Insomnia
William era sempre
stato un tipo metodico.
Terminato
l’orario di lavoro sistemava tutti i documenti, perfettamente
compilati, in delle cartellette di carta che, a loro volta, riponeva
ordinatamente sugli scaffali della libreria retrostante la scrivania.
Decretato, quindi, che quella giornata lavorativa fosse davvero finita,
faceva strada verso casa con passo
tranquillo. Beh, almeno quando non veniva braccato dal suo sottoposto
più... fiammeggiante e supplicato da questo di fare strada
insieme.
Anche quando
finalmente giungeva al proprio appartamento - da solo o in compagnia -
il suo rigore non lo abbandonava, iniziando subito con
l’appendere la giacca al gancio dietro la porta
d’ingresso e passandovi sopra una mano per eliminare le
pieghe formatesi per l’uso. Dopo di ché cambiava
le scarpe, nere e lucide, per un paio di pantofole di morbida spugna
per non rovinare ulteriormente il prezioso parquet che rivestiva
l’intera pavimentazione, già irrimediabilmente
punzonato da inconfondibili segni di tacchi. Ogni
volta che li adocchiava sospirava scuotendo il capo con rassegnazione
ma continuava con la sua routine.
Dopo un pasto
leggero si rilassava con un bagno caldo, indossava una vestaglia sopra
un sobrio pigiama a righe e si recava poi in salotto, accomodandosi su
una poltrona di pelle bordeaux - poltrona che a qualcuno piaceva
particolarmente – a leggere e a degustare una tisana tiepida
che gli conciliasse il sonno.
E, dopo tutto
questo tran tran, solitamente si addormentava tranquillo.
Solitamente.
Quella sera
invece, per qualche strana ragione, stava faticando ad addormentarsi.
Continuava a rigirarsi nel letto ma ogni posizione assunta gli sembrava
la più scomoda. Si chiese se per caso non avesse saltato
qualche passo del suo "programma" serale ma proprio
non riusciva a capire il motivo di tanta inquietudine.
Allungò
un braccio fino a raggiungere la sveglia sul comodino poi, tenendola
stretta tra le dita, se la portò davanti agli occhi.
Nonostante lo sguardo appannato dalla forte miopia e la luce quasi
nulla riuscì a scorgere le lancette puntate sulle tre.
Erano appena
le tre del mattino. Mattaku!
Questo
significava che, se non si fosse addormentato al più presto, solo qualche ora
dopo si sarebbe alzato di malumore e stanco e questo non poteva
permetterselo. Non quando si prospettava una giornata di intenso lavoro.
Sbuffando
poggiò nuovamente l’oggetto sul mobile e si
girò verso l’altra metà del letto.
Fu allora che
lo vide.
Prima non lo
aveva notato poiché aveva sempre dato le spalle alla figura dormiente accanto a
lui. Prestandogli invece la dovuta attenzione si accorse che stava
sorridendo. I denti, bianchissimi e umidi - e aguzzi - , luccicavano
alla luce fioca che filtrava dalle persiane chiuse. Era una visione
terribilmente inquietante... ma William si era ormai abituato a quella
particolare dentatura. William fece correre lo sguardo sui lunghi
capelli sparsi sul cuscino e posati morbidamente sul petto
nudo, poi tornò a concentrarsi sul viso. Pareva sereno e, a
giudicare dall’espressione, estremamente divertito.
Anzi, no.
Appagato, era il termine più appropriato.
L’uomo
sbuffò, decisamente invidioso della calma
dell’altro, e fece per rigirarsi quando
quest’ultimo bisbigliò qualcosa. Stranamente
incuriosito, William si avvicinò ancora un po’
all’altro tentando di capire cosa stesse dicendo.
Tra una parola
sbiascicata e l’altra, l’uomo riuscì a
percepire distintamente il proprio nome, pronunciato con
un’enfasi che non lasciava spazio a dubbi circa la situazione
in cui si trovava, insieme ad una serie di esclamazioni alquanto
equivoche.
“Che
birichino che sei~♥!”
“Oooh,
Will... Così mi fai arrossire!”
“Oh,
sì... Continua così, ti prego!"
Così?
Così come?!
William,
indignato per quella scoperta, si allontanò bruscamente dal
volto dell’altro e si gettò all’indietro
sul proprio cuscino, le braccia incrociate dietro la testa e lo sguardo
crucciato ad esplorare l’oscurità del soffitto.
Imprecò
sottovoce contro se stesso e maledisse il momento in cui gli aveva
concesso di entrare nella sua vita, in casa sua, nel suo letto.
Ma,
riflettendoci, perché incolparsi?
Se
c’era un colpevole, quello era lui.
Sì.
La colpa era solo e soltanto sua.
Sua e di
quella sua pelle morbida e liscia, di quelle mani perfette, di quel
viso candido, dai lineamenti così delicati. E quelle labbra
poi... Fatte apposta per essere baciat-
Oh, al
diavolo! Quello era davvero troppo!
William si
alzò a sedere di scatto e diede una poderosa spinta al suo
coinquilino, aiutandosi con una gamba, il quale scivolò
rovinosamente a terra trascinandosi appresso anche le lenzuola.
Essendo stato
colpito totalmente alla sprovvista, Grell rimase qualche attimo senza
fiato, gli occhi spalancati sul buio circostante,
nell’intento di capire come avesse fatto a cadere. Poi,
d’improvviso, una fitta di dolore alla natica sinistra lo
costrinse a strofinarvi sopra una mano, mentre con l’altra
era impegnato a grattarsi la testa scarmigliata con aria sempre
più confusa.
“Ahiooo, che
botta!” si lagnò piano.
Uno scintillio
verde attirò la sua attenzione verso l’alto,
così si accorse di essere fissato da due fessure minacciose.
William si era
sporto dal bordo del materasso e lo stava guardando con
un’aria che non prometteva nulla di buono. Insomma, la stessa
che aveva quando lui commetteva qualche imprecisione sul
lavoro. O qualche marachella - per lo più ai suoi danni,
effettivamente.
“Will!
Ma cosa... Qual è il problema?” chiese, innocente.
“Lo
sai perfettamente qual è il problema” rispose
l’altro, la voce ferma come al solito.
“Ma
Will, stavolta non ho fatto nulla di male... Non ho idea di cosa tu
stia parlando!”
“Certo,
non fai mai nulla di male tu”
rimbeccò l’altro sparendo dalla vista del rosso.
Arrampicatosi
nuovamente sul letto, Grell vide il compagno rannicchiarsi di lato
così, gattonando sul materasso, lo raggiunse alle spalle.
“Will,
non cosa io abbia fatto per farti arrabbiare in questo modo nel bel
mezzo della notte...” iniziò a dire sdraiandosi di
fianco al suo interlocutore e cingendogli la vita con un braccio.
“...
Ma non è stato affatto un gesto carino, il tuo. Insomma,
colpire una lady nel sonno... Quale
affronto!” proseguì con tono esageratamente
drammatico.
“E
poi stavo facendo un sogno cooosì bello! Vuoi sapere
cosa stavo sognando?” chiese poi.
L’uomo
accanto a lui fremette: lo sapeva benissimo cosa - o meglio, chi - era
protagonista del suo sogno.
“No.
Non m’interessano le tue avventure notturne”
rispose secco.
“Uh,
ma come siamo nervooosi!”
esclamò Grell allontanandosi un poco. Poi un sorriso
distorse maliziosamente le sue labbra, mentre insinuava una mano sotto
il pigiama dell’altro, fino a sfiorargli la pelle.
“C’è
qualcosa che posso fare per calmarti, Will
caro~♥?”
Tentando di
ignorare le dita che scorrevano indisturbate sul suo addome, Will
rispose “Sì, Sutcliff. Rimetterti a dormire. Dormi
e cerca di non sognare nulla di sconveniente”
“Sicuro?
Davvero non posso fare altro? No, sai... perché io avrei
qualche idea... Non sei curioso?” insistette
l’altro, raggiungendo il petto del compagno per poi mutare
direzione e scendere pericolosamente verso il basso.
William chiuse
gli occhi, prendendo un respiro profondo.
Mattaku!
Fulmineo si
volse verso Grell, gli saltò addosso cavalcioni, bloccandolo
col proprio peso all'altezza della vita, e gli fermò i polsi
ai lati della testa.
Non rispose
alla sua domanda.
Non disse
nulla.
Ma il sospiro
che gli sfuggì dalle labbra e lo scintillio nei suoi occhi
indicarono che quella notte l'avrebbe passata sveglio.
In
ogni caso.
Note dell'autrice:
Che dire...
Grell è il solito tipetto
focoso che fa scintille anche mentre dorme, mentre William è
il solito duro
che tenta di resistere ma alla fine cede (e non solo per "colpa" del
rosso). Insomma, siamo sempre alle solite! Ed
è proprio questo il bello di questi due insieme (almeno per
me).
Spero, comunque, che non vi sia sembrata la solita solfa! Mi
sono piuttosto divertita a scrivere questa scena e, boh, mi auguro che
sia piaciuta anche a voi. ^^
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