A (prima parte)
Premessa
Z è un progetto
diverso da quelli che ho sviluppato in tempi recenti. Il Ciclo del
Conflitto Globale prevede fondamentalmente cinque capitoli, ciascuno
dei quali è stato o sarà pubblicato solo una
volta concluso in via definitiva. Spazio, dunque, alle correzioni
dell'ultimo minuto; completamente da escludere una modifica in
itinere della
trama.
Per Z
vale l'opposto. Non scrivo una fan fiction on the run dal 2008, se non erro, e
quella storia non è mai giunta al termine. Insomma, non un
precedente incoraggiante. Ma amo le sfide, quindi eccomi a ripartire in
grande stile con un racconto dall'intreccio di dimensioni ciclopiche
che se mi va bene potrebbe vedere la fine fra tre anni, verosimilmente
di più.
Prima di
cominciare, giusto qualche nota:
1.
A grande richiesta ho deciso di scrivere con le nomenclature italiane
al posto di quelle angloamericane. Per quanto mi sia sforzato non ho
potuto fare lo stesso con i nomi. Peccato.
2.
All'inizio di ogni capitolo – ad eccezione, per ragioni
abbastanza intuibili, del doppio pilota – apporrò
una sintesi della trama fino a quel momento, nonché una
presentazione sintetica dei personaggi. Grazie a
Ivan
per il suggerimento inconsapevole, ma tanto io lo farò
meglio, gne gne.
3.
Con un espediente ideato durante la stesura di
Involutus, le retrospezioni (significa
flashback) saranno in
corsivo. Sì, ho scritto
apposta corsivo in corsivo perché
altrimenti non sapete com'è fatto.
4.
Non sono ancora certo sulla cadenza di ciascun capitolo, ma
indicativamente dovrebbero essere due al mese.
5.
Il titolo non è da barboni, è frutto di una
ragionata e oculata selezione. Mi pare, almeno.
Quindi ecco che ci
apprestiamo a cominciare. No, scherzavo, sto scrivendo questa premessa
dopo aver completato il quarto capitolo. Non cambio mai.
Con l'augurio di
sopravvivere alla mia fan fiction,
Novecento
Capitolo I
A (prima
parte)
* * *
Una
corale solitudine avvolgeva la foresta quella notte. Ben si stava facendo strada
ad ampie falcate al suo interno da ormai diversi minuti, scandagliando il
terreno alla ricerca di un sentiero mediante cui orientarsi. Ogni tanto
abbassava lo sguardo con un cenno rapido al suolo, scrutando il tappeto di
foglie di cedro ingiallite, retaggio di un autunno mutato in inverno e prossimo
a fiorire in primavera.
Si
aspettava di rinvenire, dissimulato in quel drappo giallo, qualcosa: qualcosa
che era convinto di aver perso, anche se non ne era certo nemmeno lui. Anzi, a
essere precisi non sapeva se quella sensazione provenisse dalla realtà oppure da
una dimensione onirica che stava equivocando come tale.
Alle
sue orecchie giunse un timido rumoreggiare di onde marine che si frangono sugli
scogli. Senza esitare Ben chiuse gli occhi per qualche istante, concentrandosi
solo su quelle penetranti vibrazioni che sollecitavano il suo udito; dopodiché,
ancor prima di riaprirli, scattò in una direzione ignota, avventandosi alla
cieca.
Proseguì con quell'atteggiamento per un tempo imprecisato. Frenò la sua corsa
giusto una volta o due, appena il tempo per riprendere fiato. Solitamente a quel
punto un cespuglio poco distante da lui fremeva, costringendolo a ricominciare
quella marcialonga serale priva di senso.
Con
suo sollievo, tuttavia, una volta non successe, e Ben riuscì a riposarsi senza
doversi preoccupare di altro. Tornò ad analizzare la lunga manica che sfilava
sul suo braccio destro, appurando che la bruciatura che aveva notato al suo
risveglio era ancora lì. Provò nuovamente a ricordare come se la fosse
procurata, ma più si sforzava più la sua memoria gli replicava con un vuoto
indefinibile.
Esaminando lo spazio circostante si rese conto, inesplicabilmente, di essere in
grado di individuare molti più tronchi d'albero rispetto a prima. I casi erano
due: o la sua fuga l'aveva malvolentieri condotto verso il cuore del bosco – il
che non era possibile salvo che il suo udito non l'avesse perversamente tradito,
dal momento che aveva seguito quanto credeva essere il mare –; oppure una
qualche nebbia l'aveva appannato a sua insaputa. Il che avrebbe significato che,
come sperava, si era diretto verso la radura.
Certo, sarebbe stato tutto molto più facile se solo avesse saputo dove si
trovava, o da che cosa stava scappando.
Pioveva.
Wally
incedeva a passi trascinati nel fango sprofondando sempre di più a ogni passo.
Non lo sopportava, lui, il fango. Sporco, umido... Soprattutto sporco. Sferrò
d'istinto un calcio a un sasso lì vicino, per scaricare la tensione. Il
fragoroso rimbombo di un tuono non distante risuonò nell'aria, e una saetta
rischiarò per una frazione di secondo il borghetto rintanato fra le tenebre.
Solo quei baleni intermittenti gli consentivano di distinguere gli ostacoli cui
andava incontro, e ciò non gli impediva comunque di incappare occasionalmente in
nauseabonde pozze paludose. Proprio non lo sopportava, lui, il fango.
« Ci
siamo? ».
«
Dovremmo » rispose sovrappensiero tra un affanno e l'altro. C'erano già da
qualche minuto, ma Albanova era irriconoscibile rispetto a quando vi aveva
alloggiato due anni prima. Grigia, opaca, fredda. Un tempo non era così. Un
tempo...
« La
casa qual è? ».
Si
fermò per riprendere fiato e scostò i capelli che gli ricadevano sul viso,
fradici come poche volte in vita sua. Si guardò attorno confuso: era circondato
da ruderi lignei sparsi sui campi e abbandonati alle intemperie. Poco più in là
scorse lo scheletro esanime di un traliccio di ferro, rimasuglio della rete
elettrica del luogo.
«
Io... non saprei. Ne sono scomparse molte ».
«
Come sai che è ancora vivo? ».
Wally
rivolse a Roxie un'espressione rigida e infastidita « Il più grande allenatore
di Hoenn secondo te non è vivo? ».
«
Senza pokémon? ».
« Li
conosce più di chiunque altro. È chiaro che sa come difendersene ».
«
Okay, allora come sai che è rimasto qui? ».
«
Nessuno va in giro in questa situazione ».
« Noi
siamo in giro ».
« Noi
stiamo cercando lui. Lui chi dovrebbe cercare? ».
Roxie
ammutolì e riprese a camminare sorpassandolo, mentre lui ancora tentava di
visualizzare una mappa locale nella sua mente. Era trascorso molto tempo
dall'ultima volta che aveva messo piede ad Albanova.
Ai
tempi era ancora un giovane di belle speranze che percorreva Hoenn in lungo e in
largo in cerca di avventura. Ci era capitato quasi per caso, in quella piccola
cittadina sperduta nelle regioni meridionali.
Certo, ai tempi era diversa. Più calda. Più brillante. Più viva. Il professor
Birch gli raccontava di un periodo in cui Albanova si riempiva: l'hanami,
ovvero la tradizionale celebrazione della fioritura dei ciliegi. Wally la
conosceva bene, perché anche a Petalipoli si festeggiava, come in ogni città di
Hoenn.
Ricordava distintamente anche che le famiglie erano solite regalare a tutti i
loro figli un pokémon a loro discrezione – discrezione dei genitori, s'intende.
La maggior parte delle volte si trattava di pokémon comuni, come Poochyena o
Zigzagoon; facevano eccezione gli allenatori più importanti che potevano
permettersi di andare alla ricerca dei più rari, come uno Spheal o un Chimecho.
Suo padre non era uno di questi, però l'anno passato era riuscito a procurarsi
una Clamperl, esemplare alquanto raro nei luoghi limitrofi a Petalipoli.
Gliel'aveva donata nel giardino di casa, all'ombra dei ciliegi in fiore, l'aria
intrisa del loro profumo dolciastro.
Chissà dov'era ora, Clamperl.
Chissà dov'era ora, suo padre.
«
Penso di averla trovata! » gli gridò Roxie da non molto lontano. La raggiunse
più in fretta di quanto le sue gambe gli consentissero in quel momento,
accasciandosi sui ginocchi sbucciati una volta finita la corsa.
La
coppia era immobile di fronte a una baracca in cemento dalle pareti danneggiate
dal tempo nonché, probabilmente, da tentati assalti. Quella che Wally ricordava
essere una ridente veranda che avviluppava la villetta era divenuta un'aiuola di
sterpaglia. Anche a osservarla bene, sarebbe potuta essere l'abitazione di
chiunque.
«
Come sai che è questa? ».
«
Guarda le finestre ».
Wally
alzò lo sguardo, ma tutto ciò che poté esaminare furono sporadiche assi di legno
« Non ne vedo ».
« Per
l'appunto. Sono le uniche che sono state barricate. Le altre qui hanno tutte i
vetri sfondati ».
«
Quindi è abitata » concluse Wally « Come entriamo? ».
Roxie
affondò un passo nel ginepraio e gli aridi fuscelli scricchiolarono sotto le sue
scarpe. Si avvicinò alla porta, che per la verità non era visibile: era invece
celata da massicce travature in acero che la fortificavano contro eventuali
assedianti. « Se è vivo non esce da un po' » commentò pungente.
« Non
mi aspettavo facesse scampagnate » replicò l'altro « Fammi–– ».
« Se
vuoi, ma dubito caverai un ragno dal buco ».
«
Sssh » si portò l'indice alla bocca e abbassò bruscamente il tono di voce «
L'hai sentito? ».
« Che
cosa? ».
« Il
rumore ».
Roxie
tese l'orecchio in una sorta di mistica attesa. Dopo qualche istante di silenzio
lo sentì: l'inconfondibile suono di un cespuglio che viene scostato. D'istinto
lei e Wally si voltarono verso quella che doveva esserne l'origine, ovvero una
lunga siepe non ancora spogliata dal rigido clima autunnale che costeggiava una
via adiacente. Mentre ancora la tenevano sott'occhio notarono un movimento al
suo interno, e alcune foglie caddero a terra.
Seguì
una movenza più brusca, e uno strepitio di rami spezzati. Si aprì un varco nel
cespo e ne fuoriuscì una minacciosa figura, una specie di tarchiata iena dalla
pelliccia color pece. Wally e Roxie rimasero ambedue paralizzati, con il fiato
congelato e una timorosa goccia di sudore che scendeva sulle loro schiene.
« Non
ti muovere ».
« I
Mightyena non hanno mai abitato questa zona ».
« Ci
abitano ora ».
La
creatura, dopo aver fiutato il suolo in cerca di tracce, iniziò a ringhiare e li
squadrò con uno sguardo intimidatorio. Il cuore di Wally saltò un battito.
«
Scappiamo ».
« No.
Abbiamo ancora una carta ».
«
Sarebbe? ».
«
Stanare il drago » Wally prese coraggio e iniziò a gridare « EHI, TU, LÀ DENTRO!
MI SENTI? ».
Mightyena scattò verso di loro con un Riduttore e i due si scansarono in
direzioni opposte, lasciando che si scontrasse con il muro in calcestruzzo della
casa. La iena rimase intontita per qualche istante, scuotendo poi la testa e
preparandosi a caricare Wally con un Morso. Questi iniziò a fuggire intorno al
capanno, tenendo gli occhi fissi sui denti acuminati che lo tenevano sotto tiro,
mentre il suo avversario seguiva un percorso più largo precludendogli ogni via
di fuga.
«
ROXIE, PRESTO, CHIAMALO! ».
« CI
STO PROVANDO, TU NON FARTI PRENDERE! ».
Proprio la mia intenzione, pensò. Di colpo
il pokémon si arrestò sul posto, iniziando a scrutare la sua preda da capo a
piedi con respiro pesante e lento. Wally ricambiò l'ispezione mentre, esausto,
analizzava le possibilità di scamparla. Mightyena era più veloce di lui, non
sarebbe mai riuscito a liberarsene. Con la coda dell'occhio intravide Roxie che
stava sferrando pugni rabbiosi alla porta blindata in un disperato tentativo di
aprirla, arrivando a scheggiarsi le nocche.
Impiegò un secondo a comprendere che aveva commesso il peggiore errore possibile
in quella situazione: si era distratto. Neanche il tempo di riportare lo sguardo
su Mightyena che quello aveva già spiccato un balzo nella sua direzione.
Di lì
in poi fu tutto alquanto confuso: Wally fece un ultimo tentativo slanciandosi di
lato per anticipare il suo avversario e salvarsi, e un secco rimbombo lo
assordò. Così il ragazzo si ritrovò prono, accasciato al terreno e con la bocca
ricolma di pantano che per poco non ingoiò. Cosa più importante, non era stato
divorato a morte dal suo avversario.
Si
voltò supino a constatare di persona l'accaduto: ai suoi piedi giaceva
attorniato da schegge di legno il corpo esanime del pokémon, i denti a sfiorare
il suo polpaccio sinistro in un probabilmente fatale Morso interrotto in corso
d'opera.
Guardò in alto: la finestra immediatamente sopra di lui si era aperta, lasciando
fuoriuscire il profilo di un fucile a canna liscia e un logoro berretto
sbiancato che copriva il volto del loro uomo.
«
Alla fine il drago verde si è mostrato » commentò Wally con un sorriso stampato
in volto, mentre sputava il fango che gli era quasi finito in gola « Quanto
tempo ».
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