Premessa per la lettura: tra gli
avvertimenti ho selezionato OOC, riferendomi alla
caratterizzazione dei
personaggi: non conoscendo nulla del passato di Hunter e
avendolo visto
così poco in azione, non si pone molto
il problema; discorso diverso per
Brittany la cui personalità nelle
stagioni ha accentuato aspetti molto
diversi (e a mio modesto parere spesso contraddittori). In alcuni aneddoti vi
ricorderà la ragazza di Glee,
probabilmente, ma avrà un background completamente diverso e
da lì la decisione
di catalogarla come OOC.
Ringrazio di cuore la
meravigliosa @therentgirl che mi ha
dato un pretesto
felicissimo per modificare questa introduzione, per la meravigliosa
copertina
che ha realizzato, ispirata a questa fanfiction. Se già
è un’emozione vedere
questo accostamento con la scelta di due fotografie perfette (nel caso
di
Brittany a coglierne l’essenza più innocente e
infantile, nel caso di
Hunter/Nolan usando una delle mie immagini preferite), il tutto diventa
persino
più meraviglioso scorgendo la location ideale e
una frase che è perfetto sunto
di questa mia “favola”.
Sono ancora commossa e non smetterò
facilmente di contemplare questa immagine *-*
A
chi crede nelle favole
e
attende il suo “e vissero per sempre felici e
contenti”.
A
chi
non si crede una Principessa,
perché
scorga meglio il proprio riflesso.
A
chi ancora cerca il suo Principe Azzurro,
perché
talvolta è mascherato ma l'incanto
può
sempre sprigionarsi.
“Le favole
sono molto
più di semplici racconti della buonanotte,”
continuò l'insegnante.
“La soluzione a quasi tutti i problemi immaginabili,
può essere dedotta da
una favola. Le favole sono lezioni di vita, camuffate da
personaggi e
situazioni pittoresche”.
(The Land Of Stories:
The Wishing Spell” -
Chris Colfer).[1]
Prologo.
New York.
La sua voce
era una dolce
rassicurazione: era il suono più piacevole che si potesse
ascoltare prima di
lasciarsi avvolgere dal torpore del sonno. Era come se tra loro vi
fosse una
magia: le parole recitate si traducevano in una piacevolissima ninna
nanna
parlata a cui era semplice abbandonarsi.
Chiudeva gli
occhi e ogni singola
volta, a poco a poco, i suoni sfumavano lentamente fino al nulla.
A volte si
trovava nel castello
di Biancaneve, a volte nella casetta dei nani in mezzo al bosco; a
volte nella
libreria preferita di Belle; nella cameretta in mansarda di Cenerentola
o
persino sulla Torre di Raperonzolo. Ognuna di loro era una principessa
e sapeva
che le avrebbero insegnato qualcosa, seppur ancora non fosse abbastanza
grande
da considerarsi una di loro.
Ma un giorno,
le ripeteva la
stessa melodica e soffusa voce, anche lei lo sarebbe stata e,
finalmente,
avrebbe compreso tutto.
“Anche
io ho un Principe?” la
vocina pigolante aveva interrotto la narrazione: il povero e vecchio
padre di
Belle stava vagando tra i boschi in una brutta notte di temporale,
cercando un
rifugio confortevole per la notte.
Suo padre, un
vago sorriso sulle
labbra e il viso inclinato di un lato, aveva socchiuso il libricino e
l'aveva
guardata: gli occhioni azzurri scintillavano alla ricerca di una
risposta, le
labbra schiuse ma l'espressione attenta a coglierne le parole per
comprenderne
completamente il significato.
Aveva sorriso,
William, e
Brittany comprese, apparentemente senza motivo, che quel particolare
sorriso lo
avrebbe ricordato per tutta la vita. Quasi come un dipinto da tenere
sulla
mensola del camino, l'angolo più luminoso della stanza nel
quale rifugiarsi.
“Certo,
ogni principessa ne ha
uno. Deve solo crescere, moooolto lentamente, prima di
incontrarlo” le
aveva spiegato, parlando in un sussurro ed enfatizzando su come
ciò non sarebbe
avvenuto molto presto.
La risposta
parve compiacerla ma
il sonno sembrava completamente dimentico quella sera: al contrario, la
conversazione sembrava aver catturato la sua attenzione, a dispetto
della
curiosità circa la sorte del povero padre di Belle, laddove
la minaccia dei
lupi rendeva la sua permanenza nel bosco ancora più
pericolosa.
“E
come si fa a sapere che lo hai
trovato?” era stata la seconda domanda che aveva fatto
impensierire suo padre.
Si era
appoggiato maggiormente
allo schienale della sua poltroncina e aveva scrutato la bambina, il
viso
inclinato di un lato mentre lo sguardo sembrava perso in un punto
indefinito.
“Non
esiste un solo modo: ognuno
lo capisce quando è il momento giusto.” aveva
esordito e aveva visto le
sopracciglia bionde corrugarsi appena, la fronte incresparsi nel
tentativo di
seguirne il discorso. “Che sia il suo sorriso, o il suo
sguardo o le farfalle
nello stomaco” aveva allungato una mano verso il pancino
della bambina,
facendola ridere per il solletico.
Aveva
sospirato l'uomo e si era
di nuovo fatto serio. “Ma quando sarà il tuo
momento, sarà impossibile non
sentirlo qui dentro”. Le aveva indicato il cuore e la mano
della bambina si era
appoggiata contro quel battito regolare.
Non parve del
tutto convinta. O
almeno, sì, le sue erano belle parole ma c'erano ancora
tante domande che le
ronzavano nella mente.
“E
dov'è adesso il mio principe?”
domandò sospettosa. Aurora non era già destinata
a Filippo, quando era ancora
una neonata e lui aveva appena sette anni? Lei avrebbe compiuto sette
anni la
settimana dopo, dopotutto, o forse sette anni prima avevano
già deciso per lei?
Suo padre
aveva scosso il capo,
il sorriso ancora sulle labbra. “Scommetto che lui sta
già dormendo” l'aveva
ammonita dolcemente, pizzicandole il naso. Aveva di nuovo aperto il
libro ma
l'aveva indotta a stendersi dopo aver posto le mani sulle sue spalle
con una
lieve e delicata pressione. “Sai chi è
più importante del principe in persona?”
le aveva chiesto e Brittany sgranò gli occhi.
“Chi?!”
chiese evidentemente
interessata.
“Il
padre della principessa,
ovviamente” era un sorriso più ironico quello che
curvava le labbra di William
e Brittany rise, complice di quell'esclamazione più
scherzosa.
“Il
re?”.
L'uomo
annuì. “Il tuo re ti
ordina di addormentarti mentre riprende
la lettura”.
La sua voce
parve più distante
rispetto all'inizio del racconto ma era proprio quell'intonazione soave
e
conosciuta che la fece rilassare e socchiuse lentamente gli occhi:
cercò di
immaginare le scene che lui raccontava, fino a quando la stanchezza non
ebbe la
meglio.
Non riusciva
più a sentirne le
parole, stava già fluttuando verso nuvole colorate e
unicorni alati quando le
labbra dell'uomo si posarono sulla sua fronte.
“Cerca
un principe diverso da
me”.
~
New York, dieci anni
dopo.
Scosse il capo, le
labbra serrate
in una smorfia mentre carezzava la copertina del libro. Un libro mai
concluso:
ne conosceva la vicenda per sommi capi ma, anche molto tempo dopo
quella notte,
non aveva mai desiderato aprirne nuovamente le pagine. Si limitava a
sfiorarne
la copertina e, ogni tanto, lo schiudeva per soffermarsi sul
frontespizio e
leggerne la dedica impressa. L'inchiostro della penna stilografica
sembrava
sbiadirsi col tempo ma erano incise nella sua memoria. Ciononostante
continuava
a leggerle, quasi sperando che una volta o l'altra avrebbe compreso il
loro
arcano significato.
Sfiorava
il punto in cui le sue
grandi mani avevano impresso quelle lettere e quasi, socchiudendo gli
occhi,
riusciva a sentirne nuovamente l'eco della voce.
Ancora
una volta, le dita
tremanti, lasciò cadere lo sguardo sulla pagina.
Perché
questo libro ti guidi alla ricerca del tuo
principe. Un principe che questo re avrebbe voluto al tuo fianco.
Perché ti
ricordi che qualunque cosa accada, questo vecchio re non
smetterà mai di amarti
e tutto andrà bene. Te lo prometto.
Non smettere di
leggere le nostre favole.
“Britty
Woman[2],
ancora non hai finito con la valigia?”. La voce di sua madre,
Shirley, la fece
trasalire.
Si volse ad
osservarla, Brittany:
per quanto suo padre si fosse ostinato a chiamarla
“principessa”, non era mai
riuscita ad attribuirsi quel titolo. Non quando vi era un'unica figura
fiabesca
ai suoi occhi ed era proprio la donna che le stava di fronte: aveva
sempre
un'innata eleganza nelle movenze (sicuramente dovute al suo passato di
ballerina) che ben si confaceva a quella dei lineamenti pregiati. Lo
sguardo
azzurro che brillava, spesso per grazia del sorriso più
giocoso e dolce che le
sfiorava le labbra. Il solo averla vicino lasciava scaturire il buon
umore per
quella sua esuberanza e allegria che sapeva conquistare l'attenzione e
l'affetto di chiunque avesse attorno.
A volte
immaginava quanto
difficile dovesse esser stata la sua vita: la gravidanza imprevista
quando era
solo una liceale con il sogno di divenire una ballerina professionista,
le
nozze con un laureando in giurisprudenza e... tutto ciò che
era seguito. Ma
anche nei momenti più difficili, sembrava nascondere il suo
dolore e mostrarle
quel sorriso nel quale avrebbe sempre trovato conforto e fiducia.
Tenne il libro
nascosto dietro la
schiena e lo lasciò cadere nella scatola adagiata sul letto.
Sorrise, il viso
inclinato di un lato e uno sguardo appena più accattivante,
come ogni qual
volta che, da bambina, volesse sfuggire a qualche punizione, in seguito
ad un
guaio che spesso coinvolgeva un vaso di biscotti strategicamente
appostato su
uno scaffale alto della credenza.
“Ho
quasi finito”.
La donna aveva
annuito, lo
sguardo aveva vagato sugli scatoloni nei quali avevano già
impacchettato la
maggior parte dei loro oggetti. Si era mossa in sua direzione e le
aveva
sfiorato la guancia con una carezza.
“So
che sei preoccupata” aveva
sussurrato e Brittany era trasalita seppur avrebbe dovuto sapere che
fosse
impossibile nasconderle la verità. “Ma non devi
preoccuparti, Colorado Springs
ti piacerà: avremo una nuova vita e Neal si
prenderà cura di noi, lo sai,
vero?” era parsa ansiosa di averne una risposta sincera e,
ancora una volta,
Brittany seppe che sua madre sarebbe stata disposta a sacrificare
tutto. Un suo
solo dubbio o timore e non avrebbe esitato a mettere da parte le sue
esigenze o
i suoi sentimenti e con lo stesso sorriso. Ma, altrettanto
intensamente, sapeva
di non poterglielo permettere. Non un'altra volta.
“Farei
di tutto perché tu possa
essere felice” aveva sussurrato in risposta, uno scintillio
più dolce nello
sguardo e Shirley l'aveva stretta tra le braccia.
Brittany aveva
affondato il viso
contro la sua spalla, lo sguardo velato nell'abbracciare le pareti di
quella
camera che l'avevano accompagnata fino a quel giorno.
Bastava
crederlo, tutto sarebbe
andato bene.
~
Colorado Springs.
Accarezzò
la targhetta dorata,
quasi faticasse a credere a ciò che stringeva tra la mani e
ciò che significava
trovarsi in quella stanza dalle ampie finestre che si affacciavano su
campi
d'addestramento. Era tutto silenzioso ma da lì a pochi
giorni, l'Accademia
sarebbe pullulata di studenti e la tromba avrebbe sancito i momenti
peculiari
della giornata.
Tutto sarebbe
iniziato da lì e
non soltanto la svolta nella sua carriera e la nomina di Preside. Uno
sguardo
all'orologio e un sorriso ne sfiorò le labbra prima di
osservare l'anello e la
promessa che esso racchiudeva in sé. Poche ore e pochi mesi
e la sua vita
sarebbe completamente cambiata.
Sospirò
nel carezzare la cornice
con la fotografia della fidanzata.
Si riscosse al
sentire bussare
alla porta.
“Avanti”
sulla soglia vi erano un
uomo e un ragazzo: entrambi alti e dal fisico possente, forgiato
dall'allenamento quotidiano. Pur non indossando (ancora) la divisa,
sembravano
avere un particolare contegno nella postura dritta e vi era un'aria di
riserbo
sul volto del ragazzo i cui lineamenti apparivano rigidi. Un sorriso
sfiorava,
invece, le labbra dell'uomo, ammorbidendone i tratti. Avevano la stessa
mascella pronunciata e lo sguardo di quella sfumatura chiara di verde.
Neal sorrise e
si alzò dalla
poltrona, facendo loro cenno di entrare e affrettandosi a
circumnavigare la
scrivania per stringere la mano dell'uomo e appoggiargli la mano sulla
spalla.
Erano entrambi
più alti di Neal:
se con il giovane la differenza era di pochi centimetri, la figura
dell'uomo
sembrava dominare la stanza; probabilmente di primo acchito non si
sarebbe
creduto che Neal e Jonathan fossero coetanei. Se anche Neal avesse
avuto lo
stesso addestramento, era sempre stato più smilzo dell'altro
uomo ma vi era
anche un'evidente differenza di contegno. Con quel sorriso
più gioviale e
sbarazzino, infatti, Neal sembrava un eterno adolescente, pur avendo
superato i
quarant'anni. Il contrasto con l'aria compunta e seria del ragazzo che
aveva di
fronte era quasi stridente.
Dopo la
stretta di mano, i due
uomini si erano concessi un abbraccio più fraterno.
“Jonathan
Clarington, è un
piacere rivederti, finalmente”.
“Neal,
finalmente hai accettato”
ricalcò l'uomo con un sorriso: lo sguardo verde
guizzò verso la targa sulla
scrivania di mogano e Neal seguì il suo sguardo prima di
annuire.
“Sì,
è il momento di stabilizzarsi
anche per me: Shirley e io ci sposeremo l'anno prossimo” lo
informò e l'uomo
sembrò colto da un lampo di sorpresa ma era evidente dal
sorriso quanto quella
notizia lo rendesse sinceramente felice.
“Congratulazioni,
è una notizia
meravigliosa: si trasferirà qui, quindi”.
Uno scintillio
emozionato
baluginò nello sguardo di Neal. “Sì,
lei e sua figlia prenderanno il volo
questo pomeriggio: non vedo l'ora di presentartele”.
Aveva
continuato a sorridere
Jonathan, il viso inclinato di un lato e le sopracciglia inarcate in
un'espressione più complice e divertita. “Una
figlia adolescente: non ti
invidio per nulla”.
“Neppure
dovresti: devo desumere
che questo giovane uomo sia tuo figlio. Sembra passato un secolo
dall'ultima
volta che ci siamo visti” rispose Neal e, per la prima volta,
si volsero
entrambi ad osservare il ragazzo che era rimasto rispettosamente un
passo
indietro. Questi non esitò ad avvicinarsi: le sue labbra
sembrarono curvarsi
lievemente in una parvenza di sorriso ma i lineamenti sembravano ancora
granitici. Quasi fossero stati scalfiti in quel cipiglio pensieroso.
Aveva sorriso
Jonathan, una
traccia di orgoglio mentre il giovane allungava la mano verso Neal.
“Signore”
lo aveva apostrofato,
il tono formale, le sopracciglia appena contratte ma Neal gli sorrise
sbarazzino e ne strinse la spalla.
“Puoi
chiamarmi Neal: l'anno
scolastico non è ancora iniziato ma non dovrebbero esserci
formalismi tra noi.
Ero presente il giorno in cui sei nato”.
Nuovamente le
sue labbra si erano
increspate in quello che avrebbe dovuto somigliare ad un sorriso ma lo
sguardo
era distante, era parso persino irrigidirsi alla menzione di un ricordo
così
personale. L'attimo dopo annuì. “Sono venuto a
ringraziarla per aver confermato
il mio ruolo: non la deluderò” riconobbe nello
sguardo verde la stessa
determinazione che spesso aveva scalfito quello del padre e Neal
annuì.
“Ne
sono certo, sarai un ottimo
Capitano, come lo era tuo padre d'altronde”.
Aveva annuito
nuovamente il
ragazzo, ma pareva ansioso di lasciare la stanza. “Con
permesso, mi congedo,
Signore”.
“Permesso
accordato” rispose
Neal, un vago divertimento nelle iridi. “Lieto di averti
rivisto, Hunter”
aggiunse ma il giovane aveva soltanto fatto un vago cenno ad entrambi e
si era
voltato: con ampie falcate aveva attraversato la stanza e, poco dopo,
si era
chiuso la porta alle spalle, lasciandoli soli.
“Devi
esserne fiero” commentò
Neal.
“Lo
sono,” fu la spontanea
risposta del padre. “ma sempre più spesso mi
domando se non abbia proiettato su
di lui le mie aspettative.” un lampo di sorpresa aveva
attraversato lo sguardo
di Neal e Jonathan stesso sembrò sorpreso di aver realmente
pronunciato quelle
parole. Scosse appena il capo e sorrise, quasi a sminuire l'importanza
di
quanto appena detto.
“Non
fraintendermi: è un ottimo
soldato e un ottimo figlio ma a volte temo ne abbia rimesso in
spensieratezza.
Più lo guardo e più mi sembra un uomo cresciuto
fin troppo in fretta” la voce
era parsa spegnersi sul finire del discorso e lui e Neal avevano
sospirato.
Seppur nessuno ne avesse fatto esplicita menzione, era evidente che il
loro
pensiero comune fosse volto ad una terza persona.
“Non
dire così: sei stato un
padre eccezionale e poi” aveva cercato di smussare i toni, il
sorriso
nuovamente giocoso. “conto su di te per i consigli da
padre... patrigno,
insomma” un vago cenno di imbarazzo nella specificazione e
Jonathan aveva
sorriso incuriosito.
“Come
vanno le cose con la figlia
acquisita?”.
Aveva
sospirato, Neal. “Amo
Shirley con tutto il mio cuore e Brittany è una ragazza
molto dolce e molto
legata a sua madre. Sa che non la ferirei mai ma è come se
mi tenesse sempre a
distanza: naturalmente non voglio forzarla e aspetterò i
suoi tempi,” aveva
precisato seppur un'ombra ne avesse oscurato lo sguardo. “ma
credo che, malgrado
tutto, continuerà a considerare William il suo unico e
legittimo padre”.
Aveva annuito,
Jonathan. “Devi
solo aspettare che sia lei a fare il primo passo. E di questo William
non si è
più saputo nulla?”.
“No,”
aveva scosso il capo, Neal
e la mascella si era contratta. “mai una lettera o un
tentativo di contattarle:
se n'è semplicemente andato” era evidente il
disprezzo nella sua voce ad
alternarne i lineamenti e anche l'altro uomo aggrottò le
sopracciglia.
“Che
razza di uomo può agire in
tal modo e reputarsi tale?”. Era stata l'aspra critica.
“Spero
solo che, prima o poi,
Brittany mi dia un'occasione” era stato il commento
più sospirato di Neal.
~
Aveva contemplato le
pareti della
nuova camera con un sospiro: malgrado tutto il tempo impiegato
a svuotare gli scatoloni e decorarla perché
fosse rassomigliante a quella di New York, non era certa che sarebbe
stata la
stessa cosa. Lo stesso ambiente personale nel quale sentirsi a casa.
Carezzò
delicatamente il micio
tigrato: Lord Tubbington si sfregò contro il suo mento ed
emise un soffuso
miagolio che la giovane interpretò come una sorta di
consolazione. Ne baciò il
musetto.
“Andrà
tutto bene” gli disse,
sfiorandone il capo tra le orecchie e continuando a stringerlo contro
di sé,
confortata dal suo calore e dalla sua presenza. “La mamma
è felice e lo saremo anche noi”
sembrò voler
convincere se stessa.
Depositò
delicatamente il micio
sul proprio letto e si alzò: Shirley e Neal l'attendevano in
salotto. Lo
sguardo si era concentrato sull'uomo che sedeva accanto alla mamma: un
braccio
avvolto intorno alle sue spalle e lo sguardo adorante nel rimirarla e
quel
sorriso speciale che lei esibiva soltanto per lui. Persino in una scena
così
quotidiana era evidente quanto fossero innamorati.
La prima
impressione che aveva
avuto di Neal era stata quella di un orso bruno da brava amante degli
animali.
O qualcosa di simile: era alto e, con la divisa, faceva davvero
impressione ma
aveva i capelli quasi sempre scombinati. La barba le pungeva la guancia
quando
cercava di baciarla ma aveva uno sguardo dolce e il sorriso da bambino.
Ispirava un'innata simpatia ma spesso si sentiva a disagio quando erano
soli e
non sapeva come rompere il silenzio, se non con qualche chiacchierata
superficiale e casuale.
“Britty
Woman, Neal ha splendide
notizie per te” aveva esordito la madre quando l'aveva scorta
e Brittany si era
seduta sul divano, in attesa.
Le aveva
sorriso anche Neal,
prima di volgersi alla donna. “Diglielo tu”
sembrò esortarla ma ella scosse il
capo, facendo mulinare i lunghi capelli biondi.
“No,
è tuo dovere, Preside” gli
ricordò, uno sguardo più allusivo e divertito e
Neal tornò ad osservare la
ragazza: improvvisamente non sembrava più molto sicuro
mentre Brittany
silenziava, educatamente in attesa di scoprire le cosiddette splendide
notizie.
“D'accordo”
era intervenuta la
madre, allegramente. “Britty Woman, ricordi che Neal
è diventato Preside di
un'Accademia militare? Una delle più famose di Colorando
Springs?[3]”.
Aveva annuito,
Brittany: era
quello, dopotutto, il motivo del loro trasferimento ma non riusciva a
comprendere perché avrebbe dovuto sentirsi coinvolta, tanto
meno che cosa vi
potesse essere di meraviglioso per lei. A parte la
felicità della madre,
aggiunse tra sé, morsicandosi appena il labbro per un remoto
senso di colpa.
“E
visto che dovevamo cercare un
college per te: che ne diresti di frequentare la sua
Accademia?”.
To be Continued...
Credo sia doveroso
ringraziare chiunque sia
arrivato alla conclusione di questo prologo: ebbene sì, se
ho già sperimentato
una versione della coppia che si potesse svolgere nella versione
ufficiale di
Glee (e colgo l'occasione per ringraziare nuovamente chi ha letto e
recensito
la mia precedente one shot, “Addicted”);
quest'estate ho cominciato a tessere
le trame di un altro intrigo che avesse principale svolgimento a
Colorado
Springs.
Spero che
questo prologo possa incuriosirvi
abbastanza da continuare la lettura, ma ecco qualche anticipazione di
quanto
accadrà nel prossimo capitolo:
“Mi
stavo nascondendo dal mio Capitano, è un tipo
orribile!”
“Posso
averla di un altro colore, per favore?”
“Magari rosa e coi glitter?” “Rosa
sarebbe bellissima ma senza glitter”.
“Prendi la tua divisa e sparisci”.
“La
nostalgia passerà prima o poi e se non
passasse, dovrai fingere”.
Angolo dei
presta-volto: sono
solita, quando scrivo, immaginare le scene, ragion per cui mi sono
facilitata
nell'individuare dei volti a ricoprire i ruoli principali tra i
personaggi
inventati ed ecco le mie scelte, qualora vi aiutasse a visualizzare
meglio gli
eventi:
Gwyneth
Paltrow come Shirley
William
Baldwin nella parte di William
Pierce
Jude Law
nella parte di Neal Johnson. Ammetto che
è stata la scelta più conflittuale,
perché avevo immaginato molti altri volti
ma alla fine, sia per fisicità che per simpatia, credo sia
l’alternativa
migliore e scusate se è poco :D
Neal
Ed ecco la
felice coppietta :D
Neal
& Shirley
E, infine, ma non
per importanza (io già lo adoro
*-*), Sasha Roiz nella parte di Jonathan
Clarington
Grazie
ancora a tutti dell'attenzione e vi auguro
un buon weekend :)
Kiki87
[1] Non ho
(ancora) comprato la traduzione in italiano del libro di
Chris, per cui è una traduzione personale e a senso di
quelle righe; la
traduzione può differire (sicuramente) da quella
“originale” ma non mi sono
discostata dal significato della frase :)
[2] Se non
si fosse capito, è un nomignolo scherzoso che si
rifà a
“Pritty Woman” ma usando Britty, come diminutivo
del nome Brittany :D
[3] In
effetti la città è nota per le sue Accademie ed
è l'unica
notizia degna di interesse che Murphy ci ha fatto sapere circa il
passato di
Hunter. Ho cercato di documentarmi al riguardo ma non è
stato molto semplice,
ragion per cui ho preferito non citare nomi di Accademie e basarmi
soprattutto
sulla mia fantasia ed esigenze di copione, ogni volta che si
alluderà
all'Accademia stessa :D
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