THIS BLINDNESS
La sala di rianimazione era la stessa nella quale era stato operato
lui, anni fa, salvato in extremis dopo lo scontro con
quell’essere a otto braccia.
La sala delle urgenze.
Sedeva eretto sulla panchina, le mani giunte, lo yukata di lino bianco
perfettamente stirato.
Aspettava ormai da dodici ore, e ancora nessuna notizia.
Shizune si era affacciata, ma ogni volta aveva scosso la testa,
incapace di dare ancora conferme, ancora incerta sul risultato della
gravosa operazione che stavano tenendo.
In quelle dodici ore Neji aveva assistito naturalmente a una
processione di amici che si erano offerti di dargli il cambio, ma lui
aveva sempre rifiutato, secco.
Era compito suo, dovere anzi, prendersi cura di Hinata-Sama. A maggior
ragione adesso che era in pericolo di vita, il suo unico compito era
badare a lei, aspettando.
Tenten e Rock Lee gli avevano fatto compagnia per due ore, portandogli
il pranzo e una tazza di tè.
Kiba non era potuto passare, anche lui in sala di rianimazione, le ossa
delle gambe frantumate, seppur non in pericolo di vita.
Shino era invece sotto sedativi, ancora addormentato, visto che Tsunade
aveva dovuto operarlo d’urgenza.
Neji sapeva solo che lo avevano trovati tutti e tre esanimi, dopo lo
scontro con due membri dell’Alba, che Kiba aveva accertato
fossero Kisame Oshitake e Itachi Uchiha.
Hinata non si era nemmeno risvegliata. Ogni parte della sua pelle
candida, così si era diffusa la voce, era ricoperta di
sangue.
La famiglia Hyuga era stata subito avvisata, e Hiashi aveva mandato
Neji in ospedale, ordinandogli di avvisarlo non appena la figlia
maggiore si fosse svegliata.
Se.
Ormai erano dodici ore.
Neji guardava fisso la luce rosse sopra la porta, mordendosi il labbro.
Che destino infausto imbattersi nei due membri dell’Alba, e
per lo più due tra i più micidiali.
Ancora ricordava quanto fosse stato terribile lo scontro con Kisame, e
Itachi…beh, era Itachi.
Era un miracolo che il team 8 ne fosse uscito vivo.
Si chiese se la cugina sarebbe sopravvissuta. Così
fragile…
“Che diamine, ce la farà.”
Pensò scacciando i pensieri negativi, bevendo nervoso la sua
tazza di tè ormai fredda.
E poi, d’un tratto, la luce rosse si spense.
Neji scattò in piedi, gli occhi fissi su Shizune che faceva
capolino dalla porta, l’aria sfinita.
“E’…”
“E’ viva, Neji. Ma…”
“La prego, Shizune-san, avvisi Hiashi-Sama da parte mia. Gli
ho promesso che appena Hinata si fosse svegliata l’avrei
controllata personalmente. E voleva poi essere chiamato
d’urgenza qui.”
La donna fece per parlare, ma Neji l’aveva già
preceduta, entrando nella stanza.
Lei si morse un labbro, dirigendosi a spedire in fretta la missiva a
Hiashi Hyuga. Lanciò uno sguardo verso la porta.
Avrei dovuto avvisarlo prima di…?
Ma Neji era già dentro, e Shizune pensò
amaramente che se ne sarebbe accorto da solo.
La stanza sapeva di disinfettante, e la bacinella vicino al letto era
pregna di sangue. La luce fioca del sole al tramonto illuminava il
volto di Hinata, cereo, con gli occhi chiusi.
Era sveglia, perché respirava e al contempo le mani piccole
stringevano il lenzuolo.
Neji le si avvicinò con circospezione. Sembrava ancora
più minuta e delicata di quanto fosse.
Non presentava ferite evidenti, anche se la fasciatura intorno alla
gamba destra lasciava intuire ben più che una ferita
superficiale.
Si sedette accanto a lei, e la sentì lamentarsi piano.
“Hinata-sama? Sono io…aprite gli occhi,
l’operazione è finita.” Le
bisbigliò lui calmo e pacato, nascondendo il turbamento che
gli aveva procurato la vista della cugina così indifesa.
Hinata scosse la testa, gli occhi ancora chiusi, e una piccola lacrima
scese sulla guancia.
“Neji niisan…sei tu…”
sussurrò cercando la sua mano, che lui strinse un
po’ sorpreso e interdetto.
Tossì piano, leggermente imbarazzato.
“Hinata-sama, sono io, e ora sta arrivando vostro padre.
Aprite gli occhi, non c’è nulla da
temere.”
“Neji niisan…i-io…ho
paura…”
“Avanti, non fate la bambina”
“Non è quello...è che io...io non vedo…”
Prima che lui potesse replicare, Hinata aprì gli occhi.
E Neji capì senza bisogno che aggiungesse altro.
La pupilla degli Hyuga era sempre stata bianca, con leggere striature
violette.
Ma adesso la pupilla di Hinata era completamente bianca e non si
dilatava.
L’iride, ugualmente, era lattea.
Neji trattenne a stento un gemito.
Cieca.
Hinata alzò un braccio davanti a sé, e la voce
uscì flebile e tremante.
“Non vedo il mio braccio, non so se la stanza è
buia o meno…”
Cercò annaspando il volto di Neji, che era seduto accanto a
lei su una sedia, e con le dite sfiorò per caso i capelli
castani del ragazzo.
“I-i-io…non vedo nemmeno te…non vedo il
tuo volto…”
Una sensazione di gelo improvvisa si impadronì del cuore del
ragazzo. Deglutì, i pensieri che si accavallavano frenetici.
Cieca. Hinata cieca.
Come avrebbe potuto continuare ad essere un ninja?
Come…quando l’abilità principale degli
Hyuga era proprio la vista eccezionale?
Avrebbe voluta confortarla, ma non una parola uscì dalle sue
labbra: anche perché fu proprio in quell’istante
che Hiashi Hyuga entrò nella stanza, con accanto Tsunade in
persona.
Il capofamiglia si avvicinò a Hinata, ma subito si
irrigidì, accorgendosi all’istante delle pupille
innaturalmente uniformi della figlia.
Hinata aveva percepito dei rumori, e muoveva la testa, pateticamente.
“E’…è entrato qualcuno? Chi
c’è, Neji-niisan?”
Hiashi era paralizzato, e fu solo l’occhiata indagatrice di
Tsunade a costringerlo a parlare.
“Sono io, Hinata.”
“Padre!!” gemette la ragazza tendendo le mani, e
afferrando il vuoto. Hiashi le si avvicinò, e con un enorme
sforzo le diede una carezza sul viso.
Se Hinata avesse potuto vedere, avrebbe colto lo sguardo di puro
disappunto che suo padre aveva sul volto in quel momento.
Ma lo colse Neji.
Perché sapeva bene a cosa stava pensando.
Tsunade si avvicinò a Hinata, parlandole con dolcezza.
“Hinata, sono Tsunade…”
“T-t-sunade-Sama!! Mi dica, come stanno i miei compagni! La
prego mi dica che stanno bene…”
Neji come al solito scosse la testa. Hinata, sempre la stessa.
Pure in momenti del genere gli altri venivano prima.
Tsunade le carezzò i capelli scuri.
“Stanno bene, si rimetteranno presto. Kiba voleva venire a
tutti i costi qui, ma è a letto con le ossa rotte, non
può alzarsi. Shino si sveglierà a
momenti…”
Ci fu qualche istante di silenzio, e poi la voce sottile di Hinata si
erse tremante.
“Tsunade-Sama…questa
cecità…è…”
La donna socchiuse gli occhi, presa da un’infinita
commozione. Sospirò profondamente.
“Hinata…la tua cecità è
perenne. I tuoi occhi hanno subito un fortissimo trauma, come se
qualcosa li avesse trafitti e distrutto cornea e retina.
Hinata…ricordi come è andata?”
La ragazza annuì, tremante, gli occhi bianchi fissi davanti
a sé, in un punto imprecisato.
“Io…ricordo lo sguardo di Itachi
Uchiha…lo sharingan…e poi…il
buio.”
Neji strinse le nocche delle mani.
Lo sharingan ipnotico di Itachi: sapeva degli effetti devastanti che
aveva sulle persone, persino un ninja come Kakashi ne era uscito assai
debilitato dopo lo scontro diretto.
Probabilmente Itachi, spietato e efferato come sempre, aveva sfruttato
il punto debole di Hinata, conscio che gli occhi di chi possiede il
byakugan sono particolari, e proprio per questo estremamente delicati.
E questo era stato il risultato.
Neji era ancora intento a rimuginare quando si accorse che Hiashi Hyuga
era vistosamente indietreggiato da Hinata, sul volto
un’espressione corrugata e pensosa.
Senza dire una parola, uscì dalla stanza.
Neji lo seguì lentamente, tentando di capire il
perché di quel comportamento, avvicinandosi piano dietro le
sue spalle.
“Hiashi-Sama? Non…non resta qui con Hinata-Sama?
La dimetteranno adesso…”
L’uomo guardò il nipote dritto negli occhi, senza
nascondere un malcelato fastidio.
“Neji, voglio che sia chiaro una cosa. Quello che da ora
farà Hinata, non è più affar
mio.”
Neji per un attimo credette di aver capito male.
“Prego?”
“Hinata è la mia primogenita, su di lei avevo
tanto investito, nonostante non fosse certo tra le migliori kunoichi,
fragile e d’animo gentile come è. Ma
adesso…cosa diavolo dovrei farmene di una figlia cieca? Non
solo non è più valida come ninja, ma neppure come
donna di casa. È semplicemente
un’invalida.”
Neji rabbrividì. Ma come era possibile che suo zio arrivasse
a dire simili assurdità?
“Quindi, Neji, sei da oggi esentato dal dovere di occuparti
di lei. Ovviamente non si allenerà più. La
affiderò alle domestiche, e concentrerò tutte le
mie speranze su Hanabi. Ormai Hinata non può più
fare alcunché.”
Neji sgranò gli occhi, e lo sguardo senza volerlo
scivolò verso l’interno dello stanza, visibile
grazie alla porta a vetri.
Hinata stava ascoltando le parole dell’Hokage, e gli occhi,
seppur inespressivi, erano colmi di lacrime.
La vide coprirsi il volto con le mani, mentre Tsunade cercava di
confortarla.
E Neji, senza rifletterci bene, prese una decisione.
“Hiashi-Sama, io voglio prendermi cura di sua figlia.
Baderò a lei come ho sempre fatto, sarò io a
farlo.”
Guardò lo zio, risoluto, ancora leggermente incredulo di
quanto appena detto.
Stava veramente offrendosi di prendersi cura di sua cugina?
Cosa lo spingeva?
Lo zio lo guardò alzando un sopracciglio, ma poi
scrollò le spalle.
“Come preferisci, Neji. Se a te sta bene…del
resto, io intensificherò maggiormente gli allenamenti con
Hanabi, se sommo quelli che ho con te…alla fine non mi resta
certo del tempo per occuparmi di Hinata. Forse è bene che
anche in queste condizioni mantenga un contatto con qualcuno della
famiglia.”
Neji strinse le nocche della mani.
Che bastardo.
Persino lui, che certo non era la persona più sensibile ed
espansiva che ci fosse, provava ribrezzo per l’indifferenza
che Hiashi dimostrava alla figlia.
Lo guardò allontanarsi, e si appoggiò pensoso
alla parete.
La decisione presa era la migliore.
Suo padre Hizashi sì che sarebbe stato fiero di lui.
Due giorni dopo, a villa Hyuga, Neji aiutava Hinata a salire le scale.
Di certo sarebbe stato necessario cambiare la disposizione delle
camere, tre piani da fare in quelle condizioni erano come una montagna
per una persona normale.
Neji la reggeva per un braccio: presto si sarebbe abituata a farle da
sola, ma certo gli inizi erano difficili.
Arrivarono in camera, con lui che la teneva sempre sotto braccio.
“Neji niisan, non voglio farti perdere tempo…ti
prego, sto rubando attimi preziosi ai tuoi
allenamenti…” sussurrò la ragazza
tristemente.
“Non preoccupatevi Hinata-Sama, non passo tutte le giornate
ad allenarmi…e poi oggi il maestro Gai ci ha dato il
pomeriggio libero, quindi potete fare affidamento su di me.”
“Odio essere un peso.”
Lui guardò il bel volto triste.
Quegli occhi che guardavano fissi davanti a sé.
“Odio essere d’intralcio. Se già lo ero
prima, adesso sono semplicemente un relitto da buttare via.
Inutile…un essere inutile…”
“Non dite così..”
“E’ la pura verità…e tu sei
pure obbligato a prenderti cura di me, dio che
ingiustizia…”
Lui scosse la testa.
“Nessuno mi ha obbligato. Mi sono offerto io.”
La osservò entrare nella sua stanza, mentre con le mani
cercava il bordo del letto. Si trattenne dall’impulso di
aiutarla, perché sapeva che doveva riuscirci da sola. Doveva
imparare.
E infatti lo trovò subito, sedendosi.
“Stanno bene Kiba e Shino? Avrei tanto voluto andarli a
trovare…”
“Non sono ancora in condizione di essere dimessi, lo saranno
entrambi tra una settimana. Mi hanno pregato di dirle che verranno da
lei non appena usciti dall’ospedale. E poi…ieri
è arrivato un messaggio anche da parte del team 7.”
Hinata socchiuse gli occhi, il colorito improvvisamente più
acceso.
Neji sorrise leggermente, certe cose non cambiavano mai.
“Naruto, Sakura e gli altri le mandano i loro affettuosi
saluti. Purtroppo saranno di ritorno tra non meno di un mese, stavolta
la loro missione andrà avanti per le
lunghe…”
Hinata annuì, accarezzando piano il lembo della veste.
“Neji niisan…dove sei tu esattamente?”
“Alla sua destra, Hinata-Sama.”
Lei si girò lentamente, gli occhi sbarrati e umidi.
“Cosa ne sarà di me adesso?”
Neji si morse un labbro, colto alla sprovvista.
Non sapeva cosa risponderle. Non sapeva cosa dirle.
Con suo enorme sgomento, Hinata nascose il volto nella felpa, iniziando
a piangere.
Un pianto debole ma straziante.
E Neji non sapeva assolutamente come comportarsi.
Da un lato era quasi infastidito, perché lui odiava quelle
manifestazioni oltremodo eccessive.
Lui così rigido, così controllato.
Dall’altro lato, Neji provava un incontrollabile impulso di
prenderla tra le braccia, e cullarla, e consolarla.
Provò a immaginarsi lui al suo posto, con la consapevolezza
che non avrebbe più potuto essere un ninja.
Orribile.
Lentamente, Neji si sedette accanto a Hinata, e goffamente le mise un
braccio sulla gamba.
“Hinata-Sama…non fate
così…io…io vi starò
accanto. E vi aiuterò ad allenarvi per poter potenziare
tutto il resto.”
Hinata smise all’istante di piangere, girando la testa di
scatto e fissandolo con occhi vacui.
“Neji niisan…ma cosa…”
Lui annuì, sicuro.
Era un colossale azzardo. Un ninja cieco era un azzardo vero e proprio,
o se anche fosse potuto esserci a maggior ragione non avrebbe mai
potuto essere uno Hyuga.
Ma doveva aiutarla, doveva fare in modo che Hinata vivesse, e
nutrisse qualche speranza.
Forse era la più grande scommessa della sua vita, ma valeva
la pena tentare.
Dentro di lui, per la prima volta, sentiva che era la via giusta da
seguire.
“Hinata-Sama, fidatevi di me. Imparerete a sviluppare gli
altri sensi.”
Hinata gli cercò la mano, e la strinse forte.
Neji cercò di ignorare la strana sensazione di calore che lo
colse, imputando il tutto all’aria opprimente della stanza.
“Neji…grazie…e, ti prego, solo una
cosa…da oggi basta con Hinata-Sama.”
Lui fece per replicare, leggermente allibito per la mancanza del
consueto suffisso, ma lei lo bloccò.
“No. Sono Hinata, e basta. E tu…Neji. Non contano
più casate, ruoli, subordinazioni. Io sono Hinata. E tu sei
Neji.”
E di nuovo la sensazione strana di calore lo avvolse.
Tre settimane dopo, decisamente gli allenamenti si erano rivelati
più duri del già oltre livello immaginato.
Neji si era reso conto che era decisamente impossibile fare qualcosa
senza la vista.
La tecnica di Hinata del pugno gentile era decisamente difficoltosa se
non potevi vedere l’avversario.
Occorreva per compensare un senso dell’udito finissimo, di
modo che permettesse di schivare i colpi percependo solo gli
spostamenti d’aria. Ma non era certo una cosa che poteva
apprendersi in così poco tempo.
E anche le altre tecniche risultavano immensamente penalizzate.
Neji stava sempre attento a non ferirla, ma Hinata comunque non
riusciva a replicare neppure debolmente.
I suoi colpi erano a casaccio, la sua stabilità precaria,
non riusciva a orientarsi in nessun modo.
Dopo ventuno giorni di allenamenti giornalieri intensissimi, i
progressi erano stati pochi.
Minimi.
Diversamente nel resto si stava abituando in fretta.
Riconosceva la casa senza più sbattere, riusciva a fare le
scale, ad arrangiarsi da sola se le serviva qualcosa. E anche le volte
che era uscita con Kiba e Shino, che passavano quasi sempre a trovarla,
se l’era cavata egregiamente.
Ma la sua vita ninja sembrava ormai destinata a decadere per sempre.
E Hinata era sempre più scoraggiata.
All’alba del ventunesimo giorno, verso il tramonto, dopo
l’ennesimo inconcludente allenamento, non riuscì
più a tenersi.
“Neji…basta.”
Lui la fissò, bloccandosi mentre finiva di raccogliere le
loro cose.
“Cosa intendi dire, Hinata?” le chiese gelido
mentre la vedeva impallidire e guardare verso il basso.
“Basta con questa…pantomima. Non potrò
mai più essere un ninja. Non sarò più
capace di fare nulla. È inutile perdere tempo.”
“Devi avere pazienza, e lo sai. Come stai riuscendo a
orientarti nelle quotidianità, piano piano sarai in grado di
farlo anche in queste occasioni. Ma devi avere fiducia.”
Hinata scosse la testa, mentre una crisi di pianto stava
sopraggiungendola.
“Io…io non ce la faccio
più…una vita al buio…una vita in cui
non vedrò più la luce del sole…non
parteciperò più alle
missioni…cosa…cosa mi resta?!”
singhiozzò accasciandosi a terra.
E stavolta Neji scoppiò anche lui.
Furente, accecato da una rabbia che non riusciva a identificare .
Come un falco le fu accanto e la strattonò con forza, quasi
fino a farle male.
“N-neji mi fai male!” urlò lei
spaventata, e lui si scansò di colpo, dandole le spalle,
accovacciato a terra.
“Maledizione, Hinata…vedi di reagire, piantala di
piagnucolare come una bambina! Non sei morta, sei sopravvissuta, e non
puoi smettere di lottare!”
“Perché dovrei, Neji? A chi importa ancora di una
come me?”
E allora lui si girò di scatto, urlandole in faccia quello
che ormai stava per implodere, tanto era il tempo che era nascosto nel
suo animo.
“Porca puttana, a me importa, va bene?! A me importa di te,
dannazione! Perché secondo te ti sono sempre stato accanto
in questo mese?! Perché io non ho mai smesso di sperare per
te…standoti accanto…io ho bisogno di credere
che…”
Si rivoltò di scatto, pallido come un cencio, prendendosi il
volto tra le mani, tremante, scosso e turbato da quanto appena
proferito.
Ma aveva davvero detto una cosa del genere?
Aveva usato quegli insulti, lui, l’irreprensibile e composto
Neji?
Era davvero lui, Neji Hyuga, il freddo e impassibile genio di Konoha,
ad essersi appena esposto così clamorosamente?
I capelli gli scivolarono tra le dite, mentre si teneva la testa.
Ma aveva detto quelle parole. Erano vere.
Non percepiva nulla accanto a sé. Non un suono, o un rumore.
E poi, all’improvviso, un tocco delicato sulla spalla.
Si irrigidì, mentre la mano di Hinata cercava il viso,
costringendolo a girarsi.
Si trovò davanti l’ovale perfetto della cugina,
smarrito, confuso, gli occhi due pozze indistinte, la bocca socchiusa.
E poi, un sussurro.
“Che sciocca…”
Neji si irrigidò all’istante. Sentì le
mani di Hinata che gli toccavano i capelli, la cute.
Poi scesero sugli occhi.
“Hai le ciglia lunghe, Neji. Come quelle di una ragazza. Non
l’avevo mai notato.”
Neji trattenne il respiro, il cuore che smise di battere, mentre le
mani piccole di Hinata premevano dolcemente sul viso.
“E hai un naso diritto e severo. Un profilo perfetto, in
poche parole.”
“Hinata…”
Le mani di Hinata sfiorarono le guance.
“E i lineamenti ben cesellati. Gli zigomi affilati.”
“Cosa stai facendo…” sussurrò
lui senza più voce.
Sentì un dito di Hinata sulla bocca, e il cuore
iniziò a battere velocissimo.
“La bocca è piccola ma morbida…le
labbra sottili…calde.”
Incandescenti era la parola giusta.
Le mani di Hinata erano ora al torace.
“Sei snello ma definito. Hai la corporatura di un atleta. E
qui vicino alla clavicola…c’è una
cicatrice…quando te la sei fatta, Neji?”
Lui non rispose, prendendole le mani tra le sue.
Hinata scosse la testa. E poi un lieve sorriso.
“Che sciocca…da cieca mi sono accorta di qualcosa
che non avevo mai notato nonostante ti vedessi tutti i
giorni.”
Lui deglutì, finalmente le mani che ora sfioravano il suo
viso.
“Di quante altre cose sono stata così cieca,
Neji?…Quante altre cose non ho voluto
vedere?…Perché…perché?”
bisbigliò lei mentre il volto di Neji era sempre
più vicino al suo.
Potevano percepire i reciproci respiri.
E poi, senza più indugi, lui la sollevò da terra,
appoggiandola delicatamente sulle sue gambe, lambendole il viso con le
mani.
E baciandola, prima piano, poi con passione, sempre più
forte, stringendola come un tesoro prezioso, il sangue che affluiva
come un torrente in piena nella vene.
Hinata gli mise le mani tra i capelli, gemendo piano, accerchiandolo
con le gambe sottili, mentre Neji, senza smettere un istante di
baciarla, l’accarezzava tutta, con lentezza, sfiorando il
collo, la pancia morbida…accarezzando piano ma deciso come
mai in vita sua il seno prosperoso, percependo ogni brivido di lei
quanto quelli che stavano sconvolgendo lui.
E tastò per la prima volta la morbidezza della sua pelle,
color della luna, che tanto aveva segretamente sognato, desiderato,
immaginato.
Baciando ogni lembo delle sue parti non coperte dai vestiti, mentre
percepiva i corpi di entrambi bollenti, i respiri ansimanti, il torace
schiacciato contro il suo petto.
E poi le natiche piccole, sode, mentre lei sfiorava delicata come una
piuma il suo torso glabro, fremente e ipersensibile quando le mani di
lui arrivarono ai capezzoli.
Per un istante rimasero immobili, guardandosi negli occhi.
“Vorrei tanto…vorrei solo vedere come sei in
questo momento, Neji…” mormorò lei
abbassando d’istinto lo sguardo, l’antica timidezza
che riaffiorava.
Lui appoggiò la sua fronte alla sua.
“Non ne hai bisogno, Hinata. Metti una mano sulla mia pelle.
Mettila sul cuore…basta questo per capirlo.”
Lei sorrise lieve.
“Non avrei mai pensato di vedere adesso quello che avevo
ignorato per anni.”
Lui le prese i capelli scuri tra le dita.
“E’ stata anche colpa mia…non
è stato facile ammettere quello che sentivo…non
è…non è facile per
me…”
“E adesso, Neji?”
La domanda era velata di una lieve nota d’ansia.
Lui la strinse di nuovo tra le braccia.
“E adesso andremo avanti Hinata. Dimostrerai a tutti che
tornerai quella di un tempo. Dimostrerai che la forza di
volontà può portare ovunque si vuole. Non ci
avevo mai creduto nemmeno io…ma grazie al cielo ho avuto
buoni esempi che mi hanno dimostrato il contrario nel
passato.”
“Vuoi dire che posso cambiare il mio destino?”
“Detto da me suona ironico…ma è
così.”
“E tu?”
Lo chiese sottovoce, ma sorridendo.
“E io ti starò sempre accanto…non ti
lascerò mai sola. Mai. Io e te andremo avanti.
Insieme.”
Lei si accoccolò sul suo grembo.
“Era quello che aspettavo. Voglio farcela, Neji.
Voglio...plasmare il mio destino…insieme a te.”
Sono ooc, probabilmente, soprattutto nell'ultima parte.
Ma non importa, dovevo scrivere qualcosa di loro, sennò
uscivo matta:-)
Perchè ricordate, non sono mai abbastanza le Neji-Hinata, e
io, per quanto ami anche Neji con Tenten o Hinata con Naruto(meno...),
rimarrò sempre della mia idea. Questo è il
pairing più affascinante che ci sia.
E quindi ritornerò presto con qualcosina su loro due...tempo
permettendo!
Un bacio a tutti, ben accetto ogni tipo di commento!!
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