Ciao
a tutti! Questa volta ho voluto sperimentare una one-shot su un
personaggio che
mi piace molto: Chichi. La mia intenzione, inoltre, è quella
di difendere Goku
perché secondo me non è vero che ha lasciato la
famiglia unicamente per
allenarsi… così ho voluto immaginare un motivo
che redimesse un po’ il nostro
eroe! Avverto subito che è stomachevolmente romantica, ma ho
cercato di dare il
meglio di me quindi, se amate il genere, mi farebbe piacere avere tante
recensioni!
Grazie in anticipo a tutti quelli che leggeranno!
Quando
te ne andasti
Appoggiata sul davanzale,
scrutava l’orizzonte.
Era tardi, molto tardi e
fuori era buio, ma lei non aveva
sonno. Aveva solo voglia di starsene lì, seduta, cercando di
non pensare. Ma
come poteva riuscirci?
“Sì,
signora, lei è
incinta”
Questo aveva detto la
ginecologa proprio quel pomeriggio.
Queste 5, brevi parole, che molti anni prima l’avevano resa
la donna più felice
della Terra, ora avevano portato con sé solo altro dolore,
altra disperazione.
Benché si ritenesse spregevole, non riusciva a provare
gioia.
Si sfiorò il
ventre. Eccolo, il suo ultimo regalo, prima di
andarsene, ancora una volta, forse per sempre. L’aveva
lasciata sola spesso,
non riusciva più neanche a ricordare quanto a lungo. Ma
l’aveva sempre amato,
l’aveva perdonato e, quando tornava, per lei era come
innamorarsi di nuovo.
Ma ora… Non
sarebbe stata più la sola a dover capire,
perdonare, amare. Dentro di lei cresceva una vita che ben presto
avrebbe chiesto
perché suo padre non era lì con loro. E cosa
avrebbe risposto lei? Perché non
ci voleva bene.
Non era vero, lo sapeva
benissimo. Lui l’amava, glielo aveva
letto molte volte negli occhi, quando, stesi sul letto, stavano ore ed
ore
abbracciati, fissandosi, mai sazi l’uno dell’altra.
E amava Gohan. Di certo non
era stato quel che si definisce un padre esemplare, ma voleva bene a
suo
figlio, era orgoglioso di lui e, ogni volta che era in pericolo, anche
se non
lo dava a vedere, soffriva. Ma allora, cosa avrebbe dovuto rispondere?
Sentì qualcosa
di caldo e umido scorrerle lungo una guancia;
lasciò che la lacrima solitaria percorresse la lunghezza del
suo viso e si
infrangesse sul davanzale. Alzò gli occhi lacrimosi e
osservò la luna come se
potesse darle delle risposte, come se potesse restituirle
ciò che le era stato
strappato.
“Perché,
Goku?” chiese semplicemente.
Un fruscio, dietro di lei,
impercettibile ad altre orecchie
che non fossero le sue. Ma lei aveva amato quel suono dalla prima volta
che
aveva visto colui che lo produceva, aveva imparato ad attenderlo con
ansia,
nelle notti passate sola abbracciata al cuscino, e lo avrebbe
riconosciuto fra
mille perché per lei era il suono più bello che
potesse sperare di udire e
portava speranza, gioia, amore.
Sorrise. Un sorriso amaro,
il suo.
“Che ci fai,
qui? Non dovresti essere nell’aldilà ad allenarti?”. Aveva calcato
volutamente
sull’ultima parola. Il suo tono poteva essere quello che
usava per chiedere a
Gohan perché non stava studiando. Voleva essere come quando
lui era lì:
ironica, pungente, severa. Ma non le riuscì. Dalle sue
parole traspariva solo
amarezza e dolore.
Non si era voltata: non
voleva scoprire se era un sogno
oppure no. Voleva solo continuare a vivere quel momento.
Sentì ancora i passi,
sempre più vicini. Poco dopo due braccia la cinsero in vita,
stringendola al
corpo che amava, che avrebbe voluto restasse sempre lì con
lei.
“Perdonami!”.
Le sue labbra si erano avvicinate a quelle di
lei e avevano sussurrato quella piccola ma grande parola
nell’orecchio. Sentì
le lacrime che minacciavano di uscire completamente dai suoi occhi e
serrò
ancora di più le palpebre.
“Dimmi
perché” chiese con voce tremante, semplicemente.
Doveva assolutamente sapere.
Udì un sospiro
e la presa farsi più forte. “Lo sai che ti
amo” disse lui.
“E
allora” disse, ormai pericolosamente vicina al pianto.
“perché non rimani qui? Perché te ne
vai, sempre, mi lasci sola, preferisci
allenarti, anche lontano dalla Terra… non ti importa di
quanto sto male, non
puoi capire…”. Stava ormai singhiozzando. Si
voltò verso di lui, senza
guardarlo negli occhi e seppellì il viso nella tuta
arancione che indossava
sempre.
Lui non la interruppe.
Quando si voltò, l’abbracciò ancora
più stretta, accarezzandole i capelli ma non
parlò. “L’ho fatto per te e per
Gohan” disse infine.
Dalla bocca di lei
uscì un piccolo sbuffo.
“Non potevi inventarti una scusa
migliore?”
Lo sentì
ridacchiare. “Questa è la mia Chichi”
disse.
“Ironica e combattiva. Come posso non amarti?”
“Guarda che non
sto scherzando!” replicò lei.
Finalmente
trovò coraggio e alzò lo sguardo. I suoi occhi
incontrarono quelli di lui: neri, profondi, caldi. Erano giocosi, come
sempre:
era una caratteristica che li contraddistingueva, era ciò
per cui si era
innamorata. Subito, però, si fecero seri.
“Come puoi avere
il coraggio
di dire che l’hai fatto per noi? Ci hai lasciato qui, da soli
e non puoi
neanche immaginare quanto stiamo male. Gohan non parla da giorni, si
sente
responsabile per la tua scomparsa. E io… hai mai pensato a
me qualche volta,
Son Goku? Non riesci a capire quanto ti ami, quanto mi manchi quando
non ci
sei… e ora mi hai lasciato anche questo!”.
Afferrò la mano di lui e la fece
poggiare sul proprio ventre. Era calda.
“Lo
so” rispose lui, senza staccare la mano. “Credimi,
Chichi, sto male anche io. So che ti è difficile credermi ma
quando non ci sei
provo dolore almeno quanto te. Ma cerca di capire”. Prese un
profondo respiro,
la strinse ancora di più a sé e
cominciò.
“Come sai non
sono stato io a sconfiggere Cell, ma nostro
figlio. Lui era diventato più potente di me e me
n’ero accorto da tempo. Così
ho voluto combattere per primo, misurarmi con lui e poi far andare
avanti
Gohan. Non avevo i minimo dubbio che sarebbe riuscito a sconfiggerlo,
così l’ho
incitato a prendere il mio posto, combattendo contro un mostro che non
ci
avrebbe pensato due volte prima di eliminarlo. Capisci? Ero sicuro che
lui
volesse combattere e ho fatto di tutto per fornirgli
un’occasione. Ma non ho
considerato una cosa fondamentale” la sua voce si
spezzò. Chichi guardò verso
di lui e non riuscì a credere a ciò che vedeva: i
suoi occhi erano lucidi,
tratteneva a fatica le lacrime.
“Gohan non
è come me” riprese lui dopo un momento.
“Lui non
ha mai voluto combattere e non avrà mai la mia stessa
passione. Lui vuole
essere come te: dolce, gentile, intelligente, non un guerriero rozzo e
dedito
solo al combattere. E io questo non l’ho capito. Me lo ha
dovuto dire Junior.
Junior, capisci? Una persona che sì, è stata il
suo maestro, ma ha passato
insieme a Gohan soltanto un anno, tanto tempo fa. Eppure lui conosce
mio figlio
più di me, ha capito cosa c’è nel suo
cuore, mentre io sono sempre stato troppo
stupido e orgoglioso per vedere”.
Sospirò
nuovamente. Poi ricominciò, con più convinzione.
“Per questo mi sto allenando. Voglio fare qualcosa per lui,
visto che non sono
stato un buon padre. Voglio diventare più forte di lui,
imbattibile, così che,
se si ripresenterà un nuovo pericolo, non dovrà
più combattere al mio posto.
Potrà fare quello che vuole, non lo esporrò
più a nessun pericolo. E tu, amore
mio” le sorrise dolcemente. “non dovrai
più stare in ansia per lui. Non dovrai
più vederlo partire e rischiare la vita”.
Chichi lo
fissò. Le lacrime si erano fermate ed ora restava
solo uno strano sentimento. Poteva essere commozione o
forse… orgoglio. Sì.
Orgoglio per aver sposato l’uomo che stava in piedi davanti a
lei. Ricambiò il
sorriso che lui le rivolgeva e posò la propria guancia sulla
sua spalla,
chiudendo gli occhi e lasciandosi cullare dalle sue forti braccia.
“Ti sbagli,
sai?” disse dopo qualche minuto.
“Come?”
chiese lui.
“Gohan non odia
combattere. Semplicemente è un bambino un
po’ timido, che non ama la guerra. Ma ama te. Sei il suo eroe
e non posso
immaginare una persona a cui voglia più bene. Non pensare di
essere un pessimo
padre per lui, perché se sapesse che credi questo ci
rimarrebbe molto male.
Penso che nostro figlio sia una persona straordinaria e che non
sarà mai
completamente un combattente, come vuoi tu, o uno studioso, come voglio
io.
Sarà entrambi perché più di ogni altra
cosa vuole vederci fieri di lui. E come
potremmo non esserlo?”
“Certo”
rispose lui ridendo. “D’altra parte è
figlio tuo!”
“No”
lo corresse lei. “È figlio nostro”.
Rimasero abbracciati
ancora qualche minuto, cullandosi. Alla
fine la voce di lei arrivò per interrompere quel momento
idilliaco che,
entrambi lo sapevano, non sarebbe potuto durare in eterno.
“Devi andare
vero?”. Lui annuì.
“Il
tempo che posso
passare qui è quasi scaduto. Ma dovevo vederti. Dovevo
spiegarti. Dovevo dirti,
una volta di più, che ti amo”.
“Ti amo anche
io” rispose Chichi, sciogliendosi dal suo
abbraccio.
Lui si voltò e
si diresse a passi lenti e silenziosi verso
la porta.
“Aspetta”
chiamò lei. “Un’ultima cosa”.
Gli si avvicinò e
accostò il suo viso a quello di lui.
“Tornerai?”
Lui alzò una
mano e la passò sulla guancia di lei, per poi
avvicinarsi all’orecchio e riavviarle i capelli sciolti. Poi
avvicinò le labbra
e le donò un ultimo, breve bacio, dolce e amaro al tempo
stesso. Interrupe quel
contatto e poi lasciò scivolare la mano, ancora una volta,
sul ventre di lei.
“Chiamalo
Goten” disse semplicemente. Poi si voltò e si
incamminò verso la porta. Un attimo dopo era sparito.
Chichi avanzò
verso il letto, suo e di Goku, scostò il
lenzuolo e vi si sdraiò. Guardò verso il soffitto
e sorrise. Ora sapeva cosa
avrebbe dovuto rispondere al piccolo nascituro. Perché
ci amava sopra ogni altra cosa al mondo.
E se le avesse chiesto se
sarebbe tornato, non avrebbe avuto
dubbi sulla risposta. Sì.
Tornerà.
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