1917
- Sconosciuti per la Patria
di
Trick
08
novembre 1917
Grattandosi
cogitabondo il mento sbarbato, Giovannino tentò di
individuare
fra le tre carte che stringeva nella mano sinistra la più
indicata per rispondere alla mossa appena effettuata dal compagno;
questi, lo fissava con un guizzo ironico degli occhi scuri e
arrossati, sicuramente divertito dall'espressione persa del giovane.
Con uno sbuffo nervoso, optò infine per la giocata che
avrebbe
causato meno danni al corso della partita. Regalò dieci
punti
all'avversario e gli scoccò un'occhiata stizzita.
Franco
ridacchiò sommessamente, raccogliendo le due carte dal legno
marcio della cassetta su cui si erano appoggiati e accatastandole
malamente nel mazzo dei propri punti.
«Ottima
scelta» lo canzonò.
Giovannino
si limitò a pescare speranzoso un'altra carta, invocando
silenziosamente la propria fortuna.
Cinque
di coppe.
Dannazione.
Alzando
gli occhi, Franco scrutò il grigiore che negli ultimi minuti
aveva reso sempre più cupo e minaccioso il cielo; pallido e
soffocato dalle nuvole plumbee, il sole novembrino era a malapena
visibile.
«Sembra
che vogliano venire giù pure i santi»
commentò.
Giovannino
guardò vagamente interessato verso l'alto, mormorando un
flebile e indifferente assenso. «Tocca a te».
«Hai
fretta?» ribatté con un sorriso storto.
«Devi
andare da qualche parte?»
Incarcando
pesantemente un sopracciglio, Giovannino gettò il cinque di
coppe sul tavolo. «Perché me lo chiedi?»
Franco
alzò le spalle. «Era una battuta»
rispose. «Per
me lo era».
«Non
ha fatto ridere».
«Non
lo avrei mai detto».
Giovannino
sollevò lo sguardo dalla propria mano, fissando torvo il
compagno. «Che significa?»
«Che
a sentire come parli, tu non hai assolutamente fretta di andare da
nessuna parte» disse laconico Franco, ghignando appena mentre
pescava un'altra carta.
«Fretta?»
ripeté confuso, incapace di comprendere l'eloquente occhiata
che Franco gli rivolse. «Di fare cosa?»
«Di
fare le tende, Giovannino. Di lasciarsi alle spalle tutto questo
fango e di tornartene a casa» rispose, indicando vagamente le
malridotte palizzate della trincea. «O sbaglio?»
«Sì.
Ho voglia di tornare a casa. Ma il nostro posto è
qui»
chiarì con decisione, come se una simile affermazione fosse
sufficiente a concludere il discorso appena accennato.
«Parla
per te. Il mio posto è a casa, da mia moglie e dai miei
figli».
«Non
avrai più una casa se non vinciamo»
ribatté
sprezzante Giovannino. «Non ci sarà più
niente».
Franco
scoppiò a ridere. «Ma senti cosa mi tocca sentire!
Credi
davvero che vincere o perdere cambierà la nostra
vita?»
«L'Italia
non può perdere».
«Appunto.
L'Italia. Noi, sì».
«E
noi non siamo forse italiani?» s'infiammò
Giovannino,
sbattendo con forza le carte sulla cassetta. «Non stiamo
forse
combattendo per la nostra libertà, per i nostri diritti, per
le nostre-»
«Beata
ingenuità» lo interruppe con un sorriso triste
Franco.
«Io lotto per portare a casa la pelle. Che vincano i crucchi,
o
i nostri, a me non interessa».
«Preferiresti
vivere sotto il nemico?»
«Che
differenza può mai esserci fra un ricco austriaco e un ricco
italiano? Sempre ricchi sono».
Giovannino
abbassò offeso il capo. «Parli di questa guerra
come se
fosse inutile».
«Perché,
non lo è?»
«È
per la nostra libertà che stiamo qui. Come può la
libertà essere inutile?»
«Morire
ammassati come mosche, Giovannino, non è libertà.
Libertà è scegliere se davvero vuoi fare una fine
del
genere. E per quanto mi riguarda, io non ne ho la minima voglia. Mi
ci hanno costretto, a venire in questo schifo, cosa credi?»
«Voglio
vedere se parlerai ancora così, quando la guerra
sarà
vinta».
Franco
ridacchiò di nuovo. «Voglio vedere se ci saremo
ancora,
quando la guerrà sarà vinta».
«Pusillanime»
mormorò a denti stretti Giovannino. «Saremo degli
eroi,
una volta tornati a casa».
«È
per questo che combatti, dunque? Sete di gloria?»
«È
per l'Italia che combatto! È per un fututo migliore per
tutti!
Non posso credere che il tuo unico obiettivo sia quello di tornare a
casa. Quando gli austriaci irromperanno a casa tua e distruggeranno
la tua città, allora ti darai dello stupido per non aver
dato
tutto ciò che potevi dare alla causa».
Franco
scosse mestamente il capo. «Se mai gli austriaci dovessero
irrompere in casa mia» mormorò,
«preferirei di
gran lunga essere con la mia famiglia».
«A
farti ammazzare da degli austriaci».
«E
cosa facciamo qui? Scampagnate fra le cannonate?»
«Io
lotto per ciò in cui credo, Franco»
ribetté
risoluto. «L'Italia è il mio paese, e ho
intenzione di
difenderlo fino alla fine, anche con la vita, se è
necessario.
Dovranno spararmi tutte le loro munizioni per impedirmi di
farlo».
«Figurati»
rispose l'altro. «La tua è una mera illusione,
Giovannino, cerca di capirlo. Questa non è la nostra guerra,
non l'abbiamo voluta noi. Perché dovremmo combattere per
qualcosa che non abbiamo voluto? Per qualcosa che ci hanno imposto di
fare?»
«Forse
non l'abbiamo voluta noi, ma restiamo pur sempre italiani».
«Non
è un motivo abbastanza valido per morire per l'Italia. Non
per
me, almeno».
Indignato
e desideroso di congedarsi in fretta con Franco, Giovannino
pescò
l'ultima carta del mazzo.
Il
fante di spade.
«Dammi
retta, giovanotto» disse Franco, scrutandolo al di sotto
della
frangia di capelli sporchi. «Slega la benda che ti copre gli
occhi e guarda la vera faccia di questa guerra. Stiamo morendo per
accrescere i soldi e il potere della classe ricca, tutto qui. E di
quei soldi, e di quel potere, noi non vedremo nemmeno l'ombra. A loro
non importa degli italiani, a loro importa solo di ciò che
possono offrire gli italiani».
«Non
possiamo lasciare che gli austriaci vincano»
tagliò
corto Giovannino. «Dobbiamo unire le forze e-»
«Settantadue
punti» lo interruppe Franco.
Giovannino
abbassò il capo, accorgendosi solo in quel momento della
conclusione della partita.
Accidenti.
«Rivincita?»
chiese.
Franco
sorrise senza allegria e alzò gli occhi al cielo.
«È
tardi, Giovannino. E non è più il tempo delle
rivincite: la partita è unica e decisiva».
Adamantine
e brillanti, le gocce di pioggia cominciarono a coprire le carte
abbandonata sulla cassetta di legno; immobile e smarrito nei suoi
pensieri più confusi, Giovannino continuava a fissare il
fante
di spade che aveva decretato la sua sconfitta.
E
quello, ghignando altezzoso sotto la pioggia, sembrava schernirlo
beffardo.
12
novembre 1917
Il
vecchio scorse rapidamente con un dito l'elenco di nomi riportati sul
cartellone.
De
Marchi Primo, bla bla, di anni 25...
Mori
Anselmo, bla bla, di anni 36...
Petrucci
Antonino, bla bla, di anni 23...
Trevisani
Giovannino, bla bla, di anni 17...
«Qualcuno
che conosciamo?» domandò nervosamente una donna
alle sue
spalle.
Il
vecchio scosse il capo. «No, tutti sconosciuti».
Caduti
per l'Italia.
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