Una nuova casa
Marcus
guardò la facciata del condominio e lo giudicò
normale.
Assolutamente normale. E ciò era perfetto, poiché
era
esattamente ciò di cui aveva bisogno per vivere. Un
appartamento
né troppo vistoso né troppo anonimo al terzo
piano di un
condominio, identico a centomila altri, relativamente vicino al centro.
Quell’anno, lo avrebbe vissuto lì. Si
trascinò
dietro il trolley di un’uniforme stoffa azzurrina,
né
troppo costoso né troppo a buon mercato, in cui
c’erano
tutti i suoi averi. Sua madre aveva insistito per accompagnarlo e
aiutarlo a sistemare le cose, ma lui era riuscito a convincerla di
poter fare da solo. Non gli andava che lo seguisse per tutte le cinque
ore di viaggio in treno impiegate a raggiungere la capitale. Si sarebbe
innervosita e agitata nel vedere quanto fosse grande, confusionaria, e
piena di stranieri, di tutte le razze. Lì il popolo fatato
viveva perfettamente integrato con gli umani, molto diversamente dalla
piccola cittadina da cui proveniva Marcus, costituita solo da esseri
umani, che da vent’anni non avevano ancora accettato lo
Statuto
di Eguaglianza Razziale imposto dal Re, secondo il quale il popolo
fatato aveva gli stessi diritti e privilegi degli esseri umani.
Nella
sua
città, raramente qualcuno sentiva il bisogno di allontanarsi
troppo, poiché il lavoro non era difficile da trovare, ma
per
Marcus era una questione diversa. Si sentiva incuriosito, e provava una
forte voglia di conoscere posti nuovi. Voleva espandere i suoi
orizzonti. Voleva cercare un futuro diverso, rispetto a quello di
commesso di supermercato di sua madre a cui sembrava destinato.
Per
questo,
aveva deciso, dopo gli studi superiori, di partire per la capitale,
anche se non era mai stato lontano di casa per più di
qualche
giorno. Un mese prima aveva trovato in poco tempo, cercando in rete,
quel conveniente appartamento; quella stessa mattina di comune accordo
aveva incontrato la proprietaria in un Caffè del centro, era
una
signora di mezza età dall’aspetto tranquillo e
curato, che
gli aveva parlato di quanto fosse bello e conveniente il posto.
Continuava a parlargli e sorridergli, con la sua dentatura perfetta che
sembrava risplendere al sole, quegli occhi di colore stranamente dorato
e quasi ipnotici, e aveva dato a Marcus delle foto del posto, davvero
carino, senza smettere di guardarlo e di parlargli, e il ragazzo si era
convinto che ne valesse davvero
la pena di abitarci, che non desiderava
altro, e alla fine aveva deciso di che si sarebbe trasferito.
La
sua nuova vita era appena iniziata.
Il
portone
d’ingresso era aperto; prese l’ascensore e
arrivò
alla porta della sua nuova abitazione. Bussò, ma non gli
aprì nessuno.
Devo essere arrivato per primo,
si disse.
Bene,
in un
certo senso era un sollievo. La padrona di casa aveva appena accennato
ai suoi altri quattro coinquilini. Gli aveva solo detto che erano
persone a posto, molto gentili, e che non c’era da
preoccuparsi.
Solo dopo che Marcus aveva firmato il suo contrato e dato la caparra,
le era improvvisamente venuto in mente, stringendogli la mano,
un’ultima cosa che si era proprio dimenticata di dire.
“Oh,
ovviamente avrete stanze differenti, i maschi staranno con i maschi, le
femmine con le femmine.”
“Certo”,
aveva annuito il ragazzo, salutandola. Poi il suo cervello si era
concentrato sulla frase che la signora aveva pronunciato.
“R-ragazze?”
“E’
appartamento misto, no?” aveva detto la signora, continuando
a
sorridere impeccabilmente, poi lo salutò appena con una mano
e
scivolò fuori dal Caffè, come un’ombra.
Marcus
aveva
provato a inseguirla ma sembrava essere scomparsa nel nulla. Pazienza,
ormai avevano un accordo, e non gli andava di cercare altri posti.
Lui
non ci
sapeva fare, con le ragazze. Aveva avuto una cotta, per una sua
compagna di classe, alle superiori, ma era andata piuttosto male, e in
ogni caso ormai era storia passata. Ma non aveva idea di cosa sarebbe
stato viverci assieme.
Sarà quel che
sarà, si disse, e aprì la porta con
le chiavi.
La
prima cosa
che lo colpì, fu un forte odore di chiuso. Probabilmente
doveva
essere rimasto inabitato da mesi. Lo accolse un corridoio buio, e
stretto, dalla cui destra si affacciava un piccolo salotto con
televisore e divano. A sinistra c’era la cucina, e in fondo
due
bagni.
Le
camere da
letto erano divise con tanto di cartelli, “Maschi”
e
“Femmine”, a prova di stupido, su ogni porta. Tutte
le
porte avevano sopra il pomello una sorta di apertura quadrata, simile a
quella usata per far passare i cani e i gatti, probabilmente da usare
come spioncino.
Marcus
aprì appena la finestra del salotto, poggiò la
valigia a
terra e si lasciò cadere sul divanetto. Era stanco, non gli
andava di distribuire tutte le sue cose nella sua stanza, non ancora
per lo meno. Preferiva aspettare l’arrivo degli altri
coinquilini.
Accese
la tv e
si ritrovò a guardare il campionato di Corsa dei Draghi ma
non
si entusiasmò più di tanto. La sua pancia
iniziò a
gorgogliare e allora prese dal trolley un enorme pacchetto di patatine,
contento di poterle mangiare su un divano. Se lo avesse fatto a casa
sua, sua madre lo avrebbe sgridato.
Per
una strana coincidenza proprio in quel momento fu proprio sua madre, a
chiamarlo sul cellulare.
Lo
investì con una carica di domande preoccupate,
poiché non
aveva risposto alle sue otto chiamate e stava davvero iniziando a
pensare che stesse male. Rassicurata sul suo stato di salute gli fece
molte domande su come fosse l’appartamento, e come avesse
ornato
la stanza, e gli diede del pigro nello scoprire che non
l’aveva
ancora nemmeno vista.
Marcus
impiegò molto per far finire la discussione. In effetti, si
disse, doveva decidere in anticipo quale parte della stanza occupare.
Mollò le patatine sul divano, spense la tv e
portò il
trolley nella sua nuova stanza.
Era
una
cameretta piccola e luminosa. C’era un grosso armadio, delle
belle tende, i muri erano azzurri, e ogni parete era occupata da dei
grossi scaffali, ma ciò che lo incuriosì fu la
presenza
di un solo letto.
Forse, in mio
compagno di stanza ha disdetto la prenotazione, si disse.
In ogni caso
iniziò a disfare i bagagli, mettendo i vestiti
nell’armadio e nel cassettone sotto la finestra, e rifece il
letto con le proprie coperte. Impiegò diversi minuti,
poiché non era abituato a mettere in ordine, ma alla fine
tutta
la stanza gli parve familiare e confortevole.
Affamato,
tornò nel salotto, e scoprì che la televisione
era di
nuovo accesa. Eppure, lui era sicuro di averla spenta, prima di
andarsene. Era su un canale per bambini.
Notò
anche che la finestra era spalancata, e che c’era una valigia
veramente piccola poggiata sul tavolino.
Forse
qualcuno era entrato mentre lui era in camera?
“C’è
qualcuno?” chiese il ragazzo, ma nessuno rispose.
Forse qualcuno
ha lasciato qui le sue cose e poi se n’è andato,
si disse.
Ma poi il sacchetto di patatine si mosse, da solo.
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