Lifeguard
.Prologo.
Ero di guardia sulla torretta 22.
Il sole ad Huntington Beach batteva forte e il mare
era particolarmente mosso e pericoloso questa mattina. La bandiera rossa
sventolava in cima al palo, era un segnale d’allarme per i nuotatori meno
esperti che non azzardavano a tuffarsi. Gli altri invece non si facevano più di
tanti problemi, infatti l’oceano era moderatamente affollato da surfisti che
non riuscivano a resistere a quelle bellissime ed alte onde che si frangevano
sulla costa. In qualità di bagnina però sapevo perfettamente che anche i
nuotatori professionisti avrebbero potuto avere dei problemi con la corrente di
risacca presente oggi. Era una corrente particolarmente pericolosa, la quale se
vieni risucchiato può trascinarti senza tregua verso il largo e a causa della
sua elevata velocità rende difficile mettersi in salvo anche ai nuotatori più
esperti.
Tenevo gli occhi ben aperti e
scrutavo ogni singolo pezzo d’oceano davanti a me per vedere se qualcuno avesse
bisogno d’aiuto. In giornate come queste i salvataggi erano all’ordine del
giorno ed io e gli altri miei colleghi eravamo stati addestrati al meglio per
ogni evenienza. Non ero sola alla torretta, con me c’erano due dei più bravi
bagnini dall’intera città. Erano loro che mi avevano addestrato e che avevano
riposto in me la loro fiducia concedendomi di affiancarli nel lavoro. Era una
delle mie prime giornate da guardaspiaggia, in fondo avevo solamente 18 anni,
ma amavo questo lavoro. Era sempre stato il mio desiderio.
Salvare le persone da una distesa
quasi infinita d’acqua che a primo impatto può sembrare innocua, ma che può
creare più danni di quanti si può immaginare. Questo era il mio sogno. Un sogno
che coltivavo fin dall’età di sette anni quando l’episodio più brutto di tutta
la mia vita accadde davanti ai miei occhi.
Ero andata in spiaggia con mio
fratello maggiore Dylan che aveva 17 anni. Aveva promesso alla mamma che mi
avrebbe tenuto d’occhio mentre giocavo sulla spiaggia. Lui però decise di
andare a fare surf, visto che la giornata era particolarmente calda e aveva
bisogno di rinfrescarsi, almeno così disse lui.
“Non ti allontanare, mi raccomando!” Mi ordinò Dylan prima di
avviarsi tra le onde. E così feci, non mi allontanai. La spiaggia era pressoché
deserta così mi misi a fare uno dei miei soliti castelli di sabbia ascoltando
la musica dall’iPod preso in prestito a mio fratello.
Mi impegnavo sempre molto in
quelle costruzioni, ma il risultato non era mai buono. Scocciata anche questa
volta che il mio castello non fosse come lo desideravo decisi di togliermi le
cuffiette e guardare mio fratello fare surf.
Alzai la testa e con una mano
feci ombra sui miei piccoli occhi marroni per vedere meglio l’oceano. Ne scrutai
ogni angolo, ma di mio fratello non c’era traccia. Inizia a girare in tondo per
verificare se fosse già tornato in spiaggia, ma non c’era nemmeno lì. Inizia a
preoccuparmi, insomma avevo sette anni e stare da sola in una spiaggia come
quella non era molto sicuro. Ad un certo punto notai la tavola da surf di Dylan
galleggiare in acqua portata sempre più a largo dalle onde. Ma lui dov’era?
Presa dal panico iniziai a
correre verso la torretta dei guardaspiaggia. La più vicina a dove ero io era
la numero 22. Urlai per farmi sentire da qualcuno, ma ci volle almeno un
minuto prima che qualcuno mi degnasse di una risposta. Forse non prendevano
tanto sul serio una bambina che urlava disperata credendo che fossero solo i
soliti capricci.
“Ehi bambina, perché urli?” Mi chiese il guardaspiaggia
sorridendomi. Era un uomo abbastanza vecchio, almeno così sembrava ai miei
occhi di bambina.
“Mio fratello..” dissi. “Non
lo trovo più. Era andato a fare surf, ma lì c’è solo la sua tavola.” Finii
tra un singhiozzo e un altro indicando con il dito il punto in cui c’era la
tavola di Dylan.
Il guardaspiaggia allarmò subito
tutti i sui colleghi dando un messaggio vocale con una specie di radiolina
anche a quelli più lontani. Subito due di loro si tuffarono in mare alla
ricerca di mio fratello. Nel frattempo l’uomo mi chiese di descrivergli Dylan
in modo da poter condurre anche una perlustrazione fuori dall’acqua.
Erano passati dieci minuti e io
ero ancora in lacrime. Mio fratello non si trovava. Ormai i bagnini impiegati
nella ricerca erano più di otto. Ad un certo punto vidi un guardaspiaggia fare
un cenno con la mano ai colleghi, segno che aveva trovato qualcosa.
“Dylan!” Esclamai subito. L’uomo, che era rimasto con me tutto il
tempo, mi abbracciò confortandomi mentre gli altri riportavano mio fratello a
riva.
Iniziarono subito le manovre di
primo soccorso, visto che Dylan era privo di sensi essendo stato troppo tempo
sott’acqua. Un bagnino era incaricato di fargli la rianimazione cardiopolmonare
mentre un altro cercava di espellere l’acqua dai suoi polmoni.
Io restai immobile ancora strinta
nell’abbraccio di quell’uomo che mi diceva che sarebbe andato tutto bene e che
i paramedici sarebbero arrivati da un momento all’altro.
Ma sapete una cosa? Si sbagliava. Dylan non si è più svegliato
da quel giorno. Potete soltanto immaginarvi la sofferenza provata da me e dai
miei genitori vedendomi tornare a casa con il guardaspiaggia che gli spiegò
tutto l’accaduto. Da quel giorno ho promesso a me stessa che sarei diventata
una bagnina. Ma una bagnina attenta e ben addestrata, non come quelli che erano
di guardia quel giorno quando ero in spiaggia con Dylan. Perché loro non
stavano svolgendo il loro lavoro, loro non stavano osservando l’oceano come
invece avrebbero dovuto fare anche se la spiaggia era quasi deserta. Non
spettava a me avvisare loro, dovevano intervenire da soli. Se quel giorno loro
fossero stati attenti forse adesso io avrei ancora mio fratello con me.
Per questo prendevo così sul
serio il mio lavoro. Ero felice che adesso il sistema di supervisione delle
spiaggia si fosse evoluto e che su ogni torretta ci fosse un bagnino sempre
attento con lo sguardo rivolto verso l’oceano come lo ero io oggi.
Non avrei mai potuto accettare di
fare un errore come fecero gli altri con Dylan.
Liberai la mente da quei ricordi
non appena vidi che qualcuno in mare aveva bisogno del mio aiuto. Non era il
mio primo salvataggio, ma era il primo in una situazione pericolosa come
questa.
Non aspettai nemmeno un secondo e
presi subito il salvagente e mi buttai in acqua nuotando più velocemente
possibile verso la persona in difficoltà. Non appena fui vicina al ragazzo
glielo lanciai facendolo attaccare ad esso. Ripresi a nuotare velocemente
cercando di contrastare la corrente per tornare a riva. Il ragazzo sembrava non
riuscire a stare a galla, forse per la stanchezza. Ormai era un po’ che eravamo
in acqua a nuotare contro la corrente.
Non appena mi accorsi che una
moto d’acqua sempre dei guardaspiaggia si stava avvicinando a me per aiutarmi a
soccorrere il ragazzo mi diressi verso di essa incoraggiandolo a resistere
ancora un po’. Lo feci salire sulla moto d’acqua e poi salii anche io. La moto
fece un giro più lungo lasciandoci dove la corrente di risacca non c’era. Scesi
a riva e chiesi subito al ragazzo come stava.
“Beh, abbastanza bene” Rispose lui. “Sicuramente se non fossi arrivata tu adesso sarei morto. Quindi grazie”
Continuò facendo un sorriso. Solo ora mi accorsi di quanto fosse bello quel
ragazzo. Biondo, molto muscoloso con due occhi che facevano invidia all’oceano.
“Di niente, è il mio lavoro!” Risposi sorridendogli. “Eri da solo a fare surf?” Gli chiesi
più per curiosità che per necessità.
“In realtà si, i miei amici mi hanno abbandonato all’ultimo minuto, ma
le onde erano così belle che non ho potuto resistere. A proposito, la mia
tavola dov’è?” Mi domandò lui.
“L’avranno sicuramente recuperata. Non ci resta che fare una camminata
fino alla torretta 22 e poi potrai riprendertela.”
Iniziammo così a camminare verso
quella meta sotto il sole caldo tipico della California.
“Come ti chiami?” Mi chiese lui una volta arrivati.
“Lydia. Tu come ti chiami invece?” Risposi io sorridendo.
“Piacere, io sono Drew.” Disse allungando una mano e porgendomela.
E subito dopo avergliela stretta aggiunse: “Allora
Lydia, mi concedi l’onore di portarti a pranzo per sdebitarmi con te?”
“Non devi sdebitarti di niente, come ho già detto è il mio lavoro e poi
non è stato tutto merito mio.” Risposi ancora un po’ imbarazzata per la
proposta che mi aveva fatto. In realtà mi sarebbe piaciuto accettare.
“Scusami, ma insisto. Mi piacerebbe davvero conoscerti meglio.”
Esclamò facendo un sorriso. E io non potevo non dirgli di no, quindi accettai
il suo invito.
Aspettai con ansia che il mio
turno da bagnina finisse in modo da poter andare con Drew a pranzare. Nel
frattempo lui fece un salto al pronto soccorso per accertarsi che quei pochi
minuti in acqua non avessero causato danni.
Spazio Autrice
Ciao a tutti! Sono Alice.
Questa è la prima FF che scrivo sugli Emblem3 quindi spero vi piaccia.
Questo è soltanto il prologo, ma spero di avervi incuriosito
almeno un po’!
Mi
farebbe davvero piacere se lasciaste una recensione perché vorrei capire se
continuare la storia o no.
Se mi volete seguire su twitter sono @StylesItaly
Grazie mille, un bacio. xx