Disclaimer:
Harry Potter, appartiene a una certa J.K. Rowling o Bowling, non certo
a me
QUELLA
VOLTA CHE MI SI RUPPE LA CINTURA
Quando
era più piccolo
aveva sognato tante volte che qualche parente sconosciuto venisse a
portarlo
via, ma questo non era mai accaduto; gli unici suoi parenti erano i
Dursley.
Eppure gli sembrava che gli sconosciuti per strada lo riconoscessero.
- Harri Potter e la
pietra filosofale -
1985
La ragazza col cartellino rosso
guardava verso di loro con
uno sguardo che Harry decisamente non capiva.
Era al Supermercato insieme ai
suoi zii, che camminavano
davanti a lui tenendo per mano suo cugino, Dudley. Si poteva
tranquillamente sostenere
che più che essere loro a portarlo era il contrario, era,
infatti, da quando
erano entrati che li strascinava con tutte le sue forze per ogni
scaffale del
negozio, nel tentativo di riempire fino al soffitto il carrello con
tutti i
tipi possibili del classico “cibo spazzatura”.
In questo momento
però stava urlando perché Zio Vernon non
aveva abbastanza soldi dietro per comprargli la macchina dei gelati
che, attualmente, sembrava la cosa di cui aveva più bisogno.
Forse era per questo che la
signora dove si andava a pagare
li stava guardando. In seguito posò lo sguardo anche su
Harry e lui, quando se
ne accorse, abbassò gli occhi.
Si vergognava abbastanza, anche
se i vestiti che aveva quel
giorno, erano i suoi preferiti. Aveva una camicia con una fantasia
scozzese
rossa che, come diceva Zia Petunia, lo faceva sembrare un bambino
“di
costituzione normale, invece che uno scheletraccio”.
Gli era stata passata da suo
cugino, l’aveva usata molti
anni fa, ora non ricordava esattamente quando, tuttavia era una di
quelle che
gli stavano meno larghe, infatti, le maniche erano state svoltate solo
due
volte. In compenso era piuttosto lunga, gli arrivava poco sopra le
ginocchia,
perfetta per coprire il rigonfiamento dei jeans, enormemente larghi,
tenuti a
malapena da una cintura logora che si era rotta già due
volte e aveva
aggiustato come poteva.
Alzando la testa
guardò di nuovo suo cugino, che adesso
stava prendendo a calci sua madre davanti ad un’attonita
vecchietta.
La sua
famiglia.
Arricciò
istintivamente il naso, per poi sfregarselo con la
mano, come se prudesse, e distolse lo sguardo.
Si portò le braccine
dietro la schiena e iniziò a giocare
con le mani un po’ sudate.
Avrebbe voluto sapere se lui
aveva davvero una famiglia,
oppure se l’avevano solo quei bimbi che vivevano con la loro
mamma e il loro papà,
ma sapeva che non doveva fare domande.
Non doveva chiedere niente di
niente, ma soprattutto non
poteva chiedere dei suoi genitori.
Credeva che prima del loro
incidente avessero litigato con i
suoi zii riguardo a delle cose che dovevano essere molto importanti, ma
ovviamente
non conosceva i dettagli.
Si allontanò dai
suoi zii, e si mise a guardare con aria
assente lo scaffale pieno di caramelle davanti a lui, pensando a quello
che gli
aveva raccontato Tommy, un bambino che andava all’asilo con
lui, riguardo alla
sua mamma e al suo papà, ovviamente prima di smettere di
salutarlo dopo
l’intervento di Dudley.
Forse non esisteva davvero una
mamma che fosse buona come
quella di Tommy, e lui aveva solo esagerato o forse gli aveva detto
addirittura
una bugia, forse, semplicemente, non gli piaceva crederlo.
Mentre puntava
l’occhio su un tubetto enorme di Mars, con uno
sguardo che sperava apparisse desideroso, ma che sapeva benissimo,
sarebbe
passato inosservato, giocava con la sua frangetta, decisamente troppo
lunga.
Zia Petunia, non voleva
fargliela tagliare di più, per
evitare che si vedesse troppo la sua “orrenda
cicatrice”, si passò quindi le
mani tra i capelli, tirandoli su, tenendoli per qualche istante con le
mani,
nella speranza che non scendessero di nuovo sopra i suoi occhi.
“Ciao”.
Harry si girò di
scatto, quasi inciampando nell’orlo dei
pantaloni, e alzò la testa per guardare chi lo aveva
salutato.
Era un signore molto strano,
vestito con un mantello di
colore marroncino chiaro, piuttosto vecchio, che, probabilmente anche
lui aveva
avuto di seconda mano da qualche suo parente.
Aveva dei segni rossi sul viso,
come dei graffi, nonostante
questo lo sguardo con cui lo guardava era dolce e allo stesso tempo
emozionato,
come di qualcuno che dopo tanto cercare, ha trovato qualcosa che aveva
perso.
Harry rimase turbato
dall’interesse dello sconosciuto e,
abbassando il capo, rispose con vocina flebile:
“...’iao”.
Poi, prendendo un po’
di coraggio e, lanciando un’occhiata
ai suoi zii, che stavano armeggiando con dei soldi, disse:
“Non posso parlare
con gli estranei”.
Il signore davanti a lui
sorrise per un attimo e poi gli
rispose: “Hai ragione, ma io non sono un estraneo, ti
conosco.”.
“Sì?”
“Sì, ti
chiami Harry Potter, giusto?”
Ormai privo d’ogni
timidezza, Harry gli rivolse un’occhiata
stupita, guardandolo, come se lo vedesse per la prima volta.
Avrebbe voluto chiedergli molte
cose, come faceva a conoscerlo,
chi era, se aveva mai visto i suoi genitori, se era un parente, ma
sapeva che
non era buona educazione fare troppe domande.
“Chi sei?”,
la domanda gli uscì dalle labbra senza nemmeno
rendersene conto.
Subito dopo, imbarazzato dalla
sua domanda e da quei
pensieri, così poco educati, abbassò lo sguardo,
arrossì, e iniziò timidamente
a giocare con la fibbia della sua cintura, e lo scotch che cercava di
tenerla
attaccata.
“Mi chiamo
Remus”.
Sembrava che questo Remus ci
tenesse ad essere gentile con
lui, senza che Harry ne afferrasse il motivo, lui era un adulto, non
doveva
essere educato con i bambini era il contrario.
Strap.
La fibbia della cintura, con la
quale stava giocando, si
ruppe, i pantaloni fecero per abbassarsi, ma Harry li prese in tempo.
Mentre i
resti della cinta giacevano nel pavimento, Harry, rossissimo in viso,
cercava di
trovare un modo per farli stare su, ma senza la cintura era
un’impresa ardua.
“Aspetta ti
aiuto” disse Remus.
Prese i resti della cintura e
si girò, coprendosi alla vista
di Harry col suo mantello. Borbottò qualcosa a voce molto
bassa e poco dopo si
voltò.
Aveva in mano la sua cintura,
proprio la sua, completamente
aggiustata.
Harry non sapeva cosa pensare,
era ormai immobile che lo
guardava con palese stupore.
Remus sorrise della sua
sorpresa, s’inginocchiò e infilò la
cintura nei passanti, poi la chiuse e Harry non poté fare a
meno di pensare che
l’aveva stretta al punto giusto, non come Zia Petunia.
Dopo si abbassò e
gli risvoltò l’orlo dei jeans un paio di
volte, finché non furono giusti per la sua altezza.
“Grazie”
disse Harry, nonostante non sapesse perché questo
Remus gli avesse aggiustato la sua cintura, ringraziare gli sembrava il
minimo.
Poi in un lampo,
passò nella mente di Harry un pensiero, o
meglio un sogno, che aveva fatto molte volte e si ritrovò a
domandargli: “Mi
porti via?”
Remus lo guardò con
occhi diversi, erano un po’ tristi,
Harry pensava di averlo offeso con quella domanda e gli dispiacque,
perché lui
era stato molto gentile con lui.
“Mi dispiace Harry,
non posso. Ma un giorno verrà qualcuno a
prenderti”.
“Harry, vedi di
muoverti, ci aspetta tuo Zio in macchina”.
La voce di Zia Petunia
sembrò risvegliare Harry da una
specie di trance, nella quale era rimasto praticamente tutto il tempo a
bocca
aperta, con la testa che esplodeva di domande non dette.
“Aspet…”
tentò di dirgli, doveva saperne di più di Remus,
di
chi sarebbe venuto a prenderlo e quando, ma lei lo aveva già
afferrato per un
braccio e lo strava strascinando verso l’uscita, Harry allora
si girò, per
guardare un’ultima volta quella strana persona, ma era troppo
tardi.
Il corridoio era vuoto.
Che
dite...me lo lasciate un commentino??^^
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