Note dell’autrice:
Non sono solita scrivere fan fiction su telefilm o affini, più che altro per
una questione visiva: i telefilm si guardano, mi fa strano leggerne. Fatto sta
che dopo la puntata 4x12 ho sentito
la necessità di scrivere qualcosa.
Chi ha visto la puntata capirà, e spero apprezzerà; chi, invece, non ha visto questo episodio, è pregato di non continuare
nella lettura se non vuole rovinarsi la sorpresa con degli spoiler. Sono,
inoltre, presenti accenni all’omosessualità: chi non gradisce certe tematiche è
pregato di evitare di leggere. Lettore avvisato…
A tutti gli altri buona lettura! Tengo solo a ribadire che si
tratta di un esperimento… Un ringraziamento particolare a Simo per avermi aiutata con alcuni dialoghi (mi sembrano poco
“House” in certi punti, ma ditemi voi xD).
Il titolo della fan fiction si riferisce al titolo dell’episodio
sopraccitato.
* * *
«Wait a
second. This isn't just about the sex. You like her personality. You like that
she's conniving.
You like
that she has no regard for consequences. You like that she can humiliate
someone if it serves… Oh my god. You're sleeping with me.»
(House, 4x12)
Don’t Ever
Change
Osservò la pillola bianca che teneva
tra le dita, giocherellandoci, lo sguardo assorto. Si trovava nel suo ufficio,
comodamente seduto sulla sedia girevole, i piedi appoggiati sul bordo della
scrivania, come al solito in una posizione scomposta e stravaccata. Senza
mutare espressione, lentamente, abbassò il braccio, fino a lasciar cadere la
pillola di Vicodin nel suo contenitore. Quella sbatacchiò pigramente contro le
sue simili. House richiuse il piccolo recipiente arancione, sistemandoselo poi
in tasca, in viso un’espressione vagamente perplessa.
Come per rilassare i muscoli
facciali a cancellare quell’espressione e anche i pensieri che gli riempivano
la mente, scosse leggermente la testa, ed effettivamente, dopo quel gesto, sul
viso non rimase segno della smorfia precedente. Abbassò con un gesto agile le
gambe dalla scrivania, appoggiandosi al bastone, cominciando a camminare a
passi rapidi verso l’uscita. Dopo appena poche falcate, però, l’incedere
rallentò, fino a fermarsi. Tenne il viso basso, sembrando concentrato su
qualcosa, l’espressione tipica di quando veniva illuminato su un caso clinico.
Caso che, al momento, non aveva.
Appoggiò il bastone sulla scrivania,
e si voltò, quindi, con sguardo determinato, prendendo a percorrere la distanza
che lo separava dalla porta con passo malfermo, com’è ovvio che sia per uno
zoppo. Dopo pochi passi la gamba cedette e lui si ritrovò a terra, semi
inginocchiato sulla moquette.
Gemette frustrato, massaggiandosi
delicatamente la gamba, senza però cambiare posizione, tentando di riprendere
forza sulle gambe. Fortuna che aveva abbassato le imposte dell’ufficio, prima
di darsi a quelle prove di maratona. Percepì la porta aprirsi, ma non ce la
fece ad alzarsi, così rimase dov’era, come se niente fosse. L’ospite
probabilmente rimase leggermente spiazzato, data la pausa di silenzio che segui
all’entrata.
«House. Che diavolo stai facendo?»
La voce era perfettamente
riconoscibile, così familiare. Dal canto suo, lui smise di accarezzarsi l’arto
ferito, e alzò appena lo sguardo, indifferente.
«Stavo prendendo in considerazione
l’idea di pregare verso la Mecca, ma ho notato che per uno zoppo non è il
massimo della comodità.» disse solamente, ironico, con una specie di sorriso
gioviale. Alzò lo sguardo sull’amico, ma subito, ignorando il dolore alla gamba,
si alzò in piedi, apparendo per un attimo a disagio.
«Tutto bene?» domandò perplesso, una
mano ancora sulla maniglia della porta, l’altra a tenere fogli e cartelle.
«Certo. Tu, piuttosto, che fai da
queste parti?» domandò, riprendendo il suo tipico tono indifferente, mentre
afferrava il bastone lasciato poco prima sulla scrivania. Vi si appoggiò con
noncuranza, voltando il viso verso di lui, in attesa.
Wilson, dal canto suo, lo osservò
per qualche attimo, accigliato, prima di parlare.
«Mi chiedevo come mai non accetti
casi da così tanto tempo. Hai assunto tre medici e li usi solo per mandarli a
prendere il pranzo o per far uscire di testa la Cuddy!»
esclamò James, senza cambiare né posa né espressione.
«Non accetto casi perché l’influenza di un bambino
di otto anni non mi interessa. E poi io non faccio quelle cose, sono un bravo
bambino, io. Il pranzo lo prendo da te, e la Cuddy ha sempre adorato i giochi a
tre. La faccio solamente divertire un po’…» ribatté prontamente, inarcando le
sopracciglia, parlando con il solito tono ironico. Nel frattempo, tornò verso
la scrivania, sedendosi sulla sedia nella stessa posizione di prima,
stravaccato, e iniziando la stancante attività di giocare a lanciare e
riprendere l’amata pallina che teneva nel suo ufficio.
«Nell’ultimo periodo non mi sembra
tu mi abbia rubato il pranzo…» mormorò Wilson pensieroso, assottigliando gli
occhi, forse cercando di ricordare tutti gli scherzi di cattivo gusto che aveva
subito nell’ultimo periodo, per verificare se fosse accaduto o meno.
«Vero.» concesse House. «Non
toccherei mai il cibo che tu e la Stronza Tagliagole vi preparate con così
tanto amore.» Afferrò la pallina al volo, tenendola ferma tra le mani, per
girarsi a guardare l’amico per qualche attimo. Sporse il labbro leggermente in
fuori e sgranò gli occhi, a comporre l’immagine dell’innocenza. O così sarebbe
dovuto sembrare vagamente, ma, trattandosi di House, non poteva che essere una
presa in giro.
Wilson parve irrigidirsi per un
secondo per poi scuotere la testa.
«Dì la verità, il fatto è che pensi
ci sia qualche veleno nel cibo.» commentò l’oncologo, con un sorrisetto
incerto, sebbene il tono fosse apparentemente divertito.
«C’è una ragione se si chiama
Stronza Tagliagole.»
«Si chiama Amber. Ma, in ogni caso,
credi davvero che mi avvelenerebbe? O avvelenerebbe te attraverso il mio cibo?»
domandò James scettico.
«No, non lo farebbe mai.
Scommetterei i soldi ancora ti devo sulla sua buona fede.» Annuì il diagnosta
sarcastico.
Wilson mantenne quel sorrisetto
incerto sulle labbra, facendo poi mezzo passo indietro, come per allontanarsi;
cambiò subito idea, tornando sui suoi passi e, anzi, muovendosi all’interno
della stanza, lasciando che la porta si richiudesse alle sue spalle.
«Lo sai qual è il tuo problema? Non
sai accettare le critiche. Come tu stesso hai detto, Amber è te al femminile e,
vedendo i suoi difetti, trovi anche i tuoi, ma non vuoi accettarlo.» commentò
James, con espressione nuovamente accigliata, come faticando a comprendere del
tutto un concetto che riteneva facilmente alla sua portata.
«Se vuoi rinfacciare le cose, allora inizia a ridarmi indietro il
tagliaerba!» esclamò l’altro, finto indignato, dopo una breve pausa, sempre
tenendo il gioco tra le mani.
«Io non ti ho mai preso il tagliaerba...» considerò Wilson perplesso.
«Mi ricordo un tagliaunghie, ma non un tagliaerba.» sottolineò, inarcando le
sopracciglia.
«Solo perché non ne hai avuto l'occasione!» disse in risposta House.
Wilson si limitò a ricambiare lo sguardo dell’altro, che pian piano perse quel
luccichio
divertito, l’espressione che si rabbuiava impercettibilmente, mentre
l’oncologo borbottava tra sé qualcosa che assomigliava a un «Ma perché gli do
corda…»,
«Davvero se ti avessi “guardato prima con questi
occhioni” mi avresti preso in considerazione?» domandò House, improvvisamente,
dopo qualche attimo di silenzio, le parole della loro ultima discussione ancora
impresse nella mente; anche se, in quell’occasione,
il primario di Oncologia non era stato serio. Wilson ricambiò lo sguardo con
tanto d’occhi, prima di esclamare: «Oh, sì, ho sempre adorato i cuccioli
bisognosi d’affetto… Stai scherzando, vero?!» dapprima ironico, poi si poteva
percepire quasi una nota di panico.
House rimase in silenzio ad
osservarlo, a scrutarlo, senza dire nulla; lo sguardo sostò qualche istante sulle
sue labbra, prima di correre ai suoi occhi, dove si fissò. Solo pochi istanti
dopo – ma che sembrarono molti di più – rispose.
«Certo che scherzavo.» ribatté,
piegando le labbra in un sorriso obliquo. L’espressione di James passò dal
confuso a qualcosa che House non riuscì a – o non volle, nemmeno lui lo sapeva,
ormai – comprendere, forse sollievo. Fece un cenno del capo, mentre si avviava
nuovamente verso la porta. House ricambiò il gesto, tornando ad avvicinarsi
alla sua scrivania. Wilson mise la mano sulla maniglia, ma si bloccò,
voltandosi nuovamente verso House.
«Non riuscirai mai ad andare
d’accordo con lei, vero?»
«Certo che sì. Te l’ho detto, è la
mia migliore amica donna.» rispose pacatamente, la mente ancora a quell’ultima
discussione. Represse una smorfia nel ricordare come la Stronza Tagliagole
fosse realmente cambiata, e come lui non si era potuto esimere dal trattenere
un piccolo sorriso, quando aveva cercato di “ricattarla”.
Wilson gli lanciò un’occhiata tra il
diffidente e il divertito, prima di rivolgergli un ulteriore cenno di saluto
con la mano che ancora teneva fogli e cartelle, e uscire definitivamente dalla
stanza.
House sospirò, sprofondando ancor di
più nella sedia; la sua postura dava comunque un’idea di rigidità.
Ho deciso che potevi far peggio che trovarti una mia
replica al femminile. Non era vero, era una delle cose
peggiori che Wilson avrebbe potuto fargli.
Una mano corse quasi automaticamente
alla tasca della giacca, estraendone, lentamente, il piccolo recipiente arancione,
ed osservandone il contenuto.
Dopotutto loro erano davvero una
coppia, come gli aveva detto Wilson durante quella famosa conversazione, ed era
vero. Facevano tutto insieme – da parte di House perché era il suo unico e
migliore amico, da parte di James forse perché doveva ricrearsi una nuova vita
sociale dopo i vari divorzi. Eppure aveva esibito un’espressione quasi
sconvolta nel sentirlo parlare così, ed era stata sincera, perché aveva avuto paura;
lo stesso terrore che aveva provato Wilson poco prima, quando aveva temuto
fosse serio. Ma sarebbe stato poi così fuori dal mondo non pensare a un senso
unicamente metaforico ma a qualcosa… –
No, non doveva neanche prendere in
considerazione la cosa.
Lentamente aprì il contenitore,
estraendo una pillola di Vicodin con cui iniziò a giocherellare, osservandola,
proprio come aveva fatto fino a poco prima.
«È bello sapere di avere tante
amiche.» commentò a mezza voce, tra sé e sé, osservando tutte quelle pastiglie
bianche con sguardo vacuo.
Poi si portò il palmo alla bocca,
ingoiando la pasticca che teneva in mano, emettendo un sospiro soddisfatto.
E lui che aveva anche pensato di
cercare di smettere… Patetico.
Dopotutto le persone non cambiano. Mai.
Fine
Ripeto, è una storia senza pretese.
Ma per certi versi sono piuttosto soddisfatta, come le espressioni dei
personaggi: in questo caso ho proprio bene impresse nella mente le facce degli
attori. Come per esempio quando House guarda qualcuno – solitamente Wilson –
con sguardo fisso (difficile spiegare esattamente, ma se siete fan assidui
dovreste aver capito a cosa mi riferisco, spero): in quel caso è perché non
riesce a negare qualcosa. Ovviamente ci saranno mille sfaccettature diverse nel
telefilm, ma alcune mi sono rimaste particolarmente impresse; e spero di essere
riuscita a riportarle fedelmente in questa storiella.
Ah, per quanto riguarda la “Cutthroat
bitch” mi piace più “S*****a”, piuttosto che “B******a”: scusate, licenza
poetica xD
Ora vi saluto, non voglio annoiarvi
oltre. Ma se vorreste essere così gentili da lasciarmi un commentino per dirmi
come vi sembra, ve ne sarei immensamente grata! Un bacio.