Stelle fosforescenti
Ecco una one-shot per la festa del papà! Non avrei mai pensato di scriverne una per questa ricorrenza ma... l'ho fatto XD
L'idea è nata
casualmente oggi, volevo scrivere qualcosa su Ed e Hohenheim ed
è uscita questa fiction, che non è il massimo, per una
serie di motivi, ma non posso lasciarla nel pc e comunque non fa
proprio schifo.
Grazie infinite a chi ha commentato Scacco matto della Regina Bianca alla Pedina Nera, che ho utilizzato per un concorso scolastico e grazie a Lenus e Elyxyz le uniche che hanno letto la mia Dead-man walking, Remus/Sirius nonsense... T-T se leggerete ve ne sarei grata...
Dedicata a tutti i papà degni di questo nome.
A little star without sky
Lentamente si stava consumando quella candela, lì , su quella scrivania rovinata dove dominavano tomi su tomi ingialliti.
L 'orologio a pendolo segnava mezzanotte passata, infatti era l'ora di
andare a dormire, infatti lui non doveva essere lì.
Solo che quell'uomo lo
incuriosiva: sempre chino su quei polverosi libri, sembrava non dar mai
importanza allo scorrere del tempo, sembrava che l'orologio che Trisha
gli aveva donato fosse inutile.
Le ombre stavano troneggiando su quella flebile luce sprigionata dalla
candela, il volto dell'uomo era concentrato su quelle scritte
complicate, sequenze di lettere e numeri; sotto gli occhi occhiaie.
Era solo, o almeno lo credeva. Quella porta socchiusa era il suo confine col mondo, confine che valicava di rado.
Era una triste visione.
Quegli occhi d'oro che lo guardavano con innocente e avara
curiosità si ponevano molte domande. Al di là di quel
confine palese ma invisibile vi erano risa, giochi, lui veniva
rimproverato per i piccoli dispetti che faceva ad Al, Sara e Trisha
trascorrevano lungo tempo immerse in conversazioni per lui noiose e con
Winry disegnavano arcobaleni e fiori, poi uscivano per rincorrersi
sulle colline, con Den che li superava sempre... era così bello
stare in compagnia... la sua felicità dipendeva da chi aveva
vicino, indi, a rigor di logica, concluse che lui, Hohenheim, sempre
solo, era triste.
Che fosse timido? Che fosse difficile per quell'uomo stare con gli altri, come era difficile per lui qualche volta?
Edo trovava davvero difficile stare vicino a Winry dopo averle regalato
una margherita o dopo che lei gli regalava il suo ultimo dolcetto,
oppure dopo che aveva litigato con la mamma che voleva fargli bere quel
liquido incolore che veniva dalle mucche, o quando Al piangeva
perché lui l'aveva spaventato. Che fosse così anche per il suo papà?
Edward avrebbe voluto non fosse così e che quell' uomo sorridesse come la mamma.
***
< Ed finisci la colazione! >
Cercò di assumere un tono duro e deciso. Che male c'era nel
volere che il suo bambino bevesse quel bicchiere di latte? Serviva per
crescere e poi aveva molte proteine, non poteva che fargli bene!
< No! Io non bevo la pipì della mucca! >
< Non è pipì Edward! E' latte! >
Edward guardava la donna arcigno.
Lo sapeva benissimo cos'era!
Aveva visto mungere una mucca, lo sapeva che nella parte bassa
dell'animale usciva quella... schifezza. Anche per lui era così:
nella sua parte bassa usciva la pipì.
Trisha non lo avrebbe incantato in nessun modo, non poteva convincerlo, era sicuro il bambino.
< Guarda.. >
La madre si avvicinò al figlio più piccolo che dal
seggiolone contemplava quella buffa scenetta e rideva nel vedere il
fratello tanto combattivo e tenace e la mamma tanto insistente.
< Al, facciamo vedere a Ed quanto ci piace il latte... a te piace il letto, vero? >
Il bimbo dagli occhioni castani allargò le braccia più
che poteva e con un sorriso genuino confermò quello che aveva
detto la donna.
< Si... ad Al tanto, tanto... latte... >
Soffocò una risatina la donna, mentre preparava con dedizione e
pazienza i cereali nella ciotola azzurro del figlio minore.
Si voltò un attimo per prendere la scatola dei cereali e
incontrò casualmente il calendario. Sorrise notando che giorno
fosse e, abbandonati i suoi buoni propositi sul far bere il latte ad
Ed, cambiò discorso e cercò di instaurare una
conversazione seria.
< Ed oggi è la festa del papà lo sai? >
Il bambino puntò i suoi grandi occhioni sulla mamma.
< Ma il compleanno di papà l'abbiamo già festeggiato >
Lo ricordava bene, dovevano esser passate solo poche settimane da quel giorno.
< Infatti non è il suo compleanno, ma è la festa di tutti i papà al mondo >
< Anche quello di Winry? >
< Anche quello di Winry >
< Di tutti, tutti? >
< Certo. Per questo devi ricordarti di fargli gli auguri e dargli un bel bacio >
Edo si accigliò.
Lui non usciva mai da quella camera.
In quel giorno tanto speciale sarebbe uscito?
< Ma lui non esce mai da quella camera... >
Sussurrò timidamente cercando di nascondere l'imbarazzo
dietro il bavaglino che, con malagrazia stava cercando di togliere.
Trisha sentì il dolore celato in quelle parole. Tolse lo sguardo
dai cereali che stava mescolando col latte e sorrise incoraggiante ad
Ed.
< Sciocchino puoi andare da lui e fargli gli auguri, anzi sai che ti dico? Gli facciamo una sorpresa! >
Tornò ad occuparsi della colazione di Al e il bambino dalle
iridi dorate riuscì a levarsi definitamente quello scomodo ed
infantile bavaglio; era ancora accigliato però: se avesse
disturbato il suo lavoro? Se si fosse arrabbiato?
Lui non voleva questo.
Magari con una bella sorpresa...
Si, una sorpresa! Forse sarebbe riuscito a vederlo sorridere e a
renderlo felice per tutta la giornata: quando facevano a lui le
sorprese era sempre contento, sorrideva per tutto il giorno. Voleva che
fosse lo stesso per il suo segreto eroe.
Trisha gli stava parlando ancora, ma a lui le parole non arrivavano.
Nella sua testa aveva tutt'altri pensieri: che sorpresa poteva fare al
suo papà?
Voleva che fosse speciale...
Pensò che chiedere consiglio sarebbe stata l'idea migliore, sicuro.
Scese dalla sedia e con passo svelto, senza pensare di avvisare
Trisha, aprì la porta socchiusa e sgattaiolò fuori.
Sicuramente Winry, così piena d'idee e sempre informata su
tutto, avrebbe potuto dargli un buon consiglio e se non l'avrebbe fatto
lei, c'era pur sempre la zia Sara o la zia Pinako.
Quando la porta si chiuse Trisha sobbalzò, rendendosi conto che
Edward non c'era più a tavola, che di nuovo aveva accuratamente
evitato il latte. Gridò il suo nome, sperando che il richiamo
potesse farlo ritornare indietro, ma poi si ricordò della porta
chiusa e sospirando, porgendo un grande cucchiaio ad Al lo
invitò a consumare la sua colazione. Ed era pur sempre un
bambino tranquillo e sicuramente era uscito per giocare sul prato,
magari in compagnia della sua amichetta e di Den.
***
Bussò con discrezione il piccolo Edo alla porta di casa Rockbell.
In pochissimi secondi gli fu aperto e calorosa accoglienza gli
riservò Sara Rockbell e lui non poté che salutarla con un
sorriso radioso. Era bello che tutte le mamme del mondo sorridessero in
quel modo e fossero tanto dolci...
< Ciao Ed! >
Alzò la manina in segno di saluto la piccola Winry, seduta sul tavolino con un disegno in mano che mostrava orgogliosa.
< Cos' è? >
Chiese avanzando curioso verso l'amica e sedendosi vicino a lei.
< Un disegno! Non lo vedi stupido? >
Edward s'imbronciò e represse la voglia di aggredirla con le
parole per due motivi fondamentali: era una bambina e le bambine
dovevano essere protette, non picchiate o aggredite, ma soprattutto
perché gli serviva la sua idea per il regalo ad Hohenheim.
< ... è per il mio papà! Sto disegnando tutto quello che vorrei regalargli per farlo essere felice >
Il maschietto alzò il sopracciglio: perché disegnare
quello che si desiderava e non darlo? Sicuramente Hohenheim non sarebbe
stato felice di questo e anche il papà di Winry. Trovò
inutile polemizzare, tanto l'avrebbe avuta vinta lei, ma cercò
almeno di farla riflettere.
< Però non potresti mai regalarglieli... >
< Ovvio >
< Allora perché disegni? >
< Sei sempre il solito stupido! >
< Ehi! >
< Lo ripeto se vuoi: S-T-U-P-I-D-O! Qui c' è tutto l'affetto che nutro per il papà! >
< L'affetto? >
Sara intervenne nella conversazione tra i due bambini, evitando che
potesse sorgere una nuova lite come quella di pochi giorni prima.
< Certo Ed! Perché non fai anche te un bel disegno per tuo
padre? E' una manifestazione d'affetto, puoi esprimere quanto gli vuoi
bene >
< Ma a papà non piacciono queste cose... >
A quanto pareva a lui piacevano solo i libri.
< A tutti piace ricevere un pensiero gentile o qualcosa che possa dire quanto gli vuoi bene >
Abbassò lo sguardo il biondino, non convinto, e guardò a
sottecchi il disegno della sua compagna di giochi: era colorato, una
festa di colori, tanto forme, viste e non viste. Era del tutto
personale ma... bello.
< Cos'hai disegnato? >
Domandò con una punta di timidezza non riuscendo a capire cosa
fossero tanti di quegli elementi di quel bizzarro collage a pastelli.
Erano solo scarabocchi in fondo, scarabocchi intrisi d'amore.
< Questo è il cielo, vedi che volano dei gabbiani? E i
gabbiani volano sotto l'arcobaleno tra tanti cuoricini, il sole che
brilla e gli mostra e gli mostra un albero fiorito >
< Cos' è questo? ... sotto l'albero... >
< Un cavallo! A papà piacciono tanto i cavalli e le stelle! Infatti di qua... c' è la luna con le stelle >
< Ma il sole non può stare insieme alla luna e alle stelle! >
Si scandalizzò il bambino. La bambina gli regalò una risposta impertinente.
< Nel mio disegno si! >
Aggiunse una linguaccia.
Edward invocò la calma, magari sarebbe venuta se avesse cambiato argomento.
< E se potessi regalargli una cosa del tuo disegno? Cosa sceglieresti? >
Gli occhi azzurri si posarono sul foglio colorato, meditò per qualche secondo.
Diede con un sorriso e con un tono acuto la sua risposta.
< Una stella!!! >
< Perché proprio una stella? >
< Come perché? Perché sono belle, brillano, sono
preziose, quando è buio fanno luce... a me piacciono! >
Quando è buio fanno luce...
Letteralmente illuminante fu quella frase.
Saltò giù dalla sedia e corse verso l'uscita.
< Grazie Win! >
< Ed? Sei impazzito? Dove vai? >
< Vado a cercare una stella per il mio papà! >
< Cosa?! >
< Si, sarà un regalo bellissimo >
< Ma sei matto? E' giorno e poi... le stelle si trovano in cielo! >
Si era alzata sulla sedia, sfoggiando il suo grazioso vestitino rosso e facendo ciondolare i suoi codini biondi.
< Si ma io sono un genio! Ciao, ciao zia Sara >
La donna lo salutò con un sorriso.
< Mamma ma perché i maschi sono tutti scemi? >
Sara pensò a quanto fossero tremendamente adorabili i bambini.
< Da grande ti darai della scema tu perché li segui >
Disse tra se e se tra una risata argentina e un'altra. La bambina la
guardò interdetta; solo una decina d'anni dopo avrebbe capito il
significato di quelle parole.
***
Ed era ritornato nella sua camera, non senza ricevere un rimprovero -
se pur debole- dalla madre, per esser scappato improvvisamente: bene!
Sarebbe stato tutto il giorno in casa! Trisha pensava di impedirgli di
giocare, in realtà ostacolava solo i suoi piani. Le proteste non
valsero nulla, stava anzi per prendere una sculacciata, ma
riuscì, prima che la madre lo raggiungesse, a scappar su per le
scale e chiudersi in camera.
A fianco vi era la grande libreria dove il padre era rinchiuso, con lo
sguardo fisso sui libri. Lì tra quei tomi ricchi di conoscenza,
dei segreti delle scienze e del mondo, di come gira e come cambia la
natura, segreti sul fuoco, sull'acqua, della terra e dell'aria, forse
tra quelle pagine dalle dalle sfumature gialle o semplicemente bianche,
si celava il segreto di come si potessero prendere le stelle.
Nulla era impossibile, glielo aveva detto Hohenheim una volta, e se
l'aveva detto lui era vero. Quindi le stelle potevano afferrarsi, lui
era era solo un bambino, ma ne era certo: poteva.
Peccato solo che avesse il divieto d'uscire.
Un lampo, chi direbbe di genio, chi di follia, chi di stoltezza: la
finestra! Si avvicinò e pensò di poter scappare per
andare a cercare stelle.
Caso, o fortuna, ad interpretazione libera, Edward cadde su un
giocattolo che aveva dimenticato sul pavimento la sera prima, nulla di
male, anche se ne fece una tragedia e iniziò ad imprecare contro
quel povero trenino, che secondo il bimbo aveva fatto un'infamia a lui
di proposito.
Alzò lo sguardo.
Vide stelle.
Non erano vere ma... erano magiche.
Le aveva comprate Trisha per cercare di tranquillizzare Alphonse, che era terrorizzato dal buio.
Di giorno non erano che di un pallido bianco, ma di notte avveniva la magia.
Si avvicinò tendendo la manina verso la parete, verso quella
parte di muro dove era incollata quella piccola costellazione. Edward
tirò verso di se la stellina, era difficile...
s'impuntò sul pavimento, di peso tirò...
Cadde di schiena, ma si distese un sorriso sul suo faccino. Alzò il palmo destro: aveva la stella.
***
< Posso entrare? >
Una vocina timorosa raggiunse Hohenheim alla sua scrivania.
L'uomo staccò lo sguardo dal volume, gli occhi erano stanchi.
Tolse gli occhiali e con le dita massaggiò le palpebre.
Invitò pacamente.
Il bambino con sguardo basso, lentamente entrò nella stanza.
Non vi entrava quasi mai e gli incuteva timore. Trovava fosse un luogo
triste, forse perché Hohenheim , sempre là dentro, pareva
triste.
Aprì le braccia Elric Senior e riuscì a sorridere veramente.
Ogni tanto credeva che Ed lo odiasse.
Ma probabilmente era solo la sua coscienza ad esser sporca.
Il bimbo sorrise e ridendo corse tra le braccia del padre.
Gesti d'affetto da parte dell'uomo erano rari, e lui voleva goderne il più possibile.
Pelle contro pelle, in quell'abbraccio quel dubbio martellante che gli sussurrava spesso, troppo spesso, la sua testolina, quel "Lui non ti vuole bene" s'annullava, svaniva e nel silenzio sentiva quelle parole che mai gli aveva detto "Ti voglio bene".
< Auguri papà! >
< Auguri? >
Gli capitava di estraniarsi dalla realtà, scordando date , eventi e ricorrenze. Per fortuna c'era Trisha...
< E' la festa del papà! Di tutti i papà! >
Esclamò euforico con quel sorriso che avrebbe fatto sciogliere tutti.
< Grazie, l'avevo dimenticato >
Gli scompigliò i capelli affettuosamente.
< ...e questo è per te! >
Tese verso il volto del genitore una scatolina bianca.
< Per me? >
Era davvero un qualcosa d'inaspettato.
Strabuzzò gli occhi, aprì bocca per aggiungere qualcosa,
si passò una mano sulla nuca rendendosi conto che non aveva
parole.
< G-grazie... >
< Hai mai preso una stella papà? >
Domandò ingenuamente.
< N-no... >
Rispose interdetto Hohenheim.
E Edward ne fu compiaciuto.
< Apri, apri! >
Prese in mano la bianca scatola e la aprì: una stellina fosforescente.
< Bellissima Ed, grazie... >
< Quando è buio, quando sei solo, quando sei triste tienila vicino... >
Si portò la mano sotto il mento, guardò a terra cercando le parole.
< ...è una parte di me, che ti starà sempre vicino >
Hohenheim sorrise, solare. Baciò la guancia di Ed sussurrando -non l'avrebbe mai detto ma era commosso- un grazie.
***
Anche quella sera, prima di coricarsi a letto, Edward sbirciò
nella biblioteca. La candela era consumata, trionfavano le tenebre e
poteva intravedere il padre col capo chinato su un libro aperto.
Una fioca luce, tra il giallo e un tenue verde, stava vicino Hohenheim:
la luce della stellina donata. E prima di correre a letto, prima che
Trisha urlasse il suo nome scoprendo che non stava dormendo, Ed
intravide qualcosa che gli scaldò il cuore.
Suo padre dormiva con un sorriso rilassato sul volto.
Ora poteva andare a letto, dal momento che aveva appurato che quel
padre incosciente stava dormendo sogni tranquilli in compagnia di
quella stella magica.
***
< Le posso servire qualcosa signore? >
Domandò una cameriera che lavorava nel pub più popolare di Monaco.
L'uomo, adulto ma affascinante le sorrise ordinando una birra. La ragazza non poté rimanere indifferente.
Nascondeva sotto quell'aspetto trascurato e decadente charme e una bellezza spenta da troppi drammi che erano gravati sulla sua esistenza, non vita.
< Uh... che bella... cos'è? >
La cameriera guardò curiosa quell'oggetto sul tavolino che teneva vicino a se l'uomo.
Non ne aveva mai vista una.
Non erano oggetti del suo tempo e del suo mondo, dopotutto.
< Questa? >
Chiese sempre sorridente l'uomo, soprattutto per il fatto che quell'oggetto non passava inosservato.
Ma appena pronunciò parola non si poté ignorare un'amarezza malcelata nel suo tono.
< E' una piccola stella senza cielo , come me >
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