1
<<
Se cerchi di urlare o di scappare, ammazzo tua sorella intesi? Anche
tu, se non
fai la brava dovrò ammazzarla. Ok? Adesso andiamo a fare un
giro nel bosco...
>>
Siamo
mano nella mano, perché solo così possiamo farci
coraggio a vicenda. Lo
seguiamo senza fiatare, ci ricatta, non possiamo difenderci. Abbiamo
tanta
paura, lui non ci perde d’occhio un solo istante.
È riuscito ad entrare in casa
perché papà aveva ancora una volta dimenticato di
risistemare la vecchia
serratura della porta di legno e perché lui può
avvicinarsi a casa nostra
quando e come vuole senza che nessuno gli dia peso.
Lui
lavora per papà. Lo aiuta nella gestione della fattoria,
mamma gli prepara
sempre cose buone e, quando ci riuniamo a tavola tutti insieme, ci
prendiamo
per mano e recitiamo la preghiera di ringraziamento.
Oggi
è venuto a ritinteggiare il tetto della stalla e quando ha
finito, papà gli ha
dato una pacca sulla spalla, insieme hanno sorriso e hanno bevuto una
bottiglia
di birra fresca a testa.
Quel
pomeriggio è venuto a giocare con me e mia sorella Stella,
ha preso il tè con
le nostre bambole di pezza e con dei fili di lana colorata e delle
perline
abbiamo creato delle bellissime collanine.
Quando
è venuto a prenderci di notte, indossava ancora il bracciale
speciale fatto
apposta per lui, con la pasta cruda e la vernice spray blu.
Ha
un coltello affilato con sé e lo punta al collo di Stella,
ma io non urlo, anzi
non emetto alcun suono; se cerco di svegliare papà lui la
ucciderà e poi ammazzerà
anche me e dopo salirà per le vecchie scale di legno
cigolanti ed entrerà in
camera di mamma e papà e li massacrerà senza
pietà.
È
così che ha detto che farà se non ubbidiamo.
Siamo
arrivati allo stagno delle ninfe fatate, ma di notte quel posto non
è così
bello come quando ci veniamo con la mamma. Mamma ci racconta sempre
belle
storie su quel posto e sugli abitanti segreti che vi abitano. Dice che
le ninfe
fatate appaiono solo di notte, quando nessuno può vederle e
far loro del male,
ma adesso ci siamo solo noi.
Lui
si gira verso di me e mi ordina di sedermi ai piedi
dell’albero secolare,
quello dove papà aveva promesso a me e a Stella di costruire
il nostro forzino
segreto, con ponti e funi annodate per arrampicarsi.
Poi
prende per mano mia sorella e la porta lontana da me. Le toglie il
pigiamino degli
orsetti e lo getta nel fango, Stella ne
è triste: quello è il suo pigiama preferito. Poi
le sfila le mutandine e
comincia ad accarezzarle il visino spaventato.
Io
la guardo ma non posso fare nulla per
aiutarla.
Fa
freddo, fa tanto freddo e Stella trema
tutta, comincia a piangere e a chiamare la mamma.
Lui
le dice di stare zitta, zitta e buona ma Stella ha paura e ho tanta
paura
anch’io.
Lui
le mette una mano davanti alla bocca, ma il faccino di Stella e
così piccolo
sotto la forza di quella mano gigante e dopo un po’ Stella ha
smesso di
divincolarsi dalla sua stretta. Non piange né trema
più, e lui comincia ad
agitarsi. Mi guarda e non sa cosa fare, si arrabbia e dice cose che non
ho mai
sentito pronunciare e parole che non capisco perché ho solo
6 anni.
Mi
raggomitolo e mi schiaccio contro il tronco di quell’albero
millenario, ma non
sono ancora invisibile ai suoi occhi. Lui prende il corpo di Stella tra
le
braccia e poi lo adagia sul pelo dell’acqua. Quasi subito la
vedo sprofondare
giù e scompare sotto i miei occhi.
Lui
sembra essersi dimenticato di me, comincia a piangere e a disperarsi e
a
maledirsi. Anche lui sembra un bambino adesso, anche se ha
già 17 anni.
Vorrei
scappare, tornare a casa, ma credo di essermi persa, non so
più come tornare
indietro, e poi non posso lasciare Stella da sola nel bosco, quando
ritornerà
su a galla si spaventerà un sacco e si arrabbierà
con me per averla
abbandonata.
Lui
d’improvviso si gira verso di me e si avvicina furibondo.
Prende
il suo coltello e mi fa un taglio sul braccio. Brucia, brucia un sacco,
ma
continuo a non fare rumore, anche se mi fa male e il sangue comincia a
macchiare il mio pigiama.
<<
Se dici a qualcuno quello che hai visto, verrò di nuovo a
casa tua e fredderò
te e la tua famiglia, hai capito? >>
Gli
faccio cenno di sì con la testa e lui mi ordina di andare
via e allora scappo
nel bosco buio e cerco la via di casa. Cado più volte
nell’erba alta e bagnata,
gli alberi coprono la luce della luna, mi sbuccio le ginocchia e mi
graffio il
viso.
Mamma
si arrabbierà molto quando vedrà come sono
ridotta, ma adesso non importa, devo
tornare a casa, lui me lo ha ordinato. Giro in tondo quasi tutta la
notte, ma
poi da lontano vedo la mia vecchia casetta di legno bianca e rossa e
corro
dritta in camera mia.
Domani
io la mamma e il papà andremo a riprendere Stella nel bosco.
Le
piccole ninfe fatate la terranno compagnia per stanotte.
Mi
sveglio in preda al panico, la
fronte madida di sudore. Sempre lo stesso maledettissimo sogno, mi
tormenta
ormai da 19 lunghissimi anni.
Guardo
la sveglia, sono le 3:48.
Merda. Se non riesco a recuperare qualche ora di sonno, domattina
sarò uno
straccio a lavoro. Poggio i piedi sul marmo ghiacciato, ma non ho
bisogno di
quel freddo contatto per svegliarmi dal torpore del sonno. Anche per
stanotte
Morfeo è andato a farsi fottere.
Vado
in bagno e la mia faccia
allo specchio mi fa rabbrividire.
Cavolo,
queste brutte occhiaie non sparirebbero nemmeno se Michelangelo in
persona
venisse a farmi il più grande lavoro di restauro.
Apro
l’armadietto pieno zeppo di
farmaci e tranquillanti e ne tiro fuori il solito flaconcino arancione
di
sonniferi che abbatterebbero un cavallo puro sangue, ma non me.
Magari
ha effetto solo sugli animali, Isabel, la prossima volta rivolgiti ad
un vero
medico e non ad un veterinario.
Sarà
per il sonno perso, ma certo che ne sparo di stronzate.
Ho
davvero necessità di dormire.
Ritorno
a letto, sul comodino mi
aspetta la mia vecchia amica, una seducente bottiglia di gin. Prendo
una dose standard di pillole, ad
occhio e croce
sembrerebbero una mezza dozzina, e le butto gli d’un fiato
con un sorso di gin.
Per un po’ riposerò senza fare brutti sogni.
Domattina
sarà un’altra giornata
di merda.
Il
cielo notturno è plumbeo, di
sicuro domani pioverà. E quando piove le notizie sono ancora
più brutte del
solito. Un’ultima occhiata al cuscino per vedere se la Glock
è ancora al suo
posto, poi sprofondo in un sonno senza luce.
Lunedì,
10
marzo ore 6.20
Driiiinnn!!!!
Dove
sei maledetta... *crash*
Apro
un occhio solo e...
Oh
Cristo! Sarà la ventesima
sveglia a cui faccio il funerale solo in quest’ultimo mese.
È
ora di alzarsi.
Guardo
fuori dalla finestra e il
cielo è più scuro e opprimente che mai. Perfetto.
Avrò bisogno di una doppia
razione di cioccolato a colazione e caffè ristretto, meglio
se amaro.
Il
mio monolocale è un casino
assoluto, sembra ci sia passato dentro l’uragano Katrina.
Cerco
tra le lenzuola la T-shirt
grigia e i leggins bucherellati neri. Sotto il letto trovo uno
stivaletto in
pelle e il reggiseno di pizzo. Biancheria piuttosto raffinata per una
donna
sola come me. Rubo al volo una mela dal centro tavola e mi fiondo in
bagno a
lavarmi i denti. Trovo anche l’altro stivaletto desaparecidos
e mi siedo alla
toletta per darmi una sistemata.
<<
Ci credo che sei sola da
una vita Isabel, guarda che faccia ti ritrovi. Non è per gli
spiriti che ti
porti dietro, la colpa è tutta di questa faccia da
spaventapasseri e delle
tette inesistenti che ti ritrovi, se sei pronta a far parte del
prestigioso
club delle “zitelle svitate”. >>
Ma
tu guarda se mi tocca armeggiare con trucchi e parrucchi di prima
mattina per
apparire accettabile. Certo che se non lo facessi, in ufficio
scapperebbero
tutti urlando come forsennati al solo intravedermi da lontano.
Uso
uno degli elastici che tengo
al polso a mo di braccialetto,
mi lego i
capelli in una sorta di coda ordinata e sono pronta per andare. Prendo
la Glock
e la infilo nella sua elegante custodia che tengo stretta alla cintura
e prima
di uscire sfilo lesta la giacca di pelle dall’appendiabiti.
Scendo
in strada e il tram tram
giornaliero mi perfora i timpani. Sono le 6.42 e già sono
tutti di corsa. Dai
tombini fuoriescono pennacchi di fumo nero e con questo tempaccio in
arrivo, la
città sembra essere calata in un film degli anni trenta.
Tutto sembra ridotto
al bianco e al nero, perfino i volti dei passanti. Fermo un taxi con un
gesto
della mano e dal finestrino del guidatore spunta la testa di un tipetto
simpatico sulla cinquantina, capelli brizzolati e faccia tutta rughe.
<<
Buongiorno brigadiere!!
Come vanno le cose in centrale? Si lavora? >>
<<
Sono un agente non un
brigadiere e poi lo sa che non posso parlare del mio lavoro Scott!
Comunque
buongiorno anche a lei, ammesso che di buongiorno si possa parlare.
>>
<<
Eh, brutto tempo vero?
Ma che ci vuol fare, non siamo mica a Napoli, dove brilla sempre il
sole.
Questa è la città dello smog perenne, signorì.
>>
<<
Deve essere davvero
bella questa Napoli, ne parla continuamente. >>
<<
Ah, bella assai. Peccato
per tutta quella delinquenza. Dovrebbero esserci più commissari come voi lì, allora
le cose andrebbero meglio. >>
<<
Agente. >>
<<
Si, si quello insomma.
Eccoci arrivati dottoressa. Sono 20$ >>
<<
Grazie Scott. Tenga il
resto. >>
<<
Gentilissima come
sempre, alla prossima. >>
Lo
saluto con la mano, brav’uomo
questo Scott. È dovuto andar via dalla sua città
per lavoro, ma non l’ha mai
dimenticata, la porta sempre nel cuore.
Eccoci
arrivati al dipartimento
federale della città di Constantine e più
precisamente al distretto dei casi irrisolti,
dove lavoro da quasi un anno.
Mi
chiamo Isabella Fitzgerard, ho
25 anni e sono single.
Il
mio compito qui al distretto
consiste nell’analizzare vecchi reperti, ricostruire scene
del crimine e
cercare di mettere a tacere più anime possibili, sperando un
giorno di poter
ripagare all’errore commesso anni fa.
<<
Ehi Fitzgerard ben
arrivata. Sulla scrivania c’è un caffè
fumante tutto per te. >>
<<
E scommetto anche un bel
fascicolo ammuffito. >>
<<
Perspicace. >>
Alan
Moore, 30 anni, collega di
muffa in questo edificio allo scatafascio. Si occupa di catalogare
tutti i casi
irrisolti secondo un ordine magistralmente creato dalla sua mente
contorta.
Occhialuto, ma affascinante, siamo usciti insieme qualche volta, ma la
mia
straordinaria capacità di mandare tutto a monte ha prevalso
ancora una volta.
Ciò nonostante Alan è sempre galante con me e non
mi fa pesare la mia freddezza
nei rapporti umani in generale e il mio rifiuto cronico verso tutte
quelle
attività che potrebbero anche solo lontanamente concedermi
un attimo di
stabilità interiore.
<<
Allora cosa abbiamo di
bello oggi? >>
<<
Statale 124, aprile di 2
anni fa. Un tizio è stato ritrovato carbonizzato nella sua
auto. Dalle indagini
si stabilì che la macchina era stata manomessa e quindi
è stato escluso il
suicidio dalla lista dei “sospetti”. Tutto il resto
è rimasto un mistero.
>>
<<
Prove rinvenute, analisi
effettuate, controlli incrociati? >>
<<
È tutto
nella scatola giù in archivio, numero
3953. >>
<<
Ok. Mettiamoci al lavoro.
>>
Vado
giù e accendo le luci
dell’archivio dei “senza
traccia”.
La
vita di tantissime persone si
è interrotta qui, il più delle volte senza
un’apparente motivo, ed ora è
racchiusa in queste scatole identiche tra loro, impilate le une sulle
altre, in
attesa che arrivi anche il loro turno di essere rispolverate. Mi fermo
sempre
un attimo su queste scale di ferro a contemplare questo
cimitero di vite spezzate,
prima di immergermi a capofitto in un'altra indagine e intanto spero sempre
di
aggiungere un tassello in più al quadro completo.
A
volte le cose girano dalla nostra
e la fortuna ci sorride. Per altre storie, invece, il mistero si
infittisce e
la cassetta torna a ricoprirsi di polvere su uno di questi innumerevoli
mensole.
Avvicino uno
sgabello al
casellario che mi
interessa ed estraggo
fuori dal ripiano il caso n°3953. Il fianco della scatola
riporta la data
dell’accaduto e il nome L. Castiel.
Le
luci del soffitto sono
usurate e
così sporche che la luce non
riesce a filtrare del tutto dalle plafoniere di plastica.
Questo
posto mi mette i brividi.
Meglio risalire di sopra.
<<
Già a lavoro Isabel?
Vuoi una mano? >>
<<
Magari Maggie, grazie.
Vediamo cosa abbiamo qui. >>
Maggie
Lancaster, 55 anni,
divorziata, ma sposata da una vita con il suo lavoro.
Questo
posto le piace così tanto
che qualche anno fa ha deciso di vendere la sua casetta in campagna e
adesso
vive qui nel suo ufficio. Dorme su un vecchio divano sgangherato,
mangia
cheeseburger e beve caffè tutti i giorni, temendo il giorno
della tanto
agognata (per molti ma non per lei) pensione.
Mette
l’anima in tutto quello che
fa ed è molto caparbia e capace. Le sue intuizioni in alcuni
casi ci sono stati
preziosi per la svolta nelle indagini.
Nel
contenitore c’è un misero
fascicoletto, alcune foto della scena del crimine, il documento
dell’autopsia e
la targa dell’auto. Il fascicolo in allegato riporta nome e
cognome della
vittima, l’indirizzo di casa sua e una lista di sospettati,
primo fra tutti una
certa Melinda Golden, moglie della vittima.
<<
Beh all’epoca la pista
dei sospetti si concentrò su un probabile omicidio
premeditato dalla moglie di
Louis Castiel, per una questione di assicurazioni e polizze sulla vita.
>>
<<
È sempre una questione
di soldi o di corna. >> esordisce Maggie.
<<
Le accuse contro la
donna sono decadute improvvisamente per assenza di prove sufficienti.
Poco dopo
si è trasferita a Lotzwood, nel Sunnyside. Dobbiamo fare una
chiacchierata con
lei, nell’assolata città del sud. >>
<<
Prenoto subito un volo.
>>
<<
Alan, prepara i bagagli,
tu vieni con me. E tu
Maggie prova a
contattare il medico legale che si occupò
dell’autopsia e lo sfasciacarrozze
che demolì l’automobile. >>
<<
Agli ordini, capo.
>>
<<
Fatto, il check-in è tra
due ore. >>
<<
Perfetto. Prendi la
macchina e passiamo da casa mia. Infilo qualcosa nel borsone e andiamo.
>>
<<
Isabel, dove credi di
andare? >>
Un
enorme energumeno pelato altro
quasi due metri mi si piazza di fronte.
Porca
tro... ci mancava solo lui.
<<
Procuratore. Un caso è
stato riaperto e l’unica pista da seguire al momento
è quella di un delitto di
interessi. Noi stavamo... >>
<<
Signorina Fitzgerard
quante volte devo ripeterle che in questo posto COMANDO IO!
>>
<<
Ha ragione signore, ma
vede lei non era ancora arrivato in ufficio e noi volevamo subito
metterci a
lavoro. >>
<<
Mmm. >>
Quando
si passa la manona nella
folta barba le cose non vanno mai bene. Devo prepararmi
all’ennesima lavata di
capo.
<<
Signore, vede...
>>
<<
La smetta di farneticare
e si sbrighi o rischierà di perdere l’aereo.
>>
<<
Certo signore, vado!
>>
Procuratore
Thompson, anni
sconosciuti. Se malauguratamente vi capitasse di incontrarlo in giro,
specie di
notte, è meglio per voi cambiare al più presto
direzione. Il solo aspetto
incute terrore, ma credo si sia abituato al fatto che sono una testa
dura e che
faccio sempre come voglio. Il più delle volte rischio di
essere radiata
dall’albo, ma alla fine tutto va per il meglio.
<< Ce la siamo
vista brutta. >>
<<
Pensavo peggio. Sembra
che Thompson si stia ammorbidendo con l’avanzare
dell’età. >>
<<
Forse. O forse ha una
cotta per te, Isabel. >>
<<
Certo come no. Se
potesse mi strozzerebbe con le sue stesse mani. >>
<<
Con quelle che si
ritrova sarebbe un giochetto da ragazzi soffocarti. Ahaha.
>>
La
sua mano sul suo viso e Stella non si agita più...
<<
Isabel, Isabel! Tutto
bene? >>
<<
Eh? Cosa? Si, si sto
bene tranquillo. Presto saliamo in macchina. >>
Usciamo
a tutto gas dal
parcheggio ma già siamo imbottigliati nel traffico
mattutino. Alan cerca come
può di destreggiarsi tra l’infinita fila di auto
in cui ci siamo imboccati e
appena può, inverte e si infila in un vicolo stretto. I
gatti che rovistano
nelle pattumiere miagolano e arruffano il pelo appena sentono il rombo
del
motore, poi sgattaiolano via. Un’altra curva
all’ombra dei grandi grattacieli,
e ci ritroviamo su una strada secondaria semi deserta.
<<
Sai che potresti anche
perdere la tua preziosa patente se continui a guidare in questo modo?
>>
<< E tu sai che
così rischiamo invece di perdere
l’aereo? >>
<<
Melinda Golden non sa
neppure del nostro arrivo, dove credi che possa scappare.
>>
<<
Oh, ma io non parlo di
lei. E che questa è la mia occasione di stare un
po’ con te. L’ultima volta mi
hai dato un bel due di picche, ma sai bene che io non demordo.
>>
<<
Alan sai bene che i tipi
precisini come te mi fanno venire il mal di mare. Vedessi il mio
appartamento
come è ridotto. Di sicuro sverresti per il troppo disordine.
>>
<<
Possiamo sempre
migliorarti. E poi io ti faccio ridere, il che è un grosso
punto a mio favore.
Devi ammettere che so essere simpatico quando voglio. >>
<<
Più simpatico dei tuoi
preziosi fascicoli stantii sicuramente! >>
<<
Questo è un colpo basso,
signorina Fitzgerard! >>
Lui
sorride e gli sorrido
anch’io.
Forse
questo viaggio farà bene ad
entrambi.
<<
Torno subito! >>
<<
Fa presto. >>
Salgo
di corsa le scale, apro la
porta e mi ritrovo a guardare l’abissale accumulo di vestiti
ammassati sulle
sedie, sul divano, tra le coperte...
Dio
che macello!
Ok
non ho tempo di scegliere cosa
portare.
Apro
il borsone da ginnastica e
ci infilo dentro quello che mi capita tra le mani. Vado in bagno e
prendo lo
spazzolino da denti, la spazzola e pezzi scoordinati di biancheria.
Passo per
la toletta ed infilo in borsa correttore, eye-liner Smoky e rossetto
rosso
scarlatto, giusto per non far morire di infarto Alan appena si sveglia.
Richiudo la porta e mi lascio alle spalle lo scempio che io stessa ho
creato.
Forse Alan ha ragione; sarà pure un maniaco
dell’ordine ma nemmeno essere una
strafottente come me aiuta molto.
<<
Fatto! Nuovo record.
>>
<<
Bene. Prossima fermata,
Constantine Airport, gate 5. >>
<<
E la tua roba? >>
<<
Ho chiamato Katerine e
le ho detto di prepararmi la valigia. Ci aspetta all’ingresso
dell’aeroporto.
>>
<<
E chi è Katerine?
>>
<<
Sei gelosa per caso?
>>
<<
Chi io?!? Sei impazzito?
Chiedevo per dire. >>
<<
Ah beh allora... >>
e sogghigna.
Maledetto.
Io gelosa di lui. Assurdo.
Ma
allora perché ho una voglia
matta di strappargli quell’informazione dalla bocca?
Perché
sei una ficcanaso, ecco perché.
Giusta
osservazione, posso accettarlo.
Dieci
minuti dopo siamo nel
parcheggio dell’aeroporto di Constantine.
Ho
proprio voglia di vedere chi è questa Katerine.
Prendo
il mio bagaglio a mano dal
portabagagli e ci avviamo al gate, quando alle nostre spalle arriva una
ragazza
allampanata coi capelli biondo platino e orecchini grandi come
cerchioni di una
Harley Davidson.
<<
Ecco a te Alan, la tua
valigia. C’ho messo dentro un paio di camicie pulite e un
vestito elegante, nel
caso tu debba incontrare qualcuno di importante. Nella tasca interiore
c’è la
biancheria e un paio di cravatte. >>
<<
Grazie Katerine sei
stata molto gentile. Queste sono le chiavi della mia auto, riportala a
casa e
già che ci sei puoi rimanere da me a dormire in mia assenza.
Così puoi anche
controllare la posta. >>
<<
Certamente Alan. Buon
lavoro. >>
E poi
si volta e se ne va’.
<<
Carina la tua nuova
fiamma, peccato sia così maleducata. Poteva almeno
presentarsi. >>
<<
Presentarsi con Isabel
Fitzgerard? La persona più acida e cinica che io conosca?
>>
<<
Così mi ferisci Alan.
>>
<<
Al contrario, ti
lusingo. E ora sbrighiamoci o perderemo il volo. >>
Un’ora
dopo
Signori e signore, ladies and
gentlemen, benvenuti a bordo della Fly Airlines. Mettetevi comodi ai
vostri
posti, allacciate le cinture di sicurezza e godetevi il viaggio.
Grazie.
<<
Il viaggio durerà due
ore, sarà meglio far come dice e riposare un po’
>>
<<
Si hai ragione. Ho
proprio bisogno di ricaricare le batterie. >>
Guardo
dall’oblò dell’aereo, il
tempo non è migliorato per niente. Grossi nuvoloni incombono
sulla città. Manca
poco e presto arriverà un terribile acquazzone. Ma quando
tra due ore
riapriremo gli occhi, ad accoglierci ci sarà un caldo
asfissiante.
Prendo
dalla borsa le mie pillole
“ristora sonno”
e ne mando giù tre
tutto di un fiato. Spengo le luci, abbasso la tendina
all’oblò e cerco di
riposare come posso.
<<
David! David svegliati, qualcuno stanotte è entrato in casa
nostra! >>
<<
Cosa stai dicendo Tamara. >>
<<
Ti dico che è così. La porta è aperta
e l’intelaiatura è stata tagliata.
>>
<<
Oh mio Dio le bambine! Presto corri in camera. >>
<<
STELLA! ISABELLA! RISPONDETE!! Isabella dov’è tua
sorella? Parlami Isa,
rispondimi >>
<<
Lui ci ha portate nel bosco stanotte. Stella è rimasta a
dormire con le ninfe
fatate mamma. Io ho avuto paura, ma adesso c’è il
sole e insieme possiamo
andare a riprenderla. >>
<<
Oh, mio Dio il letto è tutto sporco di sangue! AH!!
>>
<<
Cara cosa succede, oh Cielo. >>
<<
Papà perché la mamma piange? Papà?
Papà?? >>
<<
Isabel? Sveglia siamo
arrivati. >>
Sunnyside.
Un nome, una promessa.
Il sole prilla alto nel cielo e il caldo è soffocante.
Non
appena mettiamo piede a terra
ricevo una chiamata da Maggie.
<<
Pronto? Oh, bene mettici
in comunicazione. Dottor Lee, sono l’agente Fitzgerard e
stiamo indagando al
caso Castiel. Per caso ricorda qualche particolare rinvenuto
nell’autopsia
fatta da lei due anni fa? >>
<<
Salve agente. Si, in
effetti lo ricordo bene. Poverino, lo abbiamo identificato da un calco
dentale,
perché il poveretto era completamente ustionato. La cosa
strana è che
l’autopsia ha riscontrato una causa del decesso diversa da
quella che ci si può
aspettare in questi casi. Il signor Castiel non è morto
durante l’incendio
della macchina, bensì a causa del cianuro. Il suo stomaco ne
era pieno.
>>
<<
Un momento. Sta dicendo
che Castiel... >>
<<
Era già morto, quando è
salito su quell’auto. >>
<<
La ringrazio, c’è stato
di grande aiuto. >>
<<
Prego, arrivederci.
>>
Alan
getta via il mozzicone di
sigaretta e mi guarda curioso.
<<
Novità? >>
<<
La tesi dell’omicidio è
avvalorata! Il tizio si è scolato una tanica di cianuro
prima di sedersi
comodamente alla guida della sua Chevrolet. >>
<<
Interessante. Direi che
è giunto il momento di incontrare la povera vedova Castiel.
>>
<<
Già. Lo credo anch’io.
>>
Stesso
giorno, Casa Golden ore 13,53
<<
L’indirizzo è questo.
Carina! >>
<<
La modestia non è una
sua virtù. >>
Non
era una semplice casa. Era
una villetta a due piani, con piscina annessa sul retro e cagnolino
scodinzolante in giardino.
Bussiamo
alla porta con due
rintocchi al batacchio e viene ad accoglierci una donna sui 35 anni,
capelli
castani, grandi occhi verdi.
<<
Si? >>
<<
Lei è la signora Melinda
Golden? >>
<<
Chi la desidera?
>>
<<
Dipartimento casi
irrisolti di Constantine. Agenti Moore e Fitzgerard. Siamo qui per la
morte di
suo marito Louis Castiel. Possiamo entrare? >>
I
suoi grandi occhi si illuminano
e si riempiono di lacrime, ma poco dopo si scosta
dall’ingresso e ci fa segno
di entrare. L’interno della casa è ancora
più sfarzoso, con un enorme camino elettrico
al centro della stanza, parquet su l’intera superficie e
suppellettili di ogni genere,
forma e colore. Sembra che interi negozi di hobbistica, artigianato,
bricolage
e interi centri commerciali siano stati svuotati di tutta la merce per
riempire
ogni angolo possibile di questa casa. E poi ci sono quadri raffiguranti
figure
sacre, statuette di santi e ovunque sparsi ceri e candele accesi.
Ci
accomodiamo sul divano al di
sotto di un enorme lampadario di cristallo.
<<
Signora Castiel...
>>
<<
La prego mi chiami
Melinda. >>
<<
Melinda, siamo qui
perché il caso di suo marito non è stato ancora
risolto e abbiamo bisogno di
farle alcune domande. >>
<<
Chi ha riaperto il caso?
>>
<<
La scientifica. È stato
recapitato un messaggio anonimo ai nostri distretti, chiedendoci di
riaprire il
caso. Il biglietto citava le parole “scavate a
fondo.” Credevamo che fosse
stata lei, visto l’interesse che avrebbe nel far risolvere il
caso, per dar
pace all’anima di suo marito. >>
Ad
ogni mia parola questa donna è
sempre più sconvolta e stringe tra le mani il crocifisso
d’oro che porta al
collo.
<<
Cosa volete sapere? Ho
già raccontato tutto quello che sapevo agli agenti che si
occuparono del caso 2
anni fa. >>
<<
Allora non avrà problemi
a ripetere le stesse cose anche a noi. Si ricorda dove si trovava il
giorno
dell’incidente? >>
<<
Ero a casa. Da sola.
>>
<<
Quindi nessuno può
confermare il suo alibi? >>
<<
Alibi? Il caso è stato
archiviato per mancanza di prove contro di me. >>
<<
Ha ereditato una fortuna
dalla morte di suo marito Melinda, ed è proprio grazie a
quella somma di denaro
che adesso vive in questa casa di lusso lontana dalla sua
città natale.
>>
<<
Queste sono sporche
insinuazioni! Non vi permetto di accusarmi così in casa mia!
Andate fuori!
>>
<<
Ce ne andremo subito
dopo aver finito le nostre domande, adesso si sieda per favore.
>>
Alan
fa sempre la parte
dell’agente cattivo. “Fa uno strano
effetto” dice sempre, ed è vero. Chi se lo
aspetterebbe da un tipo come lui?
Meglio
intervenire, per calmare
le acque.
<<
Melinda qui nessuno
vuole puntarle il dito contro, stiamo solo facendo il nostro lavoro. Mi
dica
lei guida? >>
<<
Si, ho preso la patente
un anno fa. Ho dovuto per necessità. Se volessi arrivare in
centro coi mezzi
pubblici ci metterei un’eternità. >>
<<
È un maschio o una
femmina? >>
<<
Come scusi? >>
<<
Sotto il divano. C’è un
giocattolo per bambini. E su una delle mensole del camino
c’è una sua foto col
pancione. >>
<<
E... e una femmina. Si
chiama Dorothy. >>
<<
E dov’è adesso? >>
<<
È malata. >>
<<
La ringrazio per la sua
disponibilità Melinda. Adesso andiamo via, ma ci rifaremo
sentire in questi
giorni va bene? >>
Ci fa
cenno di si con la testa e
ci accompagna all’ingresso. Mentre usciamo dal vialetto,
sento i suoi occhi
fissi su di noi.
<<
Quella lì puzza di
colpevolezza da chilometri di distanza. Mancanza di prove. Dico ma
stiamo
scherzando? >>
<<
C’è qualcosa che ci
tiene nascosto. Dobbiamo scavare a fondo, proprio come dice il
biglietto. Ora
però andiamo in albergo, ho bisogno di una doccia.
>>
Quella sera,
Motel Moonlight ore 19,30
Mi ci voleva
proprio un bel bagno
rigenerante. Il letto non è comodissimo, ma almeno
c’è l’acqua calda e gli
asciugamani sono puliti.
*vrooom*
Il
display del cellulare si
illumina. Nuovo messaggio, è Alan.
Text:
“Ti aspetto
giù nella hall.
Andiamo a cena.”
Alan.
Apro il borsone è
con me ho solo robaccia.
Prendo un reggiseno verde petrolio senza spalline e gli slip neri, poi
tiro
fuori dal groviglio di panni il vestitino scollato blu cobalto. Mi tiro
su i
capelli in uno chignon e metto due gocce di profumo ai lati del collo.
Un filo
di eye-liner e sono pronta. Ultimo tocco: due pizzicotti sulle gote per
un po’
di rossore naturale, così sembro meno cadaverica. Metto la
Glock in borsetta e
scendo nella hall.
Alan
cammina frenetico avanti e
indietro. È buffo quando si agita, ma e anche carino.
Indossa una camicia
bianca e una giacca in gessato blu. Ha i capelli scompigliati e umidi e
i suoi
soliti occhialetti tondi. Si volta verso di me e la sua espressione mi
provoca
ilarità.
<<
Lo so, lo stile
femminile non mi dona granché, ma non ho avuto modo di
scegliere cosa portare.
>>
<<
Sei bellissima. >>
dice e mi porge il suo braccio.
Arrossisco
leggermente e scosto
lo sguardo da lui.
<<
Non dovevi indossare la
giacca per le occasioni importanti? >>
<<
Ma questa è
un’occasione importante. >>
Più
tardi,
Ristorante “Le Tronfie” ore 21.00
<<
Allora mi dici che cos’è
che non ti convince? A me il caso sembra fin troppo semplice.
>>
<<
È proprio
questo quello che non mi convince. Se
il caso è così semplice per quale motivo
è stato archiviato come caso non
risolto? Quando le
ho chiesto di sua
figlia è sbiancata. >>
<<
Buonasera signori, cosa
vi porto? >>
<<
Per me il piatto della
casa e una porzione di gamberi, grazie. >>
<<
Faccia due piatti della
casa e un tris di carne per me. >>
<<
Da bere? >>
<<
Per i vini ci affidiamo
a lei, visto che abbiamo preso sia carne che pesce. >>
<<
Come desidera signore.
>>
Aspettiamo
che il cameriere si
allontani, poi Alan riprende:
<<
E come intendi
procedere? >>
<<
Dobbiamo indagare sul
passato dei due. E qui entra in gioco Maggie. Louis Castiel
è stato ucciso e
poi qualcuno ha cercato di farlo sembrare un incidente stradale.
Dobbiamo
scoprire perché. >>
Arrivano
i primi piatti e
cominciamo a sferruzzare con le posate.
<<
Allora, da quanto
frequenti Katerine? >>
*cof*
*cof*
Alan
si sta quasi strozzando con
il boccone di cibo.
Sempre
il solito tempismo Isabel.
<<
Forza bevici su!
>> ma non riesco ad essere seriamente preoccupata per
lui, la sua
espressione è troppo buffa e adesso è diventato
rosso come un peperone e
continua a tossire.
<<
Maledetta! Vuoi farmi
morire! >>
Ma
poi scoppia a ridere anche
lui. Che coppia mal assortita che siamo!
<<
Dai, sarà meglio pagare
e andare a dormire. Domani ci aspetta un’altra giornata di
fuoco.
Letteralmente. >>
<<
Si, ma stasera offro io,
anche se volevi ammazzarmi, sono sempre un galantuomo. >>
<<
Non insisto solo perché
stavo per ucciderti e non hai le forze per contrattaccare. Non sarebbe
una
sfida ad armi pari. >>
<<
Menomale. Le tue battaglie
personali a volte sono senza fondamento alcuno. >>
Alan
paga lasciando anche una
cospicua mancia al cameriere che ringrazia animatamente. Poi saliamo in
macchina diretti al motel.
<<
Stanotte sei sicura di
voler dormire da sola? >>
<<
Alan! Certo che sono
sicura! Mi piacevi di più quando eri un nerd impacciato.
>>
<<
Ma cosa hai capito? Io
avrei dormito sulla poltrona... e poi che significa “nerd
impacciato”? Comunque
te l’ho detto perché ho notato che sei un
po’ strana, hai il sonno agitato. In
aereo hai più volte urlato il nome di una donna e ti sei
agitava parecchio. Da
quanto è che non dormi come Dio comanda? >>
Da
22 anni, da quando ho visto mia sorella venire uccisa da quello che i
miei
consideravano “uno di famiglia.”
<<
Davvero? Devo aver fatto
un brutto sogno per via delle turbolenze e della posizione scomoda,
tutto qui.
Ti ringrazio per l’interessamento, ma va tutto bene.
>>
La
conversazione si è stroncata
qui, Alan sa quando è meglio non insistere, anche se la mia
versione non lo ha
convinto per nulla, il che significa che domani ripartirà di
nuovo all’attacco.
Ma almeno per stasera posso star tranquilla.
<<
Allora buonanotte,
Fitzgerard. >>
<<
Buonanotte Moore. Ci
vediamo a colazione domani mattina. Sii puntuale e non parlare troppo
al telefono
con Katerine. >>
<<
Ancora? L’ho capito che
sei gelosa, non c’è bisogno di sottolinearlo
ulteriormente. >>
<<
Io lo dico per te. Le
onde elettromagnetiche del cellulare ti faranno venire il cancro al
cervello.
>>
<<
Quanto sei perfida. Mi
piace! >>
<<
Malato! Vai adesso,
‘notte, >>
<<
Sogni d’oro. >>
Spiritoso.
Dicono
che un bel bagno caldo sia
l’ideale per conciliare il sonno.
Riempio
la vasca con acqua
bollente, mi spoglio e mi immergo in quell’oasi di pace.
Aggiungo
oli profumati e essenza
di garofani e sambuco bianco e mi rilasso cercando di scacciare via la
brutta
sensazione che mi assale di notte. Gli aromi mi inebriano e lentamente
scivolo
in un tiepido sonno.
<<
Isabella! Questa è la terza volta in una settimana che fai
pipì a letto.
Stanotte dormirai con le ginocchia sui ceci. Vediamo se impari.
>>
<<
La prego priora, voglio vedere i miei genitori, la prego, li chiami!
>>
<<
Rinchiuderti in questo istituto è stata una loro
volontà. Quando decideranno di
portarti via, allora li rivedrai. Fino ad allora però dovrai
sottostare alle
mie regole! >>
Oggi
è il mio compleanno, ho compiuto 12 anni. Mi alzo e sto per
rassettarmi il
letto come tutti i giorni, quando vedo tra le lenzuola delle grandi
macchie
rosse.
Sangue,
sangue dappertutto! Devo pulire, o sarò punita. Devo pulire,
devo pulire ma non
si smacchia, non va via! Urlo e piango e mi dispero.
<<
Isabella calmati! Sta’ ferma, Isabella! Non è
nulla, sei solo diventata grande.
>>
<<
Suor Gertrude, non è colpa mia! Non è colpa mia!
>>
Apro
gli occhi e mi ritrovo
sommersa. Mi dimeno nell’acqua schiumosa della vasca quasi
fosse profondissima.
Riesco finalmente ad uscire e cerco di respirare a pieni polmoni e
sputo via
residui di sapone che mi corrodono la gola. Gli occhi mi bruciano e per
un
attimo non so più dove mi trovo.
Sento
bussare forte alla mia
porta, qualcuno urla il mio nome con tono allarmato. È Alan,
sembra molto
preoccupato, ma non posso andare ad aprire. Provo a raccogliere i
pensieri e
riesco ad urlare:
<<
Moore, che succede?
>>
<<
Isabel, finalmente! Apri
questa porta. >>
Mi
avvolgo alla meglio in un
asciugamano mini e vado ad aprire sporgendomi solo con la testa.
<<
Moore perché urli come
un forsennato? Stavo facendo il bagno per questo non ti rispondevo.
>>
<<
Oh, beh.. io... avevo
sentito dei suoni strani provenire da camera tua e mi sono spaventato.
Sembrava
stessi soffocando. >>
<<
Beh sto bene. E adesso
torna a dormire prima che qualcuno ci sbatta fuori per schiamazzi.
Buonanotte.
>>
<<
Notte >>
Fiuu!
C’è
mancato poco. Credo sia
andato via solo perché mi ha visto mezza nuda e non voleva
mettermi
ulteriormente in imbarazzo. Sono così stanca che non ho
nemmeno la forza di
infilarmi qualcosa di asciutto. Mi poggio sul letto e sprofondo
beatamente.
Vrooom
– vroooomm - vroo *click*
<<
P-pronto? Cosa? Sono già
le 7?? Oh cacchio! Arrivo! >>
Martedì,
11
marzo ore 7,14
<<
Eccomi! >>
<<
Ben alzata, miss
puntualità. Ti ho preso un succo alla papaia e un croissant
al cioccolato.
>>
<<
Molto gentile, grazie.
>>
<<
Ho delle novità.
>>
<<
Spara. >>
<<
Prima una domanda: ti
sei data un’occhiata allo specchio prima di uscire?
>>
<<
Perché? >>
Indosso
una bandana nera con
disegni bianchi tra i capelli, una canotta attillata rossa, un
pantaloncino a
vita alta di jeans, stivaletti neri e giacca di pelle nera borchiata.
Un tocco
di stile: un rossetto rosso fuoco in tinta con tutto il resto.
<<
Così nessuno penserà che
sono uno sbirro, a differenza tua. >>
<<
Poco ma sicuro. >>
Gli
lancio un’occhiataccia e lui
ritorna serio.
<<
Mentre tu sonnecchiavi
tranquillamente, io ho cominciato a lavorare. Ho chiamato Maggie che mi
ha dato
notizie davvero interessanti. >>
<<
Sono tutta orecchi.
>>
<<
La bambina della Golden
è affetta da una rara e acuta forma di sindrome di Down
congenita. È stata
ricoverata al Saint Mary Ospital dalla nascita fino ai primi tre mesi
di vita,
poi la madre ha creato una struttura attrezzata a casa sua, comprando
tutti i
macchinari necessari con la polizza assicurativa del defunto maritino,
assumendo un’infermiera giorno e notte, che si occupi della
bambina
costantemente. >>
<<
Beh questo non spiega
comunque perché doveva uccidere suo marito. I soldi
sarebbero comunque stati
usati per curare la piccola. >>
<<
Forse il padre non
voleva che questa creatura venisse al mondo. Maggie ha scavato a fondo
e ha
trovato dei documenti medici in cui la bella Melinda aveva dato il
consenso per
un aborto assistito. Una settimana prima dell’intervento
però a ritirato
l’autorizzazione. Due giorni dopo il marito è
saltato in aria nel deserto.
>>
<<
Adesso si che le cose si
fanno interessanti. >>
Pronta per il secondo
round? >>
<<
Prontissima! >>
<
Casa
Golden,
ore 10,00
<<
Melanie, sappiamo della
polizza sulla vita di tuo marito e del ricovero di tua figlia. Perché non ci racconti
come sono andate le
cose? >>
<<
Voi non sapete nulla! Io
non ho fatto niente a Louis. >>
<<
Non hai fatto niente da sola.
Facciamo così: io comincio a
raccontare quello che secondo me è successo 2 anni fa e, se
qualcosa non
combacia, tu mi correggi, ok?
Dunque:
tu e Louis vi sposate e
le cose sembrano andare a gonfie vele. Fino a quando tu Melanie, non
rimani
incinta. Durante una visita di routine, scopri che la bambina che porti
in
grembo è malata, ma a te non importa. È un dono
di Dio e decidi comunque di
continuare la gravidanza. Ma Louis non la pensa allo stesso modo. Vuole
che tu
ti sottoponga ad un aborto, e alla fine riesce anche a convincerti, ma
all’ultimo momento ti tiri indietro. Torni a casa e dici a
Louis che
l’intervento è avvenuto con successo, poi aspetti
che si addormenti e gli fai
scivolare in gola un bel quantitativo di cianuro. Louis muore nel giro
di pochi
minuti. Poi Louis viene caricato nella sua auto e portato sulla statale
124,
dove accidentalmente salta in aria
facendo un gran botto. >>
<<
Vede Melanie fin qui
tutto sembra rientrare a pennello, ma ci sono dei punti ancora oscuri.
Sappiamo
che non ha fatto tutto da sola, qualcuno deve averla aiutata.
>>
<<
No! Ho fatto tutto da
sola. Sono stata io sola ha progettare tutto. >>
<<
Può darsi, ma vede lei
stessa ieri mi ha detto che ha preso la patente solo un anno fa. Inoltre Louis era molto
più robusto
e alto di lei. È impossibile che da sola abbia potuto
trascinare il suo corpo e
caricarlo in macchina. >>
Melanie
scoppia in un pianto
sommesso, singhiozza e comincia a sbiascicare frasi sconnesse.
<<
Lui era un mostro!
Meritava di finire nel modo in cui è morto! >>
<<
Ci racconti cosa è
successo. >>
<<
Golden non è il mio vero
nome. L’ho cambiato all’anagrafe quando ho compiuto
18 anni, un mese prima di
sposare Louis. Il mio nome è Melanie Castiel. Io e Louis
eravamo fratello e
sorella. >>
<<
Oh, mio Dio! >>
Io
e Alan siamo scioccati
all’udire tali parole.
<<
Quando sono rimasta
incinta di Dorothy, sapevo che Louis avrebbe cercato di liberarsi di
lei in
qualche modo, ma non credevo che arrivasse a pensare
all’aborto. Pensavo che mi
avrebbe fatto continuare la gravidanza e che appena nata si sarebbe
attivato
per farmela dare via abbandonandola in un orfanotrofio. Invece lui
diceva che
dentro di me c’era un mostro, il figlio di Satana, che avrei
dovuto ucciderlo
se volevo fare un favore ad entrambi. Mi rivolsi ad un agente di
polizia e gli
raccontai tutta la verità. Lui mi disse che la legge non
poteva aiutarmi, ma
che avrei potuto sbarazzarmi di Louis uccidendolo e che in cambio di
denaro lui
avrebbe insabbiato la questione. Io l’ho avvelenato, poi
l’ho chiamato e lui ha
fatto il resto, compreso l’insabbiamento di prove. Ma subito
dopo l’accaduto ho
preso Dorothy e sono scappata qui, perché non avevo i soldi
che lui mi aveva
cercato.
Quello
che Louis mi ha fatto è
abominevole! Ho scoperto della polizza sulla vita solo dopo
l’arrivo del primo
assegno. Ho cercato di fornire le migliori cure possibili alla mia
bambina e ho
provato a voltare pagina. Per la legge sono da punire? Adesso mi
arresterete?
>>
Non
so cosa rispondere. Sono
disgustata da tutta questa storia mostruosa, ho voglia di vomitare
l’anima.
<<
Mi dispiace Melanie, ma
dobbiamo farlo. È probabile che si possa ricorrere ad
eventuali attenuanti.
Racconteremo l’intera storia e chiederemo alla Corte una
sentenza di grazia.
>> interviene Alan.
<<
Che ne sarà della mia
bambina? Lei non è in grado di autogestirsi. Ha bisogno di
me. >>
<<
Verrà trasferita in un
centro specializzato e riceverà le cure migliori.
>>
<<
D’accordo allora.
Andiamo. >>
Partimmo
il giorno stesso per
Constantine dove Melanie fu processata ricevendo il minimo della pena.
Probabilmente ad inviarci quel biglietto anonimo era stato proprio
l’agente che
aveva aiutato Melanie nell’assassinio del fratello.
Dorothy
venne trasferita in una
clinica privata dove i medici migliori del paese si presero cura di lei.
Una
settimana dopo il processo
ricevemmo l’avviso dal penitenziario della morte di Melanie
Castiel; si era
impiccata nella sua cella d’isolamento con le lenzuola della
brandina. Col suo
sangue aveva lasciato un messaggio sulla parete della cella:
“In
questo mondo non c’è
giustizia né pace. Torno a te, Padre mio.”
Il
giorno stesso anche il cuore
della piccola Dorothy si arrestò.
Noi
tornammo alla nostra vita di
sempre, tra scartoffie e porte aperte sul passato, ma la storia di
Melanie ci è
rimasta nel cuore.
L’uomo
può essere capace di
barbarie riprovevoli e purtroppo nessun pensiero umano può
essere anticipato o
prevenuto. Mentre qui il mondo continua come sempre, dietro
l’angolo migliaia
di persone continuano a morire, a sparire, ad aggiungersi sui nostri
scaffali
stracolmi chiedendo solo giustizia.
Così,
quando ho scritto col
pennarello “CASO CHIUSO”
per il
fascicolo n°3953, non c’ho fatto molto caso,
poiché esso si è perso nelle altre
centinaia scatole identiche tra loro dei “senza
traccia”.
FINE
1°
EPISODIO.
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