all I want for CHristmas is you
All
I want for Christmas is... you!
È strano
come una festa che hai sempre considerato stupida, monotona e inutile
diventi tutt'ad un tratto una festa importante, imperdibile e sinonimo
di felicità.
Forse è per questo motivo che il mio cuore ha scelto Peeta,
alla fine di tutta questa assurda storia: proprio perché lui
è capace di regalarmi semplici gioie e di farmi apprezzare
piccole ma importanti cose.
Ed è per questo che, appena mi sveglio, nonostante non senta
al mio fianco il calore che il corpo di Peeta solitamente emana, un
timido sorriso mi spunta sulle labbra: oggi è la vigilia di
Natale.
A svegliarmi è stato il profumo di tante prelibatezze che Peeta ha preparato per questa festa così importante per lui.
Mi alzo con cautela dal letto, senza fare troppo rumore, posando
delicatamente un piede sull'asse scricchiolante del pavimento. Con la
stessa cautela, scendo lentamente le scale cercando di non farmi
sentire dal ragazzo del pane.
Appena lo vedo, il mio cuore perde di un battito; indossa la stessa
maglietta che solitamente indossa in panetteria, quella bianca molto
aderente che lascia intravedere ogni forma della schiena e del suo petto.
Probabilmente non è la stessa maglietta che indossava il
giorno che il mio sguardo si posò veramente su di
lui, quel giorno piovoso che né io e né lui
dimenticheremo mai, quel giorno in cui mi lanciò il pane
bruciacchiato che mi salvò la vita, però le
somiglia tantissimo.
Così faccio una cosa che non avevo mai fatto prima senza
essere spinta da qualche fattore esterno; lo abbraccio delicatamente da
dietro.
Lui sussulta lievemente, ma appena si gira e mi guarda un mezzo sorriso
gli illumina il viso.
« Oh! Sei sveglia! » dice, lasciandomi un bacio
sulla guancia.
«
Sì, mi ha svegliata questo buon profumino. »
mormoro, avvicinandomi di più a quello che sta preparando.
Sul tavolo di mogano della cucina, vi sono tutte le prelibatezze del
mondo: muffin al cioccolato, cupcakes con tante decorazioni natalizie -
piccoli babbo natale sorridenti, abeti ricchi di palline di pasta di
zucchero, pacchi regalo di qualsiasi colore - , torte di ogni genere -
al caramello, alla nocciola, alla menta, perfino al whisky -, e altre
ghiottonerie di cui non saprei neanche pronunciare il nome.
Guardo ammirata tutto quel cibo, chiedendomi come riesca a preparare
così tanta roba in così poco tempo.
« Peeta, ma
sono meravigliosi! » sussurro con voce rotta. All'improvviso
un singulto mi scuote il petto.
Lui si gira allarmato verso di me, e appena mi guarda in viso mi
abbraccia.
« Peeta,
cos... » ma non riesco a finire la frase, perché
un altro singulto mi impedisce di parlare. Lui mi abbraccia
più forte, accarezzandomi i capelli e sussurrandomi mille
cose. Mi scosto, un po' confusa, dal suo petto e mi tocco il viso,
notando che ho le guance bagnate.
D'istinto mi asciugo gli occhi, confermando ciò che
sospettavo: ho pianto.
Sfioro con le dita il petto di Peeta, guardandolo negli occhi. Noto che
la fronte è un po' corrugata e le sue sopracciglia sono
calcate sugli occhi, formando una piccola ruga al centro di esse, segno
di preoccupazione.
« Non ti
preoccupare, Peeta. È solo che... probabilmente mi sarebbe
piaciuto che ci fosse anche lei qui per poter mangiare tutte queste
cose che ha sempre desiderato ma mai avuto. » un sorriso mi
spunta involontariamente sul viso. Un sorriso che, in teoria, non
avrebbe alcun senso, ma Peeta ha afferrato il concetto e ora cerca di
distrarmi in tutti i modi. Mi prende delicatamente per un braccio e mi
catapulta nel suo mondo di zucchero e ricette varie; mi mostra come si
fa il pan di spagna per la torta al burro di arachidi, poi mi insegna a
glassare i piccoli biscotti che ha preparato per il figlio di Finnick.
Dovrei decorare tutti i biscotti con qualcosa che ricordi il mare -
tridenti, onde, pesciolini, roba così - e invece mi escono
degli sgorbi orribili. Corruccio un po' la fronte per il disastro che
ho combinato, ma Peeta come al solito mi guarda amorevolmente e mi dice
che sono perfetti.
Ad un certo punto, mentre sono concentrata a decorare un biscotto con
una piccola stella marina di cioccolato plastico, Peeta mi lancia un
po' di farina sul viso.
Colpita dal gesto, spalanco gli occhi e sbuffo per togliermi la farina
dalle labbra, e Peeta non può fare a meno di sganasciarsi
dalle risate, perché probabilmente ho un'espressione davvero
buffa.
Lo fulmino con lo sguardo e gli imbratto il viso con tutto il contenuto
della sac à poche, spremendogliela sul viso. Lui fa una
faccia indignata così divertente che gli scoppio a ridere in
faccia.
« Ora ti
prendo! » esclama Peeta con una voce da orco cattivo, mentre
cerca di afferrarmi con le sue manone ma, sfortunatamente per lui e
fortunatamente per me, sono più veloce e comincio a correre
come una saetta di qua e di là, scaraventando per aria
qualsiasi cosa.
Lui è troppo lento rispetto a me, così ho un
netto vantaggio: purtroppo però, non ho messo in conto tutta
la farina che c'è per terra, e per questo motivo cado
rovinosamente. La stessa sorte tocca a lui, così ci
ritroviamo stesi per terra, l'uno a pochi centimetri dal viso
dell'altro: i nostri respiri sono concitati e affannati per via della
corsa che abbiamo fatto. Mi alita sul viso un « ti ho
presa. » poco entusiasmato ma molto, molto roco.
Sto per protendermi a baciarlo per la prima volta in assoluto da dopo
la guerra, ma in quel momento suona il campanello della porta.
Appena ci rendiamo conto di quello che stavamo per fare, ci alziamo
velocemente - la parte divertente è che sembriamo i
personaggi di un cartone animato - e cerchiamo di sistemare il disastro
che sono i nostri vestiti, i nostri capelli e le nostre facce.
Io cerco di nascondere il rossore che mi ha imporporata il viso, mentre
Peeta va ad aprire la porta.
« Ehi, ciao
decerebrati! Abbiamo interrotto un po' di sano sesso? »
è la voce di Johanna, e successivamente la sua testa che fa
capolino dalla porta, che mi ridesta dai miei pensieri ingarbugliati
che hanno come unico protagonista Peeta.
« Ciao anche
a te, Johanna! » urliamo insieme io e Peeta cercando di
guardare altrove, imbarazzati come non mai, facendo scoppiare a ridere
Johanna, Haymitch e Annie.
***
Il pranzo e - successivamente - la cena passano meravigliosamente, tra
le risate di una Annie Cresta radiosa e le battute ironiche e sagaci
di Johanna e Haymitch.
Quei due, se non fosse per la differenza d'età, potrebbero
benissimo stare assieme.
Ho passato tutta la giornata ad osservare rapita Peeta giocare con
Finn, il figlio di Annie e Finnick. Non capisco come faccia a non
stancarsi mai, d'altronde è un essere umano anche lui.
Eppure non hanno mai smesso di giocare, e Peeta non ha mai smesso di
avere quel sorriso dolce e radioso che indossa ogni volta che Finn
viene a casa nostra. Sembra che abbiano provato tutti i giochi del
mondo: prima nascondino, poi battimani, successivamente hanno
inscenato una lotta nella quale ha - ovviamente - vinto Finn e infine
un'avventura di pirati vissuta tramite dei personaggi in miniatura.
Sembra che Peeta non si stanchi mai di quel bambino, ma poi un pensiero
comincia a farsi strada nella mia mente; sembra che Peeta non si
stanchi mai di nessun
bambino.
Haymitch, il quale non fa altro che fare battute prorompenti e
inopportune riguardo alle abitudini sessuali - inesistenti, ma questo
particolare sembra non interessargli - mie e di Peeta, ha portato un
vino prelibato per la mia gioia, un vino rosso speziato che io mi sono
scolata senza neanche accorgermene.
Appena mi alzo in piedi per sparecchiare la tavola, le mie gambe
tremano un po' e mi ritrovo a barcollare verso la cucina. Haymitch,
sobrio ormai da mesi, scoppia a ridere sotto gli sguardi confusi dei
presenti; credo che sia l'unico a capire il perché
stia barcollando.
Mi ritrovo a sghignazzare silenziosamente senza un motivo logico,
mentre lavo i piatti sporchi nel lavello, strofinando con forza la
spugna sulla superfice di ceramica e lasciando che i pensieri scorrano
confusi nella mia mente.
A destarmi da quei sogni ad occhi aperti è Peeta, che mi
sfiora con dolcezza una spalla. Sussulto e il piatto cade nel lavello,
scontrandosi con l'acciaio e provocando un rumore secco.
« Katniss?
» mormora lui, continuando ad accarezzarmi una spalla.
Sono troppo brilla per poterlo scacciare e borbottare imbarazzata come
faccio al mio solito, così mi lascio accarezzare e coccolare
dall'unico uomo, oltre mio padre, che mi abbia veramente mai amata.
Ancoro i miei occhi ai suoi, senza distogliere lo sguardo; ha gli occhi
lucidi, ma non di pianto, no. È qualcosa che non so ben
identificare, perché non ho mai visto negli occhi di Peeta
questo luccichio strano.
Continuo ad esplorargli gli occhi con la bocca semiaperta,
finché lui non abbassa lentamente la mano sul mio fianco,
spingendomi così di più a sé.
All'improvviso si scosta, sorridendo in modo nervoso e portandomi sul
divano della cucina, sul quale ci sediamo insieme a Finn mentre
guardiamo un film per bambini sulle avventure di una giovane sirena.
Seguirei la storia con piacere e con entusiasmo, se non fosse per la
nebbia che l'alcool mi ha provocato. Credo di aver esagerato con quel
vino.
Appena finisce il primo tempo del film - che scopro chiamarsi "La
Sirenetta" - Peeta mi rivolge un lieve cenno del capo, facendomi capire
che è ora di andare a prendere i regali.
Con una scusa, io e Peeta sgattaioliamo verso il piano di sopra,
ignorando le battutine a sfondo sessuale di una Johanna fin troppo
brilla e i fischi che ci rivolge Haymitch.
Peeta apre l'armadio
della mia - nostra - camera da letto e mi porge tutti i pacchetti
più leggeri da portare.
Il mio sguardo cade su un pacchetto che ha una primula dipinta sopra;
la mia reazione è immediata, reagisco come solo una persona
dall'anima completamente fratturata può reagire.
Mi accascio a terra, tozzando con le ginocchia sul pavimento e comincio
a piangere. A piangere in quel modo disperato e tormentato che ha
caratterizzato mesi e mesi della mia vita dopo la morte di Prim.
Peeta posa subito a terra tutti i pacchi che aveva in mano e mi stringe
forte al suo petto, mentre io gli inzuppo tutta la camicia.
« Peeta?
» mormoro tra un singhiozzo e l'altro.
« Dimmi.
» Peeta poggia il mento sul suo petto per potermi guardare
negli occhi.
« Peeta ho
cambiato idea. Voglio un regalo di Natale. »
Lui mi guarda,
inarcando le sopracciglia. « Cosa vuoi?
»
Ora so cosa voglio. Ora so che è questo quello che Prim
avrebbe voluto per me. Perché anche se crollo, anche se cado
in un baratro senza alcuna luce, la sua mano è sempre
lì, pronta a prendermi e a riportarmi alla vita.
Perché so che, dopo tutto quello che abbiamo affrontato,
continuare ad allontanarci è inutile e controproducente.
Perché io ora so che l'unico uomo che io abbia mai amato
è Peeta.
Così, avvicino le mie labbra alle sue e gli dono un bacio,
un bacio dolce. Un bacio non dettato dalla disperazione, dal dolore,
dalla finzione o dalla paura.
È un bacio lento, ritmico, un bacio che non è per
nessuno e che non aspetta nessuno se non noi due.
Gli cingo le braccia al collo e, dopo che lui si è alzato in
piedi, ci circondo il busto con le mie gambe, aggrappandomi a lui come
se tutta la mia vita dipendesse da questo.
Forse è l'alcol a rendermi così audace. O forse
no. Forse è davvero l'amore. Tutto ciò che so
è che, mentre spingo Peeta sul letto sbottonandogli la mia
camicia preferita - come a rimarcare il fatto che io sono sua e che lui
è mio - non faccio altro che piangere, ma non di tristezza.
Piango di gioia, perché ho finalmente capito cosa voglio per
Natale, cosa voglio per tutta la vita.
« Tutto
ciò che voglio per Natale sei tu. »
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