Titolo: Shooting
Stars ( ovvero di come il Signor Direttore Dirk Strider è
costretto ad affrontare gli schiaffi di un passato che lo odia in modo
reciproco. )
Fandom:
Homestuck
Personaggi:
Dirk Strider, Jake English, Jane Crocker, Roxy Lalonde, eventuali altre
comparselle minori
Rating: Verde
Genere:
Angst, Malinconico, Introspettivo, Comico (o meglio, tragicomico)
Avvertimenti:
Forse spoiler se nessuno è arrivato agli ultimi updates.
Note: 1. Specifico
già da ora che nè Homestuck nè i
personaggi al suo interno sono miei, e ringrazio il signor Hussie per
aver creato cotale perla.
2. Ringrazio
la mia fidata kikubun per aver perso tempo a dare a questo primo
capitolo una betatura superficiale, e per avermi fatto notare di come
io spacci avverbi, soprattutto quando scrivo seguendo il POV di Dirk
Strider.§
3. Questa
Fic sarà una multicapitolo, ma non penso di andare oltre i 5
o 6 capitoli. Mi sembra giusto avvisarvi.
1.
In
cui i risvegli improvvisi non sono per niente graditi dal Signor
Direttore
Erano passati
così tanti anni da quando, finalmente, il tempo in tutte le
sue
svariate sfaccettature aveva ripreso a scorrere con parametri
possibilmente definibili come normali.
Potevi sentire
chiaramente il sole levare i suoi non più così
flebili raggi al
cielo, alcuni di questi già infiltratisi nella tua stanza
senza
alcun ritegno, disturbando quasi strategicamente il tuo già
schifosamente delicato sonno. Ti rigiravi tra le coperte, le lenzuola
a strofinarsi ripetutamente contro la delicata pelle che ti
ritrovavi, un incubo troppo caramelloso ed inquietante a soffiare
sotto il tuo orecchio, causandoti brividi e flebili lamenti, una
voglia di scappare da tutta quella merda che stava accadendo nella
tua testa. Perché stava riaccadendo tutto, e come allora
anche in
quel momento ti sentivi in trappola, con le spalle al muro e
l’adrenalina che minacciava di farti scoppiare qualche
arteria.
Stavi sognando nuovamente quel bordello a distanza di
giorni, mesi, anni. Era come rivivere una precedente vita, ogni
singola azione scandita nel tempo che sembrava congelarsi in quel
preciso istante in cui dal dormiveglia passavi al sonno REM. Era
allucinante, e al contempo inquietante.
Potevi ancora
sentire la terra essere fragile e polverosa sotto le tue scarpe, la
pressione di un qualcosa sul tuo viso che premeva, isolava,
nascondeva e purificava.
Ricordavi
ancora il Kripton e il suo nauseabondo olezzo che, nonostante la
maschera a gas, riusciva ad invaderti il cervello.
Ricordavi i
grandi palazzi che vedevi scagliarsi verso l’orizzonte,
mausolei
che rimandavano una qualche civiltà perduta nei secoli e
nelle acque
di una Terra che sembrava essere uscita da un’apocalisse
aliena.
Ricordavi di
come stavi per annientare un nemico che stringevi tra le tue mani ma
che poi hai deciso di risparmiare per chissà quale motivo
per cui
quella mente malefica meritasse la tua pietà –e
ancora ora pensavi
di meritare un gigantesco ceffone sulla faccia e diversi calci per
questo.
Ricordavi una
bestia che, dio, era imbarazzante oltre ogni limite e con una sorta
di erotico fetish per i propri muscoli che ti veniva schiaffato in
faccia ogni sacrosanto secondo con insistenza inaudita, e che
purtroppo sembrava destinato a farti da guida –per non
parlare di
quell’altro ridicolo alieno, quello vestito di viola e con un
trucco che ti ricordava in maniera particolare gli Insane Clown
Posse. Forse ne era un fan, chissà, non ti era mai
importato, e
confessavi di averlo trovato particolarmente inquietante –ma
mai
quanto Mister Muscolo, ovvio. Mister Muscolo vinceva oltre ogni
limite, altro che HAL. HAL era seriamente il male minore, se
paragonato a quell'abominio nato dalla sua unione con. . . Okay,
esattamente non sai con che cosa sia stato unito, ma di certo era la
cosa più brutta che ti fosse mai capitato.
Ricordavi
un magone di tristezza, sentimenti che, a guardarti ora, forse
scacceresti via con una risata perché pensi che appartengano
a
qualche adolescente in piena crisi ormonale che ha bisogno della
fidanzatina –o forse era meglio dire 'del fidanzatino'?- per
sfogarsi. Ma immediatamente ti pentivi sempre: se tutto questo casino
era successo, era colpa tua, tu ne eri la causa prima. Dio, se eri un
rompicoglioni; ma come biasimarti? Praticamente eri cresciuto in
mezzo all’oceano, privo di qualsivoglia contatto umano. Ovvio
che
non sapevi come esternare bene le tue preoccupazioni. Ovvio che, alla
fine, era scoppiato il marasma. Muri di testo arancione che si
accavallavano l’uno sull’altro, e con essa una
consapevolezza che
tutt’ora riusciva a farti venire i brividi.
Ma niente,
niente in assoluto riesce a battere il picco di quei sogni. Quel trio
che sembrava appena uscito da una razzia di psicofarmaci eccitanti,
un mercatino dell’usato ed evidenziatori colorati. Un pugno
all’occhio, alla sanità mentale e alle regole del
buon vestire.
Quel trio che inquietantemente parlava di matrimoni multipli, orge
ricoperte di vodka e zucchero a velo ed una quantità
spropositata di
figli da concepire che ha completamente traumatizzato la tua persona
sul concetto di ‘famiglia’ –come se non
ti bastasse la tua
vita, ecco. Una ti ha costretta ad un bacio privo di qualunque
sentimento, in una fottuta speranza di rivalsa della tua già
definita patetica condizione, e la sola cosa che avevi ottenuto era
stata una tinta in un insulso rosso e un guardaroba che avrebbe
tanto, tanto fatto lacrimare Yves Saint Laurent dall'orrore se solo
si fosse permesso di vederti. E lì, in quel momento, eri
sbottato
come una belva. Avevi quasi urlato come ti sentivi, quella che era la
sfera personale che uno solo di quel trio di merda era riuscito a
stringere tra le mani per poi buttarlo dritto dritto in un qualche
pozzo disperso per il suo pianeta.
Questo a
distanza di anni ed anni riusciva ancora a mandarti in bestia, anche
più di tutta quella montagna di ingratitudine che ti aveva
assalito
una volta riuscito a vincere e battere un fottuto gioco con le tue
sole forze, ripristinando un mondo che doveva esistere fin dal
principio. Quell’ammasso di cazzate sparate a raffica con un
glitch
pitchato a 3 ottave superiori alle corde vocali e troppo zucchero
nelle vene erano ciò che, ogni notte da allora, non fa che
farti
rischiare di finire all’ospedale per un’ulcera
fulminante.
Fuggiresti volentieri dal sonno e da quei ricordi mescolati a sogni,
ma la realtà aveva un sapore così diverso e
ancora così estraneo
contro la tua stessa pelle che ti ritrovavi a isolarti e non sentire
nulla e batterti contro il tuo stesso cervello –e senza una
bellissima katana tra le tue mani.
Non sentivi niente se non i
tuoi stessi denti battere dal nervoso, nemmeno i passi che si
avvicinavano alla semichiusa porta della tua stanza che si apriva con
uno scricchiolio sinistro.
“Signor
Strider?” una voce leggermente nasale e particolarmente
femminile
ti chiamava, e tu le rispondevi, da grande e fine uomo adulto quale
sei, con un grugnito seccato, rigirandoti nuovamente nelle coperte. A
volte eri e sei ancora peggio di un bambino, ma potevi farci
qualcosa? Forse, ma –sinceramente, ti pesa parecchio fare
l’uomo
maturo quando per anni hai dovuto farlo quando non eri che uno
sciocco adolescente.
Sfortunatamente, alla terza volta che quella
voce ti chiamava, lanciavi fuori un lamento a dir poco seccato
–e
va detto, nemmeno una balena arenata aveva tutta la finezza che in
quel momento stavi mostrando, Strider.
La tua mano si muoveva,
tentennando e tastando la superficie al tuo fianco alla ricerca dei
tuoi beneamati occhiali, e non si sa con quale miracolo riesci a
evitare di dare una manata alla povera figura lì accanto,
colpendo
il mobile in legno e trovando quelle peculiari lenti dai vertici
appuntiti, inforcandoli dopo un paio di comici tentativi dove stavi
per accecarti un occhio con una delle aste dei suddetti occhiali. La
ragazza aveva pure emesso uno squittio infastidito, ma in tutta
sincerità, a te non importava molto, troppo impegnato a
lottare tra
l'essere scocciato per via del risveglio più o meno brusco o
grato
per il suddetto.
Sentivi la
donna lamentarsi, e tu stesso ti lamentavi in tutta risposta, la mano
che rudemente veniva passata tra i capelli secchi come paglia e anche
fin troppo bianchi per gli standard umani, ormai seduto sul letto
sfatto. Addirittura emettesti un mezzo grido di sconforto quando
quella folle ebbe il coraggio di aprire le tapparelle presenti
nell'unica finestra rigorosamente chiusa della tua stanza, facendoti
arrivare la luce del sole in viso all'improvviso su tutta la faccia.
E no, gli occhiali non potevano proteggere i tuoi sensibili occhietti
da quella specie di raggio fotonico a forma di finestra.
«MIYAKO!»
strillavi, cercando riparo in un angolo remoto e letteralmente oscuro
della tua stessa stanza, il dito accusatorio puntato verso la donna
dai tratti asiatici che ti stava fissando come una madre fissa il
figlio che ha imbrattato tutta la casa -o almeno tu pensavi che fosse
lo sguardo della tua segretaria, la signorina Miyako Sugiyama, quello
della suddetta madre incavolata.
E la suddetta
signorina, dall'aspetto di una classica donnina giapponese vestita
come una tipica segretaria d'azienda un po' scialba, non demordeva,
non impietosita dai tuoi grugniti frustrati.
«Miyako» ripetevi,
cercando di calmare il tono e di mettere a fuoco lo sguardo
danneggiato sulla figura davanti a te. «S-sono in vacanza,
dannazione. No lavoro per me, Okay? Okay. Ora lasciami tornare a
dormire.»
«Decidere di non venire in ufficio non equivale ad
andare in ferie, direttore.» Il tono palesemente infastidito
della
donna, misto a quell'accento orientale fortissimo che cozzava col suo
inglese ti faceva storcere il naso di parecchio.
E non eri
dell'umore per fare il signorino serio in quel momento, ma nemmeno
avevi voglia di stare a lagnarti –non fuori dal letto. Per lo
meno.
«Se sono qua, comunque» continuava, nonostante tu
stia tentando di
ignorarla in ogni modo, anche tappandoti le orecchie e facendo versi
incomprensibili -molto maturo, Dirk, davvero. «
c'è una –signor
Strider, per favore!-- è urgente!»
La donna ti aveva persino
afferrato per un braccio nel vano tentativo di alzarti dal tuo
angolino tra la scrivania e l'armadio, strattonandoti un paio di
volte; ovviamente, dopo un po' decidi di alzarti. Evidentemente, per
essere venuta fin dentro casa tua, la cosa doveva essere comunque
importante.
... O almeno, tu
speri vivamente che sia importante, sennò il tuo galateo
andrà
bellamente a quel paese.
«E va bene, e
va bene.» grugnivi, guardandoti attorno prima di decidere di
indossare una delle tante canotte buttate disordinatamente sulla
sedia vicino alla tua scrivania, guardandola da dietro le lenti
scure, in attesa che tutto quello scempio ridicolo finisse e che ti
fosse di nuovo permesso di affogare la propria disperazione nel
letto.«Dimmi che cosa c'è di tanto importante da
averti costretta a
sgusciare via dalla tua scrivania per venire fin dentro casa mia, visto
che è una cosa che puoi fare solo ed esclusivamente durante
le emergenze.»
Il
silenzio aveva riempito la stanza in pochi secondi, invadendoti le
orecchie e il cervello gradualmente, fastidioso.
Non ti piaceva,
per niente.
«Abbiamo avuto
un blackout?»
«No, signore.»
«Problemi col generatore
principale?»
«No.»
«Un'armata delle nostre intelligenze
artificiali si è ribellata e ha sterminato una buona parte
della
nostra equipe progettando la conquista del mondo?»
«Ma lei è
davvero serio a riguardo, signor Strider?»
«Ho la faccia di uno
che scherza, Miyako?»
« … Effettivamente, no. E no, non è
successo questo.»
Stavi iniziando
a perdere la pazienza. Ti massaggiavi le tempie, nervoso, la tua
mente che cercava di capire che cosa diavolo possa esser capitato.
Cosa, cosa,
cosa...
«Allora cosa
diavolo è successo?!» difatti grugnivi, lanciando
un'occhiata
torva alla segretaria. E quest'ultima, in tutta risposta, ti
allungava una lettera dall'inconfondibile carta rossa e inchiostro
azzurro che decorava il nome del mittente con frivoli ghirigori. La
tua mente scandiva ogni singola lettera scritta su quel blocco di
carta spessa, e se fosse stato possibile impallidire ancora di
più
per uno come lui, sarebbe sicuramente diventato trasparente.
Jane
Crocker
21605
Fir Dr, Maple Valley, Washington
Dannazione.
Era riuscita a trovarti.
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