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Capitolo 1
7 giugno 2012
Vedere
Matteo che dormiva al mio fianco, ancora nudo e coperto solo di
striscio dal lenzuolo del mio letto, mi ferì profondamente.
Non era mai successo che si addormentasse dopo che avevamo fatto l'amore, da quando stavamo insieme.
Forse era stanco a causa degli esami, sì, dopotutto tra meno di una settimana sarebbe iniziata la sessione estiva...
Cercavo
di non pensare al fatto che ultimamente fosse strano, che non mi
guardava più come prima, così, per distrarmi, andai a
farmi una doccia, raccattando gli abiti che mi aveva sfilato circa
un'ora prima.
Quando
tornai nella mia stanza, lo trovai di nuovo sveglio, mentre si stava
rivestendo con una fretta eccessiva, quando al contrario, di
solito faceva di tutto per trascinarmi di nuovo a letto.
Lo guardai, cercando di celare la mia incertezza, e lui ricambiò il mio sguardo con una serietà mai vista prima.
"Ben svegliato" mormorai, cercando di non fargli notare quanto me la fossi presa per il suo pisolino.
Che sciocca che ero, prendersela per una cosa così stupida!
Però
ero tranquilla perché spesso con lui riuscivo a fingere che
andasse tutto bene per non farlo preoccupare, e di solito non
sospettava mai nulla.
Inizialmente,
lui rimase in silenzio, occupato nell’ infilarsi la maglia e
passandosi una mano tra i capelli neri ancora sconvolti, per poi
alzarsi.
Mi
si avvicinò, ed evitò il mio tentativo di baciarlo,
sospirando e ignorando la mia faccia delusa che non riusciva a
comprendere cosa stesse succedendo.
"Amore, cos'hai...?" chiesi, preoccupata.
"Lena..."
- già qui ebbi un tuffo al cuore, lui non mi chiamava mai per
nome! - "...Io non ti amo più, non ce la faccio a continuare
così".
******
9 Marzo 2013
"Le
ragazze di oggi sanno quello che vogliono, e riescono ad ottenerlo
riuscendo a stare in equilibrio (sui loro tacchi dodici) tra studio,
lavoro, vita sociale e relazioni amorose".
Che idiozia!
Avevo
letto questa frase su un giornale per teenagers una delle rare volte
che ero andata dal parrucchiere, ed erano mesi che mi rimbombavano
nelle orecchie a causa di una vocina nella mia testa che la recitava
con voce sarcastica e di scherno.
Equilibrio? Tacco dodici? Vita sociale? Relazioni amorose, al plurale, per giunta?
Mi
sono sempre chiesta quale droga assumano le donne che lavorano in
questo tipo di giornali, viste le stronzate gratuite che sparano.
A
quasi ventidue anni e a quattro esami dalla laurea triennale in Lingue
e Letterature Straniere, è già molto che io riesca a
"stare in equilibrio" - sulle mie comode Nike, visto che da quando ho
finito il liceo indosso quei trampoli alias scarpe col tacco molto
raramente - tra università, studio, qualche amicizia, il mio
lavoro part time e le bollette da pagare della mia casa in affitto.
A
stento riesco a trovare il tempo per doccia e shampoo durante la
settimana, figuriamoci a gestire un'ampia vita sociale, relazioni
amorose e, soprattutto, riuscire a sapere ciò che voglio.
Cioè,
l'unica cosa che so di volere è questa benedetta laurea, ma solo
perché sono due anni e mezzo che faccio di tutto per fare tutti
gli esami in tempo e riuscire a mantenermi da sola economicamente.
Ok,
di solito i miei mi pagano la tassa di iscrizione e quasi tutti i libri
di testo, ma solo perché la prima costa - ormai - più di
cinquecento euro e i secondi possono arrivare a costare anche
cinquanta- sessanta euro l'uno.
In
realtà, sarebbero disposti anche a pagarmi l'affitto, le
bollette e il cibo, ma voglio essere indipendente anche se in minima
parte.
Ragion
per cui, le frasi idiote come quella citata mi fanno imbestialire,
anche perché mi istigano a chiedermi "Sono io che sono
anormale?".
Forse è così, anzi, molto probabilmente.
Sono
anormale perché tutte le mie coetanee non fanno altro che
divertirsi, spendere i soldi dei loro genitori per delle inutili e
costose cover per i loro altrettanto costosi i-phone ultimo modello e
uscire ogni sabato con un tizio diverso, che guarda caso è
sempre figo.
Evidentemente, quando sono nata io, hanno gettato via lo stampino onde evitare ulteriori scempi.
Sì,
perché non vedo nessun'altra quasi ventiduenne così
idiota da essersi trovata un ragazzo nella propria stessa
facoltà, in modo da vederlo giornalmente con la sua nuova fiamma
dopo la loro rottura.
Il
mio ex mi ha lasciato circa nove mesi fa e, al contrario di me,
subito si è ripreso, visto che solo un mese dopo l’ho
visto mettere piede in facoltà con la sua nuova ragazza.
E,
sì, lo so, è patetico il fatto che io tenga il conto dei
mesi passati, ma non ci posso fare nulla, è più forte di
me, visto che per quanto la parte più razionale di me mi dica
che sia uno stronzo patentato, quella più umana si spreca ancora
in osservazioni su quanto sia affascinante e decisamente sexy.
"Lena, ci sei? Ti ho fatto la stessa domanda due volte e non mi hai risposto!".
Pronta
a farmi notare come sempre quanto io sia distratta a causa del mio
segreto mondo parallelo fatto di pensieri assurdi e riflessioni, Trudy,
la mia coinquilina nonché unica buona e vera amica che sia
riuscita a trovare all'università, mi muove una mano davanti
agli occhi con fare impaziente, mentre stiamo camminando per avviarci a
lezione.
"Oh, sì, scusami, ero soprappensiero...".
"Come al solito! Comunque, dicevo, sabato viene Davide a trovarmi... E' un problema se si ferma a dormire da noi?".
Ecco,
ovviamente. Del resto, quale altra domanda poteva pormi Trudy -
nomignolo da lei scelto visto il suo "colorito" nome di battesimo,
Gertrude - all'alba del giovedì mattina? Chiedermi se il suo
storico fidanzato, con cui sta da quattro anni, può venire a
stare da noi per il week end.
Traduzione:
è un problema se sabato te ne vai a dormire da Marina e Germana
visto che io sarò molto impegnata ad approfondire l'anatomia del
mio ragazzo, nonostante la conosca a memoria?
"No,
no" rispondo, seppur a malincuore, dato che non sopporto Germana
più di tanto. "Anzi, ora domando a Marina se mi ospita...".
Trudy
sorride radiosa e mi abbraccia, rischiando di soffocarmi con una
consistente ciocca di capelli biondi che quasi mi va in bocca, mentre
la solita marea di studenti all'ingresso dell'università rischia
di travolgerci.
Saliamo
la prima rampa di scale del palazzo, attraversiamo lo spazio già
gremito di studenti fuori l'aula 1.1, e giungiamo allo spazio dedicato
al piccolo - ma confortevole - bar dell'università, dove un
aroma di caffè ci invade le narici.
Come
al solito, troviamo il nostro gruppo di amiche sedute dietro uno dei
tavolini arancio, colore che è in sintonia con il bancone del
bar e il soffitto.
Ridono
come sempre, prese da chissà quale discorso divertente, e appena
ci vedono muovono le loro mani dalle unghie perfettamente smaltate in
nostra direzione.
La
cosa bella di avere un gruppo di amiche abbastanza ampio è che
di sicuro nei giorni no c'è sempre qualcuna di loro che ha
qualcosa di confortevole da dirti per regalarti almeno un piccolo
sorriso.
C'è
Marina, la brunetta magrissima - a discapito delle migliaia di calorie
ingerite ogni santo giorno - sempre allegra con cui condivido una
spiccata passione per il sarcasmo e gli episodi di “Two broke
girls”.
C'è Alessandra, la simpaticona del gruppo con la sua chilometrica chioma tutta boccoli.
C'è Lucia, la ragazza buona e di cuore con cui condivido la passione per Jane Austen.
C'è Ida, la new entry del gruppo da circa sei mesi, sempre dolce e disponibile quanto ribelle.
C'è
Germana, la bionda casinista che si crede una bomba sexy, che non esita
a sputarti in faccia le sue sentenze non sempre molto simpatiche.
E
poi, ovviamente, c'è Trudy, quella sempre allegra che non ha mai
permesso ad un esame di farla diventare ansiosa, e poi ci sono io,
Lena, che di sicuro vengo definita la "seria" del gruppo, quella fin
troppo responsabile e che nei giorni no è intrattabile. Quella
ordinaria, in poche parole.
"Buon primo giorno del secondo semestre!" esclama Marina.
"Il
nostro ultimo semestre" preciso, un po' nostalgica, prima di prendere
con confidenza la sua tazza di caffè e berne un sorso.
E'
un gesto che facciamo sempre, anche quando ci troviamo una a casa
dell'altra, perché siamo troppo pigre e spesso non ci va di
mettere sul fuoco un'altra macchinetta.
"Ultimo
semestre per te che sei al passo con gli esami, noi comuni mortali ci
passeremo minimo un altro anno, qui!" mi rimbecca Germana, alias la
simpatia fatta persona. Ride per la sua acuta osservazione, gonfiando
ancora di più le sue grosse guance coperte da uno scurissimo
fondotinta, come il resto del viso, seguita da Ida e Alessandra.
Solo Lucia si astiene, e mi guarda come a dire: "Dai, non le dare retta".
"Voi comuni mortali sarete fuori corso, non avrete altre lezioni da seguire, ergo non avrete altri semestri" sbuffo.
Odio
fare la parte della maestrina, della secchiona di turno, ma non
è colpa mia se loro mi rinfacciano il mio non essere una
perditempo. Questo episodio fa crescere in me il desiderio di negare
loro le maree di appunti che mi chiedono ogni santa volta prima di un
esame, e ciò mi fa sentire come se fossi ancora alle medie.
Certe
volte, invece, rimpiango il liceo, perché lì nessuno - a
parte Lisa, la mia migliore amica - mi chiedeva appunti e cose simili
dato il mio non essere la prima della classe. E dire che all'epoca mi
lamentavo del non riuscire ad ottenere i risultati che volevo!
"Comunque,
perché ridevate, prima?" s'intromette Trudy, prendendo una sedia
stranamente libera dato che sono le dieci e quella è l'ora di
punta del bar. Ci si siede per metà ed occupo la parte
rimanente, posando la borsa con i libri sul tavolino.
"Perché
quella stronza della Banform se ne è andata, e al suo posto
è venuto un madrelingua super figo! E' quello dietro di voi,
sulla destra, con la camicia blu" risponde subito Ida, con gli occhi
che quasi le brillano.
"Se ne è andata la Banform? Wow!" esclamo.
Cassidy
Banform era la tremenda docente madrelingua di inglese che si ostinava
a prendere le presenze durante le sue noiose lezioni, dicendo che dopo
tre assenze al suo corso ci avrebbe ritenuti studenti non frequentanti
che dovevano portare due libri in più al già complicato
esame orale di Inglese III.
Mi giro, seguita da Trudy, e dopo qualche istante riesco a rintracciare il nuovo docente.
Nel vederlo, sbatto numerose volte le palpebre, dato che quel volto non mi è assolutamente nuovo.
Avrà
al massimo trent'anni, e sta sorridendo in maniera affabile alla
Prisco, la docente di Inglese III, mostrando una dentatura perfetta e
candida, in netto contrasto con i suoi capelli scuri e ricci e la barba
rada.
Non
riesco a capire dove diamine l'abbia visto in precedenza, ma comunque
decido di non farne parola con le altre, anche perché la mia
è di sicuro una svista.
Quando
mi rigiro verso le mie amiche, però, desidero non averlo mai
fatto: felice come non mai, mano nella mano con la sua ragazza, Matteo
Sabatini è appena arrivato al bar.
Andrebbe
tutto alla perfezione se lui non fosse il ragazzo con cui sono stata un
anno e mezzo, dal primo alla metà del secondo anno. Inoltre, la
cosa che mi manda in bestia è che non mi ha mai voluta tenere
per mano all'università quando stavamo insieme e non gli piaceva
darmi un bacio o abbracciarmi in pubblico - sempre
all'università - cosa che non si fa problemi a fare con la sua
attuale ragazza, Elisabetta.
Come
se nulla fosse, passa davanti al nostro tavolo, esclamando un semplice:
"Ciao!" seguito dal "Ciao!" radioso della tipa, per poi scomparire sul
terrazzo adiacente al bar, da cui si vede il mare e il porto di Napoli.
"E che è quella faccia?" esclama Trudy. "Su!".
"Ma
è possibile che ancora ti riprendi? E' passato un anno" sbotta
Germana, come se stesse parlando di qualcosa di inammissibile come
comprare una borsa non originale della Fendi.
"Nove mesi, e poi mi sono ripresa eccome!" mi difendo, arrossendo, a disagio come ogni volta che si tocca l'argomento.
Non
è facile essere te stessa e raccontare ciò che provi sul
serio quando sei circondata da un gruppo di amiche che ogni giorno ha
qualche novità riguardante un tipo diverso.
"Appunto,
nove mesi, avresti potuto avere anche un figlio da un altro" ridacchia
Ida, cercando di tirarmi su, accarezzandomi un braccio.
"Un altro come il nuovo madrelingua, magari" borbotta Alessandra.
"Ma pure senza figlio, eh" ridacchia Marina, battendo il cinque con Alessandra.
"Mamma mia, è troppo... Troppo! Me lo farei proprio! Mi manca un inglese, alla lista".
Fine come sempre, Germana parla con convinzione, senza smettere di guardare il docente.
"Quale lista?" domanda Trudy.
"Quella
dei tizi che si è fatta, ovviamente" risponde Lucia per lei,
mentre la diretta interessata annuisce con convinzione mista ad un'aria
sognante.
"Sì!
Tre napoletani, uno di Taranto, due di Roma, un francese, un tedesco,
uno svizzero, due austriaci e tre della mia città" risponde
prontamente, recitando il tutto a memoria come se si trattasse di
alcuni dati di una ricerca importante, ridendo poi di nuovo.
"Complimenti".
Parlo senza meditarci, e lei subito si fionda a fissarmi con aria di superiorità.
"Grazie. E la tua lista, invece?" domanda con finta curiosità, quando, in realtà, è certa della risposta.
"La mia è privata" rispondo subito, sulla difensiva.
Sarò
anormale io, ma sostengo che certe cose siano belle proprio
perché devono rimanere tra te e il tuo partner, senza essere
sbandierate a chiunque tu veda nell’arco della giornata.
"Giusto,
perché è troppo breve... Vediamo... Un solo tizio che
solo tu sai di dov’è. Stop. Con cui, tra l'altro, hai
aspettato quasi un anno prima di dargliela" commenta.
"E mica la diamo via tutte dopo tre minuti come te!" sbotto, alquanto infastidita, non riuscendo a trattenermi.
Ha
toccato l'argomento più delicato, per me, quello che riguarda il
mio rapporto con Matteo, l'unico ragazzo che abbia mai amato e con cui
sia andata a letto in vita mia, dopo numerose esitazioni e dubbi.
Odiavo
il fatto che tutti sapessero gli affari miei, ma giorno dopo giorno,
all'epoca, le ragazze non esitavano a pormi le loro domande intime
riguardo il mio rapporto con Matteo, e alla fine, esasperata, avevo
detto di non averci ancora fatto nulla.
"Sei solo gelosa, perché nessuno ti calcola" commenta Germana, senza scomporsi.
"Sono io che non mi faccio calcolare".
"Ma dai! Per favore, non farmi andare oltre...".
"Vai pure, parla, sono tutta orecchie! E’ divertente sentire le tue stronzate!".
"Lena,
è tardi, abbiamo lezione" si intromette prontamente Trudy,
afferrandomi per un braccio, notando quanto la conversazione stia
degenerando.
Cerco
di divincolarmi dalla sua presa, ma anche le altre ragazze si adoperano
per far tacere Germana, così, arrabbiata come non mai, prendo la
borsa e me ne vado, senzacalcolare nessuno.
A quanto pare è la mia specialità, no?
Con
passo rapido, entro nell'aula 1.5 dove si terrà la lezione di
letteratura tedesca III - studio inglese e tedesco - e prendo posto in
seconda fila, visto che la prima è occupata dalle solite tizie
convinte da ormai tre anni che il farsi vedere lì ogni giorno
possa aiutarle ad avere un buon voto all’esame.
So
che le altre non verranno mai a disturbarmi qui visto il loro
prediligere gli ultimi posti, dove si può tranquillamente
cazzeggiare con il cellulare e tenere proficue conversazioni.
Ogni
giorno, ogni santo giorno negli ultimi mesi, non faccio altro che
domandarmi cos'ho che non va, perché non riesco a farmi piacere
nessun altro e il solo pensiero di avere un'altra relazione e mettermi
in gioco mi spaventa a morte.
Sono
fatta così, tendo a stare solo con chi mi piace davvero,
donandogli tutta me stessa, e al momento tutto ciò non fa altro
che atterrirmi.
Non
riesco ad uscire con uno così, solo perché è
carino o perché non ho nulla da fare, o forse ci riuscirei, solo
che non ci ho mai provato.
Il
mio problema più grande è sforzarmi sempre di fare
qualsiasi cosa con impegno e serietà, quando invece Trudy mi
dice che forse, se riuscissi a trovarmi una relazione semplice senza
pretese, riuscirei a godermela meglio.
Mi
dice sempre che devo riuscire a vedere un po' di grigio - "Sì,
con tanto di cinquanta sfumature!" le rispondo sempre io, sarcastica -
invece di catalogare tutto come bianco o nero.
E
poi, è facile parlare per lei, che a diciotto anni ha trovato
quello che di sicuro è l'amore della sua vita, dato che il suo
ragazzo è semplicemente innamorato di lei e la conosce
perfettamente.
Sospirando,
estraggo uno dei quaderni nuovi di zecca, appena comprati per il nuovo
semestre, dicendomi che probabilmente sabato dormirò per strada
visto che non ho intenzione di starmene a casa di quella stronza di
Germana.
"Oh oh, ma guarda chi c'è!".
Mi
interrompo nell'atto di scrivere il mio nome sulla copertina del
quaderno ed alzo lo sguardo, trovandomi davanti un ventunenne alto,
dall'aria simpatica e con uno sguardo profondo celato da un paio di
occhiali che è solito portare solo durante le lezioni e quando
studia.
"Ehi, Dario! Ciao" esclamo, imponendomi mentalmente di fingermi serena e non incazzata.
Ovviamente, il mio triste tentativo fallisce miseramente, visto che Dario mi fissa preoccupato mentre prende posto vicino a me.
"Sembri strana, è tutto ok?" chiede premurosamente.
Come non detto.
Dario
è il primo amico che sia riuscita a farmi da quando abito a
Napoli, e dall'inizio dell'università siamo sempre stati grandi
amici, il che è un record per me visto che fino a quel momento
non ero mai stata in grado di mantenere l'amicizia con un ragazzo -
perché, alla fine, uno dei due finiva con il prendersi una cotta
per l'altro -.
Ci
conoscemmo due giorni prima dell'inizio dei corsi, mentre facevamo la
fila in segreteria per consegnare i documenti per l'iscrizione, e la
sera stessa si offrì di farmi fare un giro per alcune zone della
città visto che io ero nuova del posto e lui ci abitava.
"Ho discusso con Germana" confido quindi, sapendo che fare finta di nulla non serva a nulla.
"Germana la Troiana?" domanda, ridacchiando.
Annuisco,
ridendo a mia volta per il nomignolo datole da un gruppo di ragazzi
dell'università che hanno respinto le sue avances.
"E perché?".
"Le solite cose, lo sai".
"Non le hai dato gli appunti di qualche materia?" indaga, senza smettere di squadrarmi per un solo istante.
Alzo gli occhi al cielo, maldicendomi per il mio non sapere mentire nei suoi confronti.
Se
così fosse, ogni giorno mi risparmierei decine di spiegazioni
seguite da incoraggiamenti a cui non riesco mai a credere. Non che non
voglia confidarmi con lui, ma preferisco farlo dopo qualche ora, dopo
aver sbollito un po' la rabbia.
"Non è questo il motivo, Dario. Ne parliamo dopo".
"No,
me lo dici ora! Dai, vieni, usciamo, tanto la prof arriva tra minimo
venti minuti" esclama, afferrandomi il polso della mano destra e
tirandolo, riferendosi al fatto che nella nostra università
c'è uno spazio di mezz'ora tra una lezione all'altra dato che
essa è composta da vari palazzi e spesso ogni studente ha
bisogno di tempo per spostarsi.
Sapendo
che se resisto non smetterà di rompere le scatole per tutta la
lezione, così, obbedisco, facendo ben attenzione a non guardare
gli ultimi banchi, dove di sicuro c'è Germana.
Lo seguo fino al terrazzo adiacente al bar, e una volta arrivati inizia a fissarmi per indurmi a confidarmi.
"Mi
ha criticato perché sono andata a letto solo con un ragazzo,
dicendo che nessuno mi pensa, ed io le ho detto che non siamo tutte
come lei che la danno via subito" sintetizzo, guardando lo stralcio di
mare che ho davanti a me, seppur in lontananza.
"E
la pensi pure? Onestamente, Lena, non ti ci vorrebbe nulla per farti
"pensare" da qualcuno! Sei tu che fai di tutto per non attirare
l'attenzione...".
"Ti ci metti pure tu, ora?!".
Mi
volto verso di lui, ferita, ma subito scuote il capo e mi sorride,
assomigliando tanto ad un bambino che vuole farsi perdonare. "Volevo
farti un complimento, in realtà. Sul serio! Ti ci vorrebbe poco
per soffiarle i ragazzi da sotto al naso, perciò lei ti teme ed
è invidiosa di te".
Scettica,
gli rifilo un'occhiata che esprime questo mio stato d'animo, alzando le
sopracciglia. "Apprezzo il tuo tentativo, Dario, ma sei mio amico e non
potresti dirmi altro".
"Sono
tuo amico proprio perché sei speciale, Lena. Lo hanno capito
tutti tranne te" mormora, iniziando a sua volta a guardare davanti a
sé. “Tu sei la mela sulla cima dell’albero” mi
ricorda, riferendosi ad una conversazione avuta qualche giorno dopo la
rottura con Matteo.
Mi
fece leggere un frammento di una poesia anonima che sostiene che le
ragazze siano come le mele sugli alberi e che sono pochi quelli che si
sforzano per riuscire ad afferrare quella più in alto.
"Ma
dai" cerco di sdrammatizzare, un po' a disagio come al solito, quando
inizia a farmi complimenti su complimenti per cercare di alzare il
livello della mia autostima. "Io farei una figuraccia dietro l'altra se
mi comportassi come lei".
"E'
inutile continuare, tanto non mi ascolti mai. Ma promettimi che non
permetterai più a quella scema di rovinarti l'umore".
"Lo
sai che non è lei quella che mi rovina l'umore, bensì
tutto ciò che si cela dietro le sue frecciatine. Grazie,
comunque" sussurro, accarezzandogli il braccio con delicatezza.
Lui sorride un po' goffamente, e pochi istanti dopo un acido: "Ciao" attira la sua attenzione.
"Ciao, Daniela" risponde educatamente lui.
Daniela non risponde, soffermandosi a fissare la mia mano sul suo braccio, e poi si volta, continuando a camminare.
In fretta, allontano l'arto e lui sospira, come se fosse sera e fosse stanchissimo a causa di una giornata estenuante.
"Non la pensare, è paranoica" sussurro.
Lui
non risponde - proprio come mi aspettavo - ed io sorrido ironicamente.
"Come funziona qui? Tu mi fai da psicologo ed io non posso?" chiedo
retoricamente, facendogli cenno di iniziare ad avviarci verso l'aula.
"E' diverso. Mi fa sentire in colpa, mentre con Matteo tu hai il diritto di sfogarti e maledirlo".
In
realtà, Daniela è la ragazza che ha lasciato all'inizio
della scorsa estate e che continua a guardarlo male, anche
perché la sua ipotesi è che lui l'abbia lasciata per me.
"Ma tu non hai colpe, no?" osservo.
"No, no" risponde in fretta, seccato come ogni volta che glielo chiedo.
Alla
fine, siamo entrambi reduci da storie e rotture particolari, e
ciò ci ha fatto avvicinare ancora di più negli ultimi
mesi, anche perché come me, lui ha un migliore amico - Giovanni
- che è felicemente fidanzato è che quindi non c'è
sempre per ascoltarlo e dargli una mano.
“Sai a cosa penso spesso, ultimamente?” chiedo dopo un po’, spezzando il silenzio che si è creato.
Lui fa un cenno negativo che mi sprona a continuare.
“Ai primi due mesi di università”.
Improvvisamente,
lo vedo sorridere per poi annuire con decisione, il volto
improvvisamente rilassato che si perde nei vecchi ricordi.
“Ci divertivamo tanto” mormora, sospirando.
“Sì!
Ricordo che passavi intere giornate a casa nostra, specialmente quando
pioveva e non ti andava di tornare a casa tua a piedi… Cenavamo
insieme, poi chiamavamo le altre che compravano qualcosa da bere
all’ipermercato e facevamo quelle specie di feste in cui facevamo
giochi idioti”.
“Non
dimenticherò mai “Non ho mai!”*, sai?”
ridacchia. “Ricordo che dissi “Non ho mai baciato un
ragazzo” e tu, ubriaca, rispondesti: “Io invece
sì”, non comprendendo che mi riferissi al non aver mai
baciato qualcuno del mio stesso sesso”.
Inizio
a ridere come una scema, ricordando a mia volta quella sera di fine
ottobre del duemila dieci che, probabilmente, segnò il vero
inizio della nostra amicizia.
“Poi
uscimmo fuori al balcone, nonostante la pioggia, e iniziammo a cantare
“Heroes”…” continuo, senza smettere di
sorridere, sentendo di nuovo quella sensazione di felicità che
mi invase all’epoca, quando ero una diciannovenne spensierata ed
eccitata per l’inizio dell’avventura universitaria che
comportava anche il vivere, finalmente, senza genitori tra i piedi.
“… E alla fine mi vomitasti sui jeans…”.
“E indossasti i pantaloni della mia tuta per tornare a casa!”.
Ci guardiamo, improvvisamente animati da quei ricordi, e ci sorridiamo.
Poi,
però, un velo di amarezza mi fa tornare normale e mi passo una
mano tra i capelli non molto ordinati. “Poi ho rovinato
tutto”.
“Cosa?”.
“Sì,
ho rovinato tutto… Ho iniziato ad uscire con quell’idiota,
non ti ho calcolato molto, non ho più organizzato molte cene a
causa della dieta, con lo scopo di sentirmi migliore. Solo ora realizzo
che ero più divertente prima di trasformarmi in una che riesce a
raggiungere i suoi obiettivi seriamente” sussurro, tornando a
guardare in direzione del mare e sognando di essere sulla nave che si
vede dal porto.
Avverto
la mano di Dario sulla mia spalla destra, ma non ho il coraggio di
guardarlo in faccia, ricordando tutte le volte che gli ho dato buca per
vedere Matteo.
“Sei
cresciuta, e basta. Mi hai detto tante volte che non ti andava
più di rimanere immobile a vedere la sfiga che ti assaliva, e
hai reagito per entrare nei jeans che ti piacevano e per ottenere buoni
voti. Però rimarrai sempre la Lena del primo anno, e lo
sai” mi consola lui. “Spesso me la sono presa con Matteo
per il tuo avermi ignorato a volte, ma si fanno cose sceme quando si
è innamorati, non è colpa tua”.
Sentendomi
molto fortunata nell’avere un amico come lui, riesco a trovare il
coraggio di voltarmi e di tornare a sorridergli, seppur debolmente.
Mi
ha capito, sa che non dirò altro, perché questo tuffo nel
passato è stato già abbastanza doloroso.
Silenziosamente,
così, ci avviamo di nuovo verso l’aula e prendiamo di
nuovo posto, senza dire altro se non un "Speriamo che questa prof non
sia acida come quella di Letteratura Tedesca II!".
"Non era necessario, Lena, davvero...".
Due
giorni dopo, mentre mi adopero per legare i miei lunghi capelli castani
in una treccia, davanti allo specchio della mia stanza, Trudy se ne sta
appoggiata allo stipite della porta con aria colpevole, vestita di
tutto punto con shorts di jeans, calze ricamate, stivali e la maglia
beige che io chiamo "dimagrante" visto che la fa sembrare super snella.
"E invece sì. Mi pagheranno lo straordinario, così potrò comprarmi qualcosa di decente addosso per Pasqua".
"Ma lavorerai dalle undici di sera alle quattro del mattino!".
"Sono i vantaggi offerti dal lavorare in un pub, no? Avrò qualche drink gratis e...".
"E
niente, piantala di inventarti vantaggi dove non ce ne sono!" sbotta
con impazienza, per poi avvicinarsi e prendere in mano la mia chioma,
dato che la sto intrecciando in una maniera schifosa.
Separa tutte le ciocche, le pettina e ricomincia a formare la treccia con dedizione, come se fosse una parrucchiera nata.
"Per
favore, Trudy, smettila e pensa a goderti la serata con Davide"
sussurro, alzando gli occhi al cielo, dato che odio far preoccupare la
gente.
"Come posso riuscirci se so che a causa mia stai lavorando di sabato, di notte, per non andare da Germana?" chiede, retorica.
"Pensa ai soldi extra e ti passa tutto".
Non
replica, sospirando, e quando ha finito con i miei capelli vedo il suo
sorriso attraverso il riflesso dello specchio. "Non devi pensare a
quella stronza, sul serio" mormora.
Scrollo
le spalle, sforzandomi di sorridere. "Ma non ci penso, infatti! Dai, ci
ha già pensato Dario a farmi il discorsetto, non ti ci mettere
anche tu".
"Te lo meriti, il mio, perché di sicuro è più efficace. Io non sono buona come Dario!".
"Infatti
Dario non è buono. Mi ripete sempre la stessa cosa dieci volte,
proprio come te. Siete pessimi, entrambi! E noiosi!" sbotto, fingendo
un'aria da criticona che la fa ridere.
"Fatto sta che domani ti preparo la torta con nutella e panna" dichiara, sorridendomi apertamente.
"Uh, sì! Pranzerò con quella!".
Trudy
sa che nella maggior parte dei casi per tirarmi su ho bisogno solo
della sua torta mega calorica, perché mangiarla è una dei
miei sport preferiti, oltre incolparla per essere la causa di qualche
chilo in più, ovvio.
Così,
alle nove - due ore prima dell'inizio del turno - esco di casa con la
sua auto, dato che io non ne ho una mia e ho acconsentito nel farmela
regalare dai miei per la laurea dato che con i miei miseri
risparmi non ce l'avrei fatta mai, se non tra minimo dieci anni.
A
causa del traffico del sabato sera, ringrazio il cielo di essermi
anticipata, tanto da impiegarci un'ora per arrivare al pub, che dista
massimo mezz'ora da casa mia.
Preparandomi
psicologicamente per tutte le ore di lavoro che mi aspettano, prendo un
bel respiro mentre attraverso il parcheggio destinato al personale ed
entro dal retro.
"Ehi, Lena!".
Sara,
una delle mie colleghe, mi accoglie con un sorriso caloroso mentre si
sta aggiustando la camicia della divisa che dobbiamo indossare a lavoro.
"Sara, ciao. Anche tu fai il turno di notte?".
Annuisce,
svilita al solo pensiero. "Stasera i miei amici sono fuori, a Roma, per
il week end, quindi ho preso coraggio e mi sono proposta per questo
bellissimo turno" risponde, alquanto sarcastica, mentre inizia a
legarsi i capelli rossi non tanto lunghi in una comoda coda. "E tu?
Perché hai scelto il turno?".
"Mi servivano dei soldi extra per un acquisto" mento, anche se non è che sia proprio una bugia.
Annuisce, ed io vado nel piccolo stanzino che funge da spogliatoio per indossare la camicia e i pantaloni della divisa.
Quando
esco, noto che Paolo - un altro collega - ha portato un paio di drink
nel retro per noi povere anime che ci sorbiremo il turno notturno
mentre lui ha quasi finito il suo, così senza troppe cerimonie
inizio a sorseggiare il mio, un Cosmopolitan, per poi dichiararmi
pronta per l'inizio della nottata.
Uscendo dal retro, mi ritrovo nel locale vero e proprio e vengo assalita da un'aria calda che, tuttavia, trasmette energia.
Il
"Magic Trick" è particolare, e il nome inglese - "Scherzetto
magico" - è dovuto al fatto che il giovedì ci siano delle
serate dedicate a varie città e paesi anglofoni, in cui si
mangiano piatti tipici del posto con tanto di musica adeguata e
personale vestito.
E' stato anche grazie al fatto che studiassi inglese che mi hanno assunta, a dir la verità.
Alla
fine mi piace questo posto, anche perché è un locale
ampio e accogliente fino al mercoledì, poi dal giovedì in
poi si trasforma in una piccola isola di divertimento con luci soffuse,
a volte psichedeliche, e tanto alcool.
Io
e Sara ci guardiamo con uno sguardo d'intesa e, con un breve sospiro,
diamo inizio alla serata con le prime ordinazioni nella zona dedicata
ai panini e alle crepes.
"Ragazze, stasera mi servite al lato delle bibite" esclama Giacomo, il padrone.
E'
un omone sui quarant'anni simpatico ma decisamente intransigente quando
il locale è gremito di clienti, come in questo caso. "Giorgio ha
combinato il solito disastro! Ha perso il foglio delle ordinazioni e ha
preparato un Mojito senza menta... Su, muovetevi!".
Rapidamente,
così, ci spostiamo all'altro bancone, quello dei drink, dove il
povero Giorgio striscia via in silenzio per il solito caos creato.
In
realtà, mi piace fare drink, e ne ho inventato anche qualcuno,
solo che l'ho proposto esclusivamente alle mie amiche dopo una cena a
casa.
Così,
entro nel caos di ragazzi e uomini un po' più maturi che mi
riempiono le orecchie di nomi di bibite dal nome strano e a volte
incomprensibile.
"Lena,
prendi le ordinazioni tu, per ora? Voglio preparare ora i drink visto
che tra qualche ora non sarò molto attiva" esclama Sara,
guardandomi con aria supplicante.
"Va bene" annuisco.
Mi
rivolgo verso la folla - che è alquanto impaziente dopo
l'incidente di Giorgio - e dò ufficialmente inizio alla serata.
"Due birre!".
"Uno Screw Driver!".
"Un Mojito!".
"Due Sex on the Beach!".
"Un Martini Royal".
"Un Woo-Woo**".
Udendo quest'ultimo nome, batto le palpebre, confusa.
Cosa
diamine è un Woo- Woo? Sarà anche tardi, ma sono ancora
lucida, e questo drink non è presente sul nostro listino.
Alzo
lo sguardo dal block notes su cui sto scrivendo le ordinazioni per
contestare, ma, un secondo dopo, desidero non averlo mai fatto visto
che sento il cuore perdere qualche colpo.
L'uomo sulla trentina davanti a me non può essere colui che penso che sia.
Colui che mi sta sorridendo cordialmente non può essere il nuovo madrelingua di inglese.
Ecco
perché dicevo di averlo visto prima da qualche parte! Lui
è un assiduo frequentatore del "Magic Trick", l'avrò
visto almeno quattro volte nell'ultimo mese.
Cosa
dovrei mai fare? Sarebbe stupido chiamarlo professore, e non solo
perché avrà al massimo sette-otto anni in più a
me, ma anche perché la sua prima lezione ci sarà
lunedì.
Decidendo
di fare finta di nulla - tanto non dovrei ancora sapere che è il
mio insegnante, no? - rispondo con un flebile: "Mi dispiace, non
abbiamo il Woo Woo".
Lui annuisce, consapevole, passandosi una mano tra i suoi capelli scuri e ricci.
"Lo
so. Volevo solo avere una scusa per parlare con una dipendente molto
carina. Sai, vengo qui da un mese, ormai, conosco il menù a
memoria e non sono mai riuscito a parlarti" rivela.
Dovrei
essere scioccata per il suo italiano dall'accento quasi perfetto, ma
perché mai dovrei badare ad una simile quisquilia quando l'unico
professore carino che abbia mai avuto - cioè, che avrò -
mi ha detto una cosa simile?
Poi,
davanti a me, vedo solo la faccia sorpresa di Germana nel caso in cui
venisse a sapere di questa conversazione e ciò, in un solo
istante privo di lucidità, mi fa decidere il mio modus operandi
per la risposta da dargli.
*
“Non ho mai” è un gioco che consiste nel far
sì che, a turno, ognuno dica qualcosa che non ha mai fatto, e
chi lo ha fatto invece deve bere.
**
Il “Woo-Woo” esiste davvero, l’ho provato in un
locale a Londra, e spero che quello “Originale” sia
migliore di quello che mi è capitato perché sembrava
quasi un succo alla fragola senza alcool xD
*°*°*
Milly’s Corner
Salve a tutti!
Erano secoli che non iniziavo a pubblicare una long in questa sezione, sono felice di essere tornata.
Che dire, lavoro a questa storia da mesi e mesi, e sono arrivata al capitolo 12, quindi gli aggiornamenti saranno regolari.
Ogni capitolo
avrà la stessa struttura, ovvero sarà preceduto da un
flashback che ha lo stesso argomento di qualche contenuto del capitolo,
e ciò serve ad inquadrare ancora meglio i personaggi,
perché il loro passato ci serve a capire meglio ciò che
sono ora.
Spero che
l’elemento del prof che guarda caso nota Lena e le si avvicina
non sia stato classificato come un clichè, cioè, mi odio
un po’ per questo elemento, ma è l’unica soluzione
che ho trovato.
Non posso dirvi
come procederà la storia, ma ci tengo a dirvi che tra i due il
continuo non sarà come questo inizio… Chi vuol intendere,
intenda! xD
Ora, come ogni
settembre, sono impegnata con gli ultimi due esami del secondo anno di
università, quindi a volte aggiornerò ogni settimana e a
volte ogni dieci giorni, poi a ottobre aggiornerò regolarmente
ogni domenica J
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, e vi lascio qualche anticipazione ;)
Alzo
gli occhi al cielo, mi volto e prendo altri due bicchieri, li
distribuisco e noto che è ancora lì, in attesa. Continua
a guardarmi, ma non sembra indispettito, anzi: sembra si stia
divertendo un mondo, e la cosa mi dà ai nervi.
Alla
faccia della domanda! Non poteva essere una più classica, del
tipo "Quanti anni hai?" o "Posso sapere che taglia di reggiseno hai?
Sai, ho scommesso con i miei amici che avrei indovinato!" ?
A domenica prossima!
Milly92
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