prologo
The
Borderline, la linea di confine. Questa fan fiction ha una lunga
storia, chi l’ha seguita dall’inizio, sospetto, non mi ha
mai perdonato di averla lasciata incompiuta e, io stessa, me ne sono
sempre dispiaciuta. Così, dopo sei anni, l’ho ripresa in
mano e ho provato a darle il finale che meritava di avere. Ma non solo.
Sei
anni sono lunghi e, rileggendo, mi sono resa conto di non rispecchiarmi
più in molte delle cose che ho scritto. Così, dove ho
potuto, ho riscritto. Mi piace paragonare la revisione che ho compiuto
su questa storia come all’operazione di pulizia effettuata su una
vecchia casa chiusa. Ho aperto le finestre e fatto entrare aria e luce.
Ho tolto i teli dai mobili, spazzato la polvere e cercato di sistemare
ciò che non mi convinceva più. La struttura non è
cambiata, ma c’è più ordine ora. O almeno spero.
Tutto
questo mi è servito per dimostrare a me stessa che la scrittura
è costituita da una piccola percentuale di ispirazione e una
grossa percentuale di forza di volontà. In un mese ho
rivoluzionato quattordici capitoli, riscritto il prologo e l’ho
conclusa. O quasi: sto finendo di scrivere l’ultimo capitolo. Ho
deciso che ne pubblicherò uno alla settimana, perciò
prima di Natale avrete il finale. Lo prometto.
Voglio
dedicarla a tutte le persone che, in questi anni, non hanno mai smesso
di chiedermi di concluderla. Potrà sembrarvi poco, ma per me
significa moltissimo. Sono cambiate tante cose, ma scrivere è
ancora una delle cose migliori che mi siano capitate, e di certo il
merito è un po’ anche vostro.
Spero
che la versione aggiornata possa piacervi quanto vi era piaciuta quella
vecchia e sarò, come sempre, grata a chi vorrà farmi
avere il suo parere. Buona lettura^^
Prologo
‘Per arrivare all’alba non c’è altra via che la notte.’ (Kahlil Gibran)
L’oscurità aveva molti nomi. Uno di questi era notte.
Le piastrelle
erano fredde contro alla pianta nuda dei suoi piedi, ogni passo le
costava fatica. Le ricordava perché era lì e, allo stesso
tempo, le suggeriva quanto fosse sbagliato quello che stava per fare.
Eppure andava avanti, guidata da una forza troppo oscura perché
potesse opporle la dovuta resistenza. Era una forza che le toglieva
qualunque volontà e la guidava oltre i limiti di ciò che
le era consentito. Aveva provato a ignorare quel richiamo, gli dei solo
sapevano quanto si fosse opposta alla sua voce suadente. La chiamava,
quella voce, la voleva. Da quando viveva a palazzo, le risuonava nella
testa più spesso di quanto avrebbe voluto; ma avrebbe mentito a
se stessa se si fosse detta che, negli anni lontani da Solaria, non
l’avesse mai sentita. Quella voce le parlava da molto tempo prima
che lei varcasse i confini del ducato, le parlava da sempre. Lei,
però, non si era mai chiesta cosa volesse. Non prima di quella
sera.
La candela che
teneva in mano produceva ombre sinistre, rimbalzavano sui muri
del corridoio che stava percorrendo, diretta ai sotterranei. Nessuno
aveva il permesso di scendere laggiù, nemmeno lei. Stava
contravvenendo alle regole perché la voce le aveva imposto di
farlo. La voce era forte, più forte di tutto. Resistere era
faticoso, richiedeva un impegno e una concentrazione che la sfinivano.
Non riusciva più a lottare con essa, poteva solo assecondarla.
Scese una lunga e stretta scala e sbucò in un’ampia stanza
circolare. Il soffitto era basso, l’aria era umida ed emanava un
afrore marcescente. Capì di trovarsi nelle viscere della terra,
là dove i confini tra il mondo della luce e quello delle tenebre
si sfioravano, compenetrandosi, e un brivido le percorse la schiena.
La cera della
candela che teneva in mano le gocciolò sulle dita. Faceva male,
ma servì a ricordarle che era viva. In quel luogo buio e freddo
era facile dimenticarsene.
Allungò la fiamma davanti a sé e illuminò un’ampia porzione di parete.
Lì, davanti a lei, c’era la porta.
Era coperta da un
panno scuro, ma la riconobbe. L’aveva vista spesso in sogno. La
voce l’aveva condotta laggiù per un motivo, un motivo ben
preciso: lei era in grado di indagare l’oscurità, di
vedere attraverso la porta di specchi. Lei era la chiave che avrebbe
potuto spalancare quel passaggio. Quello era il suo destino, niente
avrebbe potuto cambiarlo. La profezia parlava chiaro: avrebbe ceduto al
suo lato oscuro. Non importava quanto lontana l’avessero mandata,
sarebbe tornata e avrebbe assecondato l’ombra che c’era in
lei, questo era stato predetto alla sua nascita. E infatti, ora era
lì.
Indugiò,
la mano che sfiorava il drappo nero. C’era qualcosa di sbagliato,
lo sapeva. Ma non poteva fermarsi, non dopo essere arrivata
laggiù. Non si sfugge al proprio destino. Lasciò che il
telo cadesse a terra, rivelando la porta. Era incastonata in una
cornice d’ebano, e rifletteva il suo volto spaventato. Dopo
alcuni secondi, tuttavia, al suo volto se ne sovrappose un altro. Aveva
contorni indefiniti e sembrava galleggiare in un mare di nebbia. La
voce che la ossessionava da tutta la vita apparteneva a lui. Tese una
mano verso di lei, attraverso la superficie liscia e lucida dello
specchio e lei vide che le sue dita erano pallide e ossute come quelle
di uno scheletro.
“Aprimi. Togli i sigilli e lasciami passare, so che lo puoi fare. Ti aspetto da sempre…”
Istintivamente si
ritrasse da quella visione, ma qualcosa la trattenne. L’aveva
portata sin lì, ora non l’avrebbe lasciata andare. Non
così facilmente.
“Io… non posso” sussurrò, debolmente.
“Certo che
puoi. Non ti ho aspettato invano, il tuo destino è questo.
Lasciami passare e io ti ricompenserò. Avrai tutto ciò
che desideri, farò di te la mia regina. Devi solo consentirmi di
varcare il confine…”
Senza volerlo,
lei allungò una mano verso il vetro. Vibrava come l’acqua
solo apparentemente immobile di un lago, e nascondeva abissi
profondissimi. L’essere senza tempo che la aspettava fece
altrettanto. Vide le sue dita ossute tendersi verso di lei e
provò l’impulso di ritrarsi. Voleva voltarsi e fuggire da
quella visione spaventosa. Ma le sue gambe erano di gesso e sentiva la
lingua incollata al palato. Le sue dita attraversarono lo specchio,
sfiorando quelle della creatura fatta di ombre. Fu allora che accadde.
Lo specchio sottile che li divideva iniziò a tremare, sul punto
di cedere. Sul punto di andare in mille pezzi.
Spaventata, provò a indietreggiare, ma l’essere la agguantò, trattenendola.
“Togli i sigilli, finisci ciò che hai cominciato. Lasciami passare!”
“No!”
Il suo potere era
forte, ne ebbe la prova in quel momento, quando, con forza, si ritrasse
da lui. Ma era tardi, il loro contatto aveva reso i confini più
labili. Li aveva resi fragili. Sentì la creatura gridare di
frustrazione quando lei gli sfuggì. Un lungo gemito rabbioso.
“Tornerai da me. Tornerai” promise quell’essere senza tempo, svanendo nella nebbia.
Lei
arretrò; la mano le tremava, la candela cadde e una scintilla
raggiunse il drappo scuro che aveva coperto la porta. Il fuoco
divampò, le fiamme avvolsero ogni cosa e un fumo denso e nero si
sollevò attorno a lei. L’aria era bollente, respirare
divenne faticoso. Immaginò il palazzo che bruciava e il suo
unico pensiero fu per la bambina. Aveva giurato che se ne sarebbe presa
cura, che l’avrebbe protetta. Iniziò a correre, mentre
l’orlo della sua veste sprizzava scintille e ogni cosa, intorno a
lei, veniva consumata dalle fiamme. Corse fino a sentire il cuore
scoppiare, fino a non avere più fiato nei polmoni. Corse, e non
sentì la vampa che la avviluppava lentamente, che le consumava
la carne. Se ne accorse solo quando, ormai, era troppo tardi. Troppo
tardi… o forse no?
Sentì un
campanello che suonava, nel buio. Seguì la sua melodia. Se
c’era un prezzo da pagare, decise, l’avrebbe pagato.
L’oscurità
aveva molti nomi. Uno di questi era notte e solo chi aveva la notte
negli occhi avrebbe potuto guardare oltre la porta di specchi e
rimediare al terribile errore che lei aveva commesso. Il suo compito,
adesso, era trovarlo e condurlo lì.
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