L'anomalia
dell'appartamento 4A
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Salii
le scale a
passo lento, e ad ogni piano il cuore batteva sempre più
rapidamente, lasciandomi appena la forza di respirare. Dio, stavo
andando in iperventilazione. Non era una bella cosa.
Decisi di
calmarmi,
e con successo raggiunsi il quarto piano. Era esattamente come lo
ricordavo: l'ascensore, la moquette verde marcio sulle
scale.
E il mio vecchio appartamento.
4B. Le
lettere dorate brillavano come due piccoli specchi, probabilmente
erano state cambiate.
Avevo vissuto
lì
per parecchi anni, ma ancora lo ricordavo come se fosse passato solo
un istante.
Deglutii a
fatica e
mi voltai. La porta color grigio topo era sempre la stessa, ma anche
qui la targhetta con il numero era tirata a lucido.
4A.
Avanzai di un
passo, e improvvisamente la porta si aprì. L'intensa luce
che
filtrava dalle finestre dell'appartamento rischiarò il
pianerottolo.
«
Papà, voglio –
» mormorò una bambina deliziosa dai morbidi
capelli color miele.
Quando mi vide, quasi sulla soglia della porta, sussultò
appena e si
ammutolì. Mi guardava con i grandi occhi azzurri senza
lasciarmi
scampo.
«
Non volevo
spaventarti, piccola. Scusami. » mi affrettai a dire,
imbarazzata.
«
Papà..? »
ripeté lei, e dopo qualche istante un ragazzo sulla trentina
apparve
sulla soglia accanto a lei, che andò a nascondersi tra le
sue gambe.
«
Camille, ma che
– » mugugnò, aggrottando la fronte.
Aveva i capelli di un biondo
sporco, e una barbetta ispida molto affascinante. « Oh,
salve. Cerca
qualcuno? ».
«
Ecco, io... mi
dispiace, non volevo disturbarvi. Io, uhm, abitavo nell'appartamento
di fronte. » mi affrettai a dire, impacciata, indicando la
porta
alle mie spalle. « Penny, molto piacere. ».
«
Piacere, Marcus.
» rispose lui, con un sorriso affettuoso. « E
questa è la mia
Camille. ».
La bambina
nascose
il visetto tra le gambe del papà, spiandomi di nascosto di
tanto in
tanto.
« E'
adorabile. »
commentai, e lei si lasciò scappare un sorrisetto.
« Mi dispiace
essere piombata qui all'improvviso, ma sono tornata in California per
qualche giorno e volevo vedere se questo posto fosse cambiato o
meno. I...precedenti inquilini sono andati via da molto? ».
«
Oh, intende il
dottor Hofstadter? ».
Leonard. Sentire
di nuovo qualcuno pronunciare il suo cognome fu una stretta al cuore.
Avevo letto del suo incredibile lavoro nel campo della fisica.
Nonostante la mia carriera da attrice, riuscivo sempre a ritagliarmi
un momento per leggere gli articoli che parlavano di loro.
Erano passati
tanti
anni, e di loro avevo solo quei ritagli di giornale. La vita ci aveva
divisi, ma nonostante tutto quel luogo manteneva ancora molti dei
miei ricordi.
«
Si.
Eravamo...grandi amici. » sussurrai, e un brivido mi percorse
la
schiena.
«
Oramai sono
passati sei anni. Abitava da solo, quando ho comprato l'appartamento.
».
«
Solo? »
ripetei, sorpresa. Probabilmente Sheldon aveva lasciato la baracca
prima di lui.
«
Già, ma pochi
mesi prima aveva un coinquilino davvero strambo, a suo dire.
»
proseguì Marcus, ed io scoppiai a ridere.
Non vivevano
più
lì. Nessuno oramai ci viveva più. Il tempo era
passato, e solo in
quel luogo me ne accorsi realmente.
Dietro Marcus,
l'appartamento era così simile a come lo ricordavo, eppure
così
diverso. Al centro del soggiorno c'era un grande divano a L color
panna, e un tavolino in mogano scuro.
E nessun
computer.
O fumetto.
Il mio
telefono
vibrò nella borsa, ma deviai la chiamata. Probabilmente era
il mio
agente.
« Mi
ha fatto
davvero piacere parlare con lei, Marcus. E mi dispiace averla
disturbata. » mi affrettai a dire, stringendomi nella giacca
color
magenta.
«
Non vuole
restare per un caffè? Mia moglie sarebbe felice di
conoscerla. ».
«
No, la
ringrazio. » risposi, salutando Camille con la mano.
« devo proprio
andare. ».
Raggiunsi la
cima
delle scale, ma Marcus ancora non aveva chiuso la porta.
«
Perché non prendi l'ascensore? »
squittì Camille, dietro le gambe
del papà. La guardai con gli occhi spalancati.
«
vuoi dire che funziona?
»
sussurrai, senza battere ciglio.
«
Perché non
dovrebbe? » chiese Marcus, visibilmente incuriosito dalla mia
reazione.
A quel punto
scoppiai in un risolino sommesso, e un po' malinconico.
«
Meglio di no.
Non sono abituata. » mormorai, scendendo le scale. Non mi
voltai
indietro.
Quando lasciai
l'edificio il telefono vibrò ancora.
«
Pronto? »
«
Penny, sono
Stuart. » disse pronto il mio agente, con voce professionale.
« le
riprese dopodomani sono di nuovo a New York, perciò ci
spostiamo lì
domani pomeriggio. ».
« Ti
ringrazio,
Stuart. A domani. » dissi calma.
«
Vuoi che venga a
prenderti? Dove sei? » mi chiese lui, e in sottofondo sentii
un
brusio movimentato. Doveva essere per strada anche lui.
Sorrisi.
« Non
preoccuparti, ho la macchina. » e attaccai prima che potesse
rispondere.
Inspirai a
fondo e
continuai a camminare lungo la strada.
Avevo
un'incredibile voglia di mangiare cibo Thailandese.
Chissà
come mai.
Note: Lo so, è
un pò malinconica, decisamente in contrasto con quello che
è lo spirito della serie televisiva. Ma ho pensato al
futuro, nell'eventualità che le strade dei nostri
protagonisti si separino in maniera naturale, seguendo il corso degli
eventi. E ovviamente non potevo tralasciare la mitica ascensore!
Spero vi sia piaciuta!
L.
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