La
vicenda qui di seguito narrata non è mai accaduta, gli
Avenged Sevenfold non mi appartengono e l'opera non ha fini commerciali
e di lucro.
Nessun diritto si ritiene leso o
violato.
Stringimi forte
Non si
vomita sull'album di foto
Una mano lunga ed affusolata era
aggrappata al bordo del water mentre il riflesso opaco sulla ceramica
bianca cercava se stesso all'interno di quegli occhi blu; rughe di
espressione segnavano la fronte imperlata di sudore e l'eyeliner non
era che rimasugli scure sulle guance, anche le lacrime brillavano di
nero.
Dei passi alle sue spalle si fecero
sempre più vicini, avrebbe voluto voltarsi ma il conato di
vomito
che stava per sconquassargli l'esofago lo costrinse a guardare
all'interno del cesso.
Quei passi si trasformarono in mani e
quelle mani in dita che lo afferrarono per la collottola tentando di
trascinarlo su ma inciampò sui suoi stessi passi
– cadeva da una
vita, ormai – e rabbrividì quando il suo viso
incontrò le
mattonelle umidicce di sudore e vomito. Nonostante si stesse
sforzando per sibilare anche solo un grazie, dalla
sua bocca
uscirono solo grugniti sconnessi e interposti da sospiri gravi e
bisognosi d'ossigeno.
Il palmo di una mano gli si posò su
una guancia e la attraversò lentamente, avvertì
un brivido di
freddo quando si scostò dalla sua pelle arrossata.
“Fottuta sabbia negli occhi.”
“Dovrebbero darti un premio per
Miglior distruttore di momenti romantici dell'anno.”
La sua risata si perse in quello
stesso cielo di cui i loro occhi si dissetavano, la mano intrecciata
a quella dell'altro scivolò velocemente sugli occhi per poi
tornare
al suo posto.
“Ehi, è fastidiosa.”
Quando avvertì di
nuovo il sapore nauseabondo della pizza che aveva mangiato un paio di
ore prima sulla lingua, tentò di mettersi a carponi per non
vomitare
di nuovo sul pavimento, ma la velocità con cui quella
pappetta
schifosa gli si riversò in bocca non gli diede il tempo di
racimolare le forze necessarie e si ritrovò a tossicchiare
pezzi di
impasto e birra mentre rivoli di saliva gli bagnavano le labbra.
“Vieni qui.”
La delicatezza con
cui gli prese il mento lo fece sorridere e tentò di
ringraziarlo di
nuovo quando gli passò della carta igienica appallottolata
per
pulirlo. Cercò di trasmettere tutta la sua gratitudine con
uno
sguardo e, dal modo in cui rispose all'occhiata, si rese conto che
aveva per fortuna capito.
Johnny non diceva
mai niente quando lo ritrovava disteso su uno dei tanti pavimenti
–
di un hotel, di un ristorante o della sua abitazione, poco importava
– si limitava a rimetterlo in sesto senza chiedergli nulla,
la
premura con cui si prendeva cura di lui sembrava a momenti
disarmante.
“Mi piacerebbe davvero tanto che
venissi a vivere con me.” Gli occhi del bassista, nonostante
lo
stupore, si illuminarono all'istante. Il viso di Jimmy era
attraversato dalle ombre della cuccetta e la sua espressione pareva
quasi grottesca, ma il tono di voce che usò non nascose
neanche un
frammento del casino che albergava all'interno del suo
corpo.“Devo
interpretare la tua reticenza come un no?”
A quel punto Johnny, con un
movimento repentino, lo baciò e lo strinse forte a
sé.
Aveva sopportato
tutto: i lampi di genio, le sbronze, le fughe lontano da casa, le luci
accese e la tavoletta del water sempre alzata, i conati di vomito e
il volume troppo alto della tv, tutto, ma forse non c'era
più spazio
neanche per un respiro, nella sua pazienza.
“Perché?”
In quella domanda
alloggiavano decine di migliaia di quesiti, nonostante l'alcol ancora
in circolo Jimmy li vedeva distintamente saltellare in quelle pupille
in quel momento così
scure e si chiese quante volte Johnny avrebbe
voluto rivolgergli quella parola senza però trovare mai il
coraggio
per farlo.
E il batterista non
aveva la più pallida idea di cosa rispondere, i contorni
della
stanza erano avvolti dalla nebbia e la bocca era troppo impastata per
decidere cosa farne.
Il cuscino al suo fianco era vuoto,
Jimmy se ne era andato.
Lo aveva visto uscire dalla porta
della loro camera con una borsa sulla spalla, la borsa che gli aveva
regalato il giorno del suo compleanno e la camicia che odiava, ma che
indossava spesso solo perché Johnny l'aveva sempre trovata
carina.
Nonostante il più piccolo si fosse
reso conto subito di cosa stava accadendo, dal modo in cui Jimmy
respirava, era rimasto sotto le coperte, in silenzio, a contare i
secondi.
D'altronde non era la prima volta
che accadeva, che la borsa e la camicia uscivano da quella camera
insieme al suo ragazzo; poteva solo sperare che anche quella volta
sarebbe tornato da lui con degli hamburger del McDonald's, un dvd e
tante scuse.
“Sono stato da Brian.” avrebbe
detto. “Avevo bisogno di pensare”, e Johnny avrebbe
aperto la
porta rossa – rossa perché Jimmy aveva insistito
così tanto per
quel colore!- invitandolo ad entrare.
“Non fa niente.” avrebbe
sussurrato, dopo aver esalato un sospiro di sollievo.
Era ancora sotto le coperte,
assaporava il momento del ritorno del più grande con
ingordigia
mentre, dalle unghie torturate dai denti, usciva sangue.
“Perché lo fai?”
Questa volta glielo
aveva chiesto scuotendolo, sul suo viso la rassegnazione aveva
lasciato il posto alla rabbia, cieca e furente.
Con fatica Jimmy
riuscì a mettersi a sedere e la manica della maglietta si
sporcò di
vomito; dopo che la schiena aderì al muro, però,
cercò la forza
per parlare. Johnny continuava a mantenere lo sguardo basso, non
aveva mai avuto il coraggio di guardarlo negli occhi, quando era in
quello stato.
“Non siamo che un
ammasso di cellule stanche di andare avanti.”
sussurrò,
tossicchiando. “Non siamo che materia organica spaventata, tu
non
hai paura Johnny? E meritiamo di decomporci insieme ai vermi.”
Le sue parole quasi
rimbombarono all'interno del piccolo bagno, sulla mensola c'erano
tutti i loro prodotti da barba, persino il profumo buono, di quelli
che si usano per le occasioni speciali come gli anniversari o i
compleanni.
Quando Johnny passeggiava per il
palco con il suo basso in spalla, non poteva fare a meno di rivolgere
leggere occhiate al ragazzo dietro la batteria; chiunque avrebbe
dovuto avere la possibilità di osservare il suo sguardo
serio e
concentrato, i suoi piedi battere veloci e il sudore scivolare lungo
il petto nudo.
Aveva voglia di fumare una sigaretta
con lui dopo il concerto, da soli, aveva voglia di dirgli un po' di
sé e di scoprire cosa si nascondeva sotto tutti quei sorrisi
di
cristallo, così belli quanto fragili.
“N-Non sai che
casino ho in testa.” La sua voce si era trasformata in un
leggero
lamento e le braccia si erano strette intorno al suo torace come se,
abbracciandosi da solo, si fosse sentito meglio. “Ci sono
tutte
queste... cose che mi tormentano, mi dicono che tu te ne andrai, che
devo scappare da te.”
A quel punto Johnny
andò a sedersi al suo fianco, l'odore nella stanza era ormai
insopportabile ma lui prese comunque un bel respiro quando gli
passò
un braccio intorno alle spalle.
“Hai paura.”
disse, ma non era una risposta, solo una constatazione che si perse
nell'aria stanca fino a depositarsi sulla vernice del soffitto. Il
bassista lo abbracciò, forte, lo baciò
delicatamente tra i capelli
sperando di farlo sentire meglio: d'altronde era quello il suo
compito, aiutare Jimmy a stare meglio.
E anche quando i
demoni sarebbero andati a infestare i suoi sonni, gli avrebbe dato il
suo pezzo di coperta, quando la sua mente era troppo piena per tenere
gli occhi aperti, gliene avrebbe offerta un po' della sua
così da
alleggerire il peso che quel genio si portava dietro.
“A cosa stai pensando?”
“Spero solo di poterti abbracciare
e baciare così anche tra dieci o perché no,
vent'anni. Spero di non
vederti mai uscire da quella porta.”
“Non lo farò. Ti guardo le
spalle, Jimbo.”
"I keep a journal
of memories
I'm feeling
lonely, I can't breathe
I fall to
pieces, I'm falling
Fell to
pieces and I'm still falling."
Era da un po'
che non navigavo nell'angst, perciò eccomi qui con questa
piccola Jimmy/Johnny anche un po' nonsense, mi sa.
Sono stata ispirata dal video di Fall To Pieces dei Velvet Revolver (da
cui è tratta la strofa a fine one-shot) più che
dal testo, ma alla fine ci stava bene anche quello.
Ai posteri l'ardua sentenza perciò vi saluto e vi ringrazio
per aver letto questo piccolo concentrato di ansia e dolore.
Anantamukhi.
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