The Wrong Games

di HermioneEverlark
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 Capitolo 0- Visite
 
Apro la porta della biblioteca privata di mio padre con il cuore che batte veloce. Non ho bisogno di chiedermi chi mi aspetta dall’altra parte,  ma quando entro e i miei occhi si abituano alla luce soffusa della stanza sento lo stesso lo stomaco sprofondare.
Seduto comodamente sulla poltrona imbottita al lato della finestra c’è un funzionario di Capitol City,  vestito in modo semplice,  certo,  ma facilmente riconoscibile dell’insolita sfumature color pesca dei capelli corti e dagli zigomi sicuramente rifatti. Con un gesto della mano mi fa cenno di sedermi difronte  a lui,   ma io rimango in piedi. Sono forte. Tralasciando i  convenevoli incomincia il suo  discorso. So già cosa sta per chiedermi.
“Signorina Salter Clove,  giusto?” mi domanda con voce profonda. “Si” rispondo. “Quest’anno il Presidente di Panem le chiede di partecipare alla settantaquattresima edizione degli Hunger Games. È certo che non potrà rifiutare la sua allettante proposta”. No,   certo che non posso rifiutare. Io non devo rifiutare.  “Bene” rispondo “ dica al Presidente Snow che accetto il suo invito e  che lo ringrazio per l’opportunità che mi sta dando per portare onore al mio Distretto”. L’ uomo fa un cenno con la testa,  si alza ed esce dalla porta. Mi avvicino alla finestra e lo guardo salire sulla macchina e andarsene.
Quest’anno toccherà a me. Non mi è concesso sapere quale ragazzo salirà su quel treno con me e non tornerà a casa. Chissà se è già stato avvisato della sua partecipazione ai Giochi di quest’anno. Chissà al sua famiglia come starà vivendo la situazione. Chissà se ha paura.
Ma distolgo subito la mia mente da tali pensieri. Non posso permettermi di provare pietà o compassione adesso. Devo solo concentrarmi ed allenarmi ancora di più per vincere e apportare onore al mio Distretto e alla mia famiglia. Onore. Servirà davvero a qualcosa poi? Nel Distretto 2,  uno dei più ricchi,  insegnano questo ai giovani appena entrati nell’Accademia,  dove studiamo e apprendiamo l’arte della lotta. L’onore per il Distretto è la cosa più importante. Con le nostre azioni dobbiamo dimostrare di essere degni di appartenere al Distretto e dobbiamo eccellere in tutto. Tra i nostri ranghi non esiste la pietà,  solo forza bruta e orgoglio. Ogni anno un funzionario di Capitol,  città sede del governo e uscita vincitrice dalla guerra la cui fine ha portato alla nascita degli Hunger Games,   entra nelle case di due tributi e annuncia la loro partecipazione ai Giochi. Naturalmente è proibito rifiutare la proposta,   che si presenta sotto forma di invito, ma che in realtà è un obbligo. Il giorno della Mietitura, poi, i due prescelti si offrono volontari davanti alla TV nazionale. Tutto architettato a dovere,  per far credere agli sciocchi telespettatori capitolini che ‘questi giovani venderebbero le loro famiglie pur di mettersi alla prova e onorare il loro Distretto’, come disse qualche anno fa il conduttore Caesar.
La verità è che invece le nostre famiglie le perderemmo,  se decidessimo di rifiutare.
Ignoro se negli altri Distretti accada la stessa cosa quando ci sono dei volontari, ma suppongo di si;nessuno sano di mente lo farebbe altrimenti.
Mi stacco dalla finestra,  esco dalla stanza e torno in salotto. Mia madre sta preparando la cena. Non mi guarda mentre varco l’ingresso. Dovrò aspettare di essere seduta al tavolo dove mangiamo per avere l’opinione sua e di mio padre sulla visita di oggi e tutto quello che sottintende.
Senza pensare mi dirigo verso l’Accademia, accanto al Palazzo di Giustizia, dove tra 3 giorni si terrà la Mietitura.
Tre giorni per migliorarmi.
Tre soli giorni dal quel maledetto treno.
Tre giorni e poi dovrò salutare la mia famiglia.
Scaccio il pensiero come una mosca fastidiosa mentre entro nell’ampio ingresso di vetro. Le luci sono ancora accese, anche se dentro non c’è quasi nessuno. Meglio così,  preferisco allenarmi da sola.
Scendo le scale che mi portano alla palestra e, una volta arrivata, dispongo i manichini e inizio a lanciare armi da taglio: coltelli, pugnali, azzardo anche una lancia. Tutti tiri perfetti; ogni lama raggiunge il punto dove dovrebbe esserci il cuore del manichino.
Continuo per un altro po’, aspettando di sentire i muscoli delle braccia doloranti.
Quando rientro a casa i miei sono già seduti a tavola e hanno già iniziato a cenare. Da quando mi alleno all’Accademia hanno perso l’abitudine di attendere il mio arrivo, sapendo che esco sempre per ultima. Mi siedo e osservo per una delle ultime volte i miei genitori.
Mio padre, alto e brizzolato, occhi scuri e sguardo fiero, i muscoli delle braccia che ancora si intravedono sotto la maglietta nonostante l’età. Orgoglioso e prepotente, mi ha insegnato a lanciare il mio primo coltello, una delle poche volte in cui si è comportato in modo paterno. Non siamo andati mai molto d’accordo, forse perché abbiamo lo stesso carattere.
Poso lo sguardo su mia madre, piccola, fragile ma allo stesso tempo forte. Da lei ho ripreso il fisico. Ha un carattere riservato,  poco loquace, ma non si lascia sottomettere da nessuno se non da mio padre. Quando si deve decidere qualcosa è sempre lui che sceglie e lei non parla se non per acconsentire a ogni sua parola. Mi dispiace per lei, a volte.
Arrivati al dessert (torta di fragole con cioccolato e ananas caramellata) decido di prendere l’argomento.
“Oggi è arrivato il funzionario di Capitol City” mi rivolgo a mio padre. Alza per un attimo lo sguardo dal dolce e intravedo un lampo di ansia sfrecciarvi  dentro, ma non posso osservare meglio perché torna di nuovo sul piatto. Mia madre ha un gemito. Posso capirla, sono la sua unica figlia.
“Bene” risponde mio padre,  “ ti consiglio di allenarti ancora di più allora”. Dal tono con cui parla sembra che la questione non lo tocchi minimamente,  sembra che non debba essere sua figlia a salire su quel treno fra 3 giorni e a lottare per non  morire contro altri 23 ragazzi.
Annuisco e basta, capendo che non ci saranno altre parole da parte sua.
Finisco il dolce in  silenzio e, mentre mi alzo per andare in camera mia, scorgo mia madre che si asciuga una lacrima prima che le cada sul viso.




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