UN GIORNO DI ORDINARIA AZIENDA
-Venezia
è un pesce.
Natasha, che
stava dando gli ultimi ritocchi alla sua tenuta da lavoro (canottiera,
short di jeans e all stars), si girò verso Clint. Lui stava
guardando giù dal finestrino con espressione assorta.
-Quindi
abbiamo scoperto che Budapest ti rende audace e Venezia ti rende
poetico?
-Niente
poeti. È un pesce. Guarda, è come se fosse
attaccata con una lenza alla terraferma. È un dato di fatto.
In effetti
era vero. E sì che c’era stata, Natasha, a
Venezia; eppure non l’aveva mai notato.
-Non
distrarti, non dobbiamo trovare pesci. Concentrati
sull’obiettivo.
-Concentratissimo.
Ripetimi come mai non posso mettermi sul campanile di San Marco e
crivellarlo di frecce, agente Romanoff.
-Crivellare
uno di frecce davanti a una chiesa? Che pessimo gusto, Barton.
Ridacchiarono
entrambi. Venezia diventava sempre più grande sotto di loro.
-No,
seriamente. Brazorf è sfuggito allo Shield, è
classificato come pericoloso, è un mutante. Qual
è il problema?
-Fury
è stato categorico: non vuole un’altra New York, e
non possiamo permetterci di rompere nemmeno un pezzettino minuscolo di
Venezia. Quindi lo si trova, lo si pedina e si colpisce quando
è solo e isolato. Ricevuto?
-Ricevuto,
Romanoff. Comunque è proprio un pesce.
-Clint, se
ti fermi in mezzo alla strada ostacoli il passaggio, sai?
Lui si
spostò. Una ragazza con la maglietta dell’Hard
Rock Cafè e i pantaloni neri lo oltrepassò
sbuffando.
-Devo
abituarmi all’idea che a Venezia ci viva sul serio della
gente. E a queste strade così strette… di notte
qui dev’essere una pacchia per i rapinatori.
Natasha
alzò un sopracciglio, dietro agli occhiali da sole fuxia.
–Qui se scippano una lo mettono sul giornale, Clint. Al
momento l’unico pericolo reale è Brazorf.
-Finita la
missione, andiamo all’Hard Rock Cafè.
-E io che mi
spaccio per turista americana quando ho l’archetipo davanti a
me… aspetta.
Natasha
aveva notato qualcosa con la coda dell’occhio. Si infilarono
in una calle, tenendo d’occhio il flusso di gente.
– Obiettivo individuato -, comunicò Natasha a
Clint al passaggio di un uomo con i capelli scuri, tatuaggi, orecchino
e occhiali a specchio.
-Vi seguo,
Nat.- Clint tornò serio, e con uno scatto veloce si
issò su un muro e poi su un tetto. Natasha si
tuffò nel flusso di turisti, seguendo Brazorf. Non le fu
difficile, c’era troppa gente perché lui potesse
notarla; ora doveva solo aspettare che deviasse dai principali percorsi
turistici, e colpire. Invece, Brazorf salì sul vaporetto
all’altezza di Cà d’Oro. Natasha era
preparata anche a questa evenienza: si imbarcò anche lei.
Matilde in
tanti anni di lavoro all’Azienda ne aveva viste di tutti i
colori.
Era arrivata
a Venezia con una canzone di Guccini in testa, un diploma di liceo
scientifico in mano e tante belle speranze, che si sgretolavano di pari
passo con l’avanzare della sua carriera accademica e della
crisi economica. Aveva iniziato a fare il marinaio nei vaporetti come
stagionale dopo la triennale; quando le avevano proposto di assumerla
fissa, data la disastrosa latitanza di offerte di lavoro per gente
laureata in Lettere, aveva accettato. Si era sposata con un veneziano,
aveva un bambino e l’unica cosa che le era rimasta della
diciottenne di tanti anni prima era una frase della canzone di Guccini,
per la precisione quella che dice “del resto del mondo non
sai più una sega, Venezia è la gente che se ne
frega”.
Terremoti,
crolli del governo, alieni a New York… Matilde leggeva le
notizie sul Gazzettino e poi passava avanti a vedere se si parlava
dell’Azienda, e in che termini. Di solito i veneziani si
lamentavano, i veneziani sanno solo lamentarsi, anche se il veneziano
che era appena salito non si stava affatto lamentando dei turisti, per
una volta.
Certo, la
turista in questione era una strafiga dai capelli rossi, sexy come una
bitta (Matilde era convinta che le bitte dovevano essere
straordinariamente sexy. Non si spiegava, altrimenti, come mai tutti le
volessero, tutti fossero riluttanti ad allontanarsene, e nessuno
riuscisse a smettere di metter loro le mani addosso), con un paio di
occhiali improbabili, che con una mano reggeva una cartina e con
l’altra faceva foto al Canal Grande. Ego, il suo pilota, le
stava fissando il culo con una spudoratezza tale che Matilde dovette
andare in cabina a dirli di guardare avanti, che se continuava
così rischiava di arrivare in bacino San Marco e non notare la
crociera Costa.
Stava
andando tutto troppo bene.
Clint la
teneva sotto controllo, lei non sapeva da dove ma era certa che lo
stava facendo. Brazorf non si era accorto di nulla, qualcuno le
guardava il culo e stava anche facendo delle belle foto. Natasha aveva
previsto tutto, o almeno così credeva, fino a che una
signora anziana con il carrellino della spesa non cominciò a
inveire contro di lei in una lingua che sembrava italiano ma non lo
era. Maledicendo i dialetti tutti, Nat si chiese cosa poteva aver fatto
di sbagliato: non aveva uno zaino sulle spalle, aveva il biglietto, non
intralciava nessuno perché la fermata era ancora
lontana… cercò di comprendere quello che le
diceva la signora, senza successo. La marinaia si avvicinò,
guardandola come dire “porti pazienza”. –
Ci sono problemi?-, chiese.
La signora
la indicò, gesticolando. –Ma guardi signora che
mancano due fermate, non si preoccupi che quando è il
momento la faccio scendere io-, diceva la marinaia.
Nat
cercò un modo, uno qualunque, per placare la signora. Si
spostò, chiese scusa, ma fu tutto inutile, la donna
continuò imperterrita a polemizzare. Disse qualcosa che Nat
riuscì a tradurre all’incirca come
“fanno sempre quello che gli pare”.
Dentro di
sé imprecò, stava succedendo esattamente quello
che non doveva succedere, la scheggia impazzita che sfuggiva a ogni
calcolo: stava attirando l’attenzione. Di tutti i possibili
scenari che aveva valutato, la vecchietta polemica non le era proprio
venuto in mente.
Matilde, si
diceva, in tanti anni di lavoro ne aveva viste di tutte.
Aveva visto
un turista salire sul tetto del vaporetto per mettersi a prendere il
sole; aveva visto gente piantare a metà il turno di lavoro a
Capodanno perché doveva (testuale) “andare a
cacciarsi in mona”; aveva persino fatto in tempo a essere per
qualche mese il marinaio del famigerato Settembre Nero,
l’uomo famoso per aver tirato giù una parete con
un vaporetto. C’erano state risse, richieste di deviare linee
perché “io devo andare a una festa” e la
mitica risposta “bigliettos pregos” del marinaio
che si era sentito rispondere “Digos” alla
richiesta di controlli.
Ma era certa
di non avere ancora visto (né sentito racconti in merito) un
uomo le cui dita improvvisamente si allungavano quasi fino a terra.
Lei ed Ego
avevano un rapporto consolidato che funzionava a meraviglia: lui
guidava, e lei gestiva a modo suo tutto quello che succedeva sulla
barca. Così Matilde resistette all’impulso di
chiamarlo in aiuto, lasciò perdere La Vecia Col Careo Dea
Spesa e le sue polemiche inutili e si diresse verso l’uomo,
decisa a chiarire questo mistero o quantomeno a farlo scendere alla
prossima.
-Mi scusi,
el ga il bi…
Non
riuscì a proseguire oltre. L’uomo
scoppiò in una risata e sollevò quella mano
improbabile, per poi scagliarsi contro di lei. Matilde ebbe il buon
senso di abbassarsi, ma gli artigli la sfiorarono appena; il bersaglio
era la sexy bitta con i capelli rossi, che aveva appena evitato il
colpo. Saltando sul barcarizzo, ovviamente.
-To
mare… Signora, non si può stare lì,
dovaria scendere, ciò!
I turisti
urlavano quasi tutti. C’era solo la sua nemesi, la Vecia Col
Careo Dea Spesa, che sembrava piena di una specie di gioia maligna
mentre le diceva –E lei che è il marinaio non dice
niente? Vara sti qua dell’Asienda che no i fa mai un casso, e
noialtri paghemo!
Matilde
alzò gli occhi al cielo. E non li riabbassò,
perché sul ponte di Rialto, per la precisione sul cornicione
del ponte, c’era un uomo vestito di scuro con un arco.
Proprio un arco, e lo stava puntando contro il suo vaporetto.
Dove
cazzo è Clint? Pensò
Natasha in una frazione di secondo, saltando per evitare il colpo. Il
secondo successivo due frecce le fischiarono ai lati della testa,
conficcandosi dove fino a un attimo prima era stato Brazorf. Era ora.
Non aveva
tempo di pensare troppo, il vaporetto era pieno di gente ed era
indispensabile che Brazorf non prendesse ostaggi. Usò il
vantaggio della posizione rialzata per saltare con un calcio verso di
lui, che però non fece che afferrarla per la caviglia e
sbatterla a terra. Nat si rialzò con un colpo di reni, e
fece appena in tempo a vedere le lunghe dita di Brazorf che stavano per
afferrare la signora con la spesa, ancora intenta a lamentarsi in
dialetto. Merda. Fu in quel momento che la marinaia afferrò
la donna e la spostò, prendendosi tre lunghi graffi sul
braccio, che cominciò a sanguinare. –State
indrio!-, la sentì gridare.
Spazzò
il pavimento con un calcio basso; Brazorf perse l’equilibrio,
ma riuscì a usare le lunghe mani per rimanere in piedi e di
nuovo cercò di afferrarla. Nat saltò indietro
all’ultimo secondo.
Muoviti,
Clint.
Una specie
di STOMP proveniente dal tetto suggerì a Matilde che il
tizio che tirava le frecce doveva essere saltato dal ponte di Rialto
per atterrare sul suo vaporetto. Il pilota si voltò verso di
lei. L’ultima volta che si era voltato verso di lei, era
stata quella volta della rissa e dell’indiano
svenuto. –Tutto a posto, Ego!
Tutto a
posto un cazzo. Doveva fare l’approdo a Rialto e la turista
con i capelli rossi era saltata proprio sulla bitta di poppa.
Il mutante
si scagliò verso di lei, ma l’uomo che era
atterrato sul tetto aveva deciso di scendere a modo suo: tenendosi al
bordo, con una specie di capriola si era portato dentro al mezzo,
calciando in faccia il mutante durante la traiettoria. La donna
saltò giù dalla bitta e Matilde se ne
impadronì velocemente, prima che a qualcuno venisse in mente
di salirci sopra di nuovo.
-Adesso alla
prossima fermata voi scendete tutti! Altrimenti chiamo i carabinieri!
Eh, ciò!
I due
supposti turisti però non riuscivano ad avere la meglio,
erano troppo distratti dal cercare di impedire che il tizio con le mani
lunghe facesse del male ai passeggeri. Matilde capì
vagamente che forse, se il mutante fosse stato per un attimo fuori
combattimento, i due l’avrebbero sopraffatto entro
l’approdo di Rialto. Lo guardò. Guardò
la cima che teneva in mano. Forse ce la poteva fare.
Fece tre
verine intorno alla mano sinistra; di solito le bitte non si muovevano
a destra e sinistra, si limitavano a venirle incontro, ma la cima
è lunga e se fosse riuscita a farle fare un arco abbastanza
ampio… lanciò.
I turisti
gridarono e lui si girò, ma era troppo tardi. Matilde
recuperò velocemente, il mutante non capì bene la
situazione e questo gli fu fatale: la cima gli si arrotolò
intorno alle caviglie, lui perse l’equilibrio e cadde,
sbattendo forte un ginocchio.
Ego
rallentò.
Matilde con
uno scatto di polso recuperò la cima, mentre
l’uomo in nero scoccò due frecce; mentre faceva
l’approdo, riuscì a notare la donna che lo colpiva
alla testa e le lunghissime mani del mutante inchiodate al ponte del
vaporetto.
-Rialto!
Veloci, attenzione al passo… per San Marco, veloci,
avanti…
I turisti
erano indecisi tra scendere, salire e fare foto. La donna con i capelli
rossi la fissò. –Bella mossa, marinaio. Prendo in
prestito una delle tue corde e ti libero il ponte, va bene?
Matilde
sospirò e guardò Ego, che annuì
impercettibilmente. –Se ciama cima-, si sentì solo
di specificare.
Natasha
Romanoff, da dietro ai suoi nuovi Rayban a specchio, guardava divertita
la marinaia Matilde Zen (anni trentacinque, moglie di Vianello Fabio e
madre di Vianello Alvise, che frequentava l’asilo
“Arcobaleno” a Cannaregio) che se ne stava a bocca
aperta, molto più stupefatta di quando Brazorf aveva deciso
di combattere in mezzo a un vaporetto, a fissare la vecchietta col
carrello della spesa che la stava difendendo a spada tratta.
-E basta
dire che questi dell’Asienda i no fa niente! Questa fioa
xè bravissima, capio?
Solo quando
il pilota mise la testa fuori dal finestrino e disse
–Matilde, andiamo via-, lei si riscosse e fece per chiudere
il barcarizzo. Al che lei e Clint saltarono sulla barca, stavolta molto
meno affollata del giorno precedente.
Natasha rise
allo sguardo di Matilde appena li riconobbe. –Due biglietti.
Per 24 ore, per favore. Ora noi vorremmo solo vedere la
città-. La marinaia annuì, evidentemente il suo
italiano doveva essere comprensibile. Tirò fuori un
biglietto, ma fulminò il contenitore dell’arco e
frecce che Clint portava in spalla. –Take off the backpack,
please-. Mancava solo un “fucking” tra
“the” e “backpack”, ma il tono
di voce era chiarissimo.
Clint si
tolse il fucking backpack dalle spalle e commentò:
-Sai cosa ci vorrebbe adesso, Nat? Uno shawarma. Peccato che credo non
se ne trovino, qui, di shawarma.
Matilde
sospirò. –Scendete a Riva de Biasio e prendete il
5.2, fermata “Guglie”, a destra.
C’è un ristorante ebraico che fa uno shawarma
buonissimo.
Consegnò
loro i biglietti. Natasha le mise in mano una banconota da 500 euro.
-Non ho il
resto.
-Non voglio
resto, è per lei. Porti la sua famiglia a mangiare lo
shawarma: sa, è l’ideale, dopo le missioni finite
bene.
Note: Storia
nata per il contest "Qualcuno
ha detto Mary Sue?" indetto
da vannagio sul
forum di Efp; so che sono un disastro con i vendicatori ma ci ho
provato, e declino ogni responsabilità sulla riuscita di
questa cosa! Però ringrazio tanto la mia sexybeta OttoNoveTre,
che ha la pazienza dei santi ed è insostituibile.
“Venezia
è un pesce”, la frase che apre questa storia,
oltre a essere una verità (guardate una cartina di Venezia!)
è il titolo di un’interessante guida alla
città scritta da Tiziano Scarpa.
La
canzone di Guccini è “Venezia”.
L’Azienda
è naturalmente l’azienda dei trasporti pubblici
veneziana, di cui non faccio il nome ma, se qualcuno è della
zona, saprà sicuramente di cosa sto parlando. Tra
l’altro veneziani e chioggiotti la chiamano sul serio
così, “l’azienda”. Tutti gli
aneddoti ricordati da Matilde sono accaduti davvero, anche se non alla
stessa persona; e anche nomi e soprannomi lo sono.
La
bitta è quel supporto di ferro attorno a cui il marinaio
assicura la cima per fermare la barca; ce ‘è una a
bordo e una a terra, e regolarmente tutti ci si spalmano sopra. Senza
pensare che al marinaio serve, sennò la barca non si ferma.
E soprattutto senza pensare che non è saggio metterci vicino
le mani se il marinaio sta fermando la barca, perché una
cima che tira spezza quello che ci va in mezzo, comprese dita e braccia.
Il
barcarizzo è il “cancello” della barca,
che sta chiuso in navigazione e viene aperto dal marinaio per far
scendere/salire la gente alle fermate.
Le
verine sono anelli che si fanno con la cima per renderla più
pesante e farla andare più lontana a momento del lancio.
Tutte
le indicazioni su linee e fermate sono vere. E anche i posti, compresi
l’asilo (perché Nat sa dove vanno a scuola i
vostri figli) e il ristorante, che esiste, è lì e
fa un ottimo shawarma, oltre a un sacco di altre cose buonissime.
Se
qualcuno pensa che “Alvise” sia un nome insolito e
anacronistico per un bambino, si faccia un giro a Venezia centro.
I
vecchietti veneziani che polemizzano a prescindere sono
un’amara e triste verità.
Il
dettaglio degli occhiali da sole di Nat è spudoratamente
copiato dalla Natasha di Evilcassy. Siccome mi piace molto, l'ho
usato.
No,
non sapevo che nome dare al cattivo, e “Ajeje” mi
sembrava troppo spudorato. Però ha dei bei tatuaggi, lo
dicevano anche alla SHIELD: gran testa di cazzo, ma i tatuaggi sono
belli.
Se
venite a Venezia e salite sui vaporetti, fate i bravi con i marinai:
fate il biglietto, non appollaiatevi sulla bitta, tirate giù
gli zaini, lasciate libero il passaggio per scendere/salire e siate
gentili. Ricordatevi che il marinaio non è
l’ufficio informazioni, va bene chiedergli una fermata, ma
non pretendete che sappia dov’è il vostro albergo
o quanto costa l’ingresso dei musei. E soprattutto, gente,
non siete a Mirabilandia, il vaporetto è un mezzo pubblico e
non una giostra, comportatevi di conseguenza.
E
dopo tutto ciò, io vi saluto, vi ringrazio, e spero che la
storia vi sia piaciuta o, se non è così, che
almeno vi sia piaciuta Venezia.
A
chi è arrivato fin qui: grazie, grazie, GRAZIE.
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