Salve
a tutti! Il mio lavoretto è un'interpretazione del toccante
discorso
del nostro padre vampiro a Bella all'inizio di “New
Moon”, quando
racconta del momento in cui ha deciso di salvare Edward. Amo le
storie sui medici e i loro pensieri, quindi non ho potuto resistere
alla tentazione.
Dedico
questo piccolo pezzo a tutti coloro che si dedicano alla difficile
scienza della medicina, e che, come Carlisle, tentano di arginare il
buio del dolore.
Non
aver paura
Illimiti,
limpidi getti d'amore caldo ed enorme, tremula gelatina
d'amore,
succo di delirio, che bianco fiorisci.
Walt
Whitman, “Canto il corpo elettrico”
Carlisle
sapeva che la sua vocazione era guarire le persone.
Lo
sentiva nelle ossa, inscritto nel profondo del sangue: lo sentiva da
quando era un bambino, e curava i passerotti feriti nel cortile
dietro la sua casa. A quel tempo, infiniti tramonti prima, nulla gli
dava più piacere che raggomitolarsi sulla sedia di legno
scuro della
bottega di suo padre, e osservarlo mentre dosava la polvere di
verbena, applicava impacchi e unguenti, rassicurava le madri ansiose
di figli dalle ginocchia sbucciate. Amava l'odore di foglie secche e
sieri, l'espressione sicura e solida sulla belle fronte di Arthur, la
semplice riconoscenza di chi veniva guarito. Soprattutto, amava il
fato che, con suo padre, la gente non aveva più paura. E
aveva
capito, in quei momenti, che nulla gli sarebbe mai sembrato
così
giusto e importante e luminoso che arginare un poco il dolore del
mondo, e calarsi nel fango per strapparne altri uomini. Nulla sarebbe
stato per lui più dolce e vero del tenere a bada la paura
che
stringe il mondo.
Quando
si era trasformato, la sua vita di giovane chirurgo si era ridotta a
una tempesta di frammenti scintillanti, era stato solo questo a dare
un senso alla spaventosa eternità di fronte a lui: la
possibilità
di donare le sue mani e la sua mente non solo ad altri, ma ad altre
generazioni. La sua forza era uno scudo in più contro la
sofferenza;
i suoi sensi più acuti altri strumenti per lottare contro la
morte.
E, se possibile, una volta che non ne fece più parte,
amò ancora di
più l'umanità, e gli parve ancora più
straordinaria e fragile e
ingarbugliata; con tutti i suoi difetti, le sue incertezze, la sua
fierezza. La sua paura, paura del buio e del vuoto, del freddo e
della fine del sentiero. La paura a cui lui aveva dichiarato guerra
tanti anni prima.
Era
per questo che secoli dopo, dopo che regni erano caduti e foreste si
erano dissolte, si trovava ancora una volta nel corridoio troppo
caldo e affollato di un ospedale, combattendo contro le mani nere e
avide della paura. Gli pareva quasi di vederla, annidata negli
angoli, raccolta e turbinante negli occhi spiritati dei moribondi,
nelle grida dei bambini, nei gesti frenetici di coloro che non si
arrendevano alla morte; era un sapore amaro contro la lingua, una
vibrazione dell'aria, che rideva di lui e dei suoi tentativi. E che
sussurrava i suoi segreti anche a Carlisle, chiedendogli di cedere,
soffocandolo di polvere e cose spezzate. La paura ammantava tutto,
impregnava tutti.
Ma
la donna non aveva paura.
Nonostante
il dolore e la malattia che la divorava, le sue labbra erano serrate,
severe. Doveva essere stata molto bella, prima del contagio: onde di
ciocche color grano, tratti fini, una bocca rossa e sensuale. Ora
tutto era sbiadito, come un dagherrotipo slavato: i capelli erano
sottili e sfibrati, il colorito giallastro, l'espressione contratta;
aveva l'odore pungente delle sofferenze e delle lacrime non versate.
Eppure, i suoi occhi rimanevano. Occhi grandi, frangiati da
lussureggianti ciglia scure, di un verde fitto di luci ed ombre come
una foresta profonda. E altrettanto colmi di vita, di una vita
selvaggia e arcaica che non si sarebbe spenta fino all'ultimo
respiro. Quello sguardo avrebbe potuto piegare il cielo, squarciare
la terra; non sembrava che qualcosa di così inodore e
così spento
come la morte potesse sconfiggerlo.
Ed
ora era puntato su Carlisle.
-Salva
mio figlio- la voce della donna era forte, forte come una quercia,
forte come la bella nota sicura di un violoncello -salva mio figlio,
a qualsiasi costo.-
-Signora,
io farò il possibile...- rispose, incerto, mentre la paura
premeva
appena al di là della vista.
Lo
sguardo verde lo investì, penetrando nelle vene, frugando
incavi
dell'anima che aveva quasi dimenticato di avere.-Non il possibile.
Devi salvarlo. Tu puoi farlo, lo so.-
-Io...io
lo farò. Va bene. Va bene.-
La
donna annuì, solo una volta; poi giacque immobile,ebbe un
sussulto,
e gli occhi verdi diventarono pallidi e vuoti come vecchi gioielli.
Carlisle
le chiuse le palpebre, sfiorando la fronte alta e bianca, tentando di
trattenere le lacrime che gli pungevano lo sguardo. Ma aveva ancora
una promessa. La promessa di un medico, di un uomo, di un alleato nel
duello con la paura.
Carlisle
si voltò, avviandosi a poca distanza, verso la fine del
corridoio.
In un letto d'angolo, c'era il ragazzo più bello che avesse
mai
visto: capelli di bronzo, tratti nitidi e armoniosi, la stessa bocca
scarlatta, da baciare, della donna cui aveva appena chiuso gli occhi.
Suo figlio.
Le
ombre della paura turbinavano, ridendo.
Si
avvicinò: il giovane aveva la fronte aggrottata, gemeva, si
agitava,
come tentando di districarsi dalle acque fetide di una palude.
Carlisle gli sfiorò il viso con una mano fredda, e quel
gesto sembrò
allontanare un poco le tenebre.
Gli
occhi del ragazzo, di un nocciola dai riflessi di muschio, lo
fissarono con la stessa forza disperata e luminosa di quella della
donna. Quello sguardo gli pungeva il cuore, e bruciava di rabbia e di
bontà e di coraggio. E di paura.
La
mano del giovane uomo si sollevò, tremando di febbre, e gli
strinse
il polso. Carlisle smise di respirare. Si sentiva sul ciglio di un
baratro, in equilibrio sulla notte e sul nulla argenteo. Lui poteva
scacciare quella paura, lo sapeva. Lui poteva dare a quel ragazzo un
potere che l'avrebbe preservato dalle ombre, per sempre.
Ma
che ne avrebbe chiamate altre, più oscure.
Carlisle
rimase immobile, oscillando sull'orlo del vuoto.
Poi,
il ragazzo disse l'unica cosa che avrebbe potuto fargli muovere quel
passo.
-Io...-
sussurrò -...io ho paura.-
Il
medico chiuse gli occhi, perché ormai era stato vinto,
perché ormai
doveva gettarsi. Ricordo quel giorno di tanti secoli prima, quando
aveva dichiarato guerra alla paura, quando aveva messo al servizio di
quella missione tutta la sua forza, tutta la sua intelligenza, tutta
la sua anima. Che diritto aveva di rinunciare ad una delle armi che
gli erano state date per combattere? Con il suo dono, con la sua
maledizione, quel ragazzo avrebbe potuto ancora camminare, guardare,
capire, ridere. E soprattutto, le tenebre si sarebbe ritirate, almeno
un poco, almeno una volta.
Se
il mio sarà un peccato, pensò,
sarà solo un peccato d'amore.
Carlisle
prese la sua decisione. Prima di potersene pentire, prima di poter
temere il baratro, portò via la madre e il ragazzo, fino
all'obitorio al di là della grande sala densa di grida e
sangue. Poi
lo sollevò tra le braccia, leggero come una bambola; il
giovane si
rannicchiò contro di lui, stringendo i lembi del camice,
forse per
un sogno, forse per ancorarsi alla vita. Carlisle mise un piede sul
davanzale della finestra, i tetti che si distendevano di fronte a lui
nel bagliore azzurrato dell'alba.
Non
ve lo lascerò.
Con
un salto silenzioso, volò nell'aria di brina, e fu lontano.
Non
ve lo lascerò, ombre.
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