Visita ad Azkaban
Visita ad Azkaban
Una fredda goccia di pioggia
cadde su una lente fatta a mezzaluna di un occhiale elegantemente portato da
un’uomo alto e magro, una lunga barba grigia dondolava come un pendolo, su un
mantello di stoffa cangiante e di una tonalità verde smeraldo, ricamato con
graziosissimi quadrifogli colorati di un verde più chiaro.
Le quattro del pomeriggio di una
tetra giornata di luglio, sembravano le quattro del pomeriggio di un mese
perlopiù autunnale; oramai erano più di due ore che questo strano individuo
camminava su un sentiero formato da ciottoli di tutte le dimensioni; in
lontananza si sentiva uno scuotere di onde, come si sente in una passeggiata sul
lungomare; il rumore mano a mano che l’uomo si avvicinava diventava sempre più
forte, ad un certo punto il sentiero prima formato solo da pietre rese tonde
dall’acqua ora si stava mischiando a sabbia finissima, e di un bianco talmente
intenso che sembrava neve.
Ora il mare sembrava vicinissimo,
un’enorme masso sbarrava il sentiero, l’uomo ci si avvicinò, tese una mano,
quasi svogliato, e pronunciò delle parole in una strana lingua, subito
l’imponente ostacolo scomparve, lasciando spazio ad un panorama memorabile,
mozzafiato.
Una spiaggia cosparsa della
stessa bianchissima sabbia del sentiero, un mare violentemente mosso da un
burrascoso vento, e in lontananza un isola, che ospitava su di essa un’enorme
edificio, come una grossa fortezza. Urla e lamenti si udivano provenire da
quell’edificio, nonostante la notevole distanza, l’uomo si incantò per un attimo
a quella vista, sembrava attratto dai rumori e dalle urla, poi borbottò
qualcosa, questa volta in lingua comprensibile:
-Meno vengo qui ad Azkaban meglio
mi sento.-
Non si aspettava che qualcuno
ribattesse alla sua affermazione, invece:
-Giorno Albus, come hai detto?-
Questa volta a parlare fu un uomo di media altezza decisamente magro, e con
indosso una tunica totalmente nera, che lo faceva somigliare ad un boia,
tuttavia senza il cappuccio in testa, aveva il volto bianchissimo e la pelle era
raggrinzita, rovinata, come se restare in quel posto ne facesse risentire del
suo aspetto, come se gli accelerasse l’invecchiamento.
-Oh! Armand, buongiorno, no nulla
parlavo tra me e me.- Disse Albus Silente.
-Quali faccende portano la tua
imponente presenza qui ad Azkaban?- Domandò Armand.
-Di nuovo qui a cercare di
liberare qualche presunto innocente?- Continuò l’uomo.
Albus Silente, lanciò un occhiata
penetrante, attraverso le lenti ancora spruzzate di pioggia, causando
preoccupazione nel suo interlocutore, dopo una battaglia di sguardi Armand
cedette, e disse:
-Albus il Ministro, Caramell è
stato qui, e mi ha ordinato di non farti arrivare alla prigione, non vuole che
tu metta più in cattiva luce il ministero, facendo rilasciare detenuti per
sentenze errate.-
-Dunque Armand tu intendi
obbedire al Ministro, ti avverto non sei un imponente ostacolo tra me e
Azkaban.- Disse Silente senza preoccupazione, ma facendo risaltare la
minaccia.
-D’accordo Albus ti farò passare,
ma mi devi spiegare cosa intendi fare nella prigione!-
-Devo solo interrogare un elfo
domestico, ma non ti prometto che se riuscirò a dimostrarne l’innocenza non
cerchèrò di riscattarne la libertà.- Rispose Silente.
-Molto bene, sai come arrivarci,
però devi farmi un favore, non voglio avere grane, quindi schiantami! Almeno mi
devi questo.- Disse Armand in tono deciso.
Silente affondò una mano nella
manica del vestito, e con un movimento impercettibile da qualsiasi occhio umano,
roteò la bacchetta senza parlare, e l’uomo così simile ad un boia cadde a terra
privo di sensi.
A grandi passi il mago si avviò
verso la spiaggia, con la bacchetta che teneva ancora in mano, fece apparire un
ponte di funi e assi di legno, che collegava la terra all’isola; il ponte era
immune al vento e rimaneva saldo e immobile, quasi come se le funi fossero
congelate e irrigidite.
Attraversò il ponte fino a
giungere sull’isola, interamente fatta di scogli, si arrampicò su di essi
dimostrando di possedere ancora agilità, fino a giungere ai piedi dell’altissimo
edificio, simile ad una torre triangolare; davanti a lui si ergeva un massiccio
portone alto e di legno marcio e deteriorato dal sale dell’acqua, mormorò ad
esso una formula nella stessa lingua usata per il masso, e questo si aprì, dando
spazio ad un corridoio, che portava al centro della torre, che era vuoto, e
sempre triangolare, giunto al mezzo dell’edificio, imboccò una scala, un’enorme
scala a chiocciola che potava sino in cima alla prigione, in quello spazio
centrale figure incappucciate scivolavano a guardia delle celle chiuse solo da
pesanti sbarre di ferro. I dissennatori non si preoccuparono della figura che
camminava libera, forse sapevano che era un mago molto potente, e che avrebbe
potuto spazzarli via con un solo movimento della bacchetta. Albus silente
percorse due giri completi della scala a chiocciola, fino ad arrivare più o meno
a metà dell’altezza di Azkaban, si fermò davanti ad una cella, sopra di essa
c’era scolpito nella pietra cera il numero 562, e appena sotto sempre scolpito
c’era scritto Hokey-condannata per aver
assassinato Hepzibath Smith
Il mago pronunciò un’altra
formula e la cella si aprì, a quel gesto i dissennatori si precipitarono davanti
alla cella, Silente levò la bacchetta e pronuncio: -Expecto Patronum-
Il patronus, una fenice, brillava
argentea, e diffondeva un aura immensa, che costrinse i dissennatori ad
allontanarsi; gli occhi di tutti i detenuti erano puntati su quello spettacolo
insolito, ma Silente non se ne preoccupò, entrò nella cella, e si chiuse la
porta alle spalle.
La stanza era poco più grande di
un armadio delle scope, e una figura, rannicchiata giaceva in un angolo, era
così vecchia e magra che incuteva un misto tra compassione e disgusto, aveva
grosse orecchie da pipistrello, e uno straccio a mò di tunica, ma molto più
sporco e logoro, che copriva per quanto gli era possibile la creatura; l’elfo
domestico non provò alcun interesse per il suo visitatore, non parlava e non
diede segno di volere farlo. Il mago diede un colpo di tosse, ma non migliorò
l’ostinazione della creatura a non voler collaborare; a quel punto Silente disse
con tono dolce:
-Hokey, io lo so che non hai
ucciso nessuno.-
Nessuna risposta, allora il mago
rassegnato levò ancora la bacchetta, la puntò sull’elfo, e pronunciò
sonoramente: -Legillimens.-
Subito l’immagine della cella
sfocò, e venne come risucchiata nella pupilla dilatata dell’elfo, e Silente
entrò nella sua mente:
Si trovò in un salotto, davanti
ad una signora vecchia e molto grassa, si stava puntellando le guance con un
grosso pennello, mentre controllava la sua immagine in uno specchio tempestato
di pietre preziose; poco dopo le fu ordinato di andare ad aprire la porta, lei e
la sia immensa padrona aspettavano un ospite; poco dopo tornò accompagnata da un
alto giovane, dopo che il giovane porse dei fiori alla padrona, fu ordinato ad
Hokey di andare a prendere i due più importanti tesori, di un infinita
collezione, tornò con due scatole di pelle; di li a poco Silente li riconobbe,
uno era il medaglione di Serpeverde, e una la coppa di Tassorosso. Dopo che i
tesori furono mostrati e fatti esaminare dal ragazzo alto, fu ordinato all’elfa
di riporli al solito posto, e con i soliti incantesimi di protezione.
Silente interruppe il contatto,
aveva ciò che gli serviva, appoggiò la bacchetta sulla fronte della creatura,
spaventata e ancora rannicchiata nell’angolo, e ne estrasse un denso filo
argentato, che ripose con cura in una bottiglietta con in tappo di sughero; si
avviò verso la porta, e prima di uscire fece una promessa che non mantenne,
disse: -Farò in modo di liberarti.-
Chiuse la porta della cella, e
mormorò un altro incantesimo nella strana lingua per chiuderla magicamente; il
suo patronus volava ancora tra i dissennatori, poi si diresse verso il suo
proprietario, e lo accompagnò giù dalla scala, sino ad arrivare al corridoio, e
poi alla grossa porta di legno marcio; Silente spezzò l’incantesimo e la fenice
d’argento svanì.
Uscito dal portone chiuse anche
quello con l’incomprensibile lingua, e si avviò verso gli scogli, che superò con
scioltezza, pur essendo in discesa, giunto al ponte lo imboccò velocemente, e in
pochi minuti fu di nuovo sulla spiaggia di sabbia finissima; Armand era ancora
per terra privo di sensi, in una strana posizione, a pancia in giù e a gambe e
braccia distese, come una grossa stella.
Albus Silente lo ignorò, voleva
mantenere la parola data, e lo lasciò così, di modo che il ministero non
attribuisse la colpa ad Armand. Camminò sino al masso che nel frattempo era
riapparso, pronunciò l’incantesimo, quello svanì nuovamente, attraversò il punto
dove l’incanto fidelius e quello gnaulante esaurivano il loro effetto, e si
smaterializzò; una consueta pressione su tutto il corpo, e in un batter
d’occh9io si ritrovò nel vicolo della Testa di Porco, e così si avviò verso la
scuola di Hogwharts.
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