Meredith.
Eravamo
una famiglia come tante, conducevamo un' esistenza normale ma un
giorno tutto cambiò e la causa fu una sola: Meredith.
Meredith
era una bambina di dieci anni, lunghi capelli neri, guance rosate,
vestiti da bambola, educata e sempre gentile, o almeno così
sembrava agli occhi di chi la guardava.
In
realtà in quegli occhioni scuri si celavano una cattiveria
inaudita, una furia cieca e una pazzia incontrollabile.
Purtroppo
fui l'unica ad accorgersene in tempo, gli altri capirono quando ormai
era troppo tardi.
I
miei l'avevano adottata in seguito al loro innamoramento verso quel
piccolo angelo, come la chiamavano loro, che al mondo non aveva più
nessuno.
I
suoi veri genitori erano morti da un anno e mezzo a causa di una
rapina finita in tragedia. I loro corpi furono ritrovati in salotto
accoltellati.
Durante
l'anno e mezzo passato in orfanotrofio altre famiglie l'avevano presa
in custodia ma nessuna l'aveva adottata, ogni singola famiglia
l'aveva riportata indietro sostenendo che in lei c'era qualcosa che
non andava.
I
miei rimasero cosi addolorati dalla sorte di quella bambina che la
vollero adottare subito senza nemmeno il periodo di prova e lei fu
ben felice di entrare nelle nostre vite.
Passavo
le mie giornate a studiare Meredith, sentivo che oltre quella
facciata da bambolina c'era qualcosa di ben più malvagio, lo
vedevo nei suoi occhi quando il suo sguardo finiva nel mio, nei suoi
gesti, nelle sue parole. Lo sentivo e basta, lo percepivo, ma non
potei fare nulla per impedire ciò che accadde.
Tim,
il mio fratellino di cinque anni era solito portarsi appresso un
orsacchiotto di peluche che gli era stato regalato da papà
appena era nato e dal quale non si era mai separato nemmeno un
secondo per questo, quando una sera corse da me disperato a dirmi che
non lo trovava più, mi parve molto strano.
Lo
cercammo per tutta la casa ma del peluche non c'era nemmeno l'ombra.
Dopo
ore passate a piangere il piccolo si addormentò e, come di
consueto, io portai Lion, il mio pastore tedesco, a fare l'ultima
passeggiata serale prima di andare a letto.
Fu
quando tornai a casa che vidi l'orsetto di Tim.
Era
legato per la testa,come un' impiccato al ramo più basso del
vecchio pino che avevamo in giardino, il corpicino presentava un
taglio profondo che partiva da sotto la testa e gli apriva in due la
pancia facendo sì che l'imbottitura uscisse fuori, ultimo
dettaglio: al peluche erano stati tagliati gli arti.
Presa
dalla rabbia chiamai i miei e feci loro vedere la crudeltà
fatta al mio fratellino.
Forse
svegliata dal trambusto o forse perché era in attesa di sapere
se lo scherzo era piaciuto, uscì anche Meredith ed io venni
colta da un accesso di rabbia. Le corsi incontro e prendendola per un
braccio gli urlai contro.
“Che
cos'hai fatto? Sei pazza? Perché hai distrutto l'orsacchiotto
di Tim?”
Lei
per tutta risposta si mise a piangere così tanto che mamma la
strinse a sé e mi rimproverò dicendomi di smetterla che
Meredith non poteva aver fatto nulla di simile e che dovevo farmi
passare questa crisi adolescenziale sennò sarebbero stati
guai.
Mio
padre non disse nulla ma sapevo che pensava che la mia fosse gelosia
verso quella bambina che loro cercavano solo di far sentire a casa e
di rendere felice.
Ma
la mia non era gelosia, ero sicura che fosse stata lei.
Preso
il peluche tornai in casa e andai in camera mia senza aggiungere una
parola. Volevo ricucire il peluche prima che Tim lo vedesse.
Una
volta finito glielo misi accanto e baciandogli il capo andai a
dormire.
Ma
questo fu solo l'inizio.
Era
una calda giornata di agosto ed eravamo in piscina a giocare quando
sentimmo urlare dalla cucina.
Allarmati
corremmo in casa per vedere cosa succedeva e trovammo Meredith che
piangeva a dirotto e si teneva la mano insanguinata.
“Cos'è
successo angelo?” Chiesero i miei cercando di farla calmare.
Mai
mi sarei aspettata la risposta che diede lei.
Disse
che Lion l'aveva morsa mentre lo accarezzava.
“E'
impossibile che ti abbia morso, in nove anni non ha mai nemmeno
ringhiato contro a nessuno. Sei solo una bugiarda!”Iniziai ad
urlargli contro e fu allora che mio padre mi colpì.
Non
l'aveva mai fatto, rimasi ammutolita a guardarlo.
“Devi
smetterla di comportarti così Giada! Ora stai esagerando!”
Era fuori di sé, così tanto che tremava.
Tim
si mise a piangere sentendo i toni accesi così presi lui e
Lion e me ne andai in camera.
Diedero
due punti nella mano a Meredith ma io non potevo credere che il mio
cane l'aveva morsa.
Si
era inventata tutto ne ero certa solo che non sapevo come
dimostrarlo.
Una
settimana dopo i miei mi chiamarono in salotto per parlarmi.
Ascoltai
in silenzio con gli occhi pieni di lacrime. Insieme al veterinario
avevano deciso di sopprimere Lion perché c'era la paura che
potesse aggredire il piccolo Tim o un altro della famiglia.
Provai
a farli ragionare, piansi, urlai, li insultai ma alla fine il mio
cane fu soppresso.
La
vera tragedia successe il 16 giugno 2013.
Erano
le due di notte ed io mi svegliai di soprassalto.
Mi
tirai su e stetti una paio di minuti in attesa cercando di capire
cosa mi aveva svegliata... Poi percepii dei rumori, sembravano passi
e si dirigevano in cucina.
Mi
alzai e facendo più piano possibile scesi anche io in cucina.
Trovai
Meredith di spalle che stava cercando di ripulire qualcosa, sembrava
un coltello.
Fu
allora che vidi il sangue sulla lama e istintivamente sentii un nodo
gelido allo stomaco.
Spaventata
feci dietro front e tornai di sopra il più velocemente
possibile e feci irruzione in camera dei miei.
Quello
che vi trovai non me lo dimenticherò mai...
Riversi
nel letto c'erano i miei genitori con diverse coltellate al torace,
in una mare di sangue.
Urlai
in preda al dolore e corsi in camera di Tim. Lo trovai a terra ferito
ma ancora vivo, aveva perso i sensi.
Feci
per uscire dalla stanza in cerca del telefono ma quando sollevai lo
sguardo incontrai gli occhi scuri e folli di Meredith. Aveva il
coltello sguainato e lo puntava verso di me.
“Tu
mi hai sempre dato fastidio Giada, mi hai sempre odiata e fino
all'ultimo hai cercato di portarmi via l'affetto di mamma e papà.
Ma ora la pagherai.” Disse con una voce che nemmeno
riconoscevo. Finalmente vedevo oltre la maschera, vedevo il mostro
che c'era sempre stato dietro quella facciata.
“Sei
pazza! Cos'hai fatto?” Continuavo ad urlare in preda alla
rabbia e al dolore.
“Tu
hai rovinato tutto! Stai zitta!” Si mise a urlare anche lei e
prese a tremare.
“L'altra
sera, pensando che io dormissi, papà e mamma hanno parlato di
me. Papà diceva che aveva notato atteggiamenti strani da parte
mia e che da quando sono arrivata succedono cose strane come quella
dello stupido orso del moccioso. Diceva che sarebbe stato meglio
portarmi dallo psichiatra. Ma si sbagliava. Io non tornerò più
in quel posto. Mai più!”
Fu
in quel momento che capii tutto.
Retrocedendo
verso Tim le chiesi a bruciapelo se aveva ucciso anche i suoi veri
genitori.
Per
un attimo si bloccò guardando nel vuoto poi, dopo un lungo
silenzio, con voce dolce, quasi tenera si mise a raccontare.
“Loro
erano cattivi con me. Mi picchiavano e mi dicevano che mi odiavano,
che ero la figlia del diavolo, che ero cattiva e che mi avrebbero
uccisa prima o poi. Così una sera misi del sonnifero nel thé
e quando si addormentarono li uccisi. Se lo meritavano.”
Rimasi
scioccata dal racconto e collegai tutto. Anche quella sera Meredith
aveva preparato il thè e ne aveva distribuito una tazza per
ciascuno ma solo lei non lo aveva bevuto buttandolo nel lavandino.
Ecco perchè lei a differenza della sua famiglia si era
svegliata.
All'improvviso
Meredith si scagliò su di me che per evitare di finire addosso
a Tim le andai incontro prendendole il braccio che teneva il
coltello. Finimmo entrambe a terra, lei sopra di me cercava di
colpirmi ma era pur sempre una bambina di undici anni contro una
sedicenne e alla fine ebbi la meglio.
Le
strappai il coltello dalle mani e lo affondai nel suo torace a fondo.
Il sangue prese a scorrere sul suo vestito. Guardai Tim steso ancora
a terra ferito e mi assalì una rabbia cieca. Iniziai a
colpirla con ferocia, sentivo la carne aprirsi e il coltello
sfuggirmi di mano tanto era impregnato.
Smisi
solo quando non vi fu nemmeno più un centimetro di pelle
bianca.
Intorno
a me c'era tanto sangue, così tanto che non riuscivo più
a capire dove finiva il sangue e dove iniziava il pavimento.
La
guardai un ultima volta. Il viso era diventato pallido, il corpo era
dilaniato e sanguinante, gli occhi,quegli occhi che tanto avevo
odiato, ora erano vitrei e persi in un orizzonte lontano.
Presi
in braccio mio fratello e uscii da quella casa.
Fu
cosi che mi ritrovai orfana.
Venni
rinchiusa per un paio d'anni in un carcere minorile mentre Tim venne
affidato ad una nuova famiglia.
Prima
di partire per la sua nuova vita mi venne a trovare.
Mi
abbracciò stretta stretta e mi regalò il suo amato
orsacchiotto dicendo: “Con questo ti sentirai meno sola. Quando
avrai paura stringilo forte forte e la paura vedrai che ti passa. Con
me funziona.”
Non
lo rividi mai più.
10
anni dopo.
Una
donna dai lunghi capelli si dondola avanti e indietro sul letto.
Tra
le mani ha un articolo di giornale:
“Un
tremendo delitto si è consumato ieri notte in un quartiere di
Jacksonville. Una sedicenne, Giada Monroe, uccide a coltellate i
genitori Alesha Jonson 45 anni e Klaus Monroe 47. Morta anche la
sorellastra Meredith Ortega 11 anni che era stata adottata da circa
un anno dalla coppia. Soltanto ferito il fratello dell'assassina, Tim
Monroe 5anni.”
La
donna accarezza col pollice la foto del bambino e riprende la
litania:” Non sono pazza, non li ho uccisi io. E' stata lei,
Meredith. Quell'abominio, quel demonio...Non sono pazza...Non sono
pazza...Non sono pazza...”
E
continuando a sussurrare questa frase stinge forte forte l'orsetto di
peluche.
FINE
ANGOLO
DELL'AUTRICE:
Ciao
a tutti, spero che questa storia vi piaccia, è un po' lunga ma
quando scrivo mi lascio trasportare e mi dilungo.
Spero
che avrete voglia di leggerla e che recensiate.
A
presto.
Fly90
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