Scrive,
scrive e ancora scrive.
Usa
il muro come fosse una tela, un foglio bianco, un mezzo per esprimersi.
Harry,
sedici anni racchiusi in ricci e occhi verdi, pantaloni larghi su gambe
lunghissime e una felpa per coprirsi dal freddo di quella notte che non
sembra più tanto scura, disegna. Rosso, verde, giallo, forme
e colori che s’imprimono su un muro che dovrebbe restare
immutato, ma che per opera sua non sarà più come
prima.
Da
un anno a questa parte Harry Styles esce tutte le notti per dipingere i
muri, per sentirsi bene anche se sa che le persone normali non
dipingono di notte sui muri per sentirsi bene, non è
così che funziona in genere. Le persone normali leggono,
ascoltano musica, oppure si fanno un bagno caldo. Ma lui se
n’è sempre fregato della normalità
perché lo annoia, è piatta e incolore. E poi
pensa che sia meglio avere un carattere, essere ricordato per qualcosa
che essere grigio e anonimo.
E
poi le mani vanno da se, colorando, come se fosse la cosa
più naturale del mondo e la più facile da fare.
Spesso si sottovaluta, vede i lavori degli altri ragazzi e gli viene
voglia di mollare tutto di getto ma poi si rende conto che non
può rinunciare, perché è troppo
importante per lui, è quello che è. E non vuole
cambiare.
Harry
va a scuola ogni mattina pur non sentendosi parte di quel gruppo di
persone, le trova tutte finte e sbiadite, e si sa a lui piacciono i
colori.
Sa
che in linea di massima è fortunato, ha una famiglia che
tiene a lui, fatta eccezione per il padre, un gatto, Red si chiama
–per il suo colore ovviamente- e degli amici veri, eppure
sente che gli manca qualcosa, o qualcuno. Ancora non l’ha
capito.
Sa
che è giovane e ha tutta la vita davanti per cambiare le
cose eppure ha paura.
Ha
paura di fare le scelte sbagliate, frequentare persone sbagliate e
diventare quello che ha sempre odiato.
Harry
non vuole cambiare. Non vuole perdere quella luce che ha negli occhi
che fin da bambino l’ha contraddistinto.
Non
vuole tagliare quei ricci che tanto ama, di cui va fiero. Come se
fossero merito suo.
Harry
non vuole perdere il sorriso vero che fa quando nascono le fossette che
suona nonna definisce “adorabili”.
Non
vuole perdere quella voglia che ha di amare la vita, non vuole che
qualcuno gliela spenga perché lui è colore.
Harry
non vuole perdere quella genuinità che possiede, credere
sempre che nelle persone ci sia qualcosa di buono. Guardando sempre il
lato positivo delle cose.
Harry
non vuole smettere di amare incondizionatamente.
E
soprattutto Harry non vuole perdere l’orgoglio e la tenacia
che lo fanno andare avanti.
Così,
come un ragazzo troppo cresciuto, in quello che era un parco per
ragazzini, con il suo gruppo di amici, disegna. “Passami la
bomboletta rossa” se ne esce Niall, capelli di un biondo
tinto, giacca di jeans e tanta voglia di vivere.
Niall
è una di quelle persone che lasciano il vuoto dietro di se
quando se ne vanno.
Niall
non molla, stringe i denti sempre, sa che le cose non vanno mai nel
verso giusto e che tutto gira al contrario di come vorrebbe che
andasse. Allora prende Layla –la sua chitarra- la accorda, e
poi Niall inizia a suonare. Finché qualcuno non si unisce a
lui cantando.
Fosse
per lui vivrebbe solo di lei, non farebbe altro che suonare. Lo fa
sentire così bene che per poco tempo si scorda della merda
intorno, di suo padre in prigione e di sua madre che gli dà
la colpa di tutto. Come se un ragazzo di diciassette anni potesse
spingere il padre a spacciare. Ma ovviamente come sempre non dice
niente e suona.
La
sera suona e il giorno canticchia, ovunque. Mentre fa colazione,
andando a scuola, a lezione e mentre torna a casa, rigorosamente a
piedi perché il pulmino costa troppo.
Niall
a scuola ha molti amici, è solare e divertente ma nessuno di
loro sembra conoscerlo davvero. Forse perché poi nonostante
tutto non ama parlare di sé. Parla di musica, di calcio, del
tempo, di qualunque cosa sia tranne che della sua storia.
Ha
paura che sapendo chi veramente è le persone se ne possano
andare. Lasciandolo solo come ha fatto suo padre. E di certo questo
vuole evitarlo.
Niall,
diciassette anni appena compiuti, è sempre stato un tipo
forte, “la vita mi butta giù questo muro?
Perfetto, io ne costruirò un altro” usa come
filosofia di vita quindi sorride e va avanti. Come ha sempre fatto.
Niall
è colui che quella notte di un anno fa quando vide Harry
aggirarsi da solo in quel parco, con l’aria di chi non sa che
farsene della propria vita, gli occhi bassi e un leggero tremore nelle
gambe, gli ha stretto la mano e gli ha detto sorridendo
“Amico, non è tardi per essere da soli? Vieni con
me”. Harry non sapeva nemmeno se fidarsi o no, in
realtà. Beh, dopo tutto capitelo se era notte ed era da solo
e aveva appena incontrato uno sconosciuto che gli aveva detto di andare
con lui. Ma Harry, istintivo e vivace come da bambino, ha accettato,
affidandosi al caso.
E
la fortuna non poteva essere più clemente con lui
regalandogli notti insonni fatte di risate, voci e amici. Li ha
incontrati poco tempo dopo gli altri due, che non potevano essere
più diversi fra loro. Ma va bene così. La cosa
bella è che in quel gruppo puoi essere chi vuoi, sei
accettato comunque. Come una specie di ritrovo comune.
Avevano
anche pensato di darsi un nome ma non gli piacciono le etichette, e poi
che bisogno c’era? Sono solo loro: Harry, Niall, Liam e Zayn.
Zayn
è un tipo strano. Dopo un’altra notte passata ad
ascoltare torna a casa dalle sue sorelle, dai suoi genitori che a
quanto pare non lo conoscono affatto e in quella camera troppo stretta
per i suoi pensieri che sembrano fargli scoppiare la testa.
Zayn
disegna da quando era bambino. Non ricorda nemmeno quando ha iniziato.
Cammina
scalzo per casa sia in estate sia in inverno perché a lui
piace così.
E
guai a chi osa contraddirlo.
Zayn
non si fida della gente, non subito, non di tutti. Non sa
perché ma ci vuole del tempo prima che si apra
completamente, e sa che chi non gli è piaciuto
dall’inizio non gli piacerà mai. Non
può farci niente, è fatto così.
Indossa
giacche di jeans o di pelle, cappelli con la visiera e ha la barba, la
pelle scura e ciglia troppo lunghe perché siano vere. Ha
l’aria un po’ da duro che non lo rispecchia
affatto. Non sa dire le cose giuste al momento giusto.
Non
sa dire quello che prova a parole ma glielo si può leggere
in quegli occhi troppo scuri. È come affogarci, leggere
tutti i pensieri, come un libro aperto. Prevedibile.
Zayn
ha la pelle ricoperta di tatuaggi perché con le parole non
sa esprimersi e questi gli consentono di essere quello che
è. E non gli piace parlare del loro significato
perché in fin dei conti sono suoi, sulla sua pelle.
Ama
prendersi cura delle persone cui tiene anche se non lo dimostra
perché non lo fa per sentirsi dire
“bravo”, lo fa perché ama farlo.
Un
vecchio bar con banconi in lego, sgabelli arrugginiti dal tempo e un
televisore d’epoca è il posto dove lavora. Ha
diciannove anni ormai e di andare all’università
non se ne parla proprio, a detta sua, quindi non gli resta molto altro.
Non che gli piaccia molto come lavoro, ma Zayn sa accontentarsi.
Se
ne sta quasi tutto il tempo zitto, fatta eccezione per qualche volta,
ma Harry sa che chi parla poco sa ascoltare e quindi è con
lui che parla notti intere, di tutto.
Della
sua famiglia, della paura per il futuro e della scuola che non vuole
finire anche se deve farlo. Studiare non è mai stato per lui
e ora si ritrova costretto a fare quello che non avrebbe mai voluto
fare. Per questo la notte fugge per fare quello che vuole e non quello
che deve. Almeno per qualche volta.
Specialmente
nelle notti d’estate quando qualcosa sembra andare
diversamente, come se avessero tutto il tempo che vogliono e si
sentissero padroni del mondo.
Sono
quelle le notti che Harry preferisce: veri amici, una birra e tante
stelle sulla testa. Zayn ascolta, come sempre, a volte
aggiunge qualche commento, a volte gli sorride e capisce. Soprattutto
Harry si sente compreso mentre gli sembra che il resto del mondo parli
una lingua a lui sconosciuta.
Quindi
è come potersi esprimere, un po’ come con i
disegni.
E
poi Harry pensa che siano più belli dopo quei muri, quando
al posto del grigio che li ricopriva ora ci sono colori, forme,
sensazioni. A Harry piacciono i colori. Quando era piccolo passava ore
a dipingere con sua sorella Gemma che ora è lontana e si sta
costruendo la vita con le sue mani e che a lui manca da morire, ma non
lo dice.
Un
po’ come una metafora Harry vorrebbe riempire la sua vita di
colori come fa con quei muri, per quello ci s’impegna come se
fosse la cosa giusta da fare.
“Bel
lavoro quello, Harry!” se ne esce sorridendogli Liam, che
viene nel parco di nascosto dai suoi genitori, rischiando di farsi
scoprire a volte.
Ma
com’era quella cosa che il rischio aumenta
l’adrenalina? Così Liam non rinuncia a vedersi con
i suoi amici. Liam è un bravo ragazzo, canottiera che non
lascia molto all’immaginazione, pantaloni neri della tuta e
un berretto in testa, un luccichio negli occhi. È una di
quelle persone che ti porterebbe la luna se gliela chiedessi,
è sempre stato fatto così, impegnato a fare la
cosa migliore per gli altri e mai per se stesso. Liam Payne
è sempre stato un tipo tranquillo, quello che non fa mai
sega a scuola, non prende note e prende ottimi voti. Ha molti
sogni da realizzare e si chiede se ha abbastanza coraggio per
concretarli tutti. Lo spera veramente.
Non
risponde male ai genitori, non fa mai cazzate e ora a diciotto anni
appena compiuti la gente si aspetta molto da lui.
Com’è ovvio che sia, dopotutto.
Cioè
dai, un tipo così non può che fare le scelte
giuste, no? Uno con la testa sulle spalle che ha una parola buona per
tutti, ma la verità è che Liam è pieno
di paure.
Le
aspettative che la gente ha su di lui lo spaventano, ha paura di
deludere e molto spesso si sacrifica, rinunciando a quello che vuole
fare per fare ciò che deve fare.
Per
questo si concede solo una cosa: disegnare. Così la notte
esce, si vede con Niall, Zayn e Harry e disegna. Disegna senza sosta,
senza seguire un filo logico, solo per il gusto di farlo. Passa qualche
ora così e torna a casa, torna ad essere il figlio modello
che è sempre stato. Come se niente fosse.
Ora,
mentre ci pensa, Harry non ricorda nemmeno perché era uscito
da casa quella sera di un anno prima, forse per comprare le sigarette
che erano finite troppo in fretta, o per fare una passeggiata e
guardare semplicemente le stelle. Si è ritrovato a camminare
senza avere una direzione precisa, giusto per la voglia di stare da
solo, senza sapere che non sarebbe più stato da solo per
tutta la sua vita da quella notte. Harry, sedici anni arrivati troppo
in fretta, tanta paura per il futuro e una bomboletta di vernice in
mano, si ritrova a pensare che uscire quella sera è stata
una delle cose migliori che potesse fare.
Poi
le cose sono andate migliorando. Prima c’erano solo lui e
Niall, che lo fa provare a dipingere e gli fa scoprire che era quello
che voleva fare, ritrovandosi così a parlare di se a un
completo sconosciuto, di quanto tenesse a sua sorella che stava per
partire con suo marito per farsi una nuova vita lontano da
lì, da quella Londra troppo grigia e cupa, priva di colore.
Che Harry ama. Harry se potesse dipingerebbe tutti quei muri grigi di
quella città.
Per
poi parlare di sua madre, di quanto tiene a lei e del fatto che non
glielo sa mai dire. E di un padre troppo lontano e poco presente per
essere definito tale. E si sorprese di quanto fosse facile parlare con
una persona che non sa niente di te, che non si è ancora
fatto un’idea di chi tu sia.
Tutti
sono soliti pensare che la vita dei ragazzi sia facile
perché non ci sono problemi, che pensino solo a divertirsi.
Loro sanno che non è così, per quello si
capiscono, se lo leggono negli occhi il dispiacere che hanno e che si
ostinano a voler nascondere.
Sanno
quanto sia difficile per Harry crescere con un padre che non
c’è mai e la sorella che sta per trasferirsi,
facendolo sentire tremendamente solo in una casa troppo grande.
Sanno
dei problemi economici di Zayn di cui non ama mai parlare ma che lo
distruggono dentro. Sanno anche del padre di Niall finito dentro per
spaccio, di cui si vergogna da morire e giura che non
diventerà mai come lui. Ma tutto questo la gente non lo sa e
la vita è facile perché sono giovani.
Così sono lì anche stanotte, come un tacito
accordo si concedono qualche ora di libertà e riposo da quel
mondo così frenetico che riprenderà solo qualche
ora più tardi.
È
notte e come tutte le altri notti Harry disegna, una fascia marrone
legata in testa per tenere a bada quei ricci che proprio non ne
vogliono sapere di starsene al loro posto, e una felpa larga a
riscaldare il cuore che si sa è sempre troppo freddo per chi
si sente solo. Harry pensa che la sensazione più brutta che
si possa provare sia sentirsi solo in una stanza piena di persone. Beh,
forse non proprio la più brutta, ma decisamente orribile.
Per
fortuna questo non gli capita quando è lì e tutto
sembra andare benissimo.
Prende
il rosso, fa il contorno di un cuore blu e sorride. È
soddisfatto del suo lavoro, una volta tanto. C’è
molta gente stasera al parco. Beh dopo di tutto è sempre
così il sabato sera quando c’è il
raduno degli skaters.
Ma
perché proprio lì, proprio ogni sabato,
si chiede Harry. E va bene che ci sono le piste per gli skaters, e va
bene che il giorno dopo non c’è scuola e va bene
che fanno così da sempre, ma a Harry questo fatto proprio
non va giù.
È
come se questo fosse il suo posto e loro glielo stessero portando via.
Lì ci sono sempre e solo loro, quindi perché
devono arrivare gli altri? Ma di certo non può dirgli
niente, è un luogo pubblico e quindi abbassa la testa e
continua a disegnare.
“Bel
disegno quello!” Harry nemmeno si gira, è uno di
quelli, e a lui stanno sulle palle, scusatelo tanto. Quindi continua a
disegnare come se niente fosse, stringendosi un po’ di
più nella felpa per una folata di vento troppo fredda.
L’aria sta iniziando a rinfrescarsi ma dopo di tutto sono a
metà Ottobre, quindi è pure normale.
“Riccio,
guarda che era un complimento e manco ti giri.” Harry questa
volta presta più attenzione alla voce, è dolce e
quasi femminile, allegra, sembra come un bicchiere d’acqua
fresca in estate. Sembra quella di un bambino di otto anni. Per questo
incuriosito si gira.
Quello
che si trova davanti gli ricorda veramente un bambino.
E’
un tipetto più basso di lui, di almeno cinque centimetri,
nota Harry, indossa un cappello con la visiera, ha un sorriso timido e
degli occhi azzurrissimi. Non indossa nessuna giacca nonostante faccia
fresco ma invece ha una maglia dei super eroi e uno zaino in spalla.
Sembra un bambino dell’asilo eppure ha qualcosa che lo
colpisce. Forse è negli occhi troppo azzurri
perché siano veri o nel corpo minuto che ha improvvisamente
voglia di stringere.
“Certo,
scusa ero distratto, i tuoi amici fanno confusione” dice con
voce piccata, senza sapere bene neanche il perché.
“Non
sono miei amici, sono da solo”. E Harry può
sopportare tutto, ma non che qualcuno gli dica di essere solo,
perché sa come ci si sente. La sensazione di inadeguatezza,
il vuoto dentro e tutto il resto, quindi proprio no. Gli si stringe
quasi il cuore a pensare di essersi comportato in quel modo, adesso.
“Forza
avanti, vieni con me.” Dice afferrandolo per mano, e wow,
perché Harry sta afferrando per mano un ragazzo di cui non
sa nemmeno il nome, di cui non sa praticamente niente ma che
già gli piace.
Il
ragazzo, scopre Harry, si chiama Louis. Ha diciotto anni, i capelli
sbarazzini, gli occhi color del cielo in estate e tanta voglia di
ridere.
Passa
con loro ogni sera ormai da quando l’ha presentato agli altri.
Non
che a Harry dispiaccia a dire la verità, anzi.
È
come una ventata d’aria nuova, uno sprizzo di colore e Harry
ama i colori.
È
tutto quello che ci voleva nel gruppo, ha portato con sé
serenità e spensieratezza.
Sta
così bene con tutti, si amalgama alla perfezione. Come il
pezzo di un puzzle.
E
poi piace, a Harry. Gli piace vedere quelle mani così
piccole e avere voglia di stringerle.
Guardare
quegli occhi cosi azzurri e avere voglia di perdersi.
Louis
è fresco, come se niente nella vita lo avesse intaccato.
Louis,
diciotto anni, non ha paura di niente e di nessuno, o almeno questo
è quello che vuole far credere.
Louis,
a detta di tutti, ha un sorriso che anche non conoscendolo infonde
speranza, ed è quello che ci vuole. Cresciuto in una casa
sempre troppo piccola in mezzo a quattro sorelline, sogna di diventare
calciatore e fa lo skater nel tempo libero.
È
un po’ la sua passione, la sua valvola di sfogo, il suo
essere.
Ha
una ragazza da un po’, Eleanor. Occhi da cerbiatto,
capelli lunghi e gambe snelle, un corpo niente male. Ma lui
sente che non c’è quella scintilla che dovrebbe
esserci, sente che manca qualcosa. Come un puzzle non completo.
La
prima volta che Louis vede gli occhi di Harry si sente quasi
sopraffatto.
Non
credeva nemmeno che esistesse una simile tonalità di verde.
Eppure da quando ha incontrato Harry inizia ad andare al parco tutte le
sere e non solo il sabato come fanno tutti gli skaters, cosa che in
effetti gli fanno notare. Ma se andare al parco ogni sera comporta
vedere Harry perché non dovrebbe farlo? È strano
il loro rapporto. Harry passa le ore ad ascoltarlo, le nottate a ridere
e lui a insegnargli qualche mossa con lo skate, nonostante il riccio
non ci azzecchi proprio nulla e fallisca ogni tentativo. Pazienza,
vorrà dire che non fa per lui.
Louis
Tomlinson ha sempre amato il rumore della pioggia, ha sempre amato
osservare le goccioline d’acqua scorrere sui vetri e seguire
il loro tragitto.
La
forma strana delle nuvole, camminare scalzo in estate per casa in
estate e la cioccolata calda in inverno. Louis non ha mai avuto molto
tempo per sé nella vita essendo il maggiore di cinque figli
con quattro sorelle più piccole. Louis è sempre
stato abituato a non lamentarsi mai, a dare il buon esempio e a
prendersi cura degli altri.
Le
persone gli hanno sempre detto che sembrava dimostrare più
dell’età che aveva e lui sorrideva e basta. Non
poteva certo ringraziare, non quando loro non sapevano cosa ci fosse
dietro. Cosa c’era dietro a un bambino cresciuto troppo in
fretta? Tante responsabilità sulle spalle, essere forti
quando serve e abbastanza ironici per sdrammatizzare quando non va come
vorresti tu.
E
poi Louis Tomlinson è cresciuto sentendosi solo, o meglio
incompleto.
Come
se fosse fatto a metà, nato senza una parte. Una sensazione
di vuoto costante nel cuore, una voragine nel petto. E pensare che ci
si fosse anche abituato. Insomma, dopo diciotto anni passati in un modo
dopo un po’ uno ci fa l’abitudine,
d’altronde.
E
come d’un tratto la sensazione sembra essere sparita, da un
giorno all’altro. Dalla sera in cui ha incontrato Harry.
Harry
e i suoi disegni che deve ammettere, fa fatica a comprendere, ma va
bene così.
Harry
e le sue mani grandi, che vorrebbe tanto stringere. Harry e i suoi
capelli che son più ribelli di lui. Harry e le sue felpe
enormi. Soprattutto, quella che gli ha regalato una sera in cui faceva
particolarmente freddo perché “Tienila, usala
quando fa molto freddo” e sottovoce “E quando ti
manco”. Per poi arrossire come un bambino.
E
di certo Louis non poteva dire di no. Insomma, Harry gli sta regalando
la sua felpa, scusate tanto.
Ma
soprattutto, Louis non dovrebbe sentirsi così con Harry.
Dopotutto è un ragazzo, e lui sta con Eleanor, ma la
verità è che proprio non può farci
niente.
Non
è mica colpa sua se Harry gli piace, e pure tanto.
Inizia
Dicembre e con lui arriva il freddo, i primi fiocchi di neve e il cielo
sopra Londra se possibile diventa ancora più grigio del
solito. Harry se potesse spruzzerebbe mille colori sopra quelle nuvole
che proprio non vogliono sapere di andarsene.
Harry
ha una strana ossessione per quel ragazzo dagli occhi blu. Lo cerca
ovunque.
Negli
occhi della gente sempre troppo chiari per essere quelli di Louis o
troppo spenti per essere i suoi. Lo cerca nella campanella a scuola,
quasi s’illude di poter sentire la sua voce cristallina tra
gli schiamazzi dei suoi compagni o di scorgere la sua risata tra il
caos del mondo. Ormai, quello che Harry ha capito, è che
Louis gli piace. Gli piace da matti.
Le
rughe sotto gli occhi quando sorride, le lentiggini chiare sulle
guance, il sarcasmo pungente che non risparmia a nessuno ma che Harry
sa che è un modo che usa per difendersi.
Quell’atteggiamento genuino, senza mai prendersi troppo sul
serio, guardando le cose con gli occhi di un bambino ma mai
superficialmente. Harry fa tesoro di tutte queste cose nelle sere in
cui il mondo gli sembra davvero troppo grigio per andare avanti.
Harry
Styles s’iscrive a un corso di chitarra. Tanto per fare
qualcosa, tanto perché gli va, tanto perché gli
viene così.Tanto per riempire un po' di vuoto.
Così
ogni mercoledì dalle sei alle sette del pomeriggio
dovrà recarsi alla scuola dove andava quando non era
più alto di un termosifone.
Sbuffa,
indossa la sua felpa che ama tanto, si mette una fascia tra i capelli
che proprio non vogliono saperne di rimanere fermi e immobili, saluta
la sua mamma con un bacio e "Vado, ci vediamo dopo!" e esce di casa. La
scuola non dista molto da casa fortunatamente, o giura che con questo
freddo potrebbero congelarsi le dita delle mani e in poco tempo arriva
a destinazione. L'edificio non è molto grande, è
in una zona periferica di Londra, isolata dal centro con poche macchine
e smog, un posticino tranquillo in fin dei conti. Davanti a
sé trova un portone monumentale che funge da ingresso su una
facciata grigia, come gli altri palazzi che sono accanto, e di fronte a
lui c’è un gruppo di ragazzi coperti dalla testa
ai piedi con sciarpe, cappelli e guanti che aspettano di entrare.
Harry
sbuffa e dalla sua bocca esce una nuvoletta di vapore, poi si guarda
intorno cercando di capire se c'è qualcuno che conosce
almeno di vista. Quello gli sembra Paul Heggins, un tipo basso e
tarchiato che alle medie non passava mai i compiti in classe, e che
Harry preferisce evitare. Ma a parte lui purtroppo, non vede nessuno
che gli possa interessare. Ciò che di certo non si sarebbe
mai aspettato di vedere è un Louis Tomlinson con un berretto
grigio in testa, l'aria di chi si sta domandando cosa ci faccia
là, e una giacca di jeans che non sembra riscaldarlo nemmeno
un po'.
E
Harry si ritrova a sbarrare gli occhi, mangiarsi le unghie e
cercare di fermare il cuore, che non smette di battere all'impazzata,
tutto in un momento.
Perché
diamine, Louis Tomlinson non può essere lì.
Non
può proprio essere di fronte a lui come se niente fosse.
Perché
Harry Styles non se lo sarebbe mai immaginato. Non che non ci abbia
sperato, anzi a dire il vero, l'ha anche sognato ma neanche nei suoi
sogni migliori se lo sarebbe immaginato davanti a lui che sorride.
A
momenti non si strozza con la sua stessa saliva perché
questo è veramente troppo.
E
poi non smette di guardarlo, fissandolo con degli occhi che quel giorno
sembrano ancora più azzurri del solito, se possibile. E poi
Harry non ha ancora reagito, realizza d’un tratto. Quindi
incerto alza la mano a mo' di saluto, sperando che basti, avvicinandosi
con le gambe che gli tremano, camminando incerto. Arriva di fronte a
Louis e si accorge di aver trattenuto il
respiro. “Ciao Harry!” esclama sorridendo
e il riccio è sul punto di gongolare in piedi.
“Ciao Lou!” risponde a stento rendendosi conto di
avere la gola secca.
Sta
facendo la figura del cretino, in pratica. “Beh entriamo che
fa freddo”.
Quindi
entrano nella scuola scoprendo che l’aula per la lezione di
chitarra è la prima a destra appena si entra, almeno
è semplice e comodo.
All’interno
si sta un po’ meglio, fa meno freddo nonostante si tratti di
una stanza enorme, con pareti bianche e la cattedra è dieci
file di banchi avanti a loro. Eppure, se sta vicino a Harry, a Louis va
bene così. E scusatelo, sempre perché fa freddo,
se si trova un po’ troppo vicino a Harry sentendo il
ginocchio a contatto con l’altro andare a fuoco.
E
scusatelo sempre, se per parlargli e per non fare confusione,
ovviamente, parla all’orecchio di Harry, provocando non poco
rossore all’altro.
In
linea di massima passano l’ora così.
La
prima volta che li vede insieme Harry sente crollare quel poco di
certezze che si era costruito, o forse era meglio chiamarle speranze.
Fa
molto freddo, questo è vero, ma quello che sente dentro di
sé Harry è ghiaccio.
Cubetti
di ghiaccio che scivolano sulla pelle calda. Un fastidio atroce.
Sono
lì, mano nella mano che camminano sorridenti per le vie del
centro, non curanti e purtroppo innocenti, inconsapevoli di quello che
sta succedendo a Harry.
Louis
che si ferma e la guarda, lei gli sorride e lui la bacia.
Così semplice.
Ed
è altrettanto semplice il fatto che non sia Harry quello
accanto a Louis, ma una ragazza, anche carina deve ammettere.
Non
vuole farsi altro male, loro non si sono nemmeno accorti della sua
presenza, così prende e scappa via, senza voltarsi indietro.
Harry
non va al parco né quella sera né quelle dopo a
venire.
Non
se la sente proprio di andare lì, incontrare quegli occhi e
fare finta che non sia successo niente, non quando dentro si
sé si è rotto. Louis chiede di lui ma Zayn gli
dice che non ne sa nulla e che non è da lui mancare, che per
una volta non si deve preoccupare. Louis continua a non capire.
Quasi
non vuole uscire da casa, non vuole vedere nessuno, tantomeno Louis.
Sua
madre lo tira giù dal letto con forza quasi, minacciandolo
di staccargli internet se non si dà una mossa. A quel punto
Harry è costretto. Va a scuola, torna a casa e studia, come
sempre. Ma è come se non ci fosse. Non è
presente, risponde con risposte vaghe e sembra disinteressato a ogni
cosa. Non è da lui. Sembra quasi spento, quasi grigio
e per uno che è sempre stato colore è abbastanza
strano.
Dopo
una settimana che Harry non va più al parco, si ritrova ad
aprire la porta e a trovarsi Zayn davanti, che senza tanti preamboli
dice “Che cazzo hai?”, guardandolo negli occhi,
cercando di leggervi qualcosa. Qualsiasi cosa che spieghi
l’assenza del riccio.
Zayn
non è bravo con le parole, ma è bravo con le
persone. È in grado di sapere quando bisogna parlare e
quando no. Sa quando le persone desiderano solo restare in silenzio e
quando invece hanno bisogno di essere ascoltate. E questo è
uno di quei momenti. Così non se ne va, anzi si accomoda sul
divano accanto al cuscino rosso, il suo preferito, e aspetta che Harry
faccia lo stesso. Il ragazzo lo guarda incerto, come se si stesse
chiedendo se è il caso, per poi optare di sì e
lasciarsi cadere sul divano.
“Li
ho visti” sputa fuori come se fosse veleno, Zayn non capisce.
“Visti
chi?” chiede il moro, corrugando la fronte
“Loro
due, insieme”.
“Harry,
io continuo a non capire. Spiegami per bene. Chi. Hai. Visto?”
Harry
guarda in basso, gioca con le mani quasi per distrarsi, poi prende un
bel respiro e a occhi chiusi dice “Louis con
quella” ed è allora che Zayn capisce.
Come
se mettesse insieme le tessere di un puzzle, come fare due
più due, come arrivare a una conclusione logica. HarryeLouis.
Sono
sempre stati loro due. Loro che si capiscono con uno sguardo, che hanno
un modo tutto loro di comunicare, che completano uno le frasi
dell’altro e che sembrano vivere in simbiosi. HarryeLouis. Ma
a quanto pare non erano soli. C’è qualcun altro
nella vita di Louis che ha interrotto questo meccanismo. E Harry
l’ha scoperto.
“Louis
lo sa? Che li hai visti, intendo?” chiede a bassa voce, quasi
per paura di fargli male, di farlo soffrire più di quanto
stia già facendo.
“No,
me ne sono andato prima che mi vedessero.”
Zayn
non dice nulla, annuisce e basta, guardando in basso. “Harry,
non so bene quello che c’era”, si corregge,
“c’è tra voi”, continua,
“e penso che nessuno di noi lo sappia. Siete qualcosa che non
riusciamo a spiegarci. Sembra come se foste stati fatti apposta per
stare insieme. Ma comunque, non è questo il punto. Il punto
è che io, Niall, Liam e anche lui” si guarda bene
dal non nominarlo “siamo preoccupati per te,
perché ti vogliamo bene. E non ti vediamo da una settimana,
neanche un messaggio o una chiamata. Quindi risolvi questa cosa e
affrontala, prima lo fai e meglio è. Non puoi restare
così in eterno. Okay?” dice guardandolo negli
occhi, prendendogli le mani per rassicurarlo.
“Okay,
ci proverò, grazie Zaynie.” Prova a sorridere, e
da quanto tempo non lo fa?
“Quando
vuoi Harry, quando vuoi.” Dicendo così, si alza
dal divano seguito dal riccio che lo accompagna alla porta. Lo
abbraccia e va, voltandosi per sorridergli.
La
sera stessa Harry si reca al parco.
Dopo
essersi fatto la doccia, essersi vestito e preparato.
Non
fa altro che sospirare per strada, sperando che una grande voragine lo
inghiotta o scompaia tutto il mondo. Insomma qualsiasi cosa pur di non
dover incontrare Louis.
L’idea
lo terrorizza. Poi d’un tratto si chiede se abbia fatto bene
o no a uscire, a lasciarsi convincere da Zayn ad affrontare la
questione. Poi ci ripensa, ma certo che ha fatto bene, lui non
è uno che sfugge davanti ai problemi, lui li prende di petto
li affronta.
Anche
se Louis rappresenta un problema grande come un iceberg. Ma questi sono
dettagli.
Dettagli,
si ripete Harry mentre entra nel parco e fortunatamente è
sabato.
È
pieno di skaters, writers e quindi gli riesce bene confondersi tra la
gente. Cammina a testa bassa con le gambe che tremano e il respiro
irregolare. Insomma, sta per affrontare il problema che non
l’ha fatto vivere per una settimana, scusate tanto.
Si
sente sommerso improvvisamente da un paio di braccia intorno alla vita
e una voce che gli dice all’orecchio “Mi sei
mancato” e dall’accento tipicamente troppo
irlandese, riconosce Niall, allora stringe più forte. Se
potesse resterebbe così per sempre. Dopo una settimana sente
finalmente calore, qualcosa di vivo nel petto.
“Sono
tornato Niall, sono qui. Sto bene” incespica un po’
sulle ultime parole, ma camuffa un sorriso e va bene così.
Il ragazzo biondo lo lascia andare e “Vieni, ti porto dagli
altri. Saranno felicissimi di vederti.”
Ed
è in quel momento che davvero Harry vorrebbe scappare dalla
parte opposta.
Perché
tra meno di cinque minuti inevitabilmente dovrà incontrare i
suoi occhi e crollare per terra. Si sa che il tempo funziona sempre al
contrario di come vorremmo, così in meno tempo di quanto si
aspettasse alza lo sguardo e lui è lì. Sta
ridendo con Liam e non è mai stato così bello. Un
beanie grigio sulla testa, un maglione che è grande quattro
volte lui e pantaloni della tuta.
Ma
ad Harry sembra crollare la terra sotto i piedi perché
lui
è lì davanti
a tutti e sta ridendo ed è la cosa più bella del
mondo.
Si
fa coraggio e procede con passo spedito, come se una forza di
attrazione lo conducesse dal ragazzo dagli occhi così
incredibilmente azzurri e poi stop.
Sembra
fermarsi tutto nel momento in cui i loro occhi si rincontrano di nuovo,
azzurro nel verde. Louis smette di ridere, di fare qualsiasi cosa
perché potrebbe saltare in piedi in quel momento se non ci
fosse Liam che gli dice, “Calma, è solamente Harry”
notando lo stato del ragazzo. Ma non èsolamente Harry.
È
Harry che sta lì di fronte a lui che gli sta sorridendo e
gli sembra anche un po’ sciupato in viso, più
spento e non ha il luccichio negli occhi ma va benissimo
così.
Louis
riprende a respirare e Zayn fa l’occhiolino a Harry,
complice. Il riccio gli sorride e si lascia abbracciare da Liam, che
“Mi sei mancato” gli sussurra
all’orecchio.
E
beh, ecco, ora in teoria è il suo turno, così
Liam si fa indietro e Louis a piccoli passi avanza verso Harry senza
smettere di guardarlo. Sembra quasi che lo stia raggiungendo
all’altare tanto è forte l’affetto che
Harry ci legge nei suoi occhi.
Lo
raggiunge e d’improvviso le parole da dire sembrano troppe, o
troppe poche. Louis si limita a guardarlo e senza sapere cosa altro
fare lo bacia. E Harry è costretto a cercare di respirare
perchéquesto è
veramente troppo.
Perché
Louis sta facendo l’ultima cosa che Harry si aspettava che
facesse. Non che non lo desiderasse a dire il vero. Perché a
dirla tutta non aspettava altro da tempo, molto tempo. Quindi quando
Louis si ferma e poggia la fronte sulla sua e affannato dice
“Scusa” Harry sorride e basta,
perché Louis non poteva dire niente di peggio in quel
momento.
Sono
a casa di Harry perché “Mia mamma non
c’è e Gemma è a fare shopping con le
amiche, finalmente un momento di pace” e sono sdraiati
sul divano in salone mentre un vecchio film è in
tv ma nessuno dei due ci fa molto caso.
Non
quando Louis con voce attenta sta guardando Harry negli occhi e gli sta
dicendo che “Ecco vedi, da quando sono piccolo, mi sono
sempre sentito “strano”. Fuori posto, come se non
ci azzeccassi niente con le persone intorno a me. E quindi mi ero
rassegnato, fino a quando ho incontrato Eleanor e speravo che potesse
andare meglio allora. Dai, era carina” e Louis
s’interrompe guardando l’espressione quasi schifata
di Harry e scoppiando a ridere “Okay, non era carina. Ma ho
pensato che forse era quello che cercavo. Invece niente, niente
è cambiato. Fino a quando ho incontrato te.”
E
lo dice con una spontaneità che lascia Harry di stucco, fa
quasi fatica a crederci.
“Si,
quando ho incontrato te che mi hai preso la mano perché ero
solo, senza nemmeno conoscermi, ho capito che eri diverso dalla gente
che mi era intorno. Sei qualcosa di completamente tuo, non so nemmeno
definirlo o catalogarlo. Tu e i tuoi tatuaggi, le tue mani, i tuoi
disegni. Siete qualcosa di assurdo.”
Harry
non sa che dire, pensa che non ci siano nemmeno parole adatte a
rispondere a qualcosa del genere, così lo bacia.
È
sempre inverno, e fa sempre freddo. Se possibile, ancora più
di prima.
Il
cielo a Londra è sempre grigio e Harry appunto per quello
sta dipingendo un muro di rosso, un cuore per farci due lettere accanto
subito dopo. Dannazione, da quando è diventato
così romantico?
Indossa
un beanie nero da cui fuoriescono alcuni ricci che proprio non vogliono
sapere di starsene al loro posto. Harry giura che prima o poi li
taglierà, anzi no, ci è troppo affezionato e ne
va troppo fiero per toglierli di mezzo, e poi Louis li adora. E Harry
adora il modo in cui le dita di Louis accarezzano i suoi capelli,
quindi proprio no. Non è il caso di tagliarli.
Mentre
fa il contorno delle lettere, due mani piccole che riconosce subito gli
tappano gli occhi.
“Lou
è inutile, so che sei tu” qualcuno sbuffa dietro
di lui togliendogli le mani dagli occhi permettendogli di girarsi.
Quello che si trova davanti è un Louis Tomlinson che gli
sorride e può sostituire il sole che non
c’è.
“Vieni,
ti porto via con me.”
“Ma
vengo dove? Non ho nemmeno finito qui, devo completare il
disegno”
“Shh,
vieni e basta. Sorpresa!”
Prima
di ritrovarsi con una benda agli occhi, Harry posa a terra la
bomboletta rossa e sospira, non cercando nemmeno troppo di nascondere
un sorriso.
Hanno
camminato per un bel pezzo subendosi le lamentele di Harry che non fa
altro che sbuffare e chiedere “Siamo arrivati?”
“Quanto manca ancora?” neanche fosse un bambino di
cinque anni. Louis deve avere di certo una gran pazienza con lui.
Harry
sente un gran vociare di persone accanto a lui e dei rumori
“Siamo in metro!” esclama neanche avesse fatto la
scoperta del secolo.
“Sì
ma non siamo ancora arrivati, abbi pazienza”. Lo rassicura
Louis scostandogli dei capelli dagli occhi bendati.
Dopo
poche fermate e molte lamentele da parte del riccio che non la smetteva
di discutere per questo o per quello sono scesi e Louis gli ha
finalmente tolto la benda.
Con
grande stupore del più piccolo, si trovano a Hyde Park, il
che vuol dire libertà e spensieratezza.
Anche
se non ci sono muri da colorare Harry non si è mai sentito
così bene con qualcuno. Sorridendo e lasciandosi guidare da
Louis arrivano lungo la Serpentine, lo specchio d'acqua di Hyde
Park, notando tantissime piccole barche nell’acqua e
anche se il cielo non promette niente di buono Louis convince Harry ad
affittarne una.
Dopo
non poche complicazioni per salire sulla barca perché
“Louis, aiutami, aiuto, cado” per poi lasciarsi
prendere per i fianchi, Harry sta sorridendo come un ebete a chiunque
lo guardi anche da duecento metri di distanza e pensa proprio che gli
verrà una paralisi se starà così
ancora per molto.
Improvvisamente
una goccia cade sul naso di Harry, poi un’altra sul braccio e
poi sono davvero troppe per contarle poiché è
appena scoppiato un temporale su Londra.
Londra
e il suo tempo imprevedibile.
“Merda
Louis sta piovendo!” esclama il riccio, cercando di togliersi
i capelli bagnati dalla faccia, la maglia ormai completamente fradicia.
“Sai
Harry, non l’avevo notato!” risponde con voce
piccata il maggiore che inizia a remare velocissimo, per raggiungere la
riva. Prima di quanto pensassero sono a terra, zuppi letteralmente
dalla testa ai piedi, con un’improvvisa voglia di correre.
“Vieni
con me!” e Harry si lascia guidare per la seconda volta in un
pomeriggio, ma con quegli occhi azzurri andrebbe ovunque, sentendosi
comunque al sicuro.
Stanno
correndo e ridendo sotto la pioggia come matti, qualche passante si
ferma a guardarli sconcertato chiedendosi dove hanno il cervello
‘sti giovani d’oggi, mentre loro incuranti di tutto
il resto si stanno baciando sotto la pioggia.
Le
gocce sui visi, le mani al collo e sui fianchi, i respiri affannati e i
cuori leggeri.
È
forse questo l’amore?
La
prima volta che Louis Tomlinson dice “ti amo” a
Harry Styles sono sotto le stelle. Mentre sono entrambi coperti da una
coperta di lana che è troppo piccola per due persone ed
è un’ottima scusa per stare più vicini.
Non
stanno parlando da un pezzo ma va benissimo così tra loro.
Non
hanno bisogno di parole, il silenzio non è imbarazzante come
potrebbe essere con qualcun altro.
Quando
all’improvviso, un sussurro. “Ti amo.”
E
Harry potrebbe giurare di esserselo immaginato se non avesse avuto le
labbra di Louis così vicine da poterle vedere muoversi.
Avrebbe
voluto dire “anche io” come accade la maggior parte
dei casi.
Ma
loro non sono come tutti, non lo sono mai stati.
Non
si classificano nemmeno, non sono un marchio. Sono solo HarryeLouis.
Così
Harry, senza sapere bene cosa fare o dire, si volta e lo bacia. E Louis
capisce.
La
casa di Louis non è grande eppure sa di mattine in famiglia,
colazioni tutti insieme, pranzi della domenica e dolci fatti in casa.
Sa
di bambine che corrono per casa, di partite a scarabeo e feste a
sorpresa.
Non
è una casa grande ma ci si sente in famiglia.
È
questo quello che colpisce subito Harry quando entra nel salotto
accompagnato da Louis e si siede sul divano.
Le
gemelline che guardano un cartone animato in tv e le altre due
più grandi in camera loro.
A
dire il vero Harry non era poi così tranquillo fino a poco
tempo prima, quando si trattava di dover percorrere la strada per
arrivare a casa di Louis. Ma per fortuna il suo sesto senso si
sbagliava e ora sta andando tutto per il meglio.
Così
tra una tazza di thè e biscotti si ritrova a parlare dei
suoi interessi alla madre di Louis, che lo vede per la prima volta e lo
tratta come fosse suo figlio e Harry finge di non notarlo, ma lo
sguardo di Louis non lo abbandona nemmeno un attimo.
Dopo
tre mesi lo guarda ancora come se fosse la cosa più bella
che ha, come se potesse spezzarsi da un momento all’altro e
fosse pronto a rimettere insieme i pezzi.
Lo
guarda per proteggerlo.
La
prima volta che HarryeLouis fanno l’amore non ci sono carezze
o dolcezza, soltanto gemiti e pelli tra loro.
Sarà
che aspettavano questo momento da mesi, che si sono attratti da subito.
C’è
sempre stata una sorta di alchimia e poi non hanno bisogno di dirsi ti
amo per saperlo, farsi regali o quant’altro per dimostrarlo.
Che si amano lo sanno già.
Quindi
se sono in piena notte in un campo di grano e si stanno amando in quel
modo,
va
benissimo così.
Harry
di backflip, flip e kickflip non ne capisce proprio niente, non
è colpa sua, è più forte di lui.
Ci
prova e ci riprova da ore, ma dopo aver messo i piedi su quella tavola
di legno con le ruote, che a detta di Louis si chiama
“skate”, non riesce a stare in equilibrio e a non
rischiare di cadere ogni tre per due.
Ma
che problema c’è se c’è
sempre Louis pronto a tenerlo a terra se cade davvero?
Se
c’è Louis a ricomporre i pezzi ogni volta e a non
fargli sentire più il freddo dentro.
Ora
per Harry il mondo non è più grigio ma ha preso
il colore degli occhi di Louis.
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