Prologo.
This
is not a love story
- No, this is not
a love
story, but it is a story about love.
About those who give in into it, and
the price they pay.
And those who run away from it,
because they are afraid,
or because they do not believe
they're worthy of it.
She ran away. He gave in. –
(- Original Sin
-)
* No,
questa
non è una storia d’amore, ma è una
storia sull’amore. Su coloro che si arrendono ad esso, ed il
prezzo che pagano. E su coloro che fuggono dall’amore,
perché hanno paura, o perché non credono di
meritarlo. Lei fuggì. Lui si arrese.
Mystic
Falls, Estate 2005
Le note dell’assolo centrale di Layla
[1],
già disturbate dalla pessima ricezione radio, si
interruppero bruscamente quando girai la chiave per spegnere il motore
della Camaro, dopo averla parcheggiata nel vialetto
d’ingresso.
Ancora prima di scendere, alzai lo sguardo sulla
dependance ed
individuai immediatamente la luce accesa provenire da dietro le tende
della finestra della camera da letto.
Maledizione.
Quella luce, alle due di notte, poteva significare
solo due
cose.
La prima era che in quello stesso momento stavo per
essere
svaligiato dei ladri più stupidi del pianeta.
O perlomeno, desiderai che fossero dei ladri, se
non altro
quelli avrei potuto gestirli.
L’altra opzione, invece … non
sapevo se
ce l’avrei fatta.
La mia sciocca speranza svanì non
appena, cercando
di fare meno rumore possibile, aprii la porta e misi piede dentro casa.
Niente furfanti dal quoziente intellettivo ridotto
per quella
notte.
Solo lei.
Attraversai l’ingresso al buio e mi
diressi a passi
silenziosi verso la camera. La trovai rannicchiata su un lato del
letto, sopra il groviglio di lenzuola ancora sfatte, scalza del paio di
ballerine rosse che giacevano gettate a terra una sopra
l’altra. La gonna del vestito disegnato in minuscoli fiori
dello stesso colore le avvolgeva le cosce, e non si era neanche tolta
il corto giacchetto di jeans, lo stesso che mi ero ritrovato a
regalarle il
compleanno precedente.
I capelli scuri le nascondevano parte del volto, ma
lasciavano
lo stesso intravedere le labbra appena socchiuse dalle quali
fuoriusciva un leggero e regolare respiro assopito.
Ebbi un moto di frustrazione nel domandarmi di cosa
si
trattasse questa volta. Se di quel coglione di suo padre, di
quell’idiota del suo ragazzo, di altre bollette da pagare o
del fratello più piccolo di cui prendersi cura.
Mi tolsi solo la giacca e le scarpe, facendo
attenzione a non
svegliarla, prima di spegnere la luce e, ancora con i vestiti addosso,
sdraiarmi nell’oscurità accanto a lei per
circondarla con un braccio.
“Ehi,” mormorò con
la voce
impastata, facendosi subito più vicina, tanto che la sua
mano finì per adagiarsi sul mio petto con una naturalezza
che non avrebbe dovuto avere. “Sei tornato.”
“Naturalmente,” sussurrai
sfiorandole la
fronte calda con le labbra. “Avresti potuto chiamarmi, sarei
tornato prima.”
Scosse appena la testa, un movimento che ebbe la
conseguenza
di solleticarmi il mento con i suoi capelli e di strofinarmi la punta
del suo naso nell’incavo del collo, rendendomi duro
all’istante.
Cosa cazzo c’era di sbagliato in me?
Quello davvero
non era il momento per una cosa del genere. Se mai il momento ci fosse
stato.
Se ne accorse, lo so che se ne accorse, sia
perché
la parte alta della sua coscia premeva precisamente
all’altezza giusta, sia perché trasalì
quasi impercettibilmente, inalando un respiro più irregolare
degli altri.
Ma, a parte quello, finse di non aver notato
assolutamente
niente.
Come sempre, del resto.
“Non volevo disturbarti,” disse
in un
bisbiglio.
Non risposi e mi limitai ad accarezzarle senza
fretta i
capelli morbidi sul retro della nuca. Odoravano di shampoo alla mora.
“Cosa è successo?”
domandai,
cercando di capire se avesse bisogno di parlare.
“Solo una brutta giornata,”
sospirò, scaldandomi il collo con quel soffio lieve.
Sospirai anche io, ma non aggiunsi altro.
“Adesso cerca di dormire, ok?”
Le posai un bacio veloce sulla sommità
della testa
e restammo così, in silenzio e al buio, mentre
dell’aria tiepida entrava dalla finestra socchiusa ed io mi
chiedevo se sapesse quanto tutto ciò, ogni singola volta,
finisse per sbriciolarmi il cuore appena un po’ di
più.
Non che avesse davvero importanza. Quei tranquilli
momenti nel
buio erano probabilmente le uniche occasioni in cui, anche se per poco,
potessi sentirla veramente mia.
Fanculo a me, non sapevo chi volessi prendere in
giro.
La stramaledetta verità era che avrebbe
potuto
calpestarmi il cuore tutte le volte che voleva.
Lo sapevo io e, soprattutto, lo sapeva benissimo
anche lei.
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Note:
[1] Layla di
Derek & The Dominos (Eric Clapton)
Spazio autrice.
Moltissimi
motivi mi avevano fatto ripromettere di smettere di
scrivere dopo aver concluso Emotionally
Damaged, ma ci sono volte in
cui una storia ti entra talmente
in testa che non si può fare a meno di buttarla
giù e farle fare il suo corso. E questo è uno di
quei casi.
Come si
può intuire anche dalla data
all’inizio, questo prologo è, in
realtà, un piccolo flashback, in cui Elena ha 16 anni e
Damon 18. La storia vera e propria però inizierà
circa 7/8 anni dopo … so che è breve e che per
ora non è molto, posso solo assicurare che le cose saranno
piuttosto complicate per questi due, perciò restate solo se
vi piace soffrire in puro Delena style.
La
citazione iniziale
è tratta dal film Original
Sin, ma il titolo della fic
è volutamente
ispirato a Stubborn
Love dei Lumineers.
Cercherò
di mantenere la frequenza degli
aggiornamenti il più regolare possibile, più o
meno intorno ai 10/15 giorni: è il meglio che penso di poter
fare. Spero che mi
concederete la vostra pazienza!
E con questo,
spero anche di essere riuscita ad incuriosirvi
abbastanza da concedermi una possibilità.
un bacio