“I rapporti non hanno mai
niente a che
vedere con il buon senso”
Absolutely conducted coffee
-
Piantala-.
-
Cosa?-.
-
Hai capito benissimo. Piantala,
Booth-.
-
Ma io …-.
Lei
lo fumina con lo sguardo.
Un’occhiata in tralice, di quelle di cui solo lei
è capace.
Seeley
Booth tace, soffocando un
sorriso: alza le mani in segno di resa.
-
Okay, okay … - borbotta.
-
E metti giù quel teschio-.
-
Fatto-.
-
Rimettilo dov’era, Booth
…-.
Lui
ubbidisce, le gote lievemente
arrossate: un po’ gli viene da ridere, un po’ gli
occhi severi di Temperance
Brennan lo fanno sentire abbastanza stupido. A ragione, forse.
Mentre
appoggia il teschio sul
tavolo da lavoro, la osserva di sottecchi: concentrata, il viso
affilato
rischiarato dalla luce tiepida del laboratorio, le mani ferme.
È una contemplazione,
la sua.
-
Tra l’altro non sei stato
nemmeno originale-.
La
voce di lei lo distoglie, da
quella contemplazione:
-
In che senso?-.
-
Prendere un teschio e fare il
cretino imitando l’Amleto …-.
-
Bones, sei acida-.
-
E tu sei un bambino-.
-
Però sono un bambino
simpatico-.
Lei
stacca gli occhi dallo
scheletro per fissarli su di lui. Incrocia le braccia:
-
Questo è tutto da dimostrare-.
Booth
appoggia le mani sul
tavolo: sorride, la cravatta allentata, le maniche della camicia
arrotolate
fino ai gomiti. Temperance Brennan sostiene il suo sguardo sfrontato:
lui ha
l’aria stanca, del resto sono le dieci di sera e nessuno dei
due dovrebbe
essere lì. Ma lo scheletro è arrivato nel tardo
pomeriggio, e Temperance non è
riuscita a resistere. Lo hanno trovato in una cava abbandonata, forse
risale al
diciannovesimo secolo: troppo, per tornarsene a casa, ingoiare un hot
dog e
poggiare la testa sul cuscino. Però lui è voluto
restare. Al Jeffersonian. Con
lei.
Anche
se è tardi, anche se è
stanco.
Con
lei.
Booth
sbadiglia:
-
Non hai fame, Bones?-.
Lei
tiene in mano una clavicola
annerita:
-
Non particolarmente-.
-
Nemmeno se ci facciamo portare
due hot dog?-.
-
No, grazie-.
-
Cinese? Pizza italiana?-.
-
Grazie, Booth, ma sono a posto
così-.
Lui
alza le spalle, con un
sospiro:
-
Vorrà dire che andrò a prendere
due caffè-.
-
Questa è una buona idea-.
Temperance
lo guarda con la coda
dell’occhio alzarsi, stirare le braccia, lanciarle uno
sguardo perplesso. Segue
la sua sagoma che scende le scale, le ampie spalle tese sotto la
camicia
bianca. Pensa che non lo ha nemmeno ringraziato per essere rimasto.
Pensa
che, forse, prima avrebbe
dovuto dirgli di sì, perché in realtà
un po’ di fame ce l’ha.
Ma
ha paura: Temperance Brennan
ha paura di quello che non capisce.
E,
tra le cose, che non capisce c’è
il suo stomaco che si è contratto in quel modo, quando Booth
le ha sussurrato
che sarebbe rimasto al Jeffersionan con lei, poche ore prima. Glielo ha
detto
mettendole una mano sul braccio, e lo stomaco di Temperance ha fatto
uno strano
salto.
Non
capisce, e le fa paura.
Esattamente
come la terrorizza la
prospettiva di mangiare con lui. Da soli.
Non
come fanno sempre al Diner.
Al Diner c’è gente, un tavolo tra i corpi, tante
cose di cui parlare.
Si
accontenterà di prendere un
caffè, quindi: meno pericolo, di sicuro.
Assolutamente
più gestibile.
Assolutamente.
Questa è una buona idea.
Seeley
Booth stringe tra le mani
due caffè bollenti. Però è riluttante,
all’idea di tornare da lei.
Questa è una buona idea.
Fredda
come al solito.
Distaccata.
Però
Bones non è sempre così,
Booth l’ha scoperto col passare del tempo. Bones è
anche altro.
Un
altro da cui lui ha scoperto di non
essere in grado di rimanere
troppo lontano.
I
caffè gli scottano i palmi, ma
rimane immobile, ai piedi della gradinata.
Lei
è lassù, con occhi solo per
le ossa che le hanno portato qualche ora prima. Non ha fatto nessuna
fatica,
Booth, a offrirsi di farle compagnia. È stato spontaneo. E
non è pentito.
Quindi,
razionalmente, non
capisce la titubanza che gli blocca le gambe.
Sta
in piedi come uno scemo, la
camicia un po’ fuori dai pantaloni, i caffè in
mano.
Bones
è al di là della gradinata,
china sul quel che resta di un morto. Come sempre, in fondo.
Però
Booth ha quasi la sensazione
di essere di troppo.
La
sensazione che forse lei
sarebbe stata benissimo anche senza di lui: uno scheletro su cui
lavorare, le
luci lievi del Jeffersonian di sera, il silenzio di vetro attorno.
Nessun
bisogno di compagnia.
Soprattutto
di quella di uno che
fa lo scemo con il teschio di un morto secolare.
E
che fa persino fatica a fare
una rampa di scale, mentre i caffè gli bruciano le mani.
-
Tieni-.
-
Grazie, Booth-.
Temperance
appoggia gli attrezzi
e fa il giro del tavolo.
Prende
il bicchiere che Booth le
sta porgendo, e si siede di fronte a lui. Ha fatto bene, un
caffè è più che
gestibile: due minuti per berlo, una chiacchiera veloce, e poi di nuovo
a lavorare
sullo scheletro. Pericolo azzerato.
-
Caspita, è bollente-.
-
Non dirlo a me, mi sono
ustionato i palmi - dice Booth, con un mezzo sorriso.
E
lo stomaco di Temperance si
contrae.
Ancora.
Booth
la guarda per qualche
istante, in silenzio: la guarda sorseggiare piano il caffè,
i grandi occhi che
spuntano al di sopra del bicchiere. Si sente strano. La parola
più adatta che
gli viene in mente.
E
anche quella con meno
significato: strano può
voler dire
tutto o niente.
Ma
lui non è mai stato bravo a
dare definizioni.
-
Sei stato gentile a rimanere.
Se sei stanco puoi anche andare, davvero- mormora lei.
L’espressione
di Booth diviene
indecifrabile:
-
Io sto bene, Bones, ma se
preferisci restare sola non c’è problema-.
-
Non ho detto questo-.
-
Non preferisci rimanere sola?-.
-
No, non è questione di quello
che preferisco …-.
-
Allora resto-.
Silenzio.
Booth
sente la tensione che si
sprigiona dal suo corpo. La sente tra loro, sospesa e sottile.
Ma
è abbastanza per fargli venire
voglia di affogarsi nel caffè e non parlare più.
I
capelli di lui sono un po’
arruffati, e a Temperance scappa un sorriso: è insolito
vederlo così
scarmigliato. Però gli dona:
Booth è
quel tipo d’uomo che manterebbe il suo fascino anche coperto
di fango e con una
banana in testa. Il caffè le scotta la lingua, a quel
pensiero.
Non
sono considerazioni sensate.
Non
sono considerazioni gestibili.
-
Booth, davvero, puoi andare a
casa. È tardi, è tutto il giorno che lavoriamo-
dice a mezza voce.
Non
sa esattamente perché l’ha
detto.
O
forse sì, forse lo sa, perchè
vedere l’espressione di lui la rassicura un po’:
ora è arrabbiato e se ne andrà,
e con lui svaniranno le contrazioni allo stomaco e il caffè
che sembra non
finire mai.
Un
meccanismo contorto.
Booth
annuisce, abbassando gli
occhi.
Appoggia
il bicchiere vuoto sul
tavolo vicino. Quando torna a guardarla, non sorride:
-
D’accordo. Mi dispiace di
averti disturbato-.
Si
alza, le mani in tasca.
E
Temperance la sente salire
dentro di sé: improvvisa, inaspettata.
Rabbia.
-
Io non ho detto questo- ribatte,
secca.
-
Rispondi sempre con la stessa
frase: io non ho detto questo-.
-
Perché è la verità, Booth-.
-
È qui che ti sbagli. L’hai
detto, Bones: non letteralmente, forse-.
-
Quindi non l’ho detto
affatto!-.
-
Si chiama leggere tra le righe,
sai?-.
Adesso
anche lei è in piedi.
Stringe
in una mano il suo
bicchiere di caffè e lo fissa negli occhi:
-
Dovresti smetterla di farlo,
allora. Non è un atteggiamento razionale, porta a chiare
incomprensioni, come
puoi vedere-.
Lui
scuote la testa, le mani sui
fianchi.
-
Perché tu non mi hai
disturbato, non mettermi in bocca parole che non ho
pronunciato!-.
-
Bones, certe cose non si dicono
direttamente, ma non bisogna essere un genio per cogliere determinate
sfumature-.
-
E immagino che tu ti consideri
bravissimo a cogliere queste sfumature ...-.
-
Sì, sono bravissimo. Caso vuole
che sia il mio lavoro. Esattamente come tu ci sai fare coi morti-.
-
Questo è un clichè. Banale, tra
l’altro: giochi sempre al poliziotto intuitivo e sensibile
contro l’antropologa
razionale e cinica- sibila Temperance.
Adesso
sono vicinissimi.
Così
vicini che riesce a sentire il
respiro di lui.
-
Non sviare la questione. Stiamo
parlando del fatto che avresti potuto anche dirmelo, Bones-.
-
Che cosa, avrei potuto dirti?-.
-
Che potevi fare benissimo a
meno della mia presenza, stasera-.
-
Sei arrabbiato?-.
-
Sì, sono arrabbiato-.
-
Bè, anche io sono arrabbiata.
Perché crei problemi che non ci sono-.
Vicinissimi.
Booth
riesce a percepire il
calore del fiato di lei.
-
Ah davvero? Molto bene: allora
io non sono arrabbiato. Sono furioso-.
-
Allora buttati un po’ di caffè
in testa e vedrai che ti passa-.
-
Sei impossibile-.
-
E tu sei uno stupido-.
Silenzio.
Rimangono
così per qualche
istante, a pochi centimentri, la rabbia che colora il viso di
Temperance di un
rosso acceso, l’espressione di Booth tra il feroce e
l’esasperato. Ansima un
po’.
Temperance
si accorge che le sta
fissando la bocca. Altra contrazione allo stomaco.
Rabbiosa,
stavolta.
-
Hai … sei sporca di caffè-
mormora Booth con voce roca.
-
Cosa?-.
-
Hai del caffè sulla bocca. Lì,
nell’angolo-.
Temperance
deglutisce, alza una
mano, incerta, e la porta alla bocca:
-
Dove?-.
-
Nell’angolo. A … a destra-.
Ma
è la mano di Booth a essere
più rapida.
A
precedere la sua.
Il
pollice di lui le sfiora un
angolo della bocca, con delicatezza.
Temperance
non si accorge di
socchiudere gli occhi, mentre la macchia di caffè
s’imprime sul dito di lui. Ma
Booth non lo sposta: continua ad accarezzarle l’angolo della
bocca, e in questo
momento ha il cervello spento, riesce solo a percepire la vicinanza
della bocca
di Bones.
La
pelle liscia sotto il suo
pollice.
Lei
riapre gli occhi: quelli di
lui sono vicini, grandi, lucidi. Quasi neri.
È
un attimo, un black out.
Le
labbra di Booth sfiorano le
sue, dapprima incerte, poi la bocca di lui le copre completamente.
È
solo un toccarsi, ma poi Temperance
serra gli occhi e schiude la labbra, e allora il respiro di Booth si
mescola
col suo fiato, caldo, veloce. Sente la mano di Booth sfiorarle una
guancia,
mentre il bacio si fa più profondo, più rabbioso,
a cercarsi reciprocamente le
lingue, le labbra stesse.
Seeley
beve il respiro di lei, e
tutta la rabbia si riversa nella sua bocca, una mano ad accarezzarle la
pelle
liscia di una guancia, e Bones che fa un passo in avanti, i corpi uno
contro
l’altro.
Poi.
D’un
tratto.
-
Auch!-.
Qualcosa
di bollente gli è finito
sulla camicia, altezza ventre.
-
Ma cosa …-.
Si
staccano all’improvviso, e
abbassano gli occhi.
Il
caffè del bicchiere di
Temperance è finito su di lui, scottandolo.
Booth
cerca gli occhi di lei:
-
Il tuo caffè …-.
-
Mi … dispiace- borbotta, sorridendo.
Non riesce a trattenersi
Booth
ha una mano appoggiata al
ventre ustionata e un dito puntanto contro di lei:
-
Tu … tu stai ridendo, Bones!
Trovi la cosa divertente!-.
-
Un po’, sì-.
Stavolta
sorride apertamente.
Ha
le labbra arrossate, il respiro
ancora ansante, gli occhi lucidi.
Seeley
apre la bocca per dire
qualcosa, la pelle scottata brucia, ma le parole gli muoiono tra le
labbra.
Si
fissano in silenzio.
Il
bicchiere rovesciato è per
terra.
È
Temperance a rompere il
silenzio.
-
Fammi dare un’occhiata, Booth-
dice, schiarendosi la voce.
-
Un’occhiata?-
-
Sì. Alla … scottatura-.
Lui
non replica, mentre
Temperance gli si avvicina.
Le
dita agili di lei gli sfiorano
la camicia: inizia a sbottonargliela, senza guardarlo. Booth la lascia
fare:
non ci sta capendo niente, prima il litigio, poi quello,
poi il caffè, e ora Bones che lo spoglia.
Sussulta,
quando la mano di lei
gli sfiora le pelle nuda del ventre.
-
Okay, niente di grave. Sei
salvo, direi- sussurra.
Non
sposta le dita.
-
Grazie per la bella notizia-.
-
Era solo caffè, in fondo-.
-
Già-.
Gli
occhi di Booth cercano i
suoi: Temperance ricambia lo sguardo, pensando che è
bellissimo. Bellissimo,
con la camicia sbottonata e i capelli scarmigliati.
-
Allora?- mormora.
Lui
si avvicina appena:
-
Allora?-.
Temperance
si morde un labbro:
-
Sei … sei ancora arrabbiato?-.
-
Moltissimo-. Sorride: - E tu?-.
-
Anche io-.
Si
guardano.
La
mano destra di Booth prende la
sua, ancora appoggiata sulla scottatura.
Il
viso di lui si fa più vicino:
-
Potremmo fare pace sul tavolo
dove c’è lo scheletro …-.
Le
bocche si incontrano,
sfiorandosi. Le parole di lei nella bocca di lui.
-
Niente affatto … Devo finire-
sussurra lei.
-
Dimentichi che mi hai appena
sbottonato la camicia-.
-
Solo per ragioni mediche …-.
-
Sei impossibile, Bones …-.
-
E tu sei uno stupido-.
Il
caffè rovesciato per terra è
illuminato appena dalle tiepide luci del laboratorio, vicino due sagome
si
abbracciano, i respiri affrettati, le ombre lunghe sul pavimento.
Solo
un caffè: meno pericolo, di
sicuro.
Assolutamente
più gestibile.
Assolutamente.
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