Storia
di Nessuno
Il buio avanzava turgido in quell’oscura notte d’inverno senza stelle.
Il cielo era coperto da una coltre implacabile di nuvole, come se ogni
lamento echeggiasse fra le tortuose vie acciottolate per poi innalzarsi
a coprire il chiarore della pallida luna. Riesci a vederlo? Io credo di
aver dimenticato la forma delle stelle. Piccole lucciole sospese nel
cielo, soppresse dai neon del ristorante di fronte. Ammazzate quasi
dalle migliaia di candele accese quaggiù in quest’inferno.
All’improvviso la vedo. Eccola che arriva. Ci avrei scommesso. La donna
dall’abito rosso come ogni sera si fa largo fra i rifiuti calpestati
per terra, allontanandoli come se fossero ciarpame. Coperta con il suo
regale mantello compie il suo trionfale ingresso in quella reggia
dall’altra parte della strada. Mi guarda come se fossi uno scarafaggio.
La detesto con tutto me stesso. Le insegne attorno a me sono logore e
cadenti ma in quel castello, illuminato da più di mille candele, il
tempo non è mai fermo come lo è il mio. Ricordo che una volta anch’io
partecipavo a gloriose sere di gala e sfoggiavo il mio abito nero
appariscente, ammiccando ad ogni donna che volgeva lo sguardo verso di
me. All’epoca mi sarei visto come uno scarafaggio. Il mio volto sarebbe
stato deturpato dal disgusto. Troppo è il ribrezzo che provo verso
colui che sono stato… Mi sarei comportato esattamente come la donna
dall’abito rosso. Dovrei allora essere in grado di capire, ma l’odio mi
distrugge. Forse perché nulla di tutto quello che avevo è rimasto. «A
volte mi chiedo cosa stiamo davvero aspettando», avevo domandato una
volta. «Che sia troppo tardi, sir» mi era stato risposto. E ora è
davvero troppo tardi. È già mezzanotte e l’orologio della piazza suona
la dodicesima ora. Dal ristorante di fronte riesco ancora a percepire
l’acre odore di celebrità. Non riesco a dormire con tutto quel
frastuono. I flash mi accecano. Decine di macchine fotografiche
ponevano i loro obiettivi su di me, solo qualche anno fa. E io
sorridevo, ignaro del tiro mancino che la sorte mi stava preparando.
Credevo di sapere tutto. Il mondo era il mio servo ed io ero il
padrone. Una magnifica magione, donne, auto veloci. Questo era il mio
mondo. Un mondo malvagio, governato da una creatura infida, di cui ogni
uomo è schiavo. Il suo nome è Potere e il suo dominio incontrastato. La
musica si fa sempre più alta. I miei timpani bruciano. Fatemi dormire
vi prego! Solo cinque minuti e poi… che la vostra dannata festa
continui! Mi raggomitolo sotto un giornale, coperto di stracci. Leggevo
Kafka e Orwell, mi dilettavo fra Platone e Marx. Il pomeriggio Leopardi
o Alighieri. Passavo giornate intere in quell’enorme biblioteca che mi
era stata concessa. Vagavo incerto fra quegli scaffali altissimi,
spulciando racconti e saggi di cui s’è persa memoria. Quante volte sono
rimasto appollaiato alla mia sedia in mogano perdendo la cognizione del
tempo… Non ce la faccio! Non ce la faccio! Proverò a dormire
altrove. Qui la musica è troppo forte e i ricordi troppo velenosi. Mi
stendo su un gradino del pub sulla diciottesima strada. Finalmente il
silenzio. All’epoca non c’erano che urla e grida in casa mia. Ognuno
correva da una parte all’altra fra mille impegni e timori. Sentivo
continuamente lo scalpiccio su e giù per le scale. Lorena strillava
furiosa dicendo di non avere alcun vestito che le stesse bene e il suo
guardaroba era pieno. La sala da pranzo era a soqquadro… Perché mi
svegliate ancora? Avevo appena chiuso gli occhi. Il gestore del pub mi
ha appena sferrato un calcio. Vuole che me ne vada. Io prendo la mia
roba e sparisco. Non ho voglia di mettermi a discutere. Ho soltanto
sonno, tanto sonno. Da lontano sento l’orologio della piazza
ticchettare le due e mezza. ‘Cipicchia come è tardi. Ma tardi per cosa?
Mi trascino lungo una viuzza laterale. E il tempo è tutto mio. Vorrei
poter credere ancora che non tutte le cose sono bianche o nere. Ah, una
panchina! Mi poggerò qui. Il legno sotto di me è freddo, e la schiena
mi fa male. Il dottor Constantine era sempre stato una brava persona.
Trovava sempre un momento per ricevermi con il suo fare gentile e un
po’ pacchiano. Non mi ha più telefonato da allora. Non ci avrei mai
creduto se me lo avessero detto. Sento il ticchettio del mio orologio
da polso sul braccio, e il mio cuore scandisce ogni singolo secondo con
il suo battito incessante. All’improvviso non ho più freddo. Anzi,
sento che sto quasi per prendere sonno. Buonanotte, amici miei. Gli
occhi mi si chiudono. L’orologio non ticchetta più. E non c’è più
nessun battito a scandire le mie ore.
L'Angolo dell'Autore
Ciao a tutti! Dopo la pausa estiva eccomi qui a pubblicare
di nuovo qualcosina. Questa storia mi è venuta in mente durante un
viaggio che ho fatto diverse settimane fa. Come vedete, non è altro che
un lunghissimo flusso di coscienza. Ho voluto sperimentare questa
tecnica questa volta per vedere cosa sarebbe uscito fuori. Ovviamente a
voi i commenti! Piccola anticipazione: presto pubblicherò un'altra
storia nella categoria dei Gialli, quindi restate connessi!!
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