
Il
ragazzo continua a fissarlo, si sente leggere dentro, occhi come quelli
dovrebbero essere illegali.
“Passi
qui tutti i giorni?” chiede allora senza smettere di
guardarlo nemmeno un attimo.
“Sì,
perché cosa vuoi? Sei uno stalker per caso?”
decide di usare il sarcasmo questa volta, dopotutto lo fa sempre per
difendersi.
“Ti
chiederò di uscire tutti i giorni allora fino a quando non
mi dirai di si”.
Risponde
con naturalezza, la voce ancora più bassa. Sembra che i
passanti non sia si accorgano nemmeno dell’incontro o meglio
scontro di queste due anime, il mondo continua a continuare.
“Comunque
io sono Harry” sorride e quelle sono fossette?
Louis
è sul punto di gongolare in piedi e deve resistere alla
tentazione di allungare un braccio e toccarle.
“Ciao
Harry” riprende a camminare, senza voltarsi indietro mentre
tutto ciò che vede è verde.
I
pranzi da suo padre sono sempre stati uguali gli uni agli altri.
Lucy
la cameriera gli rivolge uno dei migliori sorrisi, l’ha
cresciuto lei tra il padre troppo preso dal lavoro e la madre
a giocare a carte con le amiche.
Louis
pensa sia una delle persone che lo conosce meglio. Sa che dietro quella
maschera si cela un mondo d’insicurezze e paure.
Lui
è abituato non ricorda nemmeno da quando, sorride e tira
avanti.
“Polpettone
caro?” gli chiede sua madre che non è cambiata
affatto da quando se n’è andato di casa, deve
ammettere. Beh dopotutto quei pacchetti al centro benessere devono pur
servire a qualcosa, no?
“Si
grazie mamma” risponde sorridendole.
È
stato costretto a indossare una delle sue camicie migliori quando
questo era il suo giorno libero che avrebbe potuto usare per vedere
Zayn o per poltrire sul divano tutto il giorno, invece che stare
lì a fingersi felice.
Zayn
è un tipo particolare, un ammasso di tatuaggi che gli
permettono di esprimere se stesso, pelle ambrata e lunghe ciglia su
degli occhi color cioccolato. A primo impatto potrebbe sembrar
presuntuoso, diffidente. Invece è riservato e non riesce a
fidarsi subito delle persone, ma se abbatte questo muro è
una di quelli con cui si sta proprio agio in silenzio, e sono veramente
pochi. Zayn conosce e accetta Louis per com’è,
è proprio lui a incoraggiarlo a non cambiare,
perché a esser se stessi non c’è niente
di male.
Louis
gli sarà sempre grato per questo.
“Allora?
Come vanno gli esami?” chiede suo padre dall’alto
dei suoi occhiali, servendosi del suo vino migliore importato dalla
Francia. Suo padre e la sua mania per i vini, i francobolli e le
monete. Ha sempre avuto più passione per le cose che per le
persone.
Conti,
cause e pratiche. Di questo si è occupato tutta la vita e
non se n’è mai reso conto.
E
come vanno gli esami? Louis dovrebbe parlargli del corso, degli
studenti così diversi da lui, di come si sente fuori posto
tra quelle persone che gli ricordano tanto suo padre. Precisi,
organizzati, fiscali, “Il venticinque un aperitivo con Thomas
per festeggiare la sua laurea”. “Tesoro, attenta
alla mia camicetta, è di Armani”.
Come
potrebbe trovarsi bene quando si sente nella tela di un ragno?
E
poi dovrebbe parlargli delle ore spese a studiare materie che non lo
appassionano, non lo coinvolgono e che soprattutto non lo rappresentano.
Louis
è colore, vivo, è voglia di vivere, Louis ha
grandi sogni in cassetti troppo stretti.
Non
potrebbe dirgli tutto questo, no?
Si
limita ad annuire e sorridere “Alla grande papà,
all’ultimo ho preso trenta”.
“Bene
figliolo, ho sempre saputo che questo era quello che faceva per
te”.
Ne
è così convinto che sarebbe un peccato dirgli di
no, pensa Louis.
Louis
è stanco dopo un’altra nottata passata a studiare,
le occhiaie e la borsa a tracolla mentre cammina tra la gente verso la
metro.
Si
ricorda di quel ragazzo e di quel suo gruppo di amici particolari che
cantavano e suonavano con lui. Beh in realtà non ha smesso
di pensarci un attimo da quando l’ha visto.
A
lezione, mentre tornava a casa, mentre guidava verso casa dei suoi,
sotto la doccia e mentre ansimava il suo nome ma ovviamente questo non
lo sa nessuno.
Che
colpa ne ha lui se due occhi l’hanno fatto sentire vivo? Se
l’hanno visto per com’è e non per come
deve sembrare? Se una voce bassa e roca gli ha causato brividi sulla
schiena e un fastidio nei jeans? Che colpa ne ha lui? Nessuna, continua
a ripetersi, mentre spera di rivederlo.
E
come un dejavù eccolo lì, sempre nello stesso
posto con una camicia a righe verticali azzurre, un cappello di panama
color panna come l’ultima volta, jeans chiari (che Louis si
ostina a considerare come una seconda pelle) e una chitarra in mano
mentre canta una canzone di qualche band sconosciuta al resto del mondo.
Louis
resta incantato a guardarlo. Nota che ha delle mani enormi.
Chissà come sarebbe stringerle, lasciarsi abbracciare e
toccare.
Ha
sempre amato le mani grandi, gli danno un senso di protezione, di casa,
di sicurezza. Forse è quello che cerca nella vita?
Harry
finisce la canzone, borbotta qualcosa e alza lo sguardo e finalmente lo
vede.
“Ciao”
una luce gli accende gli occhi, rendendoli ancora più verdi,
e compaiono le fossette. Louis si sente mancare la terra sotto i piedi.
“Hm,
ciao, sei ancora qui?” risponde mordendosi la lingua subito
dopo. Che domanda sciocca? È logico che sia ancora qui se
è di fronte a lui. Vorrebbe sotterrarsi.
“A
quanto pare” risponde, infatti. “Esci con
me?”
Louis
sta per strozzarsi con la sua stessa saliva. Uscirebbe con lui? Certo
che lo farebbe, ogni cellula del suo corpo lo farebbe
all’istante, ma ancora una volta “Certo che no,
Harry” si limita a dire.
“Non
so ancora come ti chiami ma mi dai l’idea di essere un bravo
ragazzo, oltre che bello”. Aspettate un momento, gli ha detto
che è bello? Non può essere.
E
improvvisamente non sente più niente, il rumore della metro,
il vociare delle persone, lo squillo dei telefonini, più
niente. Perché Harry gli
ha detto che è bello.
“E
così chiedi a ogni ragazzo bello di uscire con
te?” aggiunge di nuovo del sarcasmo, è
più forte di lui, non potrebbe semplicemente abbassare le
difese.
“No,
solamente quelli che mi guardano come hai fatto tu e finora sei stato
l’unico”.
Risponde
senza alcun tipo d’incertezza nella voce, senza togliere lo
sguardo dal suo, il verde che lo legge dentro.
“E
come ti ho guardato io?” chiede Louis con la voce
più alta di un’ottava.
“Come
se io fossi solo Harry non uno che suona in metro chiedendo
l’elemosina”.
La
sua schiettezza è disarmante, Louis si sente così
piccolo d’un tratto.
Lui
che studia legge, figlio di un importante avvocato, con la vita
pianificata si ritrova a essere spiazzato da un ragazzo che suona per
strada. Non gli sembra vero e non gli è mai sembrato.
Così dice “Sì, esco con te”
mentre un paio di occhi verdi gli sorride.
Sono
al Babylon, solito locale dove vanno a prendersi una birra, per parlare
e scherzare, dove va Louis dopo le lezioni e Zayn dopo che stacca dal
lavoro al negozio di fumetti. Ha sempre amato disegnare fin da piccolo.
È parte di sé, spiega a chiunque.
Gli
viene naturale come respirare, non ricorda nemmeno quando ha iniziato,
è come se fosse stato così da sempre. E appena ha
potuto con i risparmi di una vita e l’aiuto dei suoi ha
comprato questo negozio, che giura è tutto ciò
che ha sempre voluto.
Beato
lui, pensa Louis, che ha potuto inseguire i suoi sogni.
“Cosa,
ma sei matto?” lo guarda incredulo Zayn, “Non dirai
sul serio”.
Che
cosa dovrebbe rispondergli? Sì, sono matto perché
due occhi troppo verdi per essere veri mi hanno chiesto di vederci?
Perché mi sono sentito vivo per la prima volta dopo
tantissimo tempo? Perché mi è sembrata la cosa
più scioccia della mia vita ma la più giusta da
fare? Così si limita a rispondere “Zayn,
è solo un’uscita. E poi è un ragazzino,
avrà si e no diciannove anni, che potrebbe farmi?”
Zayn
se possibile ha una faccia ancora più sconvolta
“Va bene, va bene, ma se ti succederà qualcosa non
contare su di me, te l’avevo detto.”
Ma
Louis sa che anche se si rompesse solamente un’unghia Zayn
sarebbe subito da lui ad aiutarlo, perché sotto quella
maschera c’è qualcuno che farebbe qualsiasi cosa
per le persone che ama, così sorride “Grazie
Zaynie”.
Sono
le sei del pomeriggio e Louis Tomlinson si passa una mano tra i
capelli, l’ansia lo sta divorando. E se non venisse? Ha
passato le ultime due ore a lavarsi, telefonare a Zayn per sentirsi
dire che “Andrà tutto bene” parole sue,
a trovare qualcosa di carino da mettersi ma non troppo appariscente,
come se lo facesse apposta per farsi notare.
Così
ha scelto una maglia nera scollata ma non troppo, dei jeans e le solite
scarpe, i capelli spettinati col gel e ha deciso di darsi una calmata.
Ora è seduto sul divano del suo appartamento passandosi una
mano dietro il collo e una sulla faccia. Sembra una ragazzina al primo
appuntamento. Ma cosa gli prende? Si alza, cammina per il salone tra
quei mobili firmati che ha acquistato suo padre, che non sente nemmeno
suoi, anzi nemmeno la casa gli sembra sua ma ora non può
permettersi di pensarci. Non ora che Harry... un momento, Harry come?
Vabbè non importa, sta per venire a prenderlo per uscire.
Cioè
ci rendiamo conto? Qualcuno è interessato a lui, Louis,
quando nemmeno lui stesso si concede un po’ di amor proprio.
Sente
il campanello, o se lo sarà immaginato? No,
dev’essere lui per forza.
Scatta
in piedi dal divano, sente la gola asciutta ma non importa e con le
gambe che tremano, arriva al citofono, si schiarisce la voce e
“Si?”
“Lou,
sono io, aspettavi qualcun altro?” la voce roca gli causa i
soliti brividi sulla schiena e fermi tutti, l’ha veramente
chiamato “Lou”? Le mani gli tremano e diamine, deve
darsi un contegno.
“No
certo che no, scendo subito” si stupisce di se stesso, non
è mai stato così deciso in vita sua. Fa un
respiro profondo, prende portafogli, cellulare apre la porta di casa.
Fa
le scale di corsa, senza accorgersene trattiene il respiro e arriva
davanti al portone. Sospira e ormai è tardi per ripensarci,
così esce dal palazzo.
Ad
aspettarlo c’è un ammasso di capelli ricci, degli
occhi verdi misti al grigio, gambe strette in jeans neri che sembrano
voler continuare all’infinito e una maglia bianca scollata,
che lascia intravedere dei tatuaggi sul petto, sembrano delle rondini,
ma non ne è sicuro.
“Beh,
ciao, andiamo?” Louis non sa esattamente dove, anzi non lo sa
affatto ma con quegli occhi verdi andrebbe ovunque.
Camminano
in una strada affollata, vicini al punto che Louis può
sentire il braccio sinistro andare a fuoco, in una zona di Londra in
cui non è mai stato, sentendosi vivo per
la prima volta non ricordandosi nemmeno da quando.
Non
sa dove guardare, ovunque c’è qualche dettaglio
che cattura la sua attenzione.
Chi
ha i capelli fuxia, chi delle borchie sul giubbetto, chi un dilatatore
all’orecchio grande quanto un mandarino. Sono a Candem Town
nel nord di Londra.
Bancarelle
con oggetti particolari, personaggi di ogni tipo, ma tutti liberi.
In
tutta quella confusione, in quella massa di colore, dagli edifici blu a
quelli rossi gli uni attaccati agli altri, ai fili sopra le loro teste
su cui sono appesi degli striscioni insieme a panni al sole, insieme a
tutta quella gente, in quella strada che sembra essere in festa, Louis
si sente vivo. Senza maschere, obblighi o regole da rispettare, senza
doversi preoccupare di dover fare bella figura davanti agli altri
potendo semplicemente essere Louis e basta, ragazzo ventiduenne
innamorato della vita che troppe volte gli è stata negata.
Sente scorrere il sangue nelle vene, sente di essere nel posto giusto.
Come quando si sente un cd e si capisce che è proprio quello
che stavi cercando. Non si sente sbagliato, nessun senso
d’inadeguatezza o imbarazzo. Ogni cellula del suo corpo
percepisce di sentirsi bene, finalmente. Louis si sente
giusto di essere così com’è,
lì dov’è. Ed è giusto che
sia così, in una via troppo colorata e che non conosce
affatto, se lo fa sentire vivo e giusto.
E
Harry? Harry sembra adeguarsi completamente all’ambiente,
parte integrante della vita stessa. Tra tutte quelle forme, colori,
odori sembra adattarsi perfettamente, come la tessera mancante di un
puzzle, sembra cucita sulla sua pelle quell’atmosfera.
La
strada è piena zeppa di turisti, passanti curiosi e di chi
la conosce come le proprie tasche. Forse è proprio quella
diversità a farla così compatta, a renderla unita.
Alle
pareti colorate dei palazzi sono appesi dei cartelloni enormi e la cosa
bella è che non sembrano stonare, non potrebbero starci
meglio.
C’è
il mercato con i suoi passanti, acquirenti, curiosi e commercianti che
cercano in tutti i modi di venderti l’affare del secolo.
Alcune
pareti dei palazzi sono dipinte da murales che in qualsiasi altro posto
sarebbe inadatti mentre qui sembrano brillare sotto quel sole
primaverile.
Macchine
d’epoca, dipinte, bus colorati, sembra carnevale. Si respira
vita.
Lì
non sembra nemmeno di essere a Londra, nella sua grigia e fredda Londra
che non lo conosce affatto. E in un momento Louis realizza di non aver
mai vissuto fin’ora, o non così
almeno.
“Sai”
dice Harry avvicinandosi di più a Louis che ormai cammina
tre metri da terra “Qui ci vengo sempre quando voglio
mescolarmi tra la gente, quando voglio essere Harry e non quello che
suona in metro per qualche spicciolo e che tutti guardano come se
facessi pena. Tutti tranne te” tende a specificare
“Ed è qui che ho conosciuto i miei amici. Gente un
po’ strana a prima vista ma sono bravi ragazzi e sono la mia
famiglia qui a Londra, capisci che intendo?” Louis
può vagamente capire dato che non si è mai
sentito vagamente a “casa” o “in
famiglia” in vita sua. A parte quando è con Zayn
con cui si sente protetto e se stesso. Zayn è una sorta di
fratello maggiore per lui, sa ascoltare e sa mantenere un segreto e sa
prendersi cura degli altri. Dopotutto è questo
ciò che fanno le famiglie, no? Quindi si, Louis
può capire ciò che intende Harry.
Annuisce
e il ragazzo continua “Nick, quello che parla sempre e che
l’altra volta aveva i capelli tinti di rosa - meglio che non
ti dica perché, fidati- è il mio migliore amico.
Potevi scegliertelo meglio il tuo migliore amico starai pensando no?
Ecco, non me lo sono scelto, mi è capitato. Camminavo per
strada e come uno dei peggiori cliché mi è venuto
addosso - no, non in quel senso, che hai
capito- vabbè insomma abbiamo iniziato a parlare e a vederci
sempre quando io capitavo qui, lui ha casa da queste parti e mi ha
fatto conoscere le sue migliori amiche che ora sono le nostre migliori
amiche, quelle che facevano da coriste per così dire. E
questo è quanto, non ho molto da dire, non ho una vita pienacome
la tua immagino, Lou”.
Louis
ha la vita piena di cosa? Di regole, di date di scadenza, di esami da
affrontare, di pranzi imbarazzanti con la sua famiglia che non lo
conosce affatto?
Louis
sente di avere una vita vuota, priva di tutta quella forza, di quel
colore, di quella scintilla che t’invoglia ad alzarti al
mattino. La sua non è altro che una routine, una stupida
routine dalla quale non riesce a uscire fuori.
“Piena
di cosa Harry esattamente? D’insicurezze? Di obblighi? Di
regole e di qualcosa o qualcuno da rispettare? Di gente vuota che non
sa parlare d’altro che di Prada, o dell’ultima
collezione di Armani? Di chi mi dice cosa devo fare, come la devo fare,
o quando la devo fare? Piena di tutto questo?” sbotta Louis,
si sente più leggero, perché un conto
è pensarle queste cose e un conto è dirle ad alta
voce.
E
sente anche di aver rovinato tutto. Stava andando troppo bene
perché non succedesse qualcosa, perché Louis
è destinato a sbagliare, glielo dice sempre suo padre
d’altronde. “S-scusa Harry, io
davvero non so perché ho detto questo, davvero non volevo.
Non ti biasimerei se ora ti girassi all’altra parte e te ne
andassi.”. Prova a scusarsi a occhi bassi Louis.
“Cinque”
lo guarda Harry “Cinque cosa?” forse non
è il solo a essere matto, si ritrova a pensare
“Cinque posti per riempirti la vita dove farti essere quello
che sei e basta”.
Louis
non crede ai suoi occhi. Di fronte a sé
c’è un ragazzo bellissimo, che ha appena trattato
male, ha appena rovinato il loro appuntamento che lo vuole rivedere per
altre cinque volte per farlo essere quello che è e basta.
“I-io
devo andare” sussurra Louis con il cuore che sembra
esplodergli perché nessuno l’ha mai fatto sentire
così voluto, con gli occhi sulle sue scarpe che
improvvisamente sono diventate la cosa più interessante che
ci sia e una mano sul collo.
“Okay,
Lou” Harry è così deciso, vivo,
è tutto quello che Louis non è.
E
questo gli fa anche un po’ paura perché potrebbe
abbattere i suoi muri e i suoi schemi. Fa per andarsene quando si sente
chiamare “Ah, Lou” ecco ci avrà
ripensato, non vorrà più vederlo, come biasimarlo
oltretutto.
Louis
si gira già pronto a una batosta, Harry lo raggiunge e in
tutto quel caos, quei colori, quei suoni, lo bacia. Lo sta baciando in
mezzo alla gente e a Louis sembra di volare, di cadere da un burrone,
di essere bagnato da un secchio d’acqua gelida in estate. Lo
sta baciando e wow, perché uno come Harry che si ferma, ed
è come se tutto il mondo si fosse fermato, a baciare lui.
Harry vuole di più come se non fossero abbastanza vicini,
come se non fossero a contatto dalla vita in su e ogni
cellula di Louis volesse esplodere. Se non fosse il momento
più inopportuno del mondo Louis smetterebbe di baciarlo e
gli chiederebbe di amarlo perché non ne ha mai avuto
così tanto bisogno prima
d’ora.
“Cosa?
Come ti è venuto in mente di uscirtene in quel modo al primo
appuntamento? E lui ti ha baciato? Sta messo peggio di te a quanto
vedo! Bene, almeno vi siete trovati.” Zayn non sta un attimo
zitto da quando ha saputo le vicende del primo appuntamento del suo
migliore amico Louis Tomlinson e per poco non si strozzava quando ha
saputo che Harry Styles, si ecco è questo il suo cognome,
l’ha baciato nel bel mezzo di una strada affollata, dopo che
Louis ha praticamente mandato all’aria tutto. “E
ora vuole uscire con te per altre cinque volte? Per farti sentire
“vivo”?” chiede l’amico
guardandolo e Louis non può che annuire con una luce negli
occhi.
“Beh,
allora Louis tienitelo stretto se ti fa brillare gli occhi in questo
modo”.
Sono
davanti ad una cabina rossa come tutte le altre. Louis non capisce
perché Harry abbia deciso di portarlo proprio a questa cabina.
Ci sono arrivati dopo le mille scuse del ragazzo per essere sparito ma
in metro stavano facendo controlli ed era meglio cambiare fermata. Con
grande sollievo di Louis quindi non è scomparso di sua
spontanea volontà. Comunque sia ora sono sotto il sole,
Harry in pantaloncini perché - Louis non puoi capire che
caldo che ho- e Louis con occhiali da sole e una maglia a maniche
corte, davanti a una cabina rossa come tutte le altre nella Royal
Academy, senza sapere perché.
“Allora
Louis vuoi sapere perché ti ho portato qui?”
Chiede
Harry come se fosse una cosa normalissima starsene lì
così.
“Beh,
direi proprio di sì poiché non devo telefonare a
nessuno e mi hai trascinato qui senza farmi sapere nulla.” Si
trattiene dallo sbuffare, guardandolo.
“Bene,
questa è la cabina rossa più antica di
Londra.” Louis lo guarda scettico, continua a non capire.
Che cosa può farsene di una cabina telefonica se
non deve telefonare a nessuno? È da matti. Ma Harry
è come un sole, ha un’energia tutta sua, qualcosa
che si differenzia da tutto, forse è in quegli occhi verdi
che scrutano il mondo, forse in quel cappello di panama che sembra far
parte di lui, forse è lui e basta. Lui ad avere una luce
diversa. È tutto quello che Louis ha sempre cercato, un
qualcosa che rompesse tutte le regole e gli schemi della sua vita, che
gli facesse vivere momento per momento, che lo facesse sentire libero.
E con lui la libertà si può toccare con le mani
perché nessuno l’ha mai guardato in quel modo,
nessuno ha mai prestato attenzione a ciò che aveva da dire e
ciò chevoleva dire,
non ciò che doveva dire.
Nessuno l’ha mai visto così
com’è, nessuno ha mai visto la sua voglia di
vivere perché troppo intenti a spegnerla.
Con
Harry sembra di respirare di nuovo dopo anni, di iniziare solo adesso a
godersi la vita e le cose belle e sentire di meritarsele.
“Sai,
Louis, se si venisse a sapere che abbiamo solo cinque minuti di vita le
cabine telefoniche di tutto il mondo sarebbero intasate di persone che
vogliono dire agli altri ciò che pensano. Se li amano, li
odiano, li perdonano, se gli mancano. Perché se si rischia
di perdere si gioca fino all’ultimo.”
Harry
si volta a guardarlo, trovandosi davanti due occhi che hanno rubato al
cielo un po’ della sua vernice e un’espressione
stupita sul volto. Ora Louis ha capito perché l’ha
portato lì. Se non si rischia non si saprà mai,
se non si prova non si riesce a prescindere, se le cose non le cambiamo
non si cambiano da sole. È come se fosse una sorta di angelo
custode, si ritrova a pensare. Non è possibile che un
ragazzo così pieno di vita, così pieno di cose da
dare e da dire sia capitato a Louis che sembrava stesse per scomparire.
“E
tu cosa diresti, Lou?” e lo chiede con una tale
sincerità e schiettezza che sente crollare i muri dentro di
sé, le barriere crollano come un castello di carta.
“Direi
che per tutta la vita ho vissuto in un castello di vetro, con chi ti
dice cosa devi fare, quando la devi fare e come la devi fare.
Fregandosene di ciò che pensi, ciò che provi e
ciò che sei. E non sono quello che pensano che io
sia o quello che vogliono che io sia.”. Harry non smette di
guardarlo ed è forse orgoglio quello che legge nei suoi
occhi? “Ma ora ho capito che non sono cosi, non è
questa la mia vita, quello che voglio per me. E se ad avermelo fatto
capire e sentire è un ragazzo che suona una chitarra che ha
gli occhi più verdi dei prati dell’Irlanda e che
è qualcosa di diverso da tutto ciò che ho mai
visto, ben venga. Ecco, questo direi se telefonassi adesso.”
Harry
non dice nulla e lo bacia.
Dopo
tre giorni in cui Louis non ha fatto altro che pensare a Harry, alla
sensazione di essergli accanto e alle sue labbra perché
diciamocelo Louis già ama le labbra di Harry così
piene e morbide, ci ha già fantasticato troppo
l’altra mattina quando si è svegliato con un
particolare fastidio, riceve un messaggio, le mani iniziano a tremare,
pensa “Regolati hai ventidue anni, mica dodici”,
apre il messaggio e trova scritto “Ti passo a
prendere alle tre xx”. Quindi non ha mollato, quindi fa sul
serio e vuole rivederlo, ancora una volta e Louis non riesce ancora a
crederci. Si passa una mano tra i capelli, si strofina gli occhi senza
riuscire a contenere un sorriso, senza nemmeno provarci veramente.
Alle
tre, come previsto, suona il campanello e a momenti Louis non si
strozza con la sua stessa saliva. Prende il cellulare, portafoglio e
scende.
Ad
aspettarlo c’è Harry con il solito cappello di
panama (Louis inizia a credere che gli si sia incollato ai capelli) e
una camicia viola larga sul petto infinito e con gli ultimi tre bottoni
sbottonati, emerge il tatuaggio che ha già visto e a questo
punto non può fare a meno di chiedere “Sono
uccelli quelli sul petto?” Harry si volta a guardarlo e si
rende conto di non averlo nemmeno salutato. “Innanzitutto,
vieni qui” avvicinandolo fino a quando non sono abbastanza
vicini da potersi guardare occhi negli occhi “Si sono
uccelli. Vuoi sapere cosa significano?” continua senza
nemmeno dare a Louis il tempo di rispondere “Sai cosa fanno
gli uccelli? Volano, migrano verso posti più caldi e poi
tornano dove sono partiti. E’ questo che significa, cerchiamo
tutti di allontanarci da quello che siamo, da dove veniamo, dalle
nostre origini. Ma mentiamo a noi stessi. Non possiamo scappare da
ciò che siamo.” E lo spiega così
tranquillamente, come se avesse appena detto qual è il suo
colore preferito che Louis non riesce a trovare nulla da dire, qualcosa
di sufficientemente interessante da rispondergli. Così si
limita ad annuire, con un bagaglio di domande in testa.
Sono
a Kensington Gardens, hanno camminato per qualche ora e ovviamente
Harry non ha detto nulla a Louis del perché sono
lì.
Tutto
a un tratto si trovano davanti a una statua contornata da un recinto.
Louis
ci prova, ma proprio non ci riesce. Non capisce il senso,
perché Harry lo ha fatto camminare per ore in un enorme
parco, solo per fargli vedere una statua che sembra anonima ma che ha
qualcosa di familiare. Si passa una mano sul viso, l’altra
è decisamente troppo vicina
a quella di Harry ma nessuno dei due se ne preoccupa, anzi.
Quindi
aggrotta le sopracciglia e guarda Harry come per chiedere spiegazioni,
neanche fosse un arcano segreto. “Peter Pan” dice
il ragazzo come se fosse la cosa più ovvia e scontata del
mondo. Peter Pan, ma certo come ha fatto a non pensarci?
Harry
ha portato Louis a visitare la statua di Peter Pan, ora non resta che
scoprire il motivo. Così Louis, con le idee un po’
più chiare, torna a guardare quegli occhi verdi dove legge
solo sicurezza, “Ora ti starai chiedendo il perché
immagino. Ecco hai presente la storia di Peter Pan no? Dai su, chi non
la conosce. Ecco, beh..” spiega senza sosta il riccio, sembra
quasi si diverta “Tutti vorremmo essere lui o no? Non
crescere, non avere responsabilità, non dover scegliere chi
siamo e cosa vogliamo dalla vita. E’ tutto più
semplice. E chiunque preferisce le cose semplici a quelle complicate.
Ma
la vita non è così. Non è mai facile e
non è mai giusta. Ci mette davanti a delle
responsabilità, a delle scelte. Perché sono le
scelte a decretare chi siamo, non le nostre origini. Tocca a noi e
solamente a noi decidere chi siamo e cosa vogliamo dalla vita. Cosa
vogliamo essere, chi vogliamo
essere. Non è detto che se tu vieni da una cattiva famiglia
tu sia una cattiva persona. Come non è detto che se nasci in
una famiglia perfetta sarai un figlio perfetto. Capisci che intendo?
Sta a te decidere, e sei ancora in tempo per farlo.”
E per Harry è chiaro, semplice come bere un
bicchier d’acqua. Lui non ha vincoli, obblighi o
quant’altro. Louis sì. Quello che Harry vuole
fargli capire adesso è che può ancora scegliere
se essere Peter Pan e non avere controllo sul proprio futuro o
può avere il coraggio di cambiarlo. E poter fare
ciò che vuole fare nella vita. E allora Louis sceglie di
poter cambiare, di non buttare tutto all’aria e di voler
vivere davvero affianco a Harry. Perché no?
Camminano
ancora, sempre più vicini. Sembra ci sia una specie di
alchimia tra i loro corpi che proprio non ne voglio sapere di stare
lontani adesso che si sono trovati.
Louis
deve ancora capire come Harry l’abbia convinto a salire su
una collina senza nemmeno spiegargli il motivo. Harry ha
un’influenza incredibile sul ragazzo, come se Louis fosse un
satellite che si muove in orbita attorno al suo pianeta. Harry ha
un’energia tutta sua, forse nascosta negli occhi che non
smettono di brillare nemmeno sotto il cielo grigio di Londra o forse
nei ricci che sono più ribelli di lui e che non ne vogliono
sapere di starsene al loro posto. O forse è semplicemente
Harry.
Harry
che è la persona più viva, eccentrica, vera e
genuina che Louis abbia mai incontrato. Tutto di lui sembra vivo.
E’ come avere al proprio fianco un raggio di sole, si ritrova
a pensare Louis. E’ come tornare a respirare dopo
minuti di agonia, come fare un salto nel vuoto, come quello che ha
sempre cercato. E’ come se avesse riacceso una parte di Louis
che per troppo tempo è rimasta nascosta, spenta. Ed
è così semplice con lui, così semplice
ridere, scherzare, parlare di tutto, dalla politica alla musica ed
Harry ha una fissa particolare, non ha alcun genere o cantante
preferito, “Basta che mi dia qualcosa” dice
così ascolta davvero ogni genere di cantante, molti dei
quali sconosciuti al resto del mondo.
Si
raccontano aneddoti divertenti - Harry non puoi capire che casino
quella volta che ho lanciato i limoni al vetro della vicina -
oppure –Dio Harry poi quando ho dato fuoco al
divano mio padre è andato su tutte le furie, era importato
dall’Italia, avresti dovuto vedere la sua faccia, non la
scorderò mai- e Harry gli racconta di quella volta che un
signora sulla sessantina, vestita di blu, non smetteva di fissarlo
incutendogli anche un po’di timore per poi chiedergli se
volesse uscire con lui.
“Louis
è assurdo, non pensavo nemmeno facesse sul serio ma vedevo
che non smetteva di guardarmi e ho capito che si, faceva sul serio.
Quindi niente, mi sono alzato e me ne sono andato. Roba da
pazzi.”
Arrivano
sulla cima della collina. Ci sono bambini che corrono guardando il
cielo, anzi seguendo qualcosa nel cielo. Mettendo a fuoco Louis scopre
che si tratta di aquiloni, ci sono decine di aquiloni che colorano quel
cielo grigio, di tutte le forme e dimensioni.
“Allora?
Che ne pensi?”
“Che
ne penso Harry? Tutto questo è incredibile.”
“In
che senso?”
“Nel
senso che mai nessuno ha mai fatto tutto questo per me. Mi tratti come
se fossi qualcosa di prezioso.” Prova a spiegare Louis, certo
che non troverà mai le parole giuste.
“Ma
tu sei prezioso. Sei così tanto, e non te ne rendi
conto.”
“Si
ma intendo, perché io? Ci sono migliaia di persone che ti
passano davanti ogni giorno, perché io?”
“Te
l’ho detto. Per come mi guardavi. E per il tuo culo che ho
notato quando te ne sei andato la prima volta che ci siamo
visti.” Spiega Harry mostrando le fossette per niente
imbarazzato con gli occhi che gli brillano.
“P-per
il mio c-culo? Scherzi Harry?” risponde Louis torturandosi le
mani, rosso in volto guardando in basso come se l’erba fosse
la cosa più interessante del mondo in questo momento.
“Mmm,
può darsi” continua sogghignando
“Comunque questo è il tuo terzo posto, ti
piace?” un’incertezza nella voce, non sa che ora
come ora Louis lo seguirebbe dappertutto.
“Certo
che mi piace”
“Bene
Louis, andiamo ad affittare il nostro aquilone allora”
risponde afferrandolo per mano così spontaneamente che Louis
stenta a crederci.
“Dove
mi porterai per completare la giornata?” chiede Louis senza
smettere di fissarlo sentendo il corpo andare a fuoco.
“Indovina?
Dato che non ti ho ancora portato fuori a cena direi che è
d’obbligo.”
Non
gli lascia nemmeno il tempo di replicare e lo trascina via, lontano da
tutti e da tutti.
Louis
non crede all’amore. Non ci ha mai creduto. Forse
perché vedendo suo padre così preso dal lavoro e
dalle cene con i colleghi e sua madre dalle partite a carte con le
amiche non credeva che ci si potesse sentire così bene solo
stando accanto a una persona tenendola per mano.
Suo
nonno una volta glielo disse: “Non sono le cose che tocchi
che ti fanno vivere”.
Louis
non può toccare la sensazione che prova con Harry ma la
sente nelle vene, si sente vivo e nel posto giusto. Ha aspettato tutta
la vita qualcuno che lo facesse sentire bene. Louis, ventidue anni, si
lascia trasportare da tutto questo che gli sembra nuovo ma se si sente
così perché è sbagliato?
Attraversano
vie, viottole e grandi strade, piene di persone, si sentono padroni del
mondo, per poi arrivare a Kensington Street sempre tenendosi per mano,
in un locale “Maggie Jone’s”, rivestito
di vernice blu all’esterno, dei fiori fanno da cornice su
porte finestre dalla vernice corrosa dal tempo che sembra essersi
fermato. Sembra un edificio degli anni ‘50 a prima vista, non
intaccato dallo scorrere frenetico della vita che lo circonda. Danno
un’altra occhiata e dopo che Louis gli ha sorriso e stretto
più forte la mano Harry lo guida all’interno.
Un
uomo sulla cinquantina, capelli brizzolati, mani rese ruvide dallo
scorrere degli anni, guance arrossate come chi non si nega qualche
bicchiere di vino, espressione rilassata in viso si avvicina ai due.
Dev’essere il proprietario pensa Louis.
“Posso
fare qualcosa per voi?” chiede gentilmente senza perdere il
sorriso.
“Sì,
abbiamo una prenotazione a mio nome, Styles” risponde senza
alcuna esitazione il riccio. Quindi tutto questo era organizzato. Tutto
questo era pronto per lui e Louis pensa che non si sia mai sentito
più amato di così prima d’ora.
“Ah
si certo, seguitemi” risponde l’uomo.
Nel
frattempo Louis nota che l’interno del locale rispetta le sue
aspettative.
Rustico,
accogliente, pareti marroni dove sono affisse decorazioni che ricordano
la vita di campagna, quadri raffiguranti paesaggi, un posto dove ci si
sente a casa.
Tutto
molto semplice, nulla di sofisticato, non c’è
né bisogno. Tavoli di legno, spighe di grano appese alle
pareti e cesti pendenti dal soffitto. È un posto in cui ci
si sente a proprio agio, Harry deve aver capito questo suo bisogno.
L’uomo
li porta in un tavolo tranquillo, lontano dall’entrata e
dalla cucina per evitare occhiatacce e cattivi commenti da parte di chi
ancora non ha capito come funziona amare.
Come
in ogni film d’amore che si rispetti Harry tira indietro la
sedia per permettere a Louis di sedersi che si sente avvampare come
fosse una ragazzina di dodici anni.
E
poi c’è Harry. Harry di fronte a lui che non
smette di sorridergli, che lo guarda come fosse la cosa più
bella del mondo e questo è veramente troppo per lui.
Così si sporge sul tavolo e lo bacia. Non dura molto dato
che qualcuno li ha interrotti chiedendo loro le ordinazioni, lasciando
un Louis più imbarazzato che mai.
Per
tutto il tempo non smettono di parlare, come se fossero vecchi amici
che non si vedono da anni e che devono raccontarsi tutto. Ma hanno
tutta la vita davanti.
Finiscono
per condividere il “dolce della casa” sotto
insistenza del riccio perché “Louis non puoi
capire che buono che è” e chi è lui per
dire di no a degli occhi così verdi?
“E
ora?”
“Ora
ti porto via con me”. Non dicendo altro lo trascina fuori dal
ristorante dopo aver pagato il conto ovviamente, correndo come se non
avessero abbastanza tempo sotto le stelle di una notte che è
appena cominciata.
“Eccoci,
siamo arrivati” ansima Harry ancora scosso dal fiatone per la
corsa.
Sono
davanti a un portone di quello che sembra un vecchio edificio
abbandonato
“Avanti,
entra” gli fa strada il ragazzo e anche se sembra impossibile
ci sono ancora scale perché Styles, Louis ha scoperto che
gli piace chiamarlo così, ha avuto la brillante idea di
abitare all’ultimo piano di un edificio senza ascensore.
Dopo
le numerose lamentele di Louis il riccio l’ha convinto a
salire perché “Dai Louis, sembri una
femminuccia” e di certo questo non voleva sentirselo ripetere.
L’ultimo
piano si rivela essere un ex magazzino ora adibito ad appartamento, al
modo di Harry. “Sai, stavano per distruggere tutto, il
proprietario è un mio amico. Era la fabbrica di suo padre e
quando è morto non sapeva che farsene così gli ho
chiesto di lasciarla a me, ed ecco qui.” È
veramente un posto enorme, con travi a vista, pareti colorate di blu,
rosso, verde, quadri di qualche autore sconosciuto alle pareti e
arredamento basilare, ma è bello, incredibilmente bello.
Più che altro sembra cucito apposta per Harry, come se lui
fosse parte integrante dell’insieme. Non potrebbe appartenere
a nessun altro se non a lui. Un letto matrimoniale in fondo alla sala,
un angolo cottura a destra e sulla parete di sinistra immense vetrate
che permettono alle stelle di far parte dell’appartamento.
Tutto quello che si respira è libertà, voglia di
esprimersi e dopotutto sempre a modo suo, Harry è un
artista, quindi non poteva essere altrimenti. E Louis? Lui non si
è mai sentito più a casa di così anche
se la casa è di un quasi sconosciuto che ha scoperto di
amare a poco a poco.
“E
adesso Harry?”
“Ho
detto che ti avrei fatto sentire vivo, vero?
Dice
avvicinandosi guardandolo negli occhi, leggendolo dentro.
Louis
si limita ad annuire, avendo paura che la sua voce non basti quando
sente crollare la terra sotto i piedi e i pantaloni ad un tratto troppo
stretti.
“Quindi
adesso amami, Lou.”
Quando
si sveglia il mattino dopo Louis non si sente la stessa persona che
è stata fino a quel momento, anzi a dire il vero non si
sente tale da un bel pezzo.
È
come se avesse vissuto fino ad ora in apnea e fosse appena uscito fuori
dall’acqua, cominciando a respirare. Si gira a destra e gli
fa strano dato che era abituato a svegliarsi da solo in un letto troppo
grande per lui. Ma da ora in poi non sarà più
cosi pensa, da ora in poi tutto è cambiato.