L'amour toujours

di ely_trev
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Andarono tutti insieme a casa di Johanna. Christian era visibilmente stanco, ma gli risultava veramente difficile prendere sonno. Aveva deciso di provare a riposarsi sul divano letto, nonostante le amiche lo avessero invitato ad occupare la stanza di Johanna. Ma lui non aveva voluto, non accettava l’idea di stendersi sul suo letto, in sua assenza. E poi, comunque, non sarebbe riuscito a dormire facilmente, quindi sarebbe stato più comodo in salotto, dove avrebbe potuto trascorrere il tempo perdendosi nei suoi stessi pensieri. E ne aveva veramente tanti. Avrebbe ricordato quel giorno per il resto della sua vita.
Era inquieto, non faceva altro che passeggiare per la casa. Lui non l’aveva ancora vista, ma sapeva che Johanna aveva arredato la cameretta che sarebbe diventata di sua figlia. A un certo punto della notte, prese un lungo sospiro ed entrò: la stanza era piena di giochi, carillon e peluche, piena di colore, vivace, allegra, come solo Johanna sapeva essere. Entrare in quella stanza aveva rallegrato il suo cuore; anche se ci voleva ancora del tempo, sapeva che, prima o poi, avrebbe visto la sua bimba giocare tra quelle pareti colorate. Sorrise, Johanna aveva pensato proprio a tutto: i giochi, la culla, il fasciatoio, i vestitini… Era sicura che il suo miracolo ce l’avrebbe fatta, che sarebbe stato forte, come lei. Diede la carica ad un simpatico carillon, ascoltandone la dolce melodia, poi sfiorò con le dita quei piccoli maglioncini colorati e si soffermò su un piccolo libricino, uno di quegli album fotografici che, tipicamente, vengono riempiti con le immagini del bimbo, dalla nascita ai primi mesi di vita. “Mi chiamo… Zoé”… La mano di Johanna aveva riempito il vuoto destinato al nome del bambino. Zoé… Era questo il nome che avrebbe voluto darle? Non aveva avuto modo di dirglielo. Zoé… Non era male come nome: era simpatico, particolare, inusuale…
Christian” lo interruppe Hélène, avvicinandosi. “Ho sentito la musica. Va tutto bene?
Sì, Hélène, ti ringrazio. Ero solo… perso nei miei pensieri. Guarda cosa ho trovato” disse, porgendole il piccolo album. “Penso che sia arrivato il momento di riempirlo”.
Hélène sfogliò il libricino con curiosità. “Zoé!” esclamò sottovoce, sorridendo. “Allora, non ha cambiato idea!” continuò.
In che senso?” le chiese Christian.
Una volta… prima… dell’incidente… diciamo così… mi disse che, se un giorno avesse avuto una figlia, l’avrebbe chiamata così. Amava il suo significato” gli rispose Hélène.
Christian la guardò con aria interrogativa.
Vita, Christian. Zoé vuol dire “vita”…” proseguì, carezzandogli una guancia. “Puoi riempirlo tu” gli disse poi, restituendogli l’album delle fotografie. “Sei molto bravo”.
Hélène aveva ragione: non per vantarsi, ma ci sapeva decisamente fare con le fotografie. Era veramente abile. Aveva raccontato tante storie, con le immagini, durante gli ultimi anni; perché non raccontare proprio di sua figlia? Zoé… Johanna non aveva lasciato proprio nulla al caso, neanche il suo nome. Era una scelta perfetta; cosa c’era di più bello della vita? Diede un’ultima occhiata in giro, poi si decise ad andare a riposare; l’aspettavano giorni pesanti, ma pieni di speranza.





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