An Eirinn Faery Tale
An Erinn
Faery Tale
Aveva cominciato con
la birra scura e densa che sembrava promettere un grado alcolico
sufficientemente elevato da strapparlo all’agonia dell’intelletto. Ne era
rimasto deluso, perciò, con la seconda pinta, era passato a quella rossa e
cristallina, la cui definizione di “strong” pareva promettente.
Nemmeno quella era
stata sufficiente a cancellare il viso irato di Yoshiko, che continuava a
ondeggiargli davanti agli occhi. In compenso l’aveva costretto a un tour nel
bagno del Pub, che si era rivelato uno dei luoghi più disgustosamente sudici
che avesse mai visitato.
L’ultima risorsa era
stato il whiskey. Ne aveva comprato una bottiglia intera, tanto per stare sul
sicuro. Effettivamente, al terzo sorso, si era ritrovato per strada a ululare
il nome della sua ragazza (ex-ragazza) alla luna. Anche perché a Sligo (1) i
pub chiudono presto e, a mezzanotte, un robusto barista si era premurato di
scaricarlo sul marciapiede.
La cittadina contava
sì e no cinquanta case, perciò, dopo aver percorso un paio di stradine buie e
aver svoltato tre volte, si trovò inevitabilmente in mezzo alla campagna.
Una nebbiolina umida si contorceva diafana tra l’erica.
Faceva un freddo cane e non si vedeva un bel nulla. Le stelle ardevano gelide e
indifferenti al suo dolore; persino la luna sembrava altera e distante.
Assomigliava a Yoshiko.
Hikaru si sentì ancora più solo e depresso. L’unica fonte di
calore pareva essere il liquido bruciante contenuto nella bottiglia marrone che
stringeva convulsamente. Gli ustionava la trachea e si diffondeva nelle vene
come fuoco, però, poi, lo lasciava ancor più infreddolito di prima.
E non c’era altro da fare che bere di nuovo.
Si sedette goffamente su una pietra muschiosa. Il sedere gli
si ghiacciò istantaneamente, ma alzarsi sembrava al di là delle sue
possibilità. Si limitò ad abbracciare la bottiglia, sua unica amica e solo
conforto. Senza Yoshiko, nulla aveva più senso: tanto valeva restare dov’era e
morire congelato. L’avrebbero trovato il mattino dopo, rigido come una di
quelle mummie che si scoprono incastonate nei ghiacciai.
Sarebbe stato un funerale grandioso; degno della stella del
calcio giapponese e internazionale che Hikaru era. Dozzine di fan avrebbero
pianto sulla sua tomba, maledicendo il nome di quell’unica donna che egli aveva
amato, quella donna che l’aveva condotto a una morte terribile.
Singhiozzò dentro il whiskey, deprecando la propria fine in
così giovane età. Era un ragazzo così pieno di talento e qualità! Ed era
destinato a un fato così tragico! C’era davvero di ché piangere.
Yoshiko l’avrebbe capito allora, vedendo il suo corpo rigido
nella bara. Avrebbe capito cosa aveva fatto e avrebbe rimpianto quello che
aveva perso. Sarebbe scoppiata a piangere sul suo petto immoto, pregandolo di
aprire gli occhi e tornare da lei.
Ma lui non avrebbe aperto gli occhi, non sarebbe stato altro
che un cadavere, ormai indifferente alle sue parole, le stesse parole che un
tempo erano state le sue sole gioie e i suoi soli dolori.
“Perché piangi, signore? No, no aspetta! Fammi
indovinare…lacrime in una notte di luna piena e una bottiglia di uisce beatha
(2) mezza vuota: può voler dire solo una cosa! Pene d’amore?” .
Una vocetta allegra lo distrasse dai suoi sogni funebri.
“Cosa…cosa vuoi?” borbottò Hikaru oltraggiato, cercando di
mettere a fuoco lo sconosciuto “Gnion… gnion vedi che shono moooorto?
Lasciaaamiii shtare!”.
“Ah no! Non sei morto, sono sicura! Sei vivo, vivissimo,
proprio come me!” replicò la voce con sicurezza “Sai che con lacrime di vero
amore, piante in una notte di luna piena e raccolte in una boccetta d’argento,
si può mescere una pozione che dà l’immortalità?” lo informò sollecita.
“Credi che sia vero
amore?” domandò, poi, meditabonda.
Hikaru sbatté le palpebre: le diverse immagini che gli
danzavano confuse davanti agli occhi si degnarono di fondersi in una sola per
qualche istante.
Davanti a lui stava una ragazzina (sempre che fosse una
ragazzina) veramente bizzarra.
Più bizzarra persino di quelle che si ritrovavano per il
Cosplay sul Maegi Jingu Mae (3) la domenica.
Aveva un viso dolce e ovale e un caschetto di lisci capelli
rossi. E fin qui tutto bene. Però indossava una giacca fatta di decine di
ritagli di stoffe diverse, cuciti insieme senza
logica, fusoe neri e un gigantesco cappello a tuba.
Ma questo non sarebbe stato VERAMENTE bizzarro.
Quello che era veramente, veramente bizzarro, era che la
ragazzina si ostinava a essere anche qualcos’altro oltre che una ragazzina. C’era un altro viso
sovrapposto al suo. Un viso dispettoso, con un naso nero come il tartufo dei
cani e grandi orecchie a punta, piene di pelo bianco.
“Piacere, Jo!” si presentò la creatura, tendendogli una mano
che era contemporaneamente una mano da bambina bianca e sottile e una
animalesca mano artigliata, coperta di vellutato pelo nero fino al gomito.
Hikaru la guardò e si strofinò gli occhi: la morte doveva
essere vicina, se aveva già le allucinazioni.
Bevve un altro sorso di whiskey. Questo avrebbe messo a posto tutto.
Ecco, infatti la ragazzina era sparita. Era rimasto soltanto
quell’animaletto con il pelo rosso che stava correndo, veloce come freccia, a
nascondersi in mezzo all’erica.
Se fosse riuscito a cancellare anche Yoshiko con la stessa
facilità!
“Yooooshikoooo cattivaaaa!” singhiozzò, attaccandosi di
nuovo alla bottiglia.
“Eccomi qua, ti sono mancata? Scusami per averti lasciato
solo, ma quel gufo era un inviato del re del Cuige Uladh (4)! Non doveva
assolutamente vedermi parlare con te”. L’animaletto era riapparso: seduto
davanti a lui, parlava allegramente con la voce della ragazzina. “Sai com’è,
sempre le solite storie: devi fregarli, non fargli sapere cosa stai
organizzando, perché non possano prendere contromisure. Sono terribilmente
astuti quelli dell’Ulster (5), ma quest’anno noi del Connacht (6) li freghiamo.
Abbiamo un piano infallibile: te!”.
Il calciatore fissò attonito l’animaletto. Perché mai le sue
allucinazioni dovessero prendere la forma di un cagnolino con la coda piumosa e
l’aria estremamente soddisfatta di sé era un vero mistero.
“Vai… vai via can… cagnetto! Laschiami moooriiiree in pa…
paaasce”.
La ragazzina, i pugni ben piantati sui fianchi, lo squadrò
severamente dall’alto in basso. “Non sei molto gentile, sai? Ti sto parlando
educatamente, potresti anche rispondere di conseguenza!”.
“Do… dov’è il cagnetto?” domandò Hikaru sospettoso.
“Non essere stupido! Il cagnetto sono io, mi pare ovvio”
ribatté la ragazzina “E comunque, per tua informazione, non sono un cane: sono
una volpe. E in verità non sono nemmeno una vera volpe: sono un phooka (7)”
concluse sussiegosa, come se avesse appena rivelato di essere la regina di
Inghilterra.
“E cosha… cosha sarebbe un puuuuca?” domandò Hikaru,
cercando di tenere a bada la nausea che l’aveva improvvisamente assalito.
“Ora te lo spiego…” rispose la ragazzina con un sorrisetto
pericoloso “intanto bevi un sorso di questo: non c’è niente che funzioni
meglio, per le pene d’amore”.
Hikaru prese la bottiglietta di cristallo trasparente che la
ragazzina gli porgeva.
“Slainte!”. (8)
La serratura della stanza dell’albergo si chiuse con uno
scatto. Kojiro sospirò di soddisfazione: che meraviglia essere finalmente solo
con se stesso. Non sopportava i party post-partita: tutti quei giornalisti, che
per di più parlavano quell’inglese incomprensibile e ospiti che cercavano di
stringere rapporti indesiderati e fan rompiscatole che gli si appiccicavano
addosso.
Non aveva aspettato altro che trovarsi nel silenzio quieto
della sua stanza. Gli piacevano le camere d’albergo, con le lenzuola inamidate
e quell’ordine impersonale, così differente dal caos rumoroso a cui era sempre
stato abituato. Erano la parte migliore delle trasferte.
Si spogliò, riponendo ordinatamente gli abiti sulla sedia in
fondo al letto. Una doccia calda e poi si sarebbe potuto infilare finalmente
sotto le lenzuola candide.
Aprì la porta del bagno.
“Sei arrivato finalmente!” lo apostrofò la ragazza nella
vasca.
Kojiro la fissò allibito: non si sapeva più cosa aspettarsi
dalle fan! Erano veramente pronte a tutto.
“Stavo cominciando a pensare che non saresti più tornato, Ti
sembra il caso di far aspettare tanto una ragazza?” continuò la tipa in tono
supponente, sollevando una lunga gamba sopra l’orlo della vasca. Al posto dei
piedi aveva piccoli zoccoli fessi.
Kojiro sbatté le palpebre.
La donna NON aveva zoccoli, bensì piedi graziosi e
assolutamente umani. In compenso, sfoggiava un sorriso falso come i soldi del
Monopoli.
“TU!” esclamò Kojiro, riprendendosi dallo stato catatonico
in cui era piombato “hai trenta secondi per uscirà di lì e filare, se non vuoi
che ti sbatta nuda in corridoio!”.
“Come vuoi” rispose la donna con un mormorio di velluto. “Va
bene così?” continuò, alzandosi in piedi nella vasca, il corpo flessuoso
coperto soltanto dai capelli azzurri e da nuvole di schiuma. “E non hai bisogno
di andare in corridoio per sbattermi, va bene anche qui”.
Kojiro ripeté sillabando la frase della donna, nel tentativo
di coglierne il significato. Quindi arrossì furiosamente. “Razza… razza di
pervertita! Non ho assolutamente intenzione di sbatterti, né qui né in
corridoio!”.
“Ah no?” rispose lei tranquilla “Se lo dici tu”. La schiuma
scivolava lentamente lungo la sua pelle candida, scoprendone porzioni sempre
maggiori. Kojiro deglutì.
“Lo dico sì! Esci subito dal mio bagno E dalla mia camera. E
dalla mia vita. Voglio starmene in pace”.
“Temo non sia possibile” ribatté la sconosciuta “Sono qui
per parlare di affari e non me ne andrò, finché non avrai accettato la mia
proposta”. Un ricciolo di schiuma si dissolse. Era azzurra anche là sotto.
“Va bene, VA BENE” ringhiò Kojiro disperato “Però rimettiti
giù ora, ok?”.
La donna si strinse nelle spalle “Come ti pare: mi hai detto
tu di uscire”.
Il giovane si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo, mentre
quella si lasciava scivolare di nuovo nell’acqua.
“Allora, cosa vuoi?”.
“Domani giocheremo la partita annuale contro quelli del
Connacht. Quei pivelli credono di avere un asso nella manica, ma li stracceremo
anche questa volta. E per questo ci servi tu. Allora, accetti?”.
Kojiro sollevò un sopracciglio, beffardo. “Frena, frena,
frena! Di cosa diavolo stai parlando?” .
La donna alzò gli occhi al cielo, mimando una noia mortale e
una pazienza infinita. “Sto dicendo” ripeté, con sarcastica lentezza “Che, come
tutti gli anni, domani è Lughnasadh (9) e c’è la partita di Hurling (10)”.
“Lughnasadh? Hurling?” domandò Kojiro sospettoso. Cosa
cavolo significavano quei termini? La sua conoscenza dell’inglese era piuttosto
approssimativa e per di più quegli irlandesi parlavano con un accento pazzesco.
“Sì, sì: la partita di Hurling per Lughnasadh. Allora sarai
il nostro umano?” domandò la donna sbrigativa. “Sarai ricompensato più che a
sufficienza: oro, potere, giovinezza, belle donne… tutto quello che ti pare.
Allora” una gamba tornita apparve di nuovo oltre l’orlo della vasca e la voce
si fece sensuale e profonda “che ne dici?”.
“Senti, bella” la rimbeccò Kojiro, che cominciava a essere
stanco di tutta quella storia. Voleva soltanto andare a dormire. SOLO. Non
stare ad ascoltare i discorsi senza senso di quella svitata “Ho sentito
abbastanza. Adesso io esco dal bagno, tu ti rivesti e sparisci”.
La donna sbuffò, annoiata. “Come ti pare, l’avevo detto che
era inutile tentare di prenderlo con le buone, un rompiscatole del tuo
calibro”.
“Bene. Fila” sospirò Kojiro, sollevato dalla facilità con
cui la tizia aveva ceduto.
“Non ci penso proprio” rispose quella “Te l’ho detto che non
sarei andata via senza che tu avessi accettato. Solo che adesso si fa a modo
mio”.
Agitò una mano delicata. “Mi hai costretto tu ad usare le
cattive” commentò soddisfatta, immergendosi fino al naso nell’acqua profumata
“Ti lascio così, finché non avrai giocato la partita per noi dell’Ulster”.
“Così come?” esclamò Kojiro esasperato “Cosa credi di
essere? Una strega o che, che agiti una manina e mi trasformi…?” Si interruppe.
C’era qualcosa di strano. La sua voce… la sua voce era così acuta.
“…In donna” ronfò la Glaistig (11) vittoriosa “E vedi di farci
vincere”.
Hikaru squadrò allibito la divisa. Era nera, bianca e blu e
ADERENTE, tranne che per le maniche a SBUFFO.
“Non dovrò mettere davvero quella roba?” alitò.
La ragazzina che era un cagnetto che non era un cagnetto, ma
non era neanche una volpe, bensì un phooka, sorrise allegramente “Ma certo! E’
la divisa no?”.
“Non posso mettere quella roba! Non posso!”.
Non era nemmeno sicuro del perché avrebbe dovuto partecipare
a quella sfida tra fate. Non riusciva in nessun modo a ricordarsi la ragione
per cui aveva accettato. Però ormai aveva accettato. Il phooka gli aveva
mostrato il contratto che aveva sottoscritto e non c’erano dubbi che la firma
fosse proprio la sua.
Non ricordava molto riguardo alla notte precedente, salvo
che era stato a giro sotto la luna e che era veramente depresso per qualcosa.
Non aveva idea di cosa si trattasse esattamente e non gliene importava nemmeno
un gran ché, a dirla tutta. Non doveva essere stato niente di serio, dopotutto.
Il problema più urgente era quella maledetta divisa.
Se avesse indossato qualcosa del genere, la sua reputazione
sarebbe stata rovinata per sempre. Per SEMPRE.
“Devi metterla” lo redarguì severamente la ragazzina “E poi
non vedo il problema: la indossano tutti. Anche io”. Spalancò le braccia per
sfoggiare al meglio la sua mise. Vista indossata faceva un’impressione ancora
peggiore. Intanto lasciava ben poco alla fantasia e Hikaru non metteva nemmeno
costumi da bagno così aderenti (portava sempre i boxer, lui), poi era
sgargiante in un modo veramente insostenibile; per non parlare delle maniche
che sembravano lanterne di carta, tipo quelle appese sopra i ristoranti, a
spicchi di colori alternati.
“Su, indossala!” Jo incrociò le braccia sul petto,
rimproverandolo come se fosse stato un bambino capriccioso. “Ricordi cosa ti
succederebbe se venissi meno al contratto, veeero?” sibilò, un’espressione di
follettesca malvagità sul visino innocente.
Hikaru deglutì. Se lo ricordava perfettamente. Jo si era
presa tutto il tempo per descrivergli con la massima accuratezza i secoli di
schiavitù che lo avrebbero aspettato nei cinerei castelli, dai giorni eternamente
uguali, delle Daoine Sidhe (12) della Corte Scontenta (13) ( hanno una tale puzza sotto il naso: sempre a discutere su chi ha la
lancia più lunga o le palle più dure. E poi sono così fissati con i tori…),
il modo in cui gli Aughisky (14) dai denti affilati avrebbero sbranato il suo
corpo intero (Tranne il fegato, il
fegato, no, il fegato non gli piace. Non piace nemmeno a me, bleah), i
tormenti che gli avrebbero inflitto i Bogle (15) per il resto della sua vita (Devono pur divertirsi in qualche modo e se
non ci sono assassini a giro si accontentano degli spergiuri) e tutte le
terribili sventure che lei stessa si sarebbe premurata di procurargli (Noi phooka siamo bravissimi a procurare
sventure! La conosci la storia di quel monaco scaraventato in mare da un pony
dispettoso? Quel pony era mio zio).
A pensarci bene, queste orrende punizioni sembravano un po’
in contraddizione le une con le altre, ma Hikaru non aveva intenzione di
sfidare la fortuna.
Aveva visto il maiale che gli avevano servito per cena in
forma di bistecche, andarsene allegramente a spasso la mattina dopo (16) ed era pronto a scommettere che
quei folletti pazzi avrebbero potuto riservare anche a lui la stessa sorte.
Tutto sommato era preferibile indossare quell’incubo
sartoriale. In fondo, l’avrebbero visto soltanto fate con un gusto per
l’abbigliamento altrettanto discutibile della lì presente.
L’unico altro umano, quello della squadra avversaria, non
sarebbe sicuramente stato qualcuno in grado di riconoscerlo. Non era mica poi
così famoso.
“Va bene, va bene: la metto” accondiscese sconfitto “Tu esci
di qui, però. Non ho intenzione di cambiarmi davanti a te”.
“Come vuoi”la ragazzina si strinse nelle spalle “Tanto posso
guardarti in un bacile d’argento”.
“Ma almeno io non lo so!” esplose Hikaru, sbattendogli la
porta sul naso.
“Così sono sicura che non cerchi di scappare! Lo so come
siete fatti voi umani: cercate SEMPRE di scappare” urlò la ragazzina, di là
dall’anta di legno massello “E Niamh (17) ha detto che vuole guardare anche
lei!”. Un attimo di silenzio meditabondo. “Pare che lo trovi interessante,
chissà perché?”.
Hikaru cominciò a cambiarsi, cercando di non pensare a tutte
le fate di quella Corte assurda, intente a spiarlo da un bacile d’argento.
Non era riuscito a capire molto bene come funzionava quel
gioco, quell’Hurling. Di sicuro aveva ben poco a che fare con il calcio, il che
rendeva ancora più incomprensibile il perché quelli avessero voluto proprio
lui, in squadra. Jo aveva passato quasi un’ora a tentare di spiegarglielo, elencando
regole su regole, ognuna delle quali aveva così tante eccezioni, da risultare
pressoché priva di valore.
“Comunque” aveva concluso il
phooka “l’importante è fare goal”.
Hikaru sospirò. L’importante era fare goal.
L’importante era ciò il contratto recitava: il suo solo
obbligo era partecipare alla partita, poi sarebbe stato libero di andarsene.
Non c’era nessun bisogno che si impegnasse e lui non sarebbe stato così stupido
da farsi coinvolgere.
Era già stato stupido a sufficienza.
Dio, come si sentiva stupido! Con quella tunichetta gialla e
rossa e fasciato dalla calzamaglia a quadri che, deglutì imbarazzato al solo
formulare quel pensiero, metteva in bell’evidenza tutte le sue forme.
Grazie al cielo quelle fate del c@**# possedevano solo specchi di rame lucido, in
cui riusciva a malapena a intuire la sua figura, perché era sicuro che se fosse
stato messo davanti alla realtà nuda e cruda non sarebbe sopravvissuto. Gli
bastava il profilo della sua ombra per star male. Quella stronza aveva avuto
proprio bisogno di fargli le tette così grosse?
Calma, doveva mantenere la calma. Sarebbe bastato giocare
quella maledetta partita e poi avrebbe potuto ritornare alla sua vita. Nessuno
l’avrebbe mai saputo e lui avrebbe potuto fingere che tutta quella storia assurda
fosse stata soltanto un brutto, bruttissimo sogno.
Delle trombe squillarono, gioiose e solari. A Kojiro pareva
di vederle, splendere raggianti sotto il cielo azzurro, mentre gli stendardi
sventolavano gagliardi nel vento.
Quelli erano sempre così compresi
nella parte, non aveva mai conosciuto nessuno che si prendesse tanto sul
serio.
A parte Wakabayashi, probabilmente.
I folletti intorno a lui urlarono bellicosi e si riversarono
nel campo, trascinandolo con loro. Fu spinto e tirato fino a trovarsi in prima
fila, a centro campo. Come si capisse che era il centro del campo, poi, lo
sapevano solo loro, dato che non era segnalato in alcun modo.
Un altro poveraccio fu costretto a uscire dalle file nere,
blu e bianche, palesemente contro la sua volontà. Kojiro si sentì totalmente
solidale con lui.
Sembrava così terribilmente a disagio, così terribilmente
fuori posto, così terribilmente… terribilmente…
“Matsuyama?!”. Sentì la voce uscirgli dalla bocca, prima di
rendersi conto di stare parlando. E se
adesso quello avesse capito? Se lo avesse riconosciuto? Lo avrebbe ucciso sul
posto, non c’era altra possibilità. Non poteva permettere che diffondesse il
resoconto della sua eterna vergogna.
Ma non l’avrebbe riconosciuto, vero? Non poteva
riconoscerlo, cioè, come avrebbe fatto anche solo a pensare che quella era lui?
“Ci… ci conosciamo?” Matsuyama lo fissò con espressione
allucinata e produsse un sorrisetto di
scuse.
Per fortuna l’idiota non aveva capito. Dei, qualunque Dio
esistente, di qualsiasi religione conosciuta, grazie!
“Uh… no… io… ti ho visto alla TV”. Ecco perfetto, ottima
trovata, tutto sistemato “Giochi nel Manchester, vero? Bella squadra”.
“Davvero?” il sorrisetto di Matsuyama divenne un sorrisone a
trentadue denti “Sei appassionata di calcio? Per che squadra tifi?”.
Kojiro lo scrutò sospettosamente da sotto in su (era più
basso di Matsuyama, quel tappo! Che umiliazione).
“Non ci starai mica provando?” ringhiò.
L’altro giocatore arrossì furiosamente.
“No! Assolutamente… è solo che… non se ne trovano tante di
ragazze a cui piaccia il calcio…”.
Ci stava provando! Quel… quel finocchio pervertito ci stava
provando con lui!
Si alzò sulla punta dei piedi, fino ad avere gli occhi
all’altezza di quelli dell’altro e gli piantò l’indice in mezzo al petto. “Ti faccio
a pezzi” gli abbaiò in faccia. Quello non faceva che crearli problemi, da
sempre, ma lui l’aveva sempre sconfitto e l’avrebbe sconfitto di nuovo. Non era
altro che un insetto.
Si voltò verso il resto della sua squadra, urlando
“Massacriamoli!” .
Le fate ulularono sollevando le mazze.
Qualcuno gettò una palla in mezzo al campo e la partita ebbe
inizio.
Kojiro si trovò la palla sotto il naso e si preparò a tirare una delle sue proverbiali
cannonate, mentre un ghigno si allargava sul suo volto.
Non c’era nemmeno nessuno in porta. Poteva fare rete dalla
parte opposta del campo, senza scherzi. Era un gioco da ragazzi.
Un cagnetto rosso, apparso dal nulla, gli saltò in mezzo
alle gambe e gli fregò la palla, correndo poi a tutta velocità verso la porta
opposta, le orecchie appiattite contro la testa e la sfera stretta tra le
zanne. I giocatori giallo-rossi gli si lanciarono addosso in massa, cercando di
placcarlo e la bestiola li schivò uno dopo l’altro, senza rallentare,
un’espressione euforica e vagamente maniacale dipinta sul muso.
“Non mi freghi, mocciosa!” la Glaistig azzurra si parò
davanti alla porta con la mazza levata. La roteò e palla e cagnetto volarono
dritti dritti verso Kojiro. (Il cagnetto urlò “Woooooooooooooooooh” senza
mollare la palla).
Il bomber, rifiutandosi di riflettere su quello che stava
accadendo, saltò, agganciò la massa di
pelo fulvo con il collo del piede e tirò al volo.
(WoooooooooaaaaaaaaaaAAAAAAAAAAAAAAAAAAAHYYYYYEEEEEEEEEHHH)
Un tizio grande e grosso acchiappò il piccolo animale per la
collottola, un secondo prima che entrasse dritto in porta.
“Ehi, grazie Ailill (17)!”
Una ragazzina con i capelli a caschetto sputò la palla.
Aveva gli occhi che giravano come una trottola.
“Wow! Che figata! Lo
rifacciamo?”.
Hikaru era un ragazzo pacato, consapevole delle sue
capacità, che non ci teneva a primeggiare per forza; uno che sapeva stare al
suo posto, insomma.
Però c’era un cosa che proprio non sopportava, che lo faceva
andare del tutto fuori di testa: gli sbruffoni arroganti e pieni di sé.
Risvegliavano il suo lato più competitivo, ecco. Non li poteva proprio reggere.
Certo, se gli sbruffoni in questione avevano lunghi capelli
corvini e un culo da urlo, la faccenda assumeva un aspetto un po’ diverso.
Un ragazzo con quel carattere sarebbe stato insopportabile,
il classico tipo che avrebbe volentieri preso a pugni. Uno alla Kojiro Hyuga,
insomma, che non riesci ad andarci d’accordo, nemmeno quando siete in squadra
insieme.
Una ragazza in quel modo, invece… beh, aveva un certo stile,
doveva ammetterlo, una vera tigre! E che potenza di tiro per una donna:
strepitosa!
Le avrebbe dimostrato che Hikaru Matsuyama non era tipo da
prendere sotto gamba, neppure quando indossava una tutina aderente con maniche
a sbuffo. Magari, dopo, avrebbero potuto andare a bere qualcosa insieme e
dimenticare il modo assurdo in cui si erano incontrati.
“Ehi, Connacht! Facciamo vedere a questa gente un po’ di
gioco di squadra!”.
“Giocooo di squadraaa!” gridò Jo esaltata dietro di lui,
prima di piombare lunga distesa sulla schiena.
“Apritevi a
ventaglio, avanziamo!”.
Le fate del Connacht ruggirono dietro di lui: “Gabba Gabba
Hey! Gabba Gabba Hey (19)!”.
L’umana dell’altra squadra gli sfrecciò davanti,
un’espressione di feroce testardaggine stampata sul viso bruno.
Hikaru intuì il pericolo. “Ehi, tu Ailill o come diavolo ti
chiami, passa quella palla! Passa quella palla!”.
Il gigante biondo smise di esultare e abbassò lo sguardo
sulla palla, abbandonata davanti al corpo esanime di Jo.
“Uh… sì…Passo la palla, Maeve! Guardami!”.
Dall’altra parte del campo, una donna dall’aria regale,
appoggiata con aria annoiata alla mazza, sollevò gli occhi al cielo “Sì, caro,
ti guardo. Bravo”.
Ailill colpì la palla con la mazza, giusto un secondo prima
che la ragazza bruna la intercettasse. Hikaru ebbe appena il tempo di scorgere
il lampo di irritazione che attraversò i suoi occhi, prima di ricevere il
passaggio e cominciare a correre. Metterla in difficoltà lo riempiva di
soddisfazione. Non erano in molti a essere in grado di offrirgli sfide
altrettanto esaltanti.
“Tu! Scatta in avanti e tu, con le orecchie da coniglio,
allargati sulla destra, forza voi in difesa e voi laggiù, capelli verdi, non
state tutti insieme: prendete possesso dello spazio”.
I giocatori dell’Ulster gli si fecero incontro, sollevando
le mazze minacciosamente. Hikaru ne scartò due e passò a sinistra, a un giovane
biondo come Ailill e regale come Maeve. Questi bloccò la palla e scattò verso
la porta avversaria, tenendola in equilibrio sull’estremità piatta della mazza.
Un gruppo di folletti giallo-vestiti, tutti con indosso
cappelli rossi, lo placcarono, lanciandoglisi in massa contro le gambe.
La palla volò alta nel cielo.
I folletti con i cappelli rossi ulularono come lupi affamati
e sventolarono mazze che sembravano piuttosto asce rugginose e macchiate di
sangue. Uno saltò sulle spalle di un altro; un terzo usò i primi due come scala
e si lanciò sulla palla. Ricadde in cima alla piramide dei suoi compagni,
urlando trionfalmente e agitando la sfera in aria.
In quel momento, un pony
nero piombò a testa bassa in mezzo alla massa di giocatori giallo-rossi,
disperdendoli come birilli. Colpita dalla sua larga fronte piatta, la palla
tornò verso Hikaru.
“Bravo ziooo! Dagli ai Red Caps (20)” esultò Jo, rinvenuta
apposta per l’occasione.
Hikaru intercettò la palla, ma la ragazza che giocava per
l’Ulster entrò a gamba tesa sulla sfera, lo fece finire lungo disteso per terra
e se ne impossessò.
“Ehi!” gridò il giocatore, rialzandosi ammaccato nel fisico
e nell’orgoglio “Non è stato un intervento corretto! E’ fallo!”.
Le fate di entrambe le squadre si voltarono verso di lui,
esclamarono “Fallo?” e scoppiarono a ridere a crepapelle. Intanto la ragazza
avanzava indisturbata attraverso il campo, inchiodava all’improvviso e tirava
in porta con una potenza devastante.
“Maledizione!” ringhiò Hikaru, insultando dentro di sé tutti
i folletti di questo mondo e i loro sport cretini. La giocatrice si voltò verso
di lui, le mani sui fianchi e un ghigno insopportabile stampato sulla faccia,
commentando “Ti ho fregato un’altra volta, bamboccio!”.
Hikaru grugnì: si conoscevano da dieci minuti e già lo
sfotteva… E comunque come faceva ad averlo fregato in precedenza, se era la
prima volta che si vedevano?
La questione andava analizzata con calma.
Ma la palla era già di nuovo in gioco. Maeve correva come il
vento, la sfera come incollata alla mazza.
Jo comparve al fianco di Hikaru e prese a tirarlo per un
braccio. “Su forza, non puoi stare disteso a riposare, ora!” lo rimproverò in
tono petulante “Siamo sotto di un
punto!”.
Il phooka lo costrinse in qualche modo ad alzarsi in piedi e
lo spinse con tutta la sua forza verso la mischia che si stava formando intorno
a Maeve.
“Vai, su! Giocooo di squadraaa!”.
Dal caos a centro campo, emerse una fatina alata, stringendo
disperatamente la palla grande quasi quanto lei. La lasciò cadere proprio ai
piedi di Hikaru. “Per il Connacht! Gabba Gabba Hey!” ansimò, prima di crollare
a terra svenuta.
Il calciatore scattò verso la porta dell’Ulster, senza che i
folletti si rendessero conto di quello che stava succedendo. Con la coda
dell’occhio, scorse la giocatrice umana sopraggiungere. Era palese che avrebbe
tentato un’altra entrata violenta, ma questa volta le avrebbe reso pan per
focaccia. Credeva forse di poterlo fregare due volte con lo stesso trucco?
Si lasciò mettere a terra. Poi, mentre quella stava per
ripartire palla al piede, l’afferrò per una gamba e la tirò lunga distesa.
“E’ fallo!” strillò la ragazza indignata, mentre un pony
nero galoppava via a tutta velocità, con la palla tra gli zoccoli.
“Fallo?”.
Le fate scoppiarono a ridere.
Hikaru ghignò.
Kojiro era furibondo. Quello stronzo di Matsuyama lo stava
sfottendo! Come osava? Se ne approfittava, perché quelle fate maledette
giocavano sporco.
Gli sfuggì un ringhio frustrato, mentre quella specie di
cavallo in miniatura, con la pancia tonda e le gambe storte, metteva in rete la
palla.
Era questo che voleva Matsuyama? Va bene, l’avrebbe avuto!
Gli avrebbe segato le gambe a quello stronzetto. Non sarebbe tornato in campo
per mesi.
La palla era già di nuovo in gioco e i folletti la
inseguivano a mazze levate.
Kojiro si liberò della stretta dell’altro, scalciando e
schizzò verso la sfera. Due tizi bassi, che indossavano scarpe ridicole con
fibbie dorate, gli sbarravano la strada, ma il giocatore non rallentò
minimamente, deciso a travolgergli, piuttosto che a lasciarsi fermare.
Prese in pieno il primo, certo di stenderlo senza problemi,
forte del suo peso superiore.
Invece si ritrovò con il culo per terra.
Il tipo si voltò e lo fissò dall’alto verso il basso. Aveva
una barbetta da capra e ricci capelli
neri (21).
“Cosa volevi fare, signorina?” domandò beffardo.
Kojiro si sentì ribollire di rabbia. Accidenti a quel corpo
da donnicciola.
Intanto un’altra donna, vestita di nero, bianco e blu, si
era impossessata della palla e correva, rapida come un cavallo da corsa, verso
la porta dell’Ulster, i lunghi capelli che si agitavano al vento dietro di lei.
Altre due donne coprivano la sua avanzata, tenendo alla larga con le mazze,
tutti i giocatori giallo-rossi che riuscivano a raggiungerle.
“Forza così!” urlava Matsuyama a squarciagola “Continua a
correre…”.
“Macha (22)” suggerì la ragazzina con i capelli rossi.
“Macha! E tu…”.
“Badb”.
“Badb, non lasciarli avvicinare. Stroncagli le gambe! Nelle
ginocchia che fa più male, nelle ginocchia! Occhio sulla destra, c’è un Red Cap
che ti vuole fregare! Macha, non puoi scartarlo, cazzo! Passa, passa a sinistra
non vedi che…”
“Morrìgan”.
“...Che Morrìgan è smarcata? Passa!”.
Saltava su e giù come un pazzo, sbraitando ordini e intanto
le tre donne seminavano il caos tra le file dell’Ulster. I giocatori
giallo-rossi non riuscivano a fermarle in nessun modo.
“Morrìgan ripassa a Macha, adesso! E tu tira in porta, tira
in porta!” .
“Fermatele, fermatele!” abbaiò Kojiro furibondo. “Qualcuno
che difenda la porta, maledizione!”.
Il tiro di Morrigan atterrò preciso sulla mazza di Macha. La
giocatrice lanciò la palla in aria, come per un servizio da tennis e tirò una
bordata inaudita in rete.
Un boato si levò dai giocatori dell’Ulster.
Un vocetta acuta sovrastava tutte le altre:
“Due a uno, due a uno! Siamo in vantaggio! Connacht,
Gabba Gabba Hey!”.
I giocatori
dell’Ulster sembravano depressi e rassegnati. Approfittando della loro distrazione,
Badb si era già di nuovo impossessata della palla. Tirò direttamente da
centrocampo. La palla passò sotto il naso dei giocatori dell’Ulster, senza che
questi muovessero un dito per fermarla e si insaccò in rete.
Matsuyama iniziò a gridare “Gabba Gabba Hey!”.
“A che razza di gioco state giocando?” ruggì Kojiro “Muovete
quei vostri culi da fatine, smidollati!”.
Morrigan agganciò al volo un assist di Macha, palleggiò la
sfera sulla mazza e tirò di nuovo in porta.
“Goal! Gooooaaaal!” ululò Matsuyama correndo a battere il
cinque alla donna.
“Non è mica così facile” sibilò la Glaistig azzurra,
apparendo al fianco di Kojiro “E’ di nuovo quella maledizione. La tirano fuori
tutte le volte, con qualche scusa”.
“Che maledizione?” chiese Kojiro allibito, mentre Badb
passava a Macha, che insaccava con una rovesciata.
“E siamo quattro a uno! La punta d’oro del Connacht segna
ancora!”
“La solita, no? Che tutti gli uomini dell’Ulster si
troveranno senza energie nel momento di maggior bisogno. E’ sempre la stessa da
duemila anni”.
“Ma tu non sei un uomo!” ringhiò il calciatore “Allora datti
da fare! Ferma quelle indiavolate”.
“Eeee ancora un grandissimo goal di Badb! Questa ragazza è
un genio, signori, un genio! E che gambe!”
“Non ce n’è mica bisogno” ribatté la Glaistig scuotendo le
spalle “Altrimenti come avremmo fatto a vincere ininterrottamente per gli
ultimi trecento anni? Ora entra in campo lui”.
“Lui chi?”.
“Cuchulain (23), chi se no?”.
Le tre giocatrici stavano guidando un ennesimo attacco alla
metà campo dell’Ulster, intonando canti di guerra e roteando le mazze in aria,
senza che nessuno dei giocatori giallo-rossi sembrasse in grado di opporsi
loro, quando davanti alla porta si parò una figura.
Il giovane era alto quasi due metri e i suoi capelli biondi
splendevano come lingue di fiamma.
Le tre donne si bloccarono di colpo, visibilmente
intimorite.
“Non fatevi spaventare” urlava intanto Matsuyama “E’ grosso
ma è soltanto uno, aggiratelo, aggiratelo! Gioco di squadra! Badb, spostati
sulla sinistra. Morrìgan allargati a destra!”.
Il calciatore si affrettò verso la scena dello scontro, il
cagnetto rosso alle calcagna.
“Passate indietro! Non tenete la palla ferma, maledizione!”.
Badb tirò indietro, verso di lui, ma esitò un secondo di
troppo: il nuovo arrivato intercettò il passaggio e cominciò a correre verso la
porta del Connacht.
Matsuyama si lanciò al suo inseguimento, mentre il cagnolino
lo seguiva, uggiolando “Oh, sono guai grossi, guai GROSSI”.
Cuchulain si lasciava alle spalle una striscia di terra
bruciata e un calore insopportabile
emanava dal suo corpo, tanto che nessuno osava avvicinarglisi. Chi era tanto
coraggioso (o folle) da farlo, veniva scaraventato a terra, senza nemmeno
riuscire a rallentarlo.
Kojiro ghignò “Ora sì che mi piace. Ehi tu! In rete, tira in
rete da lì, puoi farcela grosso come sei!”.
Il giocatore giallo-rosso caricò il colpo e calciò. La
palla, avvolta dalle fiamme entrò in porta, attraversò la rete dandole fuoco e
sparì all’orizzonte.
Una nuova palla venne lanciata in campo.
E Cuchulain tirò di nuovo, senza nemmeno spostarsi da
centrocampo.
E tirò.
E tirò.
E tirò.
“Merda, non possiamo farci mettere sotto in questo modo da
un giocatore solo!” Matsuyama stava fumando di rabbia.
“Ma se ti succede sempre bamboccio!” lo sfotté soddisfatto
Kojiro “Questa è la classe vera! Ehi
tu, Cuchulain, passa!”.
Il giovane lo fissò un attimo sorpreso, come se non potesse
credere che qualcuno avesse avuto davvero la sfacciataggine di chiedergli, anzi
ordinargli, di passare, poi si strinse nelle spalle e tirò una bordata nella
sua direzione.
Doveva assolutamente tirare al volo: con quelle fiamme non
c’era altro modo. Certo non sarebbe stato facile con una palla così veloce, ma
d’altra parte lui era Kojiro Hyuga, non c’era sfida che lo spaventasse.
“Tiger shot!” ruggì, insaccando la palla in rete. La palla
sfondò la rete, o meglio, quello che ne rimaneva e rotolò nei terreni incolti
oltre il campo da gioco.
Dopo gli exploit di Cuchulain il suo non sembrava un gran
ché. Era francamente ridicolo a dirla tutta.
Il biondo giocatore gli si avvicinò e gli diede una pacca
amichevole sulla spalle, che lo fece affondare di dieci centimetri nel terreno.
“Anche tu non sei male, dai!” lo consolò.
Kojiro storse il naso.
Hikaru e Jo stavano seduti a bordo campo e seguivano con gli
occhi i tiri di Cuchulain che entravano in porta uno dopo l’altro.
“Dodici… tredici…” il phooka sospirò “E’ andata così anche
quest’anno… quattordici… quindici…”.
“Succede sempre così? Diciannove… venti…”.
“Sai com’è, nessuno si azzarda ad avvicinarlo: rischi la
vita. Ventitre… ventiquattro…L’ultima volta che abbiamo vinto è stato nel 1715,
quando si è buscato un raffreddore. Ventisei…”.
“Eppure ci deve essere un modo per fermarlo! E’ pur sempre
uno solo, accidenti! Non possiamo dargliela vinta così”. Hikaru fissò
immusonito il campo. Così non era divertente, che gusto c’è a giocare una partita del genere?
L’unico aspetto positivo era che anche la sua controparte
non pareva essere particolarmente contenta. Venire messa così in ombra doveva
bruciargli parecchio.
Assomigliava proprio a Hyuga, aveva anche lo stesso modo di tirare.
Soltanto che fisicamente era cento volte meglio…
“E’ per questo che abbiamo scelto te, quest’anno! Anche se
non sei un gran ché, sei conosciuto per riuscire a rendere delle squadre di
brocchi in grado di affrontare dei campioni veri”. Rifletté un momento “Noi non
siamo brocchi, comunque”.
“Bhè grazie” ribatté Hikaru, offeso “Trentasei…
Trentasette…”.
Non aveva intenzione di lasciare che quella storia finisse
così. Aveva affrontato i campioni del Giappone e del Mondo e se l’era cavata
più che egregiamente. Non si sarebbe lasciato metter sotto da un Cuchulain
qualunque.
“Dobbiamo soltanto prendere la palla prima di lui e
impedirgli di impossessarsene! Possiamo farcela: abbiamo degli ottimi elementi
in squadra, rapidi e precisi. Dobbiamo puntare sui passaggi”. Hikaru fissò Jo
negli occhi, stringendo un pugno. “Tocca a te soffiargli la palla all’inizio:
sei l’unica abbastanza svelta. Poi la passi a me e io la faccio girare!”
Jo lo fissò a sua volta.
Il fuoco della giovinezza ruggì nei loro sguardi.
“Ce la possiamo fare!”.
“Ce la possiamo fare!”
Il cagnetto rosso correva come se ne andasse della sua vita,
stringendo la piccola palla tra le zanne aguzze.
E in effetti, probabilmente, ne andava della sua vita, dato
che era inseguito da un gigante avvolto dalle fiamme, che pareva avere tutta
l’intenzione di schiacciarlo con una mazza da Hokey.
Hikaru annuì soddisfatto: stava andando esattamente come
aveva sperato. Il phooka era schizzato in campo, quando l’ennesima palla era
stata rimessa al centro e l’aveva acchiappata al volo mentre Cuchulain
sollevava la mazza per tirare; si era infilato a tutta velocità tra le sue
gambe e adesso stava puntando dritto
dritto nella sua direzione.
Il calciatore si rese conto della falla nel suo piano, nel
momento in cui la palla fu depositata ai suoi piedi e realizzò di trovarsi
sulla traiettoria di un bolide infuocato da centocinquanta chili.
Saper effettuare passaggi rapidi diveniva improvvisamente
una questione di importanza vitale.
“Maeve, prendi!” urlò, liberandosi della palla il più
velocemente possibile. Cuchulain sterzò verso la donna, un secondo prima di
travolgerlo. La regina del Connacht ricevette la sfera e non la trattenne che
il tempo necessario a lanciarla nella direzione opposta.
Maine Mathremail (24) bloccò il volo della palla con la
mazza e la spedì verso il grasso pony nero.
Il campione dell’Ulster deviò nella nuova direzione.
Hikaru sospirò di sollievo, mentre un ghigno si allargava
sulla sua faccia: era proprio come aveva sperato. Quello era grande, robusto e
forte come un toro, ma sapeva soltanto correre dietro alla palla.
L’Ulster non era una squadra e non lo sarebbe diventata ora.
In fondo, se non si sbagliava di grosso, la loro umana era proprio come Hyuga e
il suo gioco era di un egocentrismo puro.
Li avrebbero messi nel sacco, continuando in quel modo.
Corse in avanti per intercettare un passaggio di Niamh. La
ragazza trovò il tempo di fargli l’occhiolino, prima di venire quasi
schiacciata da Cuchulain.
Hikaru passò a uno dei
leprecauni, che agganciò la sfera e la inviò dritta sulla mazza di Badb.
La giocatrice improvvisò un assist perfetto per Ailill, che mise in rete con un
sinistro degno di Oozora.
“EEEEEEEE VAIIIIIIIIIIIIIIIIIIII!” ululò Jo, correndo per
tutto il campo con le braccia levate.
“Cosa esulti che abbiamo fatto un solo goal?” la rimproverò
Hikaru, mentre si affrettava a tornare in posizione per la ripresa del gioco.
“Di solito non facciamo più una rete, da quando lui entra in
campo” rispose la ragazzina, il viso rosso ed eccitato “Perciò è già un bel
risultato!”.
“E allora vediamo di fargliene un altro!” gridò Hikaru,
cercando di incitare la sua squadra.
Morrìgan scagliò la palla da centrocampo verso Maine Andoe,
il quale la spedì verso l’area avversaria, dove fu intercettata da Hikaru, che
era scattato appena la donna aveva colpito la sfera.
Il calciatore schivò un goffo tentativo di una Hag (25) di
fermarlo e tirò in porta.
Un giocatore giallo-rosso bloccò la palla e passò verso
Cuchulain, ma, da un ciuffo d’erba, saltò fuori una piccola volpe che afferrò
la palla al volo. Un attimo dopo, Jo stava calciando la sfera in direzione di
Macha.
La donna stoppò di petto, palleggiò la sfera sulle ginocchia
e la colpì con tutta la forza, spedendola tra i piedi del giocatore nero-blu
con orecchie da coniglio.
Questo attraversò di corsa gli ultimi metri prima della
porta e si liberò della palla,
passandola a Maine Mo Eper, giusto prima di venir raggiunto da
Cuchulain.
Il giocatore del Connacht tirò in rete e…
“Goaaaaal!” urlò Hikaru scagliando un pugno per aria.
Kojiro non sapeva se essere seccato o soddisfatto
dall’inaspettato andamento preso dalla partita. Certo, la sua squadra stava
perdendo l’evidente superiorità in cui si era crogiolata fino a quel momento,
però, per lo meno, Matsuyama stava mettendo in difficoltà quel bellimbusto
coperto di fiamme.
Matsuyama aveva un certo stile, doveva ammetterlo, lo aveva
sempre avuto: era per quello che amava così tanto schiacciarlo tutte le volte
che si incontravano. Era una sfida interessante, ma il finale scontato vedeva
sempre Kojiro vincitore. Per quello Matsuyama era il suo antagonista preferito
e doveva essere lui e soltanto lui a umiliarlo tutte le volte.
Ridacchiò divertito, godendosi lo spettacolo del suo
compagno di squadra che inseguiva inutilmente la palla per tutto il campo.
Ecco, li avrebbe fatti soffrire un altro po’, giusto il tempo che si rendessero
conto che, senza di lui, non avrebbero combinato un bel niente e poi avrebbe
mostrato loro come si gioca a Hurling. O a calcio, per lo meno.
Hikaru mise in rete un’altra palla e si voltò verso di lui,
con espressione esaltata: “Ti sei già arresa? E dire che facevi tanto la
sbruffona!”.
Un nervo si contrasse sulla tempia di Kojiro… quello stronzo
di Matsuyama…
Aveva detto che voleva aspettare? Bhè aveva aspettato a
sufficienza.
“Ehi voi, fatine! Cosa c@**# state facendo? Li state
lasciando fare quello che vogliono!”.
Si diresse verso un gruppo di giocatori giallo-rossi, che si
dondolavano da un piede all’altro, senza evidentemente avere la minima idea di
come comportarsi.
“Datevi una mossa, smidollati” sbraitò loro in faccia Kojiro
“Difendete quella porta! Non potete
farli tirare come gli pare e piace”.
“Ma noi…” brontolò uno dei giocatori, con una fascetta d’oro
intorno alla testa (26) “Siamo stanchi… la maledizione…”.
“La maledizione un corno!” abbaiò Kojiro “Vi prendo a calci
per tutto il campo se non vi muovete”.
Il giocatore lo fissò, palesemente inorridito da quell’eventualità
e lui e le altre fate si affrettarono a piazzarsi davanti alla porta.
“Tu!” urlò il calciatore all’indirizzo della Glaistig “Vedi
di darti da fare, visto che non subisci la maledizione e anche tu! Come diavolo
ti chiami, con i capelli biondi!”.
Una ragazza bellissima (27), che si stava intrecciando i
capelli dorati, annuì con aria assente e sollevò la mazza.
Intanto l’attacco del Connacht non si fermava. Matsuyama
continuava a guidare l’azione, effettuando i passaggi fulminei per cui era
famoso.
Cuchulain sembrava piuttosto seccato.
“Ehi, Cucurrin o come diavolo ti chiami! Smettila di correre
su e giù in quel modo!” urlò Kojiro, con un piacere sconfinato “Marcane uno e
basta! Quello là, quello grosso e con l’aria idiota. Appiccicati addosso a
quello e non mollarlo un secondo”.
“Te, Fata Turchina, marca la ragazzina che si trasforma in
cane, prendila a mazzate se devi, ma fermala!”.
“Con piacere” rispose la Glaistig con un sorriso malevolo, roteando la
mazza. Il cagnetto si arrestò di botto, la squadrò con sguardo preoccupato e
scappò a gambe levate nella direzione opposta, con la donna alle costole.
“Mantieni la posizione, mantieni la posizione!” urlò
Matsuyama che stava per effettuare un passaggio nella sua direzione.
“Fossi matta!” guaì il cagnetto, continuando a correre.
“A lui ci penso io!” gridò Kojiro, facendoglisi incontro.
Matsuyama si esibì in quello che voleva essere un sorriso
seducente “Sarà interessante” commentò.
Kojiro ringhiò “Pensa a giocare, pivello”.
Il giocatore dell’Hokkaido lo scartò, rapidissimo e si
preparò a passare. Kojiro cercò di anticiparlo, entrando in scivolata sulla
palla, ma Matsuyama riuscì a tirare, prima di cadere faccia a terra.
Un giocatore nero-blu si impossessò del pallone e si diresse
verso la porta.
“Fermatelo!” abbaiò Kojiro “Voi lì, in difesa! Andategli
incontro! TU NO, pezzo di imbecille! Tu stai marcando quello grosso, continua a
marcarlo!”.
Cuchulain, che stava già per lanciarsi verso la palla, tornò
a testa bassa alla sua posizione.
In compenso, sul giocatore del Connacht, si gettarono tre
fate giallo-rosse, che lo costrinsero a passare indietro.
Una delle tre donne indiavolate ricevette il passaggio e
tentò nuovamente di avanzare, ma Kojiro spedì i tizi con i cappelli rossi a
marcarla e la tipa venne seppellita sotto una massa di corpi verdastri e
nodosi.
La palla rotolò indisturbata fra l’erba.
Cinque giocatori nero-blu e un numero imprecisato di
giocatori giallo-rossi si precipitarono sulla sfera a mazze levate.
“No, no, NO!!!” imprecò Matsuyama esasperato “Vi ho detto di
mantenere la posizione, la posizione! Ricordatevi i ruoli!”.
“Povero coglione” lo sfotté Kojiro “Credi davvero che le fatine abbiano cervello a
sufficienza?”.
Una massa confusa di corpi si agitava intorno alla palla:
sembrava che nessuno riuscisse a emergere. Kojiro non riusciva nemmeno a vedere
la sfera.
Stava cominciando a perdere la pazienza: non era da lui
stare fermo ad aspettare che i suoi compagni si impossessassero della palla. Se
soltanto Matsuyama si fosse dato una mossa…
Invece quello stava lì impalato e lo fissava con un
sorrisetto supponente.
“Bhè, che c’è?” ringhiò
aggressivo.
“Niente…” rispose vago Matsuyama “Soltanto assomigli a un
tizio che conosco… e scommetto che lui, in questo momento, starebbe bruciando
dalla voglia di tuffarsi nella mischia”.
“Staresti forse insinuando che sono uno stupido, incapace di
una strategia, che si getta nel casino a testa bassa?” domandò Kojiro,
stringendo pericolosamente gli occhi.
“Non penserei mai una cosa del genere di te!” ribatté Matsuyama,
con un sorriso ancor più melenso del precedente “Anche quel tizio che conosco
non è mica stupido. E’ soltanto un po’ troppo irruente e tende a scordarsi di
pensare, ma in fondo è in gamba”.
Kojiro sbatté le palpebre, preso in contropiede. Matsuyama pensava
quello di lui? Credeva che lo odiasse cordialmente. “Ah… bhè… grazie” rispose a
disagio.
“Prendete quella maledetta palla!” ruggì per nascondere
l’imbarazzo.
Hikaru scoccò un altro sguardo prudente al profilo della
Giocatrice Sconosciuta. Non era affatto male. E’ vero che fra le fate c’era un
numero impressionante di donne stupende, ma la ragazza umana aveva decisamente
più pepe. E poi era chiaro che era una giocatrice professionista: quella
precisione, quella potenza nel tiro non potevano certo essere improvvisate.
Nonostante questo, però, aveva delle gran belle gambe, non quei tronchi
d’albero che si ritrovavano di solito le sue colleghe, bensì polpacci torniti e
cosce snelle.
La ragazza si accorse di essere osservata e gli rivolse un
occhiata di fuoco. Che sguardo! Non l’avrebbe lasciata vincere, però!
Il caos a centrocampo
si stava moltiplicando.
I giocatori del Connacht sembravano essersi completamente
dimenticati delle istruzioni di Hikaru e si assiepavano intorno alla palla,
cercando di strapparla agli avversari.
Jo correva su e giù per tutto il campo, inseguita dalla
tizia con i capelli azzurri.
La masnada di Red Caps aveva mollato Macha, che si stava
rialzano stordita, con i lunghi capelli arruffati e si era tuffata su Maine
Mathremail che era riuscito a emergere dalla mischia con la palla in equilibrio
sulla mazza.
Macha sollevò le braccia al cielo, furiosa per l’offesa
subita e nubi tempestose oscurarono improvvisamente il sole. Morrìgan ululò in
risposta come cento cani selvatici e fulmini azzurri squarciarono l’orizzonte.
Badb scosse la mazza e la terra tremò.
“Ehm… ragazze… calme…” Hikaru tentò titubante di placarle.
Intanto Maine Andor e Maine Athremail si gettavano sui Red
Caps che avevano aggredito il fratello, lanciandoli in tutte le direzioni.
Cuchulain si scagliò contro le tre donne del Connacht che
soffiarono in risposta come gatti. Per un secondo si fusero in una sola donna
dalla bellezza insostenibile, quindi si dissolsero in uno stormo di corvi che
aggredirono il guerriero dell’Ulster.
Il giocatore giallo-rosso, con i capelli stretti da una
fascia d’oro, chiamò gli altri a raccolta: “Guerrieri dell’Ulster, i traditori
del Connacht ci assalgono! Mostriamo loro di che pasta siamo fatti!”.
Un boato si levò dal campo, mentre Hikaru fissava la scena
allibito. La ragazza bruna accanto a lui non sembrava meno esterrefatta.
“Sì! Mischiaaaaa!” i giocatori giallo-rossi conversero tutti
verso il centro del campo dove Cuchulain
e i corvi che erano stati Macha, Badb e Morrìgan lottavano
ferocemente.
“Fratelli!” fu la volta di Maine Mathremail di gridare “Le
nostre compagne sono in difficoltà: aiutiamole!” ed egli e i suoi sei biondi
fratelli si scagliarono contro i giocatori giallo-rossi, senza metter tempo in
mezzo.
“Bhè caro” commentò Maeve, sbadigliando “sembra che ci sia
bisogno di noi là. Andiamo a dare una mano ai ragazzi”.
“Connacht con me!” ruggì Ailill “Si fa a botteeeeeeeee!”.
“Gabba Gabba Hey!” urlarono in coro i giocatori neri e blu.
Il pony nero caricò a testa bassa.
La
Glaistig azzurra smise di inseguire Jo e si tuffò nella
mischia.
“Ma… ma… ma cosa sta succedendo!” urlò Hikaru sconvolto
dall’evolversi della situazione.
“Succede che ora ci si diverte!” esclamò Jo, apparsa
improvvisamente al suo fianco, con gli occhi luccicanti “Connacht! Gabba Gabba
Hey!”. Si trasformò in volpe e schizzò verso il centro della battaglia,
cominciando a mordere stinchi a destra e a manca.
Il cielo si faceva sempre più scuro e fulmini cadevano
tutt’intorno (e a volte SUI) contendenti.
I giocatori dell’Ulster si trasformarono improvvisamente in
serpenti velenosi e quelli del Connacht reagirono mutandosi in aironi e allora
i giallo-rossi presero sembianze di aquile e…
“Mi sa che qua non hanno più bisogno di noi… ce ne andiamo,
prima di rimetterci le penne?” sbottò Hikaru rassegnato, allontanandosi.
La ragazza scoccò un’ultima occhiata allucinata alla scena e
poi lo seguì.
“Speriamo solo che quella si ricordi di farmi tornare
normale…” borbottò tra i denti.
“Scusa che hai detto?”.
“Niente, niente!” si affrettò a negare la ragazza,
diventando rossa come un peperone.
Camminarono finché le fate non divennero soltanto un
polverone all’orizzonte. Hikaru trovò un sasso sufficientemente comodo e si
mise a sedere, la ragazza si accomodò accanto a lui.
“Tu... uhm… insomma… Come sei finita in questo casino?”.
La giocatrice lo fulminò con un’occhiata: “Che c’è, continui
a provarci? Ma non avevi la ragazza tu?”.
“Ra… ragazza? Io?” rispose Hikaru vago.
“Ma se ti seguiva in tutte le trasferte, era sempre trai
piedi. Si chiamava… Yo… Yoshiko”.
“Yoshiko…” il nome gli diceva qualcosa. Sì, conosceva
qualcuno con quel nome… qualcuno… Yoshiko!
Hikaru spalancò gli occhi incapace di credere di essersene
dimenticato: Yoshiko era la sua ragazza, erano stati insieme per ANNI, fin da
quando erano bambini.
E lo aveva mollato. Giusto la sera prima. I ricordi
cominciarono a riaffiorare… Quella roba che gli aveva dato da bere il phooka,
doveva essere stata quella a fargli dimenticare tutto.
“Temo che Yoshiko non sia più la mia ragazza” mormorò
affranto. Poi un sospetto cominciò a farsi largo nel suo cervello “Ma tu… come
facevi a saperlo, che mi seguiva sempre durante le trasferte?”.
La ragazza diventò bordeaux “Io… io… l’ho sentito dire,
qualcuno me l’ha raccontato. E comunque a te che ti frega?”.
Hikaru studiò il suo viso bruno e squadrato, le labbra
sottili, i capelli selvaggi e corvini…quegli occhi neri e ardenti come carboni
e poi scoppiò a ridere.
“Non… non ci posso credere, non ci posso credere!” rantolò,
piegato in due dalle risate “Sei Hyuga, sei Hyuga veramente! Chi ti ha fatto
questo scherzetto?”.
“Non azzardarti a dirlo a nessuno!” ringhiò Hyuga, tra il
terrorizzato e il furibondo “Matsuyama, ti strappo le palle se lo racconti a
qualcuno!”.
Hikaru aveva le lacrime agli occhi dal ridere, il che
rendeva schivare i pugni che la ragazza-Hyuga cercava di assestargli piuttosto
complicato, ma era tutto così meravigliosamente ridicolo. Quella era Hyuga e
lui ci aveva provato, completamente dimentico di Yoshiko e del suo dolore.
Hyuga gli assestò un calcio nello stomaco.
“Ahia!” protestò Hikaru dolorante, smettendo di ridere e
stringendosi la parte lesa.
“Guarda, Matsuyama, se solo ti azzardi…”.
“Anche se lo dovessi raccontare a giro, chi vuoi che mi
crederebbe?” ribatté Hikaru, tentando di recuperare un po’ di dignità. “Sai…
secondo me ti hanno fatto un favore… dovresti chiedergli di lasciarti così.
Potresti sedurre qualche modella lesbica”. Lasciò vagare un attimo la fantasia.
“Perché mai dovrei fare qualcosa del genere?” domandò Kojiro
sospettoso.
“No, niente. Mi pareva interessante”.
“Stavi avendo fantasie pornografiche su di me e qualche
modella? Ma io ti ammazzo!”.
Hikaru ritenne imperativo darsi alla fuga.
Hyuga era dannatamente veloce e ci mise un sacco di tempo a
stancarsi: ne aveva di fiato per essere una ragazza. Hikaru fu assalito da un
nuovo attacco di risolini a quel pensiero e fu costretto a rallentare.
Per fortuna, l’altro si era gettato in terra qualche metro
più in là; Hikaru tornò indietro. “Non mi vuoi più ammazzare?” lo apostrofò,
ansimando.
“Ora sono troppo stanco, ma è soltanto rimandato”.
“Allora per il momento mi stendo qua accanto a te”. Hikaru
si allungò al fianco della ragazza che era Hyuga e fissò il cielo. Era azzurro,
più azzurro di come l’avesse mai visto, forse perché erano così lontani dalla
città. In lontananza si udivano ancora, fievoli, le grida delle fate.
Gabba Gabba Hey!
“E dunque la tua donna ti ha mollato” ghignò Hyuga beffardo,
accanto a lui.
“Come fai a sapere che è stata lei?”.
“E’ chiaro, si vede lontano un miglio che sei stato
scaricato. E comunque era troppo carina per te”.
Sempre pieno di tatto Hyuga, un persona di una gentilezza
squisita.
“Però sembrava proprio cotta. Non c’era partita che non
venisse a vedere e ha continuato a pensarti, persino dall’altra parte del
mondo. Credevo che non ti avrebbe mai lasciato”.
Hikaru si voltò sorpreso. Hyuga si stringeva un ginocchio al
petto, vi aveva appoggiato il mento e fissava meditabondo l’orizzonte.
“Davvero pensavi questo di noi? Credevo…”.
“Che non me fregasse niente di nessuno e che nemmeno mi
fossi accorto che avevi la ragazza? E invece lo sapevo. Sono anni che giochiamo
l’uno contro l’altro”. Era insolitamente pacato per essere Hyuga.
Hikaru incrociò le braccia dietro la testa e seguì con lo
sguardo una nuvola vagabonda.
“Ha detto che non sono capace di avere una relazione seria
con una donna, che sono troppo concentrato su me stesso”. Ok, l’aveva detto e
si era levato il peso. Certo non avrebbe mai pensato di farlo proprio con
Hyuga.
L’altro lo fissò con uno sguardo strano “Tu? Troppo
concentrato su te stesso? Ma se non ho mai conosciuto qualcuno altrettanto
generoso e attento… per lo meno con in compagni di squadra”.
Hikaru inarcò un sopracciglio “Sai, se non sapessi che sei
un uomo, dopo questa battuta potrei quasi innamorarmi di te”.
“Fanculo Matsuyama”.
Rimasero in silenzio fianco a fianco, a guardare il cielo e
ad ascoltare i cori delle fate in lontananza.
Quando il sole calò dietro le colline erbose, finalmente la Glaistig azzurra e il
phooka riapparvero. Erano entrambe sporche e scarmigliate ma, mentre la donna
teneva il broncio, la ragazzina sorrideva allegramente e avanzava saltellando.
“Abbiamo vinto! Abbiamo vinto!” trillò, appena vide Hikaru
“Ed è stato tutto merito tuo: sei stato bravissimo!”.
“Posso andarmene, adesso? E magari puoi ridarmi i miei
vestiti?”.
“Certo, certo! Ecco i vestiti e un regalino per la tua
disponibilità”. Jo gli mise in mano uno specchietto d’argento “E’ magico” gli
sussurrò all’orecchio con fare cospiratorio “Se pronunci il nome di una
persona, la vedrai apparire al suo interno”.
Hikaru la guardò perplesso. La ragazzina annuì con enfasi.
“Potrei andarmene anch’io, di grazia?” ringhiò Kojiro.
“Uhm, sì” sbuffò la Glaistig “Anche se non sei stato di grande aiuto;
dovrei lasciarti così per sempre”.
“Non azzardarti, strega!”.
“I patti sono patti… purtroppo”. La donna agitò una mano e
Hyuga riprese le sue fattezze.
Hikaru sospirò vagamente deluso. Nutriva ancora qualche
speranza su quella modella lesbica…
Kojiro lo fulminò con un’occhiataccia.
“Bhè io me ne vado allora!” li salutò Jo allegramente “Buona
fortuna Hikaru! Noi del Connacht faremo sempre il tifo per il Manchester. D’ora
in poi i tuoi avversari potrebbero avere mooolti incidenti”.
Hikaru le rivolse uno sguardo stralunato “Non lo farai sul
serio, vero?”.
“Oh sì!” rispose la ragazzina convinta, con un ampio sorriso
gioioso.
Una volpe sparì tra l’erica in un lampo fulvo.
Hikaru sospirò di nuovo, rassegnato questa volta.
“Bhè me ne vado anch’io” salutò la Glaistig azzurra “Ma non
aspettarti favori da me” concluse acida.
“Non voglio favori di sorta, da voi!” ribatté Kojiro.
La donna svanì in uno sbuffo di fumo.
I due giovani rimasero da soli nel silenzio dei campi.
“Andiamo a bere qualcosa” sbottò Kojiro dopo un po’ “Ho
bisogno di dimenticare”.
“Perché no?” rispose Matsuyama, stringendosi nelle spalle.
Affondò le mani nelle tasche e seguì il compagno tra l’erba.
“Ehi Hyuga… tu hai idea di dove siamo?”.
...
…
“Quelle fate del c@**#!”.
(1)
Sligo: cittadina del nord-est dell’Irlanda, sperduta
nel nulla assoluto
(2)Uisce Beatha: whiskey in
gaelico irlandese
(3) Il Megi Jingu Mae è un famoso
ponte di Tokyo, vicino al quartiere di Shinjuku, dove, nel fine settimana, si
riuniscono ragazzi e ragazze vestiti nei modi più assurdi, spesso come membri
dei loro gruppi preferiti o come personaggi dei fumetti.
(4)Cuige Uladh: nome in gaelico
antico per la provincia dell’Ulster
(5)Ulster: come dicevamo, è una
provincia dell’Irlanda, corrisponde più o meno all’Irlanda del Nord.
(6)Connacht: idem come sopra,
però si trova nel nord-ovest.
(7)Phooka: folletto irlandese che
ha l’abitudine di trasformarsi in animale a giocare tiri birboni ai viaggiatori
ingenui.
(8)Slainte: “alla salute” in
gaelico irlandese
(9) Lughnasad: festa del dio Lug,
celebrata il 1 agosto, dell’antico caledario celtico.
(10) Hurling: sport irlandese
VAGAMENTE simile all’Hokey, ma molto più violento. Sta all’Hokey come il Calcio
Storico Fiorentino sta al Calcio.
(11) Glaistig: un tipo di fate
piuttosto carogne, sono donne bellissime con gambe di capra, che di solito
nascondono sotto lunghi abiti verdi. Seducono gli uomini per succhiare loro il
sangue.
(12) Daoine Sidhe: un tempo erano
gli abitanti dell’Irlanda, prima che venisse comquistata dagli umani. Adesso
vivono nei tumuli, dove hanno i loro palazzi. Sono immortali e bellissimi. A
volte rapiscono gli uomini per farne i propri compagni. A proposito, quella
subito dopo non è una metafora sessuale, almeno nelle intenzioni di Jo: le loro
armi preferite sono le lance e delle sfere di pietra con cui sfondare i crani
dei nemici.
(13) Corte Scontenta: o Unseelie
Court, riunisce i membri più malvagi e pericolosi del popolo fatato.
(14) Aughisky: cavalli acquatici
divoratori di uomini.
(15) Bogle: folletti che, per lo
più, tormentano assassini e bugiardi, con tiri mancini di ogni tipo.
(16) I maiali di Finvarra, re
delle fate, vengono uccisi ogni sera per risorgere al mattino.
(17) Niamh: principessa delle
Daoine Sidhe, amava rapire bei ragazzi per tenerli al suo fianco. Il più famoso
è Oisin, che tornò nel nostro mondo giusto in tempo per morire di vecchiaia.
(18) Ailill:leggendario marito
dell’ancor più leggendaria Maeve, regina del Connacht che scatenò una guerra,
narrata ne “La Razzia
del toro di Cooley”, per il possesso (appunto) di un toro rosso.
(19) Gabba Gabba Hey: un verso di
una canzone dei Ramones. Vanna Vinci in “Lillian Browne” lo fa gridare ai
folletti durante una partita di Hurling. L’ho fatto anch’io come omaggio a una
fumettista bravissima che mi ha insegnato tanto. E poi è divertente…
(20) Red Caps: folletti malvagi e
sanguinari, tendono a sgozzare la gente con le loro asce per poi tingere i
cappelli nel sangue delle vittime.
(21) Si tratta di un leprecauno,
i leprecauni sono folletti calzaiuoli, ma non commissionategli delle scarpe: ve
ne faranno una (mai un paio) in trecento anni.
(22) Macha: personaggio
controverso della mitologia irlandese, viene nominata come principessa del
Connancht con un legame particolare dei cavalli, sia che si tratti di correre
rapida come loro, che di proteggerli e allevarli. Lanciò una maledizione sui
guerrieri dell’Ulster, affinché si trovassero senza forze nel momento di
bisogno, come narrato ne “la
Razzia del toro di Cooley”. Viene anche nominata, però, come
una delle tre divinità del pantheon celtico, Morrìgan, Badb e Macha, dee legate
alla guerra e all’amore sensuale (per quello che si capisce da quei brani
scarsi e tardivi che abbiamo sull’argomento). Sembra che fossero tre aspetti di
una dea sola, una specie di Trinità pagana. Dico divinità per semplicità,
perché erano Tuatha de Dannan, membri della tribù della dea Danu, che sono una
complicata via di mezzo tra fate, dei, umani, eroi, tanto poi diventano tutti
Daoine Side.
(23)Cuchulain: leggendario eroe
dell’Ulster. Il suo nome significa “il cane del fabbro di Cullin”, perché in
gioventù dovette sostituire come guardiano il cane del fabbro che aveva ucciso.
E’ dotato di forza straordinaria e di attributi di divinità solari. Durante la
“Razzia del toro di Cooley” fu l’unico guerriero dell’Ulster a non perdere le
forze. Combatté faccia a faccia con Morrìgan che ne uscì ammaccata. E’ figlio
di Lug.
(24)Maine Mathremail: Maine “Come
Sua Madre” uno dei sette figli di Maeve e Ailill, poi erede del regno del Connacht.
Gli altri sono Maine Athremail (Come suo padre), Maine Mo Epert (colui che
parla) Maine Andoe (il rapido) Maine
Mingor (delicato nei doveri… traduzione mooolto dubbia), Maine Milscothatch
(dalla lingua di miele) e Maine Morgor (forte nei doveri… anche su questo ho
qualche dubbio, ma non riesco a trovare una traduzione che mi convinca).
(25) Hag: brutta strega cattiva
che vive nelle paludi.
(26) Non si capisce, ma ve lo
dico lo stesso: è Conchobar, re dell’Ulster. Combatté con Maeve per il famoso toro
di Cooley.
(27) Come sopra: è Deirdre,
fanciulla bellissima eroina di una storia strappalacrime. Conchobar la sposò
con la forza dopo aver ucciso il suo innamorato e lei si suicidò. Varie
peripezie e sventure nel mezzo.
Ringraziamenti e Bibliografia: Per
prima alla meravigliosa Vanna Vinci che mi ha dato l’idea con il suo geniale
“Lillian Browne”. Sottolineo, però, che Jo, il phooka, è un personaggio nato
prima ancora di Lillian, quindi è tutta farina del mio sacco. Tra l’altro lo
conosce pure Vanna…
Grazie a chi mi ha
gentilissimamente betato e sopportato mentre scrivevo. Grazie ai meravigliosi
siti dove trovavo rapidamente le informazioni che mi mancavano, primo fra tutti
Wikipedia.
Un grazie speciale alle
Webzie di ELF (http://www.immaginifico.com/field/) che mi hanno dato
l'occasione di scrivere questa storia e che l'hanno premiata!
Ho attinto informazioni da “Fate”
di Alan Lee e Brian Froud, da “la
Pietra del Vecchio Pescatore”, varie saghe e leggende
irlandesi tra cui la solita “Razzia del toro di Cooley”e da ricordi di saggi
storici e antropologici sui celti.
Da qualche parte ho dei disegni
di Jo, se riesco a caricarli ve li faccio vedere.
Crdevo veramente che Hikaru giocasse nel Manchester -_-''' , voi fate finta che ci giochi sul serio....
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