Ok, non è da me scrivere una
storia di San Valentino, perché la ritengo una festa stupida e commerciale (e
non perché sono single… ho passato due 14 febbraio con lo stesso ragazzo e non
ho mai voluto né fatto regali, per quanto io sia diabeticamente
romantica), ma il prof di chimica oggi ha rispiegato
per la centesima volta i legami atomici e io oramai lo so dire anche a
rovescio, quindi non avevo nulla da fare… e ho partorito questa.
È una storia così, leggera, niente di particolare, dedicata
a tutte coloro che, come me, aspettano il loro
Valentino (che, se assomiglia a Ryan, è pure meglio
XD).
Un bacio e felice San Faustino a tutte le
single!!!
Temperance
Valentine’s hat
Kelsi entrò in classe, già
psicologicamente preparata ad affrontare il suo ennesimo San Valentino da single.
Non ne aveva mai trascorso uno in
coppia, perché la sola storia che avesse mai avuto era stata quella con Jason che non aveva superato il mese di vita.
Quell’anno, però, il suo essere un
cuore solitario era particolarmente deprimente perché era l’unica del suo anno
a non essere “accoppiata”, visto e considerato che persino Martha si era
trovata un ragazzo.
Infatti eccoli
lì, lei e Mark, seduti vicini e intenti a scambiarsi
tenerezze, esattamente come Gabriella e Troy, davanti
a loro, Chad e Taylor,
accanto alla finestra e Zeke e Sharpay,
in fondo all’aula, immersi in una scatola di cioccolatini probabilmente
preparati da lui.
Sospirando, la pianista posò la borsa accanto al proprio
banco, rispondendo, nel frattempo, al cenno di saluto che Ryan,
seduto sulla cattedra, le aveva rivolto.
Ah, ecco, anche lui era da solo ma,
nel suo caso, si trattava di una scelta, vista la moltitudine di ragazze,
equamente distribuite tra primo e ultimo anno, che avrebbero fatto carte false
per stare con lui.
Beh, riflettè Kelsi,
sorridendo, dopotutto, anche lei era single per scelta… peccato che la scelta fosse degli altri.
Si lasciò cadere sulla sedia, soffiando via un ciuffo
ribelle che aveva deciso di posarsi proprio davanti ai suoi occhi e si chinò a
prendere il libro di letteratura inglese per ripassare un po’.
Fu allora che lo vide.
Sotto al suo banco, stretto tra i
libri, c’era un sacchetto arancione di media misura, chiuso alla sommità da un
delicato fiocco rosso fuoco.
Sopra di questo era posata una piccola
busta dello stesso colore del nastro, sulla quale la scritta “Kelsi”, vergata in eleganti e longilinei caratteri dorati,
faceva bella mostra di sé.
Una valentina? Per lei?
Di certo non si aspettava di riceverne… e poi chi poteva
averla preparata?
Curiosa, prese la bustina, la aprì e ne estrasse
un foglietto bianco sul quale erano tracciate una ventina di righe nello stesso
carattere nel quale era scritto il nome sull’involucro.
“Non t'amo come se
fossi rosa di sale, topazio o freccia di garofani che propagano il fuoco:
t'amo come si amano certe cose oscure,
segretamente, entro l'ombra e l'anima.
T'amo come la pianta
che non fiorisce e reca dentro di sè, nascosta, la
luce di quei fiori;
grazie al tuo amore
vive oscuro nel mio corpo il concentrato aroma che ascese dalla terra.
T'amo senza sapere
come, nè quando nè da dove,
t'amo direttamente senza problemi nè orgoglio:
così ti amo perchè
non so amare altrimenti che così,
in questo modo in cui
non sono e non sei,
così vicino che la tua mano sul mio petto è la
mia stessa
così vicino che si chiudono i tuoi occhi con il
sonno mio.
Ciao…. Spero che la poesia ti piaccia, anche se non sono uno che ama
particolarmente queste melenserie di San Valentino.
Mi è sembrata solo una buona occasione per farti
sapere… beh, che esisto.
E che tu esisti per me.
Moltissimo.
Volevo dirti solo
questo… credo…
Un bacio e buon San
Valentino,
meRcuzio montEcchi
P.S. il blu ti dona”
La ragazza rimase per qualche istante a contemplare quella
strana lettera a bocca aperta.
La poesia era qualcosa di assolutamente
meraviglioso, così straordinariamente bella che le venne quasi da
piangere per la commozione, all’idea che quelle parole fossero state scritte
pensando a lei.
Poi c’era il dopo… così in netto contrasto con i versi,
quasi l’autore avesse avuto paura di essere stato troppo
romantico.
Kelsi scoccò un rapido sguardo a Jason, l’unico che avesse mai dimostrato un certo interesse
nei suoi confronti, ma subito scosse la testa.
Non poteva essere stato lui.
Jason era un giocatore di basket e
uno studente meno che mediocre… non decisamente un
poeta!
E quella firma… Mercuzio
Montecchi… un personaggio di Shakespeare,
fino a lì tutto chiaro… ma perché due lettere maiuscole messe all’interno delle
parole?
Forse Mercuzio Montecchi
era un anagramma!
Eccola, la soluzione!
Soluzione che, però, fu abbandonata circa un’ora dopo,
quando Kelsi ebbe esaurito le combinazioni a
disposizione senza averne cavato nulla di anche lontanamente comprensibile.
Fu solo quando abbandonò il foglio
sul banco, infastidita dall’insuccesso, che si ricordò che c’era anche un
regalo per lei.
Lentamente, facendo il possibile per non farsi sentire dal
professore, aprì il sacchetto e ne estrasse un
cappello di forma militare, come quelli che portava sempre, disegnato con un
motivo di quadrati e rettangoli in tutte le tonalità del blu e dell’azzurro
delineati da contorni di microscopiche paillettes
celesti.
Non ne aveva mai avuto uno così
bello…e nemmeno così costoso, a giudicare dalla perfetta lavorazione.
Il suo Mercuzio la conosceva bene,
se aveva azzeccato i suoi gusti in fatto di cappelli…o magari era solamente un
buon osservatore.
Di certo era un rebus molto, molto difficile da risolvere.
La pianista abbandonò la testa sul banco, stringendo il
berretto tra le mani, proprio mentre la campanella che
segnalava l’inizio dell’ora di ginnastica trillava, facendo felici tutti, meno
lei.
Ripose con cura la lettera nel diario, intenzionata più che
mai a scoprire l’identità del suo ammiratore segreto, non appena fosse rientrata dalla tortura, si calcò il cappello nuovo
sui riccioli scuri e si avviò verso la palestra, elaborando una scusa
abbastanza credibile da persuadere il coach Bolton ad esonerarla per quel giorno. (come
faccio sempre io, Temperance, nda)
Kelsi non fce,
però, in tempo nemmeno ad arrivare alla fine del corridoio, che si sentì
afferrare per un braccio.
Voltandosi, incontrò gli occhi azzurri e vivaci dell’ultimo
arrivo nella squadra dei Wildcats, Ryan Evans.
Ryan
Evans……
Ryan…
Evans….
R…E…
No, non era possibile, doveva trattarsi di un caso.
“Ciao, Kelsi.” La salutò,
allegramente, sfiorandole giocoso la visiera del cappello. “Bella corona.
Nuova?”
Gli occhi della ragazza si rabbuiarono…
per un momento aveva pensato di aver trovato il suo Mercuzio….
Ma se non sapeva niente del cappello come poteva
essere lui?
“Sì… è un regalo….”
“Ah, una valentina! E chi è il futuro signor Nielsen?”
“Non ne ho idea… tale Mercuzio Montecchi.”
“Uhm… nome poetico… deve essere un ragazzo molto
intelligente, o magari un artista, chissà…” Suggerì lui, facendole
l’occhiolino.
“Già, già… e tu? Signore Evans?”
Con gesto teatrale, il ragazzo estrasse dalla tasca del
giubbotto una decina di piccole buste colorate, quasi tutte decorate da almeno
un cuore.
“Queste sono quelle dell’ultima
ora…”
“E c’è qualcuna che ha delle
possibilità?”
Ryan scosse la testa, sempre
sorridendo.
“Naa, c’è una sola persona da cui
mi piacerebbe ricevere un regalo per San Valentino e non è tra queste.”
“Beh, ti auguro che le cosi
cambino… ora però devo scappare, sennò il coach chi
lo sente?”
“Giusto, corri, allora! E trova il
tuo Mercuzio!”
Kelsi gli fece una linguaccia,
prima di iniziare a camminare a passo veloce verso la palestra.
“Ah, Kelsi?” La richiamò Ryan, facendola voltare di nuovo.
“Sì?”
“Il blu ti dona.”
Fine